Perché tu hai obbedito alla mia voce – A cui è dovuta l’obbedienza dei popoli
03 Giugno
Perché tu hai obbedito alla mia voce
In questo comando rivolto da Dio ad Abramo troviamo la verità che è la madre di ogni altra verità, luce che illumina ogni altra luce. Questa verità è semplice da annunziare. Dio benedice i popoli e le nazioni per l’obbedienza. Cosa è l’obbedienza che il Signore ci chiede? La morte al nostro cuore, ai nostri pensieri, alla nostra volontà, ad ogni nostro desiderio, a tutti i progetti e realizzazioni o missioni da noi pensati. Dio ci chiede la nostra morte spirituale e anche fisica. Ci chiede anche la morte al nostro passato, al nostro presente e futuro. Vuole la morte anche alla vita di ieri tutta intessuta della Parola di Dio di ieri. Non esiste ieri. Non esiste il domani. Esiste solo Dio e tu. Lui ti chiede e tu obbedisci. Lui comanda e tu esegui. È in questa obbedienza e per questa obbedienza che il Signore opera la salvezza delle genti e dei popoli. Questa verità viene presa e manifestata con potenza dalla Lettera agli Ebrei. La storia della salvezza si compie per questa obbedienza che sempre dovrà accompagnarla.
La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.
Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Per fede, Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche in vista di beni futuri.
Per fede, Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi sull’estremità del bastone.
Per fede, Giuseppe, alla fine della vita, si ricordò dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa.
Per fede, Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’editto del re.
Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del peccato. Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa.
Per fede, egli lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; infatti rimase saldo, come se vedesse l’invisibile.
Per fede, egli celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché colui che sterminava i primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti.
Per fede, essi passarono il Mar Rosso come fosse terra asciutta. Quando gli Egiziani tentarono di farlo, vi furono inghiottiti.
Per fede, caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni.
Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori.
E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti; per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riebbero, per risurrezione, i loro morti. Altri, poi, furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi (Eb 11,1-40).
Ieri, oggi, sempre il Signore chiede questa morte. Abramo è stato chiamato da Dio. A lui Dio aveva fatto una promessa: la benedizione di tutte le genti nella sua discendenza. Dopo lunghi anni di sofferenza e di speranza, il Signore gli dona il figlio. Il figlio cresce e cosa gli chiede il Signore? Di sacrificarlo a Lui sul monte. Cosa fa Abramo. Lo prende e raggiunge il monte sul quale il figlio andava sacrificato. Dimentichiamo per un istante ciò che dopo farà il Signore.
Pensiamo all’obbedienza che il Signore ha chiesto ad Abramo. La possiamo definire con una sola parola: Tu non esisti. Solo io esisto. Tu non sei. Solo io sono. Tu non hai futuro. Solo io sono il futuro. Tu muori. Io vivo. La mia Parola rimane stabile in eterno, nonostante le mille contraddizioni che appaiono dalla storia. Ora Abramo deve morire alla sua intelligenza e consegnarsi alla sapienza eterna di Dio, il solo che dalla morte trae la vita.
Questa fede e questa obbedienza raggiungono il sommo in Cristo Gesù che realmente muore per obbedienza e nella Madre sua che realmente lo offre al Padre. È per questa obbedienza che in Cristo il Padre benedirà tutte le genti, tutti i popoli, tutte le nazioni. Non è l’uomo che opera la salvezza. È il Padre che la crea. La crea se l’uomo obbedisce a Lui, gli rende il culto della vera fede. Se tu mi ascolti, per il tuo ascolto io benedirò le nazioni e i popoli. Se tu obbedisci alla mia voce, io per il tuo ascolto salverò il mondo. L’ascolto non è solo di Cristo – si entra così nella seconda verità dalla quale sappiamo come la salvezza si compie nei cuori – è di tutto il corpo di Cristo.
Per l’obbedienza di Cristo non si intende solo di Cristo nel suo corpo fisico, ma di Cristo in tutto il suo corpo mistico, o spirituale che è la Chiesa. Se il corpo di Cristo non si consegna a Dio, non obbedisce a Lui, la salvezza mai si potrà realizzare. Dio chiede questo sacrificio all’uomo: la morte di se stesso per darsi tutto al suo Dio e Signore. Se l’uomo gli offrirà questo sacrificio, gli consegnerà il suo corpo, allo stesso modo di Cristo Signore, sempre la benedizione fiorirà sulla nostra terra e l’umanità sarà salvata. Se invece l’uomo si chiuderà nei suoi pensieri e nella propria progettualità, Dio si ritirerà dall’uomo e lo abbandonerà a se stesso. Non vi sarà più né salvezza, né redenzione e neanche benedizioni. Dio non potrà operare vita in questo mondo.
