Commento alla prima lettura – Novembre 2019

 

Rendendole candide nel sangue dell’Agnello

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

1 NOVEMBRE

La storia è fatta di due generi di martirio. C’è il martirio per l’iniquità ed è opera del peccato. Questo martirio conduce alla morte eterna. C’è il martirio per la fede in Cristo Gesù ed è il martirio operato dalla verità, dalla luce. Questo martirio conduce alla vita eterna. C’è il martirio del vizio per la dannazione e il martirio della virtù per la salvezza. Ognuno è chiamato a scegliere. Viene segnato per la vita chi ha scelto la vera fede.

Allora una voce potente gridò ai miei orecchi: «Avvicinatevi, voi che dovete punire la città, ognuno con lo strumento di sterminio in mano». Ecco sei uomini giungere dalla direzione della porta superiore che guarda a settentrione, ciascuno con lo strumento di sterminio in mano. In mezzo a loro c’era un altro uomo, vestito di lino, con una borsa da scriba al fianco. Appena giunti, si fermarono accanto all’altare di bronzo. La gloria del Dio d’Israele, dal cherubino sul quale si posava, si alzò verso la soglia del tempio e chiamò l’uomo vestito di lino che aveva al fianco la borsa da scriba. Il Signore gli disse: «Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono». Agli altri disse, in modo che io sentissi: «Seguitelo attraverso la città e colpite! Il vostro occhio non abbia pietà, non abbiate compassione. Vecchi, giovani, ragazze, bambini e donne, ammazzate fino allo sterminio: non toccate, però, chi abbia il tau in fronte. Cominciate dal mio santuario!». Incominciarono dagli anziani che erano davanti al tempio. 7Disse loro: «Profanate pure il tempio, riempite di cadaveri i cortili. Uscite!». Quelli uscirono e fecero strage nella città. 8Mentre essi facevano strage, io ero rimasto solo. Mi gettai con la faccia a terra e gridai: «Ah! Signore Dio, sterminerai quanto è rimasto d’Israele, rovesciando il tuo furore sopra Gerusalemme?». Mi disse: «L’iniquità d’Israele e di Giuda è enorme, la terra è coperta di sangue, la città è piena di violenza. Infatti vanno dicendo: “Il Signore ha abbandonato il paese; il Signore non vede”. Ebbene, neppure il mio occhio avrà pietà e non avrò compassione: farò ricadere sul loro capo la loro condotta». Ed ecco, l’uomo vestito di lino, che aveva la borsa al fianco, venne a rendere conto con queste parole: «Ho fatto come tu mi hai comandato» (Ez 9,1-11).

I martiri del male, dell’odio, della vendetta, della stoltezza sono infinitamente di più dei martiri della fede, della verità, della luce, della sapienza, delle virtù. Giovanni vede dove conduce il martirio per Cristo Gesù e lo rivela: ad una gloria eterna nei cieli beati. Mentre il martirio per il male conduce alla perdizione per sempre nelle tenebre o stagno di fuoco e zolfo. Il martirio per Cristo porta allo sposalizio eterno con Lui. La veste bianca è simbolo di purezza di fede. Chi la indossa, perché resa purissima, dal sangue di Cristo, divenuto sangue del suo discepolo, seguirà l’Agnello per l’eternità.

E vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele: Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello.

Questa che ci offre l’Apostolo Giovanni è una visione che deve accendere la speranza dei martiri e dei confessori della fede. Il loro sangue non è sparso invano. Esso dona il diritto ai martiri di essere sempre con il loro Salvatore e Signore. Ottiene la grazia di celebrare le nozze eterne con l’Agnello Immolato e Risorto. Non c’è gioia più grande.

Madre di Dio, Angeli, Santi, otteneteci la grazia del martirio della fede, non del vizio.

I miei occhi lo contempleranno e non un altro

Gb 19,1.23-27a; Sal 25; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

2 NOVEMBRE

Chi legge il Libro di Giobbe sa che la sua sofferenza è il frutto di una duplice sfida che Satana lancia a Dio. La prima consisteva nello spogliare Giobbe di ogni bene da lui posseduto, compreso i suoi figli. La seconda in una sofferenza indicibile nel suo corpo. Satana era certo che Giobbe avrebbe maledetto il Signore e lo avrebbe rinnegato. Nulla di tutto questo. Giobbe rivela la sua grande sofferenza, mai però una sola parola contro il suo Signore e Dio. Le sue parole sono tutte verso il suo grande dolore.

Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”. Quel giorno divenga tenebra, non se ne curi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce. Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte, gli si stenda sopra una nube e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno! Quella notte se la prenda il buio, non si aggiunga ai giorni dell’anno, non entri nel conto dei mesi. Ecco, quella notte sia sterile, e non entri giubilo in essa. La maledicano quelli che imprecano il giorno, che sono pronti a evocare Leviatàn. Si oscurino le stelle della sua alba, aspetti la luce e non venga né veda le palpebre dell’aurora, poiché non mi chiuse il varco del grembo materno, e non nascose l’affanno agli occhi miei! Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?

Perché due ginocchia mi hanno accolto, e due mammelle mi allattarono? Così, ora giacerei e avrei pace, dormirei e troverei riposo con i re e i governanti della terra, che ricostruiscono per sé le rovine, e con i prìncipi, che posseggono oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bambini che non hanno visto la luce. Là i malvagi cessano di agitarsi, e chi è sfinito trova riposo. Anche i prigionieri hanno pace, non odono più la voce dell’aguzzino. Il piccolo e il grande là sono uguali, e lo schiavo è libero dai suoi padroni. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono fino a esultare e gioiscono quando trovano una tomba, a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio ha sbarrato da ogni parte? Perché al posto del pane viene la mia sofferenza e si riversa come acqua il mio grido, perché ciò che temevo mi è sopraggiunto, quello che mi spaventava è venuto su di me. Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo ed è venuto il tormento!» (Gb 3,1-26).

Tre amici vengono a consolarlo. Neanche loro conoscono il mistero di una così grande sofferenza. Secondo il loro pensiero, che non tiene per nulla conto delle parole di giustificazione e di manifestazione della sua innocenza da parte di Giobbe, lo invitano al pentimento, al ravvedimento, a riconoscere le sue colpe. Se lui si ravvede e chiede perdono, il Signore lo ristabilirà nella giustizia e lo risollevare dalla sua malattia. Ma lui di cosa deve chiedere perdono a Dio, se non ha alcun peccato di cui la coscienza lo accusa? Neanche un solo uomo sulla terra lo potrà accusare di aver trasgredito. Solo uno conosce la sua giustizia e solo uno sa che lui è innocente: il Signore. Domani, quando dopo la sua morte lo incontrerà di persona, lo vedrà con i suoi occhi, a Lui chiederà ragione del perché della sua indicibile sofferenza. Ora non gli resta che accoglierla e viverla. La teologia del tempo non riusciva a unificare giustizia e dolore.

Giobbe prese a dire: Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro.

Giobbe insegna ad ogni uomo che la vita è fatta di molti misteri che sono incomprensibili ad ogni mente creata. Lui non sa. Neanche gli altri sanno. Quando non si conosce il mistero di una persona, sempre si deve partire da un dato certo. L’innocenza o la colpevolezza. È quanto fa il ladrone sulla croce. Noi soffriamo giustamente. Lui soffre ingiustamente. Lui sa che la sofferenza ingiusta è del Messia di Dio e per questo gli chiede di accoglierlo nel suo regno. Essendo Giobbe innocente, le ragioni della sofferenza vanno cercate fuori di lui, non in lui. Giobbe le cerca in Dio.

Madre di Dio, Angeli, Santi, aiutateci a vivere il mistero della vita nella grande fede.

Messa da parte ogni malizia, credano in te

Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2 Ts 1,11- 2,2; Lc 19,1-10

3 NOVEMBRE – XXXI DOMENICA T.O.

È verità che attraversa tutta la Scrittura Santa: Dio tutto opera in vista della salvezza dell’uomo. Isaia rivela che il Signore attende per fare grazia al suo popolo. San Pietro dice che anche la fine del mondo è ritardata dal Signore in vista del pentimento.

Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza». Ma voi non avete voluto, anzi avete detto: «No, noi fuggiremo su cavalli». Ebbene, fuggite! «Cavalcheremo su destrieri veloci». Ebbene, più veloci saranno i vostri inseguitori. Mille saranno come uno solo di fronte alla minaccia di un altro, per la minaccia di cinque vi darete alla fuga, finché resti di voi qualcosa come un palo sulla cima di un monte e come un’asta sopra una collina. Eppure il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui. Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: «Questa è la strada, percorretela», caso mai andiate a destra o a sinistra (Is 30,15-21).

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta. Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia. La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina (2Pt 3,8-16).

Se il Signore opera ogni cosa in vista del pentimento dell’uomo, può un credente in Lui agire in modo difforme? Potrà mai operare per la vendetta, il non perdono, la non riconciliazione, la non offerta della pace? Se agisse in tal modo, di certo non sarebbe un adoratore del vero Dio, che è il compassionevole, il ricco di misericordia. Per questo il Signore nostro Dio è lento all’ira. Lui non vuole la morte del peccatore. Vuole la vita.

Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita. Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

Cosa è la vera fede nel Signore? È purissima obbedienza alla sua Parola. Per il nostro Dio la nostra storia di morte, di ogni morte, è via per ravvederci, pentirci, ritornare nella sua Parola, dalla quale scaturisce per noi la vita eterna. Nella Parola noi viviamo anche se moriamo sulla croce. Nella disobbedienza alla Parola noi siamo già morti anche se pensiamo di vivere in ogni abbondanza. In un istante tutto per noi si trasformerà in morte eterna. L’indulgenza di Dio è solo in vista del ritorno nella più pura obbedienza.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il cristiano comprenda l’urgenza della conversione.

Quanto insondabili sono i suoi giudizi!

Rm 11,29-36; Sal 68; Lc 14,12-14

4 NOVEMBRE

San Paolo fa della sua storia un paradigma per leggere tutta la storia di Dio con l’uomo. La sua vita prima era senza il vero Dio. Lui era adoratore di un Dio pensato dagli uomini. A causa di questo Dio pensato perseguitava gli adoratori del vero Dio. Il vero Dio entra con potenza soprannaturale nella sua storia e la salva. Lui è il frutto della sola misericordia del suo vero Dio. Ogni uomo è frutto della sola misericordia del Signore. Non c’è nessun uomo che si possa vantare dinanzi a Lui.

Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen (1Tm 1,12-17).

Anche Abramo è stato fatto interamente da Dio. Lui viveva nella terra dei Caldei, quando è stato chiamato. Dio lo dichiara grande al momento della sua vocazione.

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1-13).

Leggendo e meditando la storia d’Israele, sappiamo che il popolo non solo è stato fatto dal Signore, ma ogni giorno il Signore lo ha fatto con la sua pazienza e il suo amore. Se anche per un solo attimo il Signore si fosse stancato di esso, sarebbe ritornato nel nulla, come nel nulla sono tornati tutti gli altri popoli. È questa la grande sapienza Dio: mettere ogni uomo nelle condizioni di confessare il suo nulla, in modo che per la fede si lasci fare interamente da lui. Per la non fede in Lui, l’uomo entrò nella morte. Per la fede in Lui deve ritornare in vita. La vita è dono della misericordia del Signore, per la fede in Cristo Gesù. Chi deve credere in Gesù Signore? Ogni uomo. Sia l’Ebreo che il pagano. Così nessuno potrà gloriarsi dinanzi a Dio e nessuno dinanzi agli uomini. Siamo tutti dalla misericordia, bontà, compassione, amore del nostro Dio e Signore.

Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti! O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

Cristo Gesù è il dono della grazia e della verità della nostra salvezza. È dono per ogni uomo. Si predica Cristo, si annunzia la salvezza nel suo nome. Chi crede entra nella vita. Chi non crede rimane nella sua morte. La via della fede in Cristo è universale. Dio non ha stabilito altre vie. Se altre vie esistono, sono degli uomini, ma non certo di Dio. Ma se non sono di Dio, non generano alcuna vera salvezza, nessuna vera redenzione. Oggi il cristiano si è svestito di questa sapienza eterna del Signore. Sono molti che pensano che ogni via umana è buona per essere salvati. Se fosse vero, Cristo non sarebbe più il solo ed unico Salvatore. Ogni uomo potrebbe gloriarsi dinanzi a Dio.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il cristiano ritorni nella saggezza eterna di Dio.

Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri

Rm 12,5-16a; Sal 130; Lc 14, 15-24

5 NOVEMBRE

Per Paolo, avere gli uni verso gli altri i medesimi sentimenti ha un solo significato: avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Ha questi sentimenti solo chi vede se stesso e gli altri nella volontà di Dio, dalla volontà di Dio, per la volontà di Dio.

Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Quindi, miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore. È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore.

Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. Così nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato. Ma, anche se io devo essere versato sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me (Fil 2,1-18). Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre (Col 3,12-17).

Ci si può rivestire di questi sentimenti se rimaniamo perennemente nella Parola di Gesù, ma anche se come Gesù siamo perennemente mossi e guidati dallo Spirito Santo. La volontà di Dio, il suo pensiero, i suoi desideri su ciascuno di noi solo lo Spirito Santo li conosce in pienezza di verità, ma anche nella perfezione di amore. Lui li ispira al nostro cuore, noi li accogliamo con la sua sapienza, li viviamo con la sua fortezza, li comprendiamo con il suo intelletto. Se ci separiamo da Cristo, dalla Parola, dallo Spirito Santo, i sentimenti diventano umani, non più quelli di Cristo, e la nostra vita si immerge in opere della carne. Smette di produrre i frutti dello Spirito del Signore.

Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri.

Questa ricchezza di amore e di verità solo con lo Spirito in noi possiamo viverla.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci abitare nella Parola e camminare nello Spirito Santo.

Pienezza della Legge infatti è la carità

Rm 13,8-10; Sa l 111; Lc 14, 25-33

6 NOVEMBRE

Non dobbiamo mai dimenticare che ogni legge è vera, se rispetta la vera natura dell’uomo. La vera natura non è quella che l’uomo ogni giorno si fa, è invece quella che il Signore gli ha dato creandolo e che ogni giorno gli dona attraverso la nuova creazione in Cristo, con Cristo, per Cristo, nello Spirito Santo, servendosi della mediazione di grazia e verità della Chiesa e di ogni suo membro in essa. Anche il comandamento “amerai il prossimo tuo come te stesso” viene dal cuore del Creatore dell’uomo. Qual è il significato di questo statuto perenne? Il nostro Dio dice ad ogni uomo che la dignità che lui vuole che gli venga riconosciuta sia da lui riconosciuta ad ogni altro uomo. La verità che vale per sé deve vale per gli altri. Così dicasi anche della giustizia, carità, misericordia, compassione, perdono, pietà, ogni altra virtù. Non può un uomo volere per sé e poi negare agli altri ciò che lui desidera in bene, verità, giustizia, sostegno, aiuto. Se così agisse, si farebbe uomo superiore all’altro uomo. Ora la dignità di natura è uguale per ogni figlio di Adamo e di Eva. Ai suoi discepoli Gesù chiede di essere perfetti come il Padre, misericordiosi come Lui.

Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,38-48). Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti (Mt 7,12).

Avendo oggi l’uomo deciso che Dio non debba essere punto di riferimento per alcuno, avendo stabilito che neanche Cristo Signore possa avere una superiorità sugli altri fondatori di religione, avendo dichiarato ogni pensiero uguale ad ogni altro pensiero, le conseguenze di queste decisioni sono oltremodo devastanti. Osserviamo bene: l’animale ha preso nella casa il posto del figlio. Un gatto, una gatta, un cane, una cagna, un coniglio o altro quadrupede possono benissimo sostituire un figlio. Non basta. Vengono elevati alla stessa dignità dell’uomo, addirittura considerati fratelli e sorelle. Si è smarrita la dimensione soprannaturale, eterna della nostra vocazione. Le azioni dell’uomo sono finite in se stesse, senza dover rendere conto ad alcuno di ciò che facciamo. Si è distrutto l’ordine naturale della vita, della famiglia, della nascita, della morte. Si sono elevati a fini essenziali tutti i fini secondari, mentre i fini essenziali sono stati quasi tutti cancellati. Si è tolto a Dio ogni diritto sull’uomo. Così pensando e agendo a livello cosmico, come si fa ad amare il prossimo come se stessi, se ognuno ormai si ama dalla falsità e dalla menzogna del suo essere? Urge riflettere.

Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

Se vogliamo amare gli altri come noi stessi, ma partendo dal vero, profondo, soprannaturale, divino significato di questo comandamento, siamo obbligati a rimettere Dio, il Signore, il Creatore al centro dei nostri pensieri, Cristo al centro del nostro cuore, lo Spirito Santo unica e sola guida della nostra vita, la Parola eterna la sola a fondamento di ogni verità, giustizia, carità, compassione, pietà, amore. Se questo non viene fatto subito, all’istante ci troveremo a costruire una società altamente disumana.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il Signore Dio nostro sia rimesso al suo posto.

Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore

Rm 14,7-12; Sal 26; Lc 15,1-10

7 NOVEMBRE

Gesù, nel Vangelo secondo Giovanni, rivela che il Padre non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo. Lo ha mandato per offrire ad ogni uomo la grazia della salvezza. Sarà ogni uomo, al quale viene annunziato il Vangelo e il dono di Dio, a giudicare se stesso degno di accogliere la grazia o di rifiutarla, di salvarsi o di perdersi per sempre.

Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,13-21).

Essendo il cristiano vero corpo di Cristo, in Cristo, con Lui, per Lui anche lui dal Padre è stato donato al mondo per la sua salvezza, redenzione, vita eterna. Anche lui il Padre ha costituito olocausto e sacrificio di salvezza per l’espiazione dei peccati. Anche per lui si deve applicare quanto la Lettera agli Ebrei riferisce circa corpo di Cristo.

È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà». Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre (Eb 10,4-10).

Se siamo in vita e in morte del Signore, siamo per compiere nel nostro corpo ciò che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa. Ma se siamo corpo della redenzione e della salvezza, possiamo noi giudicare i nostri fratelli? Se giudichiamo, contraddiciamo la nostra verità, la rinneghiamo. Siamo corpo di salvezza.

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza (Col 1,24-29).

Il cristiano è differente da qualsiasi altro uomo. Lui è stato costituito dal Padre, in Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo, vita di salvezza, redenzione, perdono, pace.

Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.

Un cristiano che giudica pecca contro la sua stessa natura, la sua vocazione, la sua missione. Il suo corpo può essere usato solo per dare la vita di Cristo ad ogni uomo.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il corpo del cristiano sia sempre per la salvezza.

Per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza

Rm 15,14-21; Sal 97; Lc 16,1-8

8 NOVEMBRE

Qual è il compito che è stato affidato a san Paolo? Lui deve condurre le genti alla fede. Questa missione gli è stata donata a Damasco prima di essere battezzato da Anania.

C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono (At 9,10-19).

È questa vocazione che gli conferisce il diritto sia di scrivere ai Romani che di recarsi a visitarli. Essendo essi appartenenti ai Gentili, anche loro il Signore gli ha affidato.

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! (Rm 1,1-7).

Anche la dossologia finale contiene e manifesta la stessa verità. Tutte le genti dovranno essere chiamate all’obbedienza alla fede attraverso l’annunzio del Vangelo.

A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen (Rm 16,25-27).

Come Paolo si preoccupa perché nessun uomo a lui affidato da Dio rimanga senza la conoscenza del Vangelo, anche ogni discepolo di Gesù deve preoccuparsi che nessuno rimanga senza la Parola della salvezza. Lasciare un solo uomo senza che possa pervenire alla fede per qualsiasi motivo è peccato di gravissima omissione.

Fratelli miei, sono anch’io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro. Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma, come sta scritto: Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.

Ogni discepolo di Gesù è obbligato a mettere ogni impegno affinché per lui nessuno venga escluso dalla salvezza. Per ogni anima che si perde, dovrà rendere conto a Dio.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che per l’opera dei cristiani ogni uomo venga alla fede.

Dove giungono quelle acque, risanano

Ez 47,1-2.8-9.12 opp. 1Cor3,9b-11.16-17; Sal 45; Gv 2,13-22

9 NOVEMBRE

L’abbondanza di acqua è segno di abbondanza di vita. Il giardino dell’Eden era irrorato da quattro fiumi, segno che la vita in esso era abbondantissima, piena, perfetta.

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate (Gen 2,8-14).

Il Salmo dice che il giusto è simile ad un albero piantato lungo corsi d’acqua. Produce ogni frutto soprannaturale, di vero bene. Il giusto è irrorato dal fiume della Legge.

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina (Sal 1,1-6).

Dio nella sua grande misericordia ha deciso di irrorare tutta la terra con un fiume unico. Questo unico e solo fiume è il suo Santo Spirito. Questo fiume sgorga dal suo cuore eterno, entra nel cuore di Cristo, dal cuore di Cristo per la fede, si riversa tutto nel cuore di ogni suo discepolo, per il cuore di ogni suo discepolo deve entrare in ogni altro cuore. In verità Quando questo fiume esce dal corpo di Cristo, esso si riversa nel mondo da milioni e milioni di sorgenti. Ma il cuore del cristiano è il cuore di Cristo, allo stesso modo che il cuore di Cristo è il cuore del Padre? Ma quando il cuore del cristiano è il cuore di Cristo? Quando lui fa la volontà di Cristo come Cristo fa la volontà del Padre. Senza l’obbedienza alla volontà di Cristo, il fiume rimane in Cristo.

Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che l’acqua scaturiva dal lato destro. Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina.

L’Evangelista Giovanni ci rivela che questa profezia si è compiuta il giorno della morte di Cristo Gesù. Lui ha fatto tutta la volontà del Padre e dal suo corpo è scaturito il fiume che deve dare la vita al mondo intero. Ora è il cristiano il responsabile di questo fiume.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,31-37).

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni cristiano diventi questo fiume di vita eterna.

Ci risusciterà a vita nuova ed eterna

2Mac 7,1-2.9.14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38

10 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA T.O.

L’immortalità dell’anima, nella sua duplice forma di vita o di morte eterna, è stupendamente narrata nel Libro della sapienza. L’anima è veramente immortale. Nella sua immortalità trascinerà anche il corpo che sarà risuscitato da Dio per la sua divina onnipotenza. Non è un evento che avviene per natura, ma per opera esclusiva di Dio.

Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d’immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui (Sap 3,1-9).

Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati; le loro iniquità si ergeranno contro di loro per accusarli. Allora il giusto starà con grande fiducia di fronte a coloro che lo hanno perseguitato e a quelli che hanno disprezzato le sue sofferenze. Alla sua vista saranno presi da terribile spavento, stupiti per la sua sorprendente salvezza. Pentiti, diranno tra loro, gemendo con animo angosciato: «Questi è colui che noi una volta abbiamo deriso e, stolti, abbiamo preso a bersaglio del nostro scherno; abbiamo considerato una pazzia la sua vita e la sua morte disonorevole. Come mai è stato annoverato tra i figli di Dio e la sua eredità è ora tra i santi? Abbiamo dunque abbandonato la via della verità, la luce della giustizia non ci ha illuminati e il sole non è sorto per noi. Ci siamo inoltrati per sentieri iniqui e rovinosi, abbiamo percorso deserti senza strade, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore. Quale profitto ci ha dato la superbia? Quale vantaggio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace, come una nave che solca un mare agitato, e, una volta passata, di essa non si trova più traccia né scia della sua carena sulle onde; oppure come quando un uccello attraversa l’aria e non si trova alcun segno del suo volo: l’aria leggera, percossa dal battito delle ali e divisa dalla forza dello slancio, è attraversata dalle ali in movimento, ma dopo non si trova segno del suo passaggio; o come quando, scoccata una freccia verso il bersaglio, l’aria si divide e ritorna subito su se stessa e della freccia non si riconosce tragitto. Così anche noi, appena nati, siamo già come scomparsi, non avendo da mostrare alcun segno di virtù; ci siamo consumati nella nostra malvagità» (4,20-5,13).

Questa verità annunzia l’ultimo dei fratelli Maccabei al suo carnefice. La risurrezione non sarà per tutti uguale. Quanti fecero il bene saranno risuscitati per la vita eterna, quanti fecero il male per l’infamia eterna. Il bene produce un frutto di vita, il male un frutto di morte. Il bene produce un frutto di vita nel tempo e nell’eternità. Ma anche il male produce un frutto di morte nel tempo e nell’eternità. Ognuno rifletta. Questa è verità eterna, immortale, infallibile, immutabile, universale, per ogni uomo.

Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». Giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».

Quanti oggi affermano che alla fine della vita si va tutti i paradiso, sono i più grandi “nemici degli uomini”, i più spietati ed efferati terroristi. Con la loro stolta e insipiente parola mandano nella morte eterna milioni e milioni di persone. Dalla deflagrazione atomica dopo secoli si può tornare alla normalità, da questa deflagrazione i frutti saranno eterni. Le verità della fede non sono ideologiche, invenzioni di mente umana. Sono la più pura e santa comunicazione della verità eterna del Signore nostro Dio.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il cristiano dica solo parole di purissima verità.

Amate la giustizia, voi giudici della terra

Sap 1,1-7; Sal 138; Lc 17,1-6

11 NOVEMBRE

Quando nella Scrittura si parla di giustizia si intende una sola cosa: la scrupolosa osservanza della Legge del Signore. Ciò che Dio comanda è giusto. Ciò che Dio vieta è ingiusto. Ciò che è conforme alla sua volontà è giusto. Ciò che invece è difforme è ingiusto. Nella giustizia, nella moralità, nell’ingiustizia, nell’immoralità, nulla è lasciato alla volontà dell’uomo o al suo pensiero o alla sua coscienza, scienza, desiderio. Giusto e ingiusto, morale e immorale sono determinati solo dal Signore. Cosa chiede lo Spirito Santo ai giudici della terra? Che amino la giustizia, cioè la volontà del loro Dio, Creatore, Signore. Il Signore è giudice di tutta la terra e non lascia impunita l’ingiustizia. Tuttavia c’è una differenza tra la responsabilità di chi conosce la Legge, il Vangelo e chi ancora cammina con il lume naturale della sua mente e coscienza. Amos rivela il differente giudizio di Dio per le nazioni pagane e per il suo popolo.

Così dice il Signore: «Per tre misfatti di Damasco e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno trebbiato Gàlaad con trebbie ferrate. Alla casa di Cazaèl manderò il fuoco e divorerà i palazzi di Ben-Adàd; spezzerò il catenaccio di Damasco, sterminerò chi siede sul trono di Bikat-Aven e chi detiene lo scettro di Bet-Eden, e il popolo di Aram sarà deportato in esilio a Kir», dice il Signore (Am 1,3-5). Così dice il Signore: «Per tre misfatti degli Ammoniti e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno sventrato le donne incinte di Gàlaad per allargare il loro confine. Darò fuoco alle mura di Rabbà e divorerà i suoi palazzi, tra il fragore di un giorno di battaglia, fra il turbine di un giorno di tempesta. Il loro re andrà in esilio, egli insieme ai suoi comandanti», dice il Signore (Am 1,13-15).

Così dice il Signore: «Per tre misfatti di Giuda e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno rifiutato la legge del Signore e non ne hanno osservato i precetti, si sono lasciati traviare dagli idoli che i loro padri avevano seguito. Manderò il fuoco a Giuda e divorerà i palazzi di Gerusalemme». Così dice il Signore: «Per tre misfatti d’Israele e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali, essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome. Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio (Am 2, 4-8).

La luce per agire secondo perfetta giustizia va chiesta perennemente al Signore, dal cui cuore sgorga ogni sapienza e ogni giustizia. Quando la giustizia è chiesta a Dio con cuore semplice, puro, sempre il Signore la concede. Salomone, divenuto re, proprio questo chiese al Signore: poter governare con giustizia il suo popolo.

Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso? (1Re 3,8-9).

Oggi invece si dichiara giusto, ingiusto, morale, immorale, ciò che l’uomo ha deciso sia giusto, ingiusto, morale, immorale. Anche le più grandi nefandezza sono dette giuste.

Amate la giustizia, voi giudici della terra, pensate al Signore con bontà d’animo e cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui. I ragionamenti distorti separano da Dio; ma la potenza, messa alla prova, spiazza gli stolti. La sapienza non entra in un’anima che compie il male né abita in un corpo oppresso dal peccato. Il santo spirito, che ammaestra, fugge ogni inganno, si tiene lontano dai discorsi insensati e viene scacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia. La sapienza è uno spirito che ama l’uomo, e tuttavia non lascia impunito il bestemmiatore per i suoi discorsi, perché Dio è testimone dei suoi sentimenti, conosce bene i suoi pensieri e ascolta ogni sua parola. Lo spirito del Signore riempie la terra e, tenendo insieme ogni cosa, ne conosce la voce.

Avendo l’uomo preso il posto di Dio, privandolo della sua autorità divina, si sta precipitando giorno dopo giorno nella più immorale delle immoralità. Dinanzi alla moderna civiltà atea e scristianizzata, Sodoma si alzerà e ci condannerà tutti.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni uomo viva nell’alta giustizia secondo Dio.

Li ha provati e li ha trovati degni di sé

Sap 2,23-3,9; Sal 33; Lc 17,7-10

12 NOVEMBRE

Sappiamo con il Libro di Giobbe che la sofferenza del giusto è una prova finalizzata a saggiare il cuore di chi teme e cammina nella legge del Signore. Quanto il giusto ama il suo Dio? Lo ama più della sua vita? Lo ama meno? Quando un cuore sa quanto è grande il suo amore per il suo Dio? Viene la tentazione, nasce la prova e subito il cuore viene svelato in tutto il suo spessore. Conosciamo se amiamo Dio più della nostra vita, oppure se alla prima sofferenza ci ritiriamo, lo rinneghiamo, ci separiamo da Lui. La Scrittura Santa attesta che Giobbe ha amato il Signore senza distaccarsi dall’amore. Il Libro del Siracide annunzia la stessa verità. Chi si appresta a servire il Signore, si deve preparare alla tentazione. Lui dovrà conoscere lo spessore del suo amore.

Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affìdati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere. Voi che temete il Signore, confidate in lui, e la vostra ricompensa non verrà meno. Voi che temete il Signore, sperate nei suoi benefici, nella felicità eterna e nella misericordia, poiché la sua ricompensa è un dono eterno e gioioso. Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato nel suo timore e fu abbandonato? O chi lo ha invocato e da lui è stato trascurato? Perché il Signore è clemente e misericordioso, perdona i peccati e salva al momento della tribolazione (Sir 2,1-11).

Anche San Pietro ricorda ai cristiani questa verità. Dio prova la nostra fede. Vuole che essa sia purissima, senza scorie. La sofferenza è il crogiolo della sua purificazione.

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime (1Pt 1,3-9).

A chi vuole comprendere quanto il Libro la Sapienza rivela della prova del giusto basta guardare il Giusto per eccellenza che è Cristo Signore. Nessuno fu sottoposto alla tentazione più di Lui. Anche mentre era inchiodato, fu tentato perché scendesse. Tutta la sua vita fu una prova, una tentazione, una sofferenza. Lui ha vinto sempre.

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono. Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d’immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.

Quale sarà il premio di coloro che risultano vincitori? Dio li rende partecipi della sua gloria, della sua Signoria, del suo potere eterno. Mai saranno separati dalla sorgente della vita. Il salario per le sofferenze subite è una gioia e una gloria eterna.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che possiamo vivere ogni sofferenza con vera fede.

Dal Signore vi fu dato il potere e l’autorità dall’Altissimo

Sap 6,1-11; Sal 81; Lc 17,11-19

13 NOVEMBRE

Dio è il Signore. Ogni potere esercitato sottraendo la signoria a Dio, altro non fa che creare sulla terra delle Torri di Babele. Non c’è comprensione tra gli uomini. La Torre di Babele ha proprio questo significato: scalzare Dio dal suo trono e occuparne il posto.

Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra (Gen 11,1-9).

Alla Torre o alle Torri di Babele si contrappone la Pentecoste. Lo Spirito Santo viene e con Lui il Signore prende il suo posto nel cuore. L’uomo diviene creatore di unità.

Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che cosa significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce» (At 2,1-13).

Non appena lo Spirito esce dal cuore, di nuovo sorge nel cuore e nella comunità la torre di Babele. Non si comprende più. Si è estranei gli uni agli altri.

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste (Gal 5,13-17).

Autorità e potere vengono da Dio, vanno esercitati nella giustizia, verità, luce di Dio. Quando vengono esercitati dal cuore dell’uomo, sempre sorgeranno Torri di Babele.

Ascoltate dunque, o re, e cercate di comprendere; imparate, o governanti di tutta la terra. Porgete l’orecchio, voi dominatori di popoli, che siete orgogliosi di comandare su molte nazioni. Dal Signore vi fu dato il potere e l’autorità dall’Altissimo; egli esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi: pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente né avete osservato la legge né vi siete comportati secondo il volere di Dio. Terribile e veloce egli piomberà su di voi, poiché il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto. Gli ultimi infatti meritano misericordia, ma i potenti saranno vagliati con rigore. Il Signore dell’universo non guarderà in faccia a nessuno, non avrà riguardi per la grandezza, perché egli ha creato il piccolo e il grande e a tutti provvede in egual modo. Ma sui dominatori incombe un’indagine inflessibile. Pertanto a voi, o sovrani, sono dirette le mie parole, perché impariate la sapienza e non cadiate in errore. Chi custodisce santamente le cose sante sarà riconosciuto santo, e quanti le avranno apprese vi troveranno una difesa. Bramate, pertanto, le mie parole, desideratele e ne sarete istruiti.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni uomo creda in questa sua naturale verità.

Paragonata alla luce risulta più luminosa

Sap 7,22- 8,Ì; Sal 118; Lc 17,20-25

14 NOVEMBRE

La Legge ha la sua sorgente nel cuore di Dio. Finché rimane in essa, è luce purissima di verità. Quando essa entra nel cuore dell’uomo, viene inquinata dal suo peccato e trasformata in pensiero d’uomo. Perde la sua caratteristica o essenza di luce e diviene tenebra. Come non vi è cosa più pura della luce, così non vi è cosa più pura della sapienza. Ma anche come non vi è realtà così espansiva e diffusiva della luce, così non vi è realtà più espansiva e diffusiva della sapienza. Essa illumina e separa con precisione divina bene e male, giusto e ingiusto, verità e falsità, opportuno e non opportuno, lecito e illecito, ciò che è conforme al pensiero di Dio anche nei più piccoli dettagli e ciò che invece gli è difforme. Chi cammina con la sapienza è come se camminasse con il pensiero di Dio, gli occhi di Dio, il cuore di Dio, i sentimenti di Dio. La sapienza non è una realtà creata, essa è lo Spirito Santo del Signore, che è Spirito del Padre, dal Padre dato a Cristo, da Cristo dato ai suoi discepoli, secondo modalità e misura differente, ma anche per fini da realizzare diversi e molteplici. San Paolo insegna che solo chi è nello Spirito di Dio conosce i pensieri di Dio.

Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Infatti chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo consigliare? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo (1Cor 2,6,-16).

La Sapienza Eterna, lo Spirito Santo, entra nel cuore di Cristo, e lo guida nei pensieri del Padre. Gli dona anche il cuore del Padre, perché possa amare come Lui. Farisei e scribi, dal cuore di peccato, immerso nelle tenebre, mai potranno conoscere i pensieri di Dio. Dovrebbero purificare il cuore, ma non vogliono. È lo scontro. È l’odio.

In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili. La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti. Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza. Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza. La sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo.

Oggi lo Spirito vuole insegnarci, attraverso la rivelazione delle qualità della sapienza, che coloro che si lasciano governare da essa, sempre sapranno separare i pensieri di Dio dai pensieri degli uomini, le vie del Signore dalle vie del peccato. Sempre cammineranno di luce in luce, di verità in verità, di fede in fede, di bene in bene.

Madre di Dio, Angeli, Santi, colmateci di Spirito Santo. Vogliamo essere luce vera.

Per analogia si contempla il loro autore

Sap 13,1-9; Sal 18; Lc 17,26-37

15 NOVEMBRE

Dio ha creato la natura mettendo in essa un raggio della sua sapienza e intelligenza. Pur ignorando i misteri della creazione, perché oltre ogni mente umana, sappiamo che gli animali sono ben guidati nell’esercizio della loro vita. Se il bue e l’asino conoscono il loro proprietario, perché l’uomo non conosce il suo Dio? Se la cicogna e altri animali sanno quando emigrare, perché l’uomo non conosce il tempo della conversione?

Udite, o cieli, ascolta, o terra, così parla il Signore: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende». Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro. Perché volete ancora essere colpiti, accumulando ribellioni? Tutta la testa è malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate né curate con olio (Is 1,2-6).

Tu dirai loro: Così dice il Signore: Forse chi cade non si rialza e chi sbaglia strada non torna indietro? Perché allora questo popolo continua a ribellarsi, persiste nella malafede, e rifiuta di convertirsi? Ho ascoltato attentamente: non parlano come dovrebbero. Nessuno si pente della sua malizia, e si domanda: “Che cosa ho fatto?”. Ognuno prosegue la sua corsa senza voltarsi, come un cavallo lanciato nella battaglia. La cicogna nel cielo conosce il tempo per migrare, la tortora, la rondinella e la gru osservano il tempo del ritorno; il mio popolo, invece, non conosce l’ordine stabilito dal Signore. Come potete dire: “Noi siamo saggi, perché abbiamo la legge del Signore”? A menzogna l’ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi! I saggi restano confusi, sconcertati e presi come in un laccio. Ecco, hanno rigettato la parola del Signore: quale sapienza possono avere? (Ger 8,4-9).

La risposta la dona San Paolo. L’uomo con la sua empietà soffoca la verità nell’ingiustizia. Quando la verità viene soffocata, essa muore. Il peccato diviene il solo padrone dell’uomo. Guidato dal peccato, l’uomo cammina di empietà in empietà.

Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen (Cfr. 1,18-31).

Una mente non soffocata dall’empietà, non governata dal peccato, non ottenebrata dal male è sempre capace di analogia. Dal visibile può giungere a cogliere l’invisibile.

Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l’artefice. Ma o il fuoco o il vento o l’aria veloce, la volta stellata o l’acqua impetuosa o le luci del cielo essi considerarono come dèi, reggitori del mondo. Se, affascinati dalla loro bellezza, li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati colui che è principio e autore della bellezza. Se sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore. Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi facilmente s’ingannano cercando Dio e volendolo trovare. Vivendo in mezzo alle sue opere, ricercano con cura e si lasciano prendere dall’apparenza perché le cose viste sono belle. Neppure costoro però sono scusabili, perché, se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?

Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci di cuore puro e noi vedremo sempre il Signore.

Tutto il creato fu modellato di nuovo

Sap 18,14-16; 19,6-9; Sal 104; Lc 18,1-8

16 NOVEMBRE

Il Libro della Sapienza legge la storia che va dalla vocazione di Mosè fino al passaggio del giorno e la vede come vera creazione del Signore. Qual è allora la differenza tra la creazione del cielo e della terra delle origini e ciò che avviene durante il cammino dei figli d’Israele verso la Terra Promessa? Alle origini gli elementi furono ognuno secondo una loro particolare natura. Al tempo della liberazione e del cammino verso la terra di Canaan, gli elementi cambiano natura, pur rimanendo nella stessa natura, assumendo proprietà diverse, opposte. L’acqua per natura spegne il fuoco. Per la difesa e la protezione dei figli d’Israele essa non lo spegne ma lo ravviva, donandogli più forza. E così per ogni altro elemento della creazione di Dio. L’elemento è sempre lo stesso. L’acqua rimane sempre acqua. Il fuoco sempre fuoco. Ma ogni elemento si trasforma in ciò che Dio vuole che esso sia per il bene più grande del suo popolo. Eventi simili li troviamo nel Libro di Daniele. Il fuoco della fornace diviene un vento soave che rinfresca. I Leoni divengono agnellini, miti, mansueti, incapaci di sbranare.

Allora Nabucodònosor fu pieno d’ira e il suo aspetto si alterò nei confronti di Sadrac, Mesac e Abdènego, e ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadrac, Mesac e Abdènego e gettarli nella fornace di fuoco ardente. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, i calzari, i copricapi e tutti i loro abiti, e gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. Poiché l’ordine del re urgeva e la fornace era ben accesa, la fiamma del fuoco uccise coloro che vi avevano gettato Sadrac, Mesac e Abdènego. E questi tre, Sadrac, Mesac e Abdènego, caddero legati nella fornace di fuoco ardente. Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore. I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti. La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace. Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia (Dn 3,19-24.46-50). Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: «Il re è diventato giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti». Andarono da lui dicendo: «Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!». Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele. Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni. Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente, perché divorassero Daniele. Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e, giunto alla fossa, guardò e vide Daniele seduto. Allora esclamò ad alta voce: «Grande tu sei, Signore, Dio di Daniele, e non c’è altro dio all’infuori di te!». Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina, ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi (Dn 14,28-32.40-42).

La creazione non è simile ad un grosso macigno dinanzi al Signore. Essa è invece simile alla luce che può assumere qualsiasi forma. Dio può fare della sua opera ciò che vuole. Basta un suo ordine e tutto obbedisce al suo volere. L’ascolto è immediato.

Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile e, fermatasi, riempì tutto di morte; toccava il cielo e aveva i piedi sulla terra. Tutto il creato fu modellato di nuovo nella propria natura come prima, obbedendo ai tuoi comandi, perché i tuoi figli fossero preservati sani e salvi. Si vide la nube coprire d’ombra l’accampamento, terra asciutta emergere dove prima c’era acqua: il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli e flutti violenti una pianura piena d’erba; coloro che la tua mano proteggeva passarono con tutto il popolo, contemplando meravigliosi prodigi. Furono condotti al pascolo come cavalli e saltellarono come agnelli esultanti, celebrando te, Signore, che li avevi liberati.

Quando l’uomo è ostile a Dio, Dio comanda e la creazione diviene ostile per l’uomo.

Madre di Dio, Angeli, Santi, conservateci nella più pura amicizia con Dio.

Sta per venire il giorno rovente come un forno

Mal 3,19-20a; Sal 97; 2Ts 3.7-12; Lc 21,5-19

17 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA T.O.

Ogni falsificazione nella Parola del Signore genera una falsificazione nella mente e nel cuore dell’uomo, dalle conseguenze eterne. È purissima verità rivelata di Dio che la differenza tra empi e giusti sarà eterna. Tutta la Scrittura è questa verità. Essa è rivelata nella Legge, nei Salmi, nei Profeti, in tutto il Nuovo testamento. Chi ama Dio nella giustizia abiterà con Lui per sempre. Chi non lo ama, sarà escluso dalla sua vista.

Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna? Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino. Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora chi teme il Signore. Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola; non presta il suo denaro a usura e non accetta doni contro l’innocente. Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre (Sal 15 (14) 1-5).

Ora, in quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta» (Dn 12,1-4).

Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Mt 3,7-12).

Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1Cor 6,9-11).

E aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Il malvagio continui pure a essere malvagio e l’impuro a essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora. Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine. Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna! Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,10-16).

Se questa è purissima rivelazione di Dio e di Cristo Gesù, nello Spirito Santo, possiamo noi annullarla, dicendo che tutti domani saremo in paradiso? Non dichiariamo Dio e Cristo dei bugiardi? Non facciamo di loro dei menzogneri? Chi fa di Dio un bugiardo è figlio del diavolo e diavolo a sua volta. Mente ai danni di Dio.

Ecco infatti: sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.

Chi mente ai danni di Dio, mente ai danni dell’uomo. Lo condanna alla morte eterna.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci cristiani dalla grande onestà verso Dio e gli uomini.

Insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo

At 28,11-16.30-31; Sal 97; Mt 14,22-33

18 NOVEMBRE

Conosciamo il cuore di Paolo. Sappiamo qual è la sua decisione o proposito. Lui vuole consumare la sua vita nella predicazione di Cristo Crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i Greci. La verità di Dio e dell’uomo è Cristo. Chi conosce Cristo conosce Dio e l’uomo. Non si conosce Cristo, non si conosce né Dio né l’uomo.

Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore (1Cor 1,17-31).

Predicazione e fine devono essere una cosa sola. Il Vangelo si predica e si chiede la conversione ad esso in modo esplicito, chiaro: “Convertitevi e credete nel Vangelo”. Paolo alla conversione aggiunge la formazione di Cristo nei discepoli di Gesù. Lui non solo predica Cristo, deve lavorare perché Cristo sia formato in tutti i credenti in Lui.

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza (Col 1,24-29).

È questo oggi il quadruplice fallimento della nostra pastorale: non si predica Cristo Crocifisso. Non si predica il Vangelo. Non si invita alla conversione e alla fede nel Vangelo, non si forma Cristo nei cuori dei credenti. Si lavora invano e per nulla.

Dopo tre mesi salpammo con una nave di Alessandria, recante l’insegna dei Diòscuri, che aveva svernato nell’isola. Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni. Salpati di qui, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l’indomani arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Quindi arrivammo a Roma. I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia. Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.

Predicazione, Vangelo, conversione, fede sono una sola indivisibile realtà. Predicazione di Cristo e formazione di Cristo nei cuori sono una cosa sola e una cosa sola devono rimanere in eterno. Quando vi è separazione, non vi è più missione cristiana. Nell’unità la missione sempre produce frutti di vita e di salvezza eterna.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che i cristiani siano veri annunciatori di Cristo Gesù.

Non è affatto degno della nostra età fingere

2 Mac 6,18-31; Sa l 3; Lc 19,1-10

19 NOVEMBRE

La Legge Antica, nel Capitolo XI del Libro del Levitico, aveva classificato animali puri e animali impuri, animali che potevano essere mangiati e animali che non potevano essere mangiati. Dei quadrupedi si potevano mangiare tutti quelli che hanno l’unghia spaccata e che ruminano. Il suino ha l’unghia spaccata, ma non rumina. È impuro. Eleàzaro, persona ragguardevole, fu prima costretto a mangiare carne suina, cioè carne immonda. Ma il suo rifiuto fu categorico. Meglio morire che trasgredire la Legge. I carnefici, poiché erano anche suoi vecchi amici, gli proposero un accordo. Gli avrebbero dato da mangiare carne pura, monda. Bastava che lui fingesse di mangiare carne immonda e sarebbe stato liberato dalla morte. Anche questo accordo lui rifiuta. Le motivazioni sono nobili. Avrebbe indotto molti giovani a rinnegare il Signore e la sua Legge. Se Eleàzaro, alla sua età veneranda, ha rinnegato il Signore, anche noi lo possiamo rinnegare. La sua finzione avrebbe provocato un’apostasia generale. Il suo peccato sarebbe stato imperdonabile. Per salvare la sua vita con una finzione, avrebbe indotto molti alla morte eterna, a causa dello scandalo da lui offerto. Rifiuta l’offerta e si lascia uccidere per non trasgredire la Legge del suo Signore e Dio.

Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita. Quelli che erano incaricati dell’illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell’antica amicizia che aveva con loro. Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte.

«Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio. Quelli che ve lo trascinavano, cambiarono la benevolenza di poco prima in avversione, ritenendo che le parole da lui pronunciate fossero una pazzia. Mentre stava per morire sotto i colpi, disse tra i gemiti: «Il Signore, che possiede una santa scienza, sa bene che, potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell’anima sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui». In tal modo egli morì, lasciando la sua morte come esempio di nobiltà e ricordo di virtù non solo ai giovani, ma anche alla grande maggioranza della nazione.

È immorale qualsiasi finzione che induce in errore anche una sola persona. Neanche in privato Eleàzaro avrebbe potuto mangiare carne pura al posto di carne impura. Avrebbero potuto dire i suo aguzzini che lui aveva mangiato carne impura e per questo la vita gli era stata risparmiata. Lo scandalo non è solo visibile, è anche udibile. Oggi la finzione più grave riguarda l’Eucaristia. Non si può dare pane non consacrato al posto di quello consacrato per mostrare al mondo che non vi è divergenza tra le religioni. Tra chi crede in Cristo e chi lo disprezza, tra chi si converte a Lui e chi non si converte, la differenza è eterna. L’Eucaristia è il cibo del corpo di Cristo. Quanti non sono corpo di Cristo non hanno diritto di accedervi. Neanche possono accedere quanti per peccato grave sono divenuti tralci secchi. Prima urge ritornare in vita e poi si ha diritto.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che i cristiani rispettino la verità dell’Eucaristia.

Per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro

2 Mac 7,1.20-31; Sal 16; Lc 19,11-28

20 NOVEMBRE

Come la fede vera in una persona nasce dalla fede vera di un’altra persona, così anche la fede vera di una persona cresce, si irrobustisce, produce frutti di vita eterna dalla fede vera di ogni altra persona. Ogni possessore di vera fede deve essere vita di ogni altro possessore di vera fede. Ma ogni possessore di vera fede deve anche divenire padre di vera fede per ogni altro uomo. Quando una persona può dire di essere di vera fede? Quando per la sua vera fede molti altri vengono generati alla vera fede e quando per la sua vera fede molti altri vengono irrobustiti nella vera fede così da produrre molti frutti di vera fede per sé e per gli altri. Una fede che non fa nascere fede è morta. Ogni fede che non aiuta la fede a crescere e a produrre buoni frutti è vana. È una fede senza energia di vita. Anche se non è ancora morta, è in procinto di morire. I sette fratelli Maccabei sono di vera fede perché si esortano a morire da forti per la fede vera nel vero Dio e Signore. Ma anche la madre è di purissima vera fede. Lei esorta tutti i sette i suoi figli a morire per la fede. Il Signore darà loro la vita il giorno della risurrezione. Essa stessa si offre al martirio per conservarsi in eterno di fede pura e vera. Anche lei sigilla con il sangue la purezza, la verità, la fecondità della sua fede.

Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi». Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quel linguaggio fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo; e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice, se avesse abbandonato le tradizioni dei padri, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato alti incarichi. Ma poiché il giovane non badava per nulla a queste parole, il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo. Esortata a lungo, ella accettò di persuadere il figlio; chinatasi su di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua dei padri: «Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia». Mentre lei ancora parlava, il giovane disse: «Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu però, che ti sei fatto autore di ogni male contro gli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio.

Oggi è questa la debolezza, fragilità, grave malattia, morte della fede di ogni discepolo di Gesù: la chiusura ermetica della fede nel proprio intimo. Il cuore è divenuto vero carcere per la fede. Nulla deve apparire all’esterno. Tutto deve essere rigorosamente custodito nella coscienza, ridotta a vera catacomba. Si comprende che questa fede non solo non è vera ma, se un tempo era vera, oggi non lo è più. Non lo è perché da questa fede non nasce alcun’altra fede. Non lo è perché essa non è più forza perché quanti sono di fede debole e inferma possano irrobustirsi ricevendo forza dalla sua vera fede. Oggi il mondo dei credenti in Cristo è fortemente in crisi. Anziché essere la fede degli uni forza per la fede degli altri, essa sta divenendo debolezza mortale. Vi è in molti un tentativo satanico di estirpare dal cuore ogni residuo di vera fede che si dovesse ancora trovare in esso. Oggi tutto deve essere ridotto a pensiero umano. Non c’è più posto né per Cristo né per la sua Parola. Ogni istinto dell’uomo deve essere proclamato signore e unico dio dell’uomo. Questa è debolezza di morte.

Madre di Dio, Angeli, Santi, Non permettete che la fede muoia per colpa dei cristiani.

 Egli agiva per zelo verso la legge

1 Mac 2,15-29; Sal 49; Lc 19,41-44

21 NOVEMBRE

Urge mettere in evidenza la sostanziale differenza tra la Legge Antica e la Nuova. La Legge Antica veniva dal monte Sinai. La Legge Nuova viene dal monte Calvario. Per la Legge del Sinai si poteva uccidere un uomo per conservare la purezza della fede. Per la Legge Nuova ci si lascia uccidere per conservare nel cuore la purezza della fede.

Israele si stabilì a Sittìm e il popolo cominciò a fornicare con le figlie di Moab. Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dèi; il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro dèi. Israele aderì a Baal‑Peor e l’ira del Signore si accese contro Israele. Il Signore disse a Mosè: «Prendi tutti i capi del popolo e fa’ appendere al palo costoro, davanti al Signore, in faccia al sole, e si allontanerà l’ira ardente del Signore da Israele». Mosè disse ai giudici d’Israele: «Ognuno di voi uccida dei suoi uomini coloro che hanno aderito a Baal‑Peor». Uno degli Israeliti venne e condusse ai suoi fratelli una donna madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità degli Israeliti, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda del convegno. Vedendo ciò, Fineès, figlio di Eleàzaro, figlio del sacerdote Aronne, si alzò in mezzo alla comunità, prese in mano una lancia, seguì quell’uomo di Israele nell’alcova e li trafisse tutti e due, l’uomo d’Israele e la donna, nel basso ventre. E il flagello si allontanò dagli Israeliti. Quelli che morirono per il flagello furono ventiquattromila. Il Signore parlò a Mosè e disse: «Fineès, figlio di Eleàzaro, figlio del sacerdote Aronne, ha allontanato la mia collera dagli Israeliti, mostrando la mia stessa gelosia in mezzo a loro, e io nella mia gelosia non ho sterminato gli Israeliti. Perciò digli che io stabilisco con lui la mia alleanza di pace; essa sarà per lui e per la sua discendenza dopo di lui un’alleanza di perenne sacerdozio, perché egli ha avuto zelo per il suo Dio e ha compiuto il rito espiatorio per gli Israeliti». L’uomo d’Israele, ucciso con la Madianita, si chiamava Zimrì, figlio di Salu, principe di un casato paterno dei Simeoniti. La donna uccisa, la Madianita, si chiamava Cozbì, figlia di Sur, capo della gente di un casato in Madian. Il Signore parlò a Mosè e disse: «Trattate i Madianiti da nemici e uccideteli, poiché essi sono stati nemici per voi con le astuzie che hanno usato con voi nella vicenda di Peor e di Cozbì, figlia di un principe di Madian, loro sorella, che è stata uccisa il giorno del flagello causato per il fatto di Peor» (Num 25,1-18).

Mattatia è uomo dalla Legge Antica. Può difendere la fede del popolo di Dio anche con le armi. Il cristiano è dalla Legge Nuova. La fede la può difendere secondo le leggi della fede. Lui potrà dare la vita per la fede, mai nessuna vita potrà togliere per la fede.

Ora i messaggeri del re, incaricati di costringere all’apostasia, vennero nella città di Modin per indurre a offrire sacrifici. Molti Israeliti andarono con loro; invece Mattatia e i suoi figli si raccolsero in disparte. I messaggeri del re si rivolsero a Mattatia e gli dissero: «Tu sei uomo autorevole, stimato e grande in questa città e sei sostenuto da figli e fratelli. Su, fatti avanti per primo e adempi il comando del re, come hanno fatto tutti i popoli e gli uomini di Giuda e quelli rimasti a Gerusalemme; così tu e i tuoi figli passerete nel numero degli amici del re e tu e i tuoi figli avrete in premio oro e argento e doni in quantità». Ma Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli che sono sotto il dominio del re lo ascoltassero e ognuno abbandonasse la religione dei propri padri e volessero tutti aderire alle sue richieste, io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell’alleanza dei nostri padri. Non sia mai che abbandoniamo la legge e le tradizioni. Non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra». Quando ebbe finito di pronunciare queste parole, si avvicinò un Giudeo alla vista di tutti per sacrificare sull’altare di Modin secondo il decreto del re. Ciò vedendo, Mattatia arse di zelo; fremettero le sue viscere e fu preso da una giusta collera. Fattosi avanti di corsa, lo uccise sull’altare; uccise nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l’altare. Egli agiva per zelo verso la legge, come aveva fatto Fineès con Zambrì, figlio di Salom. La voce di Mattatia tuonò nella città: «Chiunque ha zelo per la legge e vuole difendere l’alleanza mi segua!». Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto possedevano. Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero nel deserto, per stabilirvisi

Anticamente difendere la fede con le armi era possibile. Nel Nuovo Testamento questo non è più possibile. Siamo in una Nuova Legge, quella di Gesù, che pur avendo a sua disposizioni dodici legioni di Angeli si consegnò volontariamente alla croce. La difesa della fede avviene sigillandola con il proprio sangue nella sua purezza e santità.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni cristiano rimanga nella Legge del Golgota.

Andiamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo

1 Mac 4,36-37; C 1 Cr 29,10.11abc.11d-12a.12bcd; Lc 19,45-48

22 NOVEMBRE

Il santuario allora era la casa di Dio. Era il segno visibile della presenza del Signore in mezzo al suo popolo. Per la purificazione da ogni culto falso, immorale, ipocrita, delle labbra, ma non del cuore, il Signore mandava i suoi profeti. Isaia, Geremia, Malachia denunciano l’immoralità del culto, perché fatto senza obbedienza alla Legge del Signore. Anche Gesù purifica il tempio ridotto ad una spelonca di ladri. Rivela però ai Giudei che da questo momento la vera casa di Dio è Lui. È il suo corpo. I Giudei distruggeranno il suo corpo e Lui dopo tre giorni lo farà risorgere.

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù (Gv 2,13-22).

San Paolo afferma sul corpo di Cristo due verità. Cristo Gesù è il vero tempio nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e ogni vero culto si celebra nel corpo di Cristo. Il cristiano è vero corpo e pertanto è obbligato a tenerlo puro sempre.

Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo (Col 2,6-15).

Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! Non sapete che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due – è detto – diventeranno una sola carne. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo! (1Cor 6,9-20).

Per la purificazione del tempio materiale o per la sua edificazione o anche per la sua ristrutturazione erano i capi del popolo che sempre se ne interessavano, sovente però anche incitati dai profeti così come è avvenuto dopo l’esilio. Aggeo e Zaccaria hanno esortato il popolo, perché tutti si mettessero all’opera. Prima il tempio, poi le loro case.

Giuda intanto e i suoi fratelli dissero: «Ecco, sono stati sconfitti i nostri nemici: andiamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo». Così si radunò tutto l’esercito e salirono al monte Sion.

Dio è santo. Il tempio di Dio deve essere conservato puro e santo. Cristo è santo. Anche il suo tempio va conservato santo. Per la purificazione del tempio di Cristo, reso impuro dal peccato mortale, ci si deve accostare al sacramento della penitenza.

Madre di Dio, Angeli, Santi, non permettete che il cristiano renda impuro il suo tempio.

Ora mi ricordo dei mali che ho commesso

1 Mac 6,1-13; Sal 9; Lc 20,27-40

23 NOVEMBRE

Nella Scrittura Santa sempre si fa la differenza tra la morte dei giusti e quella degli empi. Stefano vive la morte del Giusto. Muore come è morto Gesù, perdonando.

Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì (At 7,55-60).

Giuda ed Erode muoiono la morte dell’empio. Giuda si dispera, si pente, ma non chiede perdono. Si impicca. Erode consumato dai vermi della sua superbia.

In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il numero delle persone radunate era di circa centoventi – e disse: «Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. Sta scritto infatti nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta e nessuno vi abiti, e il suo incarico lo prenda un altro (At 1,15-20).

Egli era infuriato contro gli abitanti di Tiro e di Sidone. Questi però si presentarono a lui di comune accordo e, dopo aver convinto Blasto, prefetto della camera del re, chiedevano pace, perché il loro paese riceveva viveri dal paese del re. Nel giorno fissato Erode, vestito del manto regale e seduto sul podio, tenne loro un discorso. La folla acclamava: «Voce di un dio e non di un uomo!». Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; ed egli, divorato dai vermi, spirò (At 12,20-23).

Antioco riconosce di aver fatto tanto male a Gerusalemme e al popolo dei Giudei. Si vede corroso dai vermi mentre è ancora in vita, ma non chiede perdono al Signore. Anche lui muore la morte degli empi. Sappiamo che per gli empi non c’è salvezza.

Mentre il re Antioco percorreva le regioni settentrionali, sentì che c’era in Persia la città di Elimàide, famosa per ricchezza, argento e oro; che c’era un tempio ricchissimo, dove si trovavano armature d’oro, corazze e armi, lasciate là da Alessandro, figlio di Filippo, il re macèdone che aveva regnato per primo sui Greci. Allora vi si recò e cercava di impadronirsi della città e di depredarla, ma non vi riuscì, perché il suo piano fu risaputo dagli abitanti della città, che si opposero a lui con le armi; egli fu messo in fuga e dovette ritirarsi con grande tristezza e tornare a Babilonia. Venne poi un messaggero in Persia ad annunciargli che erano state sconfitte le truppe inviate contro Giuda. Lisia si era mosso con un esercito tra i più agguerriti, ma era stato messo in fuga dai nemici, i quali si erano rinforzati con armi e truppe e ingenti spoglie, tolte alle truppe che avevano sconfitto, e inoltre avevano demolito l’abominio da lui innalzato sull’altare a Gerusalemme, avevano cinto di alte mura, come prima, il santuario e Bet-Sur, che era una sua città. Il re, sentendo queste notizie, rimase sbigottito e scosso terribilmente; si mise a letto e cadde ammalato per la tristezza, perché non era avvenuto secondo quanto aveva desiderato. Rimase così molti giorni, perché si rinnovava in lui una forte depressione e credeva di morire. Chiamò tutti i suoi amici e disse loro: «Se ne va il sonno dai miei occhi e l’animo è oppresso dai dispiaceri. Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono! Ora mi ricordo dei mali che ho commesso a Gerusalemme, portando via tutti gli arredi d’oro e d’argento che vi si trovavano e mandando a sopprimere gli abitanti di Giuda senza ragione. Riconosco che a causa di tali cose mi colpiscono questi mali; ed ecco, muoio nella più profonda tristezza in paese straniero».

Oggi la stoltezza cristiana dice che non vi è alcuna differenza. Il Paradiso è per tutti. La rivelazione dice tutt’altra verità. Per gli empi non c’è alcuna pace né oggi né mai.

Madre di Dio, Angeli, Santi, liberate i cristiani dalla stoltezza creatrice di confusione.

Tu pascerai il mio popolo Israele

2 Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43

24 NOVEMBRE– N.S.G. CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Con Davide le dodici tribù d’Israele divennero un solo regno. Lui è figura di Cristo Gesù, costituito dal Padre Re dal Regno Eterno e Universale. Oggi Davide è presentato nelle vesti del Pastore, posto da Dio a governare il suo gregge. Ma pastore del gregge è sempre il Signore. Chi governa al posto di Dio deve governare anche nel nome del Signore, con la sua giustizia, amore, misericordia, verità, saggezza.

Vennero allora tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.

Mentre tutti i pastori svolgono il loro ministero nel tempo, Gesù invece è Pastore Eterno. Il gregge nell’eternità e nel tempo non solo vive per Lui, ma anche deve vivere in Lui e per Lui. Non esiste un gregge che possa vivere per Lui, ma non in Lui, con Lui.

Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,13-17).

Nel Vangelo secondo Giovanni, non solo Gesù si rivela con il Buon Pastore delle pecore. Dice anche che Lui per le pecore dona la vita. La dona in modo spirituale, fisico, sacramentale, umano, divino. Lui è il Pastore che nutre il suo gregge con la sua carne e lo disseta con il suo sangue. Questa modalità è solo sua e di nessun altro.

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,1-18).

Ogni pastore, se vuole governare il gregge di Cristo Gesù, deve essere con Cristo un solo corpo, una sola anima, un solo spirito, un solo cuore. Divenendo una cosa sola con Cristo, anche lui potrà dare la sua vita per le pecore, potrà consumare tutto se stesso, spendendosi per le pecore. La verità di ogni pastore è dalla sua intima unione con Cristo Gesù. Ogni separazione da Cristo diviene separazione dal gregge.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni pastore si unisca sempre più a Cristo Gesù.

Rese Daniele interprete di visioni e di sogni

Dn 1.1-6.8-20; e Dn 3,52.53.54.55.56; Lc 21,1-4

25 NOVEMBRE

Il popolo del Signore vive in Babilonia immerso nell’idolatria. Ma esso è adoratore del Dio vivo e vero. Come mostrare a quel popolo di idolatri la falsità dei loro dèi e la verità del Dio che si adora in Gerusalemme? La differenza tra la falsità degli idoli e la verità del solo Dio vivo e vero di tutto l’universo viene manifestata attraverso gli uomini che sono adoratori sia dei falsi dèi sia del vero Dio. Ma attraverso quale via Daniele e i suoi compagni possono attestare la verità del loro Dio e la falsità dei loro dèi? Attraverso una sola via: quella della più pura obbedienza alla Legge del Signore. Daniele è alla corte del re di Babilonia. Non vuole contaminarsi con i cibi dei pagani. Chiede di essere mezzo alla prova con i suoi compagni per una settimana, mangiando solo legumi e altri cibi consentiti. La prova è superata. Il Signore ha reso i loro visi più belli di ogni altro viso. Daniele ha obbedito al Signore. Il Signore si manifesta in Daniele. Questa ancora è manifestazione personale. Serve per le grandi manifestazioni pubbliche. Essa serve a Daniele ai suoi compagni perché si rafforzino nell’obbedienza. Loro obbediscono e sono trovati più belli di ogni altro giovane. È il primo frutto.

L’anno terzo del regno di Ioiakìm, re di Giuda, Nabucodònosor, re di Babilonia, marciò su Gerusalemme e la cinse d’assedio. Il Signore diede Ioiakìm, re di Giuda, nelle sue mani, insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio, ed egli li trasportò nel paese di Sinar, nel tempio del suo dio, e li depositò nel tesoro del tempio del suo dio. Il re ordinò ad Asfenàz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti di stirpe regale o di famiglia nobile, senza difetti, di bell’aspetto, dotati di ogni sapienza, istruiti, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, e di insegnare loro la scrittura e la lingua dei Caldei. Il re assegnò loro una razione giornaliera delle sue vivande e del vino che egli beveva; dovevano essere educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re. Fra loro vi erano alcuni Giudei: Daniele, Anania, Misaele e Azaria.

Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con le vivande del re e con il vino dei suoi banchetti e chiese al capo dei funzionari di non obbligarlo a contaminarsi. Dio fece sì che Daniele incontrasse la benevolenza e la simpatia del capo dei funzionari. Però egli disse a Daniele: «Io temo che il re, mio signore, che ha stabilito quello che dovete mangiare e bere, trovi le vostre facce più magre di quelle degli altri giovani della vostra età e così mi rendereste responsabile davanti al re». Ma Daniele disse al custode, al quale il capo dei funzionari aveva affidato Daniele, Anania, Misaele e Azaria: «Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare verdure e da bere acqua, poi si confrontino, alla tua presenza, le nostre facce con quelle dei giovani che mangiano le vivande del re; quindi deciderai di fare con i tuoi servi come avrai constatato». Egli acconsentì e fece la prova per dieci giorni, al termine dei quali si vide che le loro facce erano più belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che mangiavano le vivande del re. Da allora in poi il sovrintendente fece togliere l’assegnazione delle vivande e del vino che bevevano, e diede loro soltanto verdure.

Dio concesse a questi quattro giovani di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza, e rese Daniele interprete di visioni e di sogni. Terminato il tempo, stabilito dal re, entro il quale i giovani dovevano essergli presentati, il capo dei funzionari li portò a Nabucodònosor. Il re parlò con loro, ma fra tutti non si trovò nessuno pari a Daniele, Anania, Misaele e Azaria, i quali rimasero al servizio del re; su qualunque argomento in fatto di sapienza e intelligenza il re li interrogasse, li trovava dieci volte superiori a tutti i maghi e indovini che c’erano in tutto il suo regno.

È questo il secondo frutto. Dio concede a Daniele e ai suoi compagni una conoscenza, una sapienza, una intelligenza superiore. Nessun mago né indovino di Babilonia regge la loro superiorità. Avviene come per i maghi d’Egitto. Dopo quel miracolo dovettero riconoscere la superiorità del Dio di Mosè. Daniele e i suoi compagni sono superiori ad ogni altro essere vivente che è nel regno di Babilonia. Poiché a quei tempi la superiorità degli uomini era superiorità degli dèi da essi adorati, il Dio di Daniele già si rivela come il Dio superiore ad ogni altro dio. Per noi è necessario sapere che tutto inizia dall’obbedienza più pura e santa alla Legge del Signore. Tutto è dall’obbedienza.

Madre di Dio, Angeli, Santi, disponete il cuore del cristiano ad ogni obbedienza.

Ma senza intervento di mano d’uomo

Dn 2,31-45; C Dn 3,57-61; Lc 21,5-11

26 NOVEMBRE

Possiamo comprendere il brano offerto dalla liturgia alla nostra meditazione e riflessione, se conosciamo gli antefatti. Il re fa un sogno. Rimane sconvolto. Non ricorda nulla. Vuole ricordare. Convoca tutti i maghi e gli indovini del suo regno. Chiede loro che gli rivelino il sogno e che gli diano anche l’interpretazione. Ecco le risposte dei Caldei al re che esigeva l’una e l’altra cosa, sogno e interpretazione. Anche Daniele interviene. Chiede però del tempo. Lui avrebbe pregato il suo Dio.

«O re, vivi per sempre. Racconta il sogno ai tuoi servi e noi te ne daremo la spiegazione». «Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione». «Non c’è nessuno al mondo che possa soddisfare la richiesta del re: difatti nessun re, per quanto potente e grande, ha mai domandato una cosa simile a un mago, indovino o Caldeo. La richiesta del re è tanto difficile, che nessuno ne può dare al re la risposta, se non gli dèi la cui dimora non è tra gli uomini». Allora il re andò su tutte le furie e, acceso di furore, ordinò che tutti i saggi di Babilonia fossero messi a morte. Il decreto fu pubblicato e già i saggi venivano uccisi; anche Daniele e i suoi compagni erano ricercati per essere messi a morte. Ma Daniele rivolse parole piene di saggezza e di prudenza ad Ariòc, capo delle guardie del re, che stava per uccidere i saggi di Babilonia, e disse ad Ariòc, ufficiale del re: «Perché il re ha emanato un decreto così severo?». Ariòc ne spiegò il motivo a Daniele. Egli allora entrò dal re e pregò che gli si concedesse tempo: egli avrebbe dato la spiegazione del sogno al re. Poi Daniele andò a casa e narrò la cosa ai suoi compagni, Anania, Misaele e Azaria, affinché implorassero misericordia dal Dio del cielo riguardo a questo mistero, perché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte insieme con tutti gli altri saggi di Babilonia. Allora il mistero fu svelato a Daniele in una visione notturna (Cfr. Dn 2,1-23).

Si passa dalla superiorità constata per esame, alla superiorità verificata dalla storia. Gli dèi dei pagani vengono così dichiarati vani. Non conoscono i misteri della vita.

Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d’uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via senza lasciare traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta la terra. Questo è il sogno: ora ne daremo la spiegazione al re. Tu, o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria. Dovunque si trovino figli dell’uomo, animali selvatici e uccelli del cielo, egli li ha dati nelle tue mani; tu li domini tutti: tu sei la testa d’oro. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la terra. Ci sarà poi un quarto regno, duro come il ferro: come il ferro spezza e frantuma tutto, così quel regno spezzerà e frantumerà tutto. Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte d’argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso, ma ci sarà in esso la durezza del ferro, poiché hