Terza riflessione sul Natale: in cammino verso la grotta santa
(IL NATALE DI GESÙ: LA GROTTA DELLA STORIA NEL VANGELO SECONDO LUCA)
Il Vangelo secondo Luca inizia con l’irruzione di Dio nella vita di due persone senza vita. Esse, pur essendo rimaste giuste, timorate, osservanti della Legge, avevano perso ogni speranza. Dio era vita per gli altri, ma non per loro. Quando l’Angelo annunzia che Dio è vita anche per loro che finora sono state senza vita, l’uomo che riceve l’annunzio non crede e per questo rimane muto fino al compimento e alla realizzazione nella storia di ogni parola proferita dal celeste Messaggero. Spesso può capitare che si viva una vita di fede senza vera fede nel Dio autore e creatore di ogni vita. È in questo mondo di fede senza fede che Dio scende con potenza. La storia è una sua potente, anzi una sua onnipotente opera di creazione attuale.
Subito dopo questa scena, il Vangelo ci conduce in una piccola, umile città della Galilea, da una giovane donna sconosciuta al mondo, eppure Dio già ha fatto di Lei la Regina del cielo e della terra, la Nuova Eva, la Madre di tutti i viventi. Ma questa giovane è talmente umile da vedere solo Dio, la sua bellezza infinita, il suo amore, la sua eterna carità, la sua verità che non conosce alcuna ombra di insipienza, stoltezza, falsità. A questa giovane donna il Signore chiede in dono tutto il suo corpo e di conseguenza tutta la sua vita. Corpo e vita gli servono per dare vita a se stesso. Dio vuole entrare nella storia in una forma nuova: facendosi Lui stesso carne, divenendo sangue umano, cuore umano. La risposta alla richiesta del suo Dio della giovane Vergine è immediata: “Tu chiedi e io ti dono. Tuo vuoi e io mi offro. Sono la serva del Signore. Eccomi! Avvenga di me secondo la tua parola”.
Con questa risposta e per questa risposta, Dio entra nella nostra storia in modo nuovo. Mai prima era entrato in una forma così umile. Entra nella nostra storia per viverla tutta, ma in modo nuovo. Ma come si vive la storia in modo nuovo? Accogliendola così come essa è, ma rimanendo nella più alta verità, carità, giustizia, santità. Accogliere la storia: è questo il grande messaggio che viene dal Natale secondo il Vangelo di Luca. Ma cosa è la storia? Qual è il fine di essa? Da chi essa è fatta? Per comprendere il mistero della storia lasciamo aiutare da una terza scena: L’editto dell’Imperatore di Roma.
L’Imperatore di Roma, mosso dalla sua superbia, vuole contare i suoi sudditi. Lui, che si reputa vero Dio sulla terra, vuole sapere quanto grande è il suo regno. Per questo ordina un censimento. Ognuno deve farsi registrare nella sua città di origine. Giuseppe, essendo di stirpe regale, deve recarsi fino a Betlemme, la città del suo Antenato Davide. E Dio, il Dio che è nel grembo della Vergine Madre, cosa fa? Obbedisce al suo Imperatore. Nel grembo della Madre si mette in cammino, perché anche Lui dovrà essere registrato in Betlemme. È questa registrazione che lo farà vero re d’Israele, perché vera stirpe di Davide, vero virgulto che spunta dalla vecchia radice di Iesse, secondo la profezia di Isaia e di Michea.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare (Is 11,1-9).
E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace! (Mi 5,1-4).
Obbedienza alla storia! L’Imperatore comanda e Dio obbedisce. Il re della terra vuole e il Re del cielo si pone ai suoi ordini. La storia ti conduce in Betlemme e offre una umile capanna al Dio Bambino perché possa nascere e il Dio Bambino non la rifiuta, non la disprezza, non mormora e non sparla sull’ingratitudine. Lui, il Dio eterno viene in mezzo a noi e noi cosa gli offriamo? Una umile grotta e una pungente paglia sulla quale riposare. Lui accoglie, vive, ringrazia, benedice per la grande carità messa a sua disposizione. Se Lui non avesse accettato la storia e in essa non si fosse immerso fin dal primo istante della sua vita tra voi, avrebbe potuto gridare le beatitudini? Avrebbe potuto annunziare quel Vangelo che è tutto una sottomissione alla storia? Avrebbe potuto invitare i poveri a rimanere poveri e gli afflitti a continuare a piangere?
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,17-38).
Perché i ricchi, i gaudenti, i sazi sono tutti spacciati per l’eternità? Non perché siano ricchi o perché siano nella felicità che li stordisce e li ubriaca, ma perché non si sono sottomessi alla legge della storia che è condivisione. Nella storia il poco e il molto vanno condivisi. Questo è il vero amore. Ogni uomo è uomo. Se è uomo, è giusto che l’altro uomo lo veda come uomo. Se non lo vede come uomo è segno che lui stesso non si vede come uomo. Se non si vede come uomo è fuori della legge della storia. Si perde nel tempo nella disumanità ed anche nel futuro eterno. Se un uomo consuma i suoi soldi per nutrire degli animali e priva un uomo del necessario per vivere, lui si rivela non uomo che non conosce l’uomo, perché non si conosce. Paragonare un gatto ad un bambino e scegliere il gatto, facendo morire il bambino, si è fuori di ogni legge della storia. Non siamo uomini, perché è dell’uomo riconoscersi uomo e riconosce ogni altro uomo. Se l’altro è uomo come lui, come lui è degno di essere trattato da uomo, vivere da uomo. Aiutare l’altro ad essere uomo è la sola ed unica nostra vera legge della nostra umanità. Il ricco non vede nell’altro un uomo e per questo si perde, si danna, finisce nella perdizione eterna. Non ha dato all’uomo la sua verità.
Cristo Gesù è venuto per dire al povero, al sofferente, al misero, allo sfruttato si lasciarsi dire la loro vera umanità da Dio. Al ricco, al gaudente, al sazio dice invece di non lasciarsi dire la loro vera umanità dalla cose che possiedono. Le cose non fanno l’uomo. Esse lo fanno non uomo. È Dio che sempre fa l’uomo, lo fa uomo in ogni più piccola manifestazione del suo essere. Lazzaro il povero non si lasciò fare uomo dal ricco cattivo. È Dio che gli diede la sua vera umanità portandolo nel seno di Abramo, nella sua gioia eterna. Il ricco cattivo non divenne uomo per le cose che possedeva. Finì infatti nella perdita della sua umanità per sempre. Che umanità si vive nel fuoco dell’inferno, dove non viene data neanche una goccia d’acqua e questo per l’eternità? Le cose fanno di ogni uomo un dannato. Nell’assenza di esse, vissuta sul modello di Gesù, Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo, crea la nuova umanità.
C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”» (Lc 16,19-31).
Una quarta scena ci porta nei campi della Palestina, nelle vicinanze di Betlemme. Qui vi sono dei pastori che di notte custodiscono e proteggono i loro greggi, vigilando perché nessun danno venga loro arrecato. Chi sono i pastori nella Scrittura Santa? Potremmo dire che sono i discendenti di quell’Abele che fu ucciso dal fratello. Sono coloro che traggono dalla terra e dagli animali il loro sostentamento. Sono gli umili e i semplici. Sono coloro che vivono una storia senza alcun artificio. Ma sono anche figura dello stesso Cristo che nasce. È infatti Lui il Buon Pastore delle pecore. È Lui che è stato mandato dal Padre per cercare le sue pecore dispese.
A questi pastori appare un Angelo del cielo. Annunzia loro la nascita in Betlemme di un Redentore, del loro Salvatore. Non lo troveranno nella reggia di un re, né in qualche palazzo di nobili. Essi lo troveranno in una stalla, adagiato in una mangiatoia, avvolto in fasce. Lo trovano come ogni giorno essi vivono la loro stessa vita. Dove si coricano i pastori? Sulla paglia. Accanto ai loro animali. Andate, troverete uno come a voi, senza alcuna differenza. Come voi è adagiato sulla paglia. Come voi condivide la stalla. Come voi è povero. Come voi ha iniziato nella sofferenza. Come voi porta il perso della storia. È tutto come voi!
Ecco la grandezza di Cristo! Prese la nostra forma di vita, non però quella artificiale. Bensì quella semplice creata da Dio per noi. Non sono le forme esteriori che fanno la differenza. È il cuore. In Cristo vi è il cuore di Dio. È il cuore di Dio la vera ricchezza di un uomo. Chi ha il cuore di Dio è ricco. Chi non possiede il cuore di Dio, anche se possiede il mondo intero, è povero, meschino, misero. In più è un illuso. Pensa di essere, mentre non è. Non è oggi, non sarà domani. Il ricco cattivo pensava di essere. Credeva che chi non fosse era il povero Lazzaro. Invece Lazzaro era. Lui non era. Chi non è per l’eternità, non è neanche per il tempo. Chi è per l’eternità è anche per il tempo. È Dio la ricchezza di un uomo, non le sue cose.
Un quinta scena questa volta ci porta nel tempio di Gerusalemme. Il Vangelo secondo Luca ci fa vedere la vera umanità che è invisibile agli occhi del mondo. Questa umanità si vede solo se si possiedono gli occhi dello Spirito Santo. Leggiamo e comprenderemo.
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui (Lc 2,22-40).
È questo un trattato del vero umanesimo. Maria e Giuseppe sono piantati nella Legge del Signore. Quanto essa prescrive, loro vivono. Sempre. Vi potrà essere vero umanesimo se non ci si immerge nella grotta della Parola del Signore per nutrirci di essa? Come il bue nella stalla mangia la paglia, così noi nella grotta della Parola dobbiamo nutrirci di essa. Maria e Giuseppe questo fanno, di Parola vivono, alla Parola hanno consacrato la loro vita.
Anche Simeone ed Anna vivono di parola del Signore. Per essi pensare che vi possa essere un mondo diverso da quello che viene creato dalla Parola di Dio vissuta è inconcepibile. Neanche lo si può pensare. Uno solo è il vero uomo: quello quotidianamente fatto dalla Parola di Dio e uno solo è il vero mondo: quello modellato dalla Parola del Signore. Chi è Cristo Gesù secondo Simeone e secondo Anna? È il vero uomo, la vera luce, la vera Parola, che viene per dare se stesso come modello e la Parola come strumento assieme alla grazia perché ognuno si lasci fare da Dio vero uomo. Nessuno è vero uomo se non è costruito giorno per giorno dalla Parola.
Farsi uomo senza Parola è farsi uomo disumano. Così come volere una umanità fuori della Parola è costruire solo disumanità. Così dice la Parola? Rimani nella tua storia. Dalla tua storia mostra la tua vera umanità costruita sulla Parola, sull’obbedienza alla tua storia. Non solo Gesù è obbediente alla storia, carica su di sé tutta la storia dell’umanità per redimerla, salvarla. La redime e la salva, mettendo nel cuore dell’uomo il suo Santo Spirito, che dovrà far sì che quanti accolgono la sua salvezza, vivano ogni storia così come essa è, senza però alcun peccato, alcuna trasgressione della Legge del Signore.
Gesù non visse tutta la sua storia di croce senza peccato? Si può trovare un solo pensiero non di purissima santità nella sua Passione? Dalla Croce non chiese perdono per i suoi carnefici?
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.
Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo (Lc 23,26-49).
Dalla nascita alla morte, Gesù si calò nella grotta della nostra storia, la visse tutta, l’ha tutta presa su di sé, la concluse senza conoscere il peccato. Questo è il Natale e questo il suo mistero. Vivere tutta la storia, che spesso è croce pesante, senza peccato. L’assenza deve essere piena, totale: nei pensieri, nelle opere, nelle omissioni, nella parole, nei desideri.
Un’ultima scena è quella che ci presenta Gesù tra i dottori del tempio, mentre Maria e Giuseppe angosciati sono in cerca di Lui, che credevano essersi smarrito, perso in Gerusalemme.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,41-52).
Cosa ci vuole insegnare Gesù? Una verità semplice, ma che è essenza della nostra vita. L’obbedienza a Dio deve essere immediata, istantanea. All’obbedienza Gesù si inchioda come su croce spirituale come si è lasciato inchiodare sulla croce materiale. Chi è inchiodato sulla croce dell’obbedienza non può muoversi per avvisare della sua avvenuta crocifissione. Sono gli altri che devono prestare attenzione. Maria e Giuseppe, da questo momento in poi, essendo Gesù con i suoi dodici anni entrato nel servizio del Padre, così lo dovranno vedere: sempre crocifisso sul legno della volontà del Padre celeste.
Così pensato e visto, anche per noi il Natale di Gesù avrà un significato. Ci dovrà insegnare come si vive in una storia di peccato senza commette il peccato, in una storia di violenza senza operare alcuna violenza, in una storia che dona solo morte come ci si astiene da ogni morte. In una storia di disumanità come si vive di vera umanità. Questo può avvenire solo se, come Cristo Gesù, assumiamo sulle spalle la storia e la viviamo rimanendo nella volontà del Padre celeste che lo Spirito Santo sempre ci comunica nella sua attuale verità, carità, giustizia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a vivere nel peccato del mondo con la santità, nelle ingiustizie della terra con somma carità e amore, nella falsità dei cuori e delle menti in pienezza di luce e di verità. Aiutaci ad essere questa perenne differenza in Cristo.
Angeli e Santi di Dio, non permettete che per un solo istante ci lasciamo trascinare dalla storia nel suo vortice di male, falsità, morte, disumanità. Fateci veri uomini in Cristo, sempre.