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere». L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce» (Gen 22,1-18).
Qual è il frutto dell’obbedienza di Abramo? La sua discendenza sarà numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Per questa obbedienza gli darà la terra. Per questa obbedienza benedirà nella sua discendenza tutte le tribù della terra. Tutto il bene che Dio riverserà sui suoi figli e sull’umanità è il frutto di questa consegna totale di Abramo nelle mani del suo Signore.
L’obbedienza non è la fedeltà o l’ascolto ad una decisione da noi presa, ad un progetto da noi elaborato, è invece fedeltà, ascolto, purissima fede in una Parola che ci viene rivolta. Questa Parola è di Dio. Non viene dal nostro cuore. Essa mai potrà essere da noi compresa. Per questo ci è chiesta la nostra morte spirituale, la morte della nostra stessa intelligenza. Abramo ascolta, crede, obbedisce. Non pensa. Si consegna. Dio è l’Onnipotente e può realizzare ogni sua Parola, anche nelle infinite contraddizioni che la nostra povera morte potrebbe constatare.
Fede diviene così non solo credere nella sua Parola, ma anche consegnarci alla sua onnipotenza e sapienza eterna. Obbedisco. Quanto ha detto di certo lo manterrà. Ma lo manterrà proprio alla mia obbedienza di oggi. È la mia obbedienza la via perché Lui realizzi oggi e domani quanto mi ha promesso ieri. Se nego la mia obbedienza, Lui dovrà procedere per altre vie. Ma non potrà realizzare la sua Parola perché la Parola di oggi è venuta meno non in Lui, ma in me. L’uomo realizza così ogni sua Parola nell’obbedienza dell’uomo ad ogni sua Parola.
Se comprendessimo questa verità, sapremmo quanto sia necessaria la nostra obbedienza a Dio perché vi sia inimicizia tra la Donna e il Serpente e la stirpe della Donna schiacci la testa al Serpente. Con il Signore non vi è una vocazione e una missione o un ministero prestabiliti. Vi è una vocazione, un carisma, un ministero, una missione che sempre dovranno essere mossi e guidati da una Parola di Dio che è sempre attuale. Noi camminiamo di Parola in Parola, di fede in fede, nell’obbedienza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di purissimo ascolto.
A cui è dovuta l’obbedienza dei popoli
La benedizione per la fede di Abramo, era passata su Isacco, da Isacco per volontà della madre Rebecca, con inganno, era passata su Giacobbe. Rebecca aveva reputato Esaù non degno di portare la benedizione di Dio. Non camminava nella volontà del Signore. Si era paganizzato. Viveva come i popoli che occupavano la terra di Canaan.
I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe. Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura (Gen 25,27-34).
Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: «Figlio mio». Gli rispose: «Eccomi». Riprese: «Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, va’ in campagna e caccia per me della selvaggina. Poi preparami un piatto di mio gusto e portamelo; io lo mangerò affinché possa benedirti prima di morire». Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. Rebecca disse al figlio Giacobbe: «Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: “Portami della selvaggina e preparami un piatto, lo mangerò e poi ti benedirò alla presenza del Signore prima di morire”. Ora, figlio mio, da’ retta a quel che ti ordino. Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io preparerò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre, che ne mangerà, perché ti benedica prima di morire». Rispose Giacobbe a Rebecca, sua madre: «Sai bene che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi toccherà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione». Ma sua madre gli disse: «Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu dammi retta e va’ a prendermi i capretti». Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. Rebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato.
Così egli venne dal padre e disse: «Padre mio». Rispose: «Eccomi; chi sei tu, figlio mio?». Giacobbe rispose al padre: «Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Àlzati, dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica». Isacco disse al figlio: «Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!». Rispose: «Il Signore tuo Dio me l’ha fatta capitare davanti». Ma Isacco gli disse: «Avvicìnati e lascia che ti tocchi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no». Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù». Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Allora disse: «Servimi, perché possa mangiare della selvaggina di mio figlio, e ti benedica». Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: «Avvicìnati e baciami, figlio mio!». Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse: «Ecco, l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada dal cielo, terre grasse, frumento e mosto in abbondanza. Popoli ti servano e genti si prostrino davanti a te. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!».
Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isacco, quando tornò dalla caccia Esaù, suo fratello. Anch’egli preparò un piatto, lo portò al padre e gli disse: «Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio, per potermi benedire». Gli disse suo padre Isacco: «Chi sei tu?». Rispose: «Io sono il tuo figlio primogenito, Esaù». Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: «Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l’ha portata? Io ho mangiato tutto prima che tu giungessi, poi l’ho benedetto e benedetto resterà». Quando Esaù sentì le parole di suo padre, scoppiò in alte, amarissime grida. Disse a suo padre: «Benedici anche me, padre mio!». Rispose: «È venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la benedizione che spettava a te». Riprese: «Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!». E soggiunse: «Non hai forse in serbo qualche benedizione per me?». Isacco rispose e disse a Esaù: «Ecco, io l’ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l’ho provveduto di frumento e di mosto; ora, per te, che cosa mai potrei fare, figlio mio?». Esaù disse al padre: «Hai una sola benedizione, padre mio? Benedici anche me, padre mio!». Esaù alzò la voce e pianse. Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse: «Ecco, la tua abitazione sarà lontano dalle terre grasse, lontano dalla rugiada del cielo dall’alto. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello; ma verrà il giorno che ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo».
Esaù perseguitò Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: «Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe». Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed ella mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: «Esaù, tuo fratello, vuole vendicarsi di te e ucciderti. Ebbene, figlio mio, dammi retta: su, fuggi a Carran da mio fratello Làbano. Rimarrai con lui qualche tempo, finché l’ira di tuo fratello si sarà placata. Quando la collera di tuo fratello contro di te si sarà placata e si sarà dimenticato di quello che gli hai fatto, allora io manderò a prenderti di là. Perché dovrei venir privata di voi due in un solo giorno?».
E Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite: se Giacobbe prende moglie tra le Ittite come queste, tra le ragazze della regione, a che mi giova la vita?» (Gen 27,1-46).
Giacobbe priva Ruben, il suo primogenito, perché aveva commesso un peccato di incesto. Si era unito con la serva del padre. Per Israele è una infamia. Lo rende indegno di ricevere la benedizione di Dio e di trasmetterla ai suoi figli.
Priva anche Simeone e Levi perché avevano massacrato un popolo con inganno, dopo aver loro promesso di stringere con essi un’alleanza di bene e di comunione. Nonostante lui amasse Giuseppe, è onesto. Non fa entrare i suoi sentimenti nelle cose di Dio. La benedizione spetta a Giuda e Giuda da lui viene benedetto.
Nella benedizione di Giuda vi sono due verità. Una riguarda la storia. Quando verrà colui che porta la benedizione sulla terra? La seconda riguarda tutti i popoli. Queste due verità vanno ben comprese. Esse ci svelano la vera modalità per poter accedere e gustare tutta la bellezza, potenza, forza che contiene in sé la benedizione di Dio.
Quindi Giacobbe chiamò i figli e disse: «Radunatevi, perché io vi annunci quello che vi accadrà nei tempi futuri. Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre! Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza! Bollente come l’acqua, tu non avrai preminenza, perché sei salito sul talamo di tuo padre, hai profanato così il mio giaciglio.
Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore, perché nella loro ira hanno ucciso gli uomini e nella loro passione hanno mutilato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele.
Giuda, ti loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a una vite scelta il figlio della sua asina, lava nel vino la sua veste e nel sangue dell’uva il suo manto; scuri ha gli occhi più del vino e bianchi i denti più del latte (Gen 49,1-12).
Prima verità. Da Giuda nasceranno dei re. In tal senso va interpretata la frase: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi”. La storia confermerà che quanto profetizza Giacobbe infallibilmente si compie e si compie nonostante che per volontà di Dio il primo re scelto dal Signore non era dalla tribù di Giuda, bensì proveniva da quella di Beniamino. Saul si rese indegno. Il Signore ritirò il suo Spirito e scelse come suo re Davide, che era dalla tribù di Giuda.
Ma che significa: “Non sarà tolto lo scettro di Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi?”. Noi sappiamo che la monarchia non è esistita più in Israele dal momento della distruzione di Gerusalemme avvenuta il 586 A.C. e sappiamo anche che non è stato questo il tempo in cui la promessa fatta ad Abramo si è compiuta. Dobbiamo allora pensare che la frase vada interpretata in modo ancora più ampliato e cioè che nel tempo il popolo di Dio avesse perso la gestione del potere politico e ciò avvenne con l’occupazione dei Romani. Fu in quel tempo che Gerusalemme venne amministrata da Roma, pur conservando la gestione della religione e del culto. Questa prima verità ci dice quando il re di Israele verrà. Quando il popolo politicamente sarà sottomesso.
La seconda verità è quella che deve essere sapientemente compresa perché è in essa che il Signore manifesta la modalità attraverso la quale la sua benedizione raggiunge ogni uomo: “Finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli”. Colui che viene è costituito dal Dio re delle genti, re dei popoli. A Lui il Signore Dio vuole che ogni popolo gli doni obbedienza, ascolto. È una obbedienza per la fede in Lui, nella sua Parola, nella sua grazia, nella sua verità, nella sua benedizione. Lui viene, ma i popoli sono chiamati ad andare a Lui.
La benedizione non è un dono di pura elargizione, pura gratuità. È elargizione gratuita in quanto discende da Dio. Non è più gratuito quando lo si deve ricevere. È necessaria l’obbedienza, la fede, l’ascolto. Lui viene e i popoli dovranno andare. Lui si dona e le Genti dovranno prenderlo. Lui cade dal cielo e lo si deve raccogliere. Lui non è come il sole. Si alza la mattina e riscalda la terra. Lui è il sole di giustizia e di verità. Ma se l’uomo si vuole riscaldare con la sua luce, deve uscire dalla caverna nella quale è rinchiuso e lasciarsi inondare da Lui.
Questa verità oggi è cancellata dalla mente credente. Tutti pensano di essere benedetti, salvati, redenti, giustificati per l’eternità. La benedizione è nel rispetto delle condizioni poste da Dio e la profezia di Giacobbe ci rivela che essa è nell’obbedienza che non è solo richiesta, essa è dovuta per entrare nella benedizione che viene a noi dal cielo. L’obbedienza è alla sua Parola, alla verità, alla giustizia. Vive la sua Parola, la sua verità, la sua giustizia si è nella benedizione. Non si vive, si esce fuori.
La discendenza di Abramo ci dona la sua benedizione. Noi dobbiamo ad essa la nostra obbedienza. La nostra obbedienza ha un nome: fede. Crediamo in Lui, siamo benedetti. Non crediamo in Lui, rimaniamo nella nostra non benedizione o maledizione. L’obbedienza mai potrà essere cancellata dalla relazione con la discendenza che porta a noi la benedizione promessa da Dio. Sono in grande errore tutti coloro che vogliono la benedizione, la esigono, la pretendono senza dare la loro obbedienza.
Il fallimento di tutta la nuova evangelizzazione e della evangelizzazione in senso più ampio o più ristretto, risiede in questa duplice relazione: ricevere e donare. Si vuole senza dare. Questo desiderio o questa volontà è non senso in se stessa. Potrà mai uno tuffarsi nelle acque senza bagnarsi? Se non si tuffa nella benedizione di Dio, potrà mai modificare la sua vita? La benedizione di Dio non è assolutoria, essa è creatrice, trasformatrice, elevatrice, rinnovatrice, redentrice. Ci rende partecipe della divina natura. Ora è evidente che tutto questo mai potrà avvenire senza l’obbedienza alla fede, alla verità, alla benedizione. Si riceve la benedizione e si deve obbedire alla benedizione. Ci si deve lasciare trasformare da essa. È nella natura del dono.
La profezia è chiara: alla discendenza o a colui che deve venire è dovuta l’obbedienza dei popoli. Quanti propongono un Dio unico, uguale per tutti – cosa metafisicamente impossibile – rinnegano questa profezia di Giacobbe. L’obbedienza di tutti i popoli non è al Dio unico, costruito ed elaborato da noi. Essa è al suo Messia, al suo Re, al suo Servo. Attraverso l’obbedienza a Lui, decisa da Dio, si obbedisce a Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti a Cristo Gesù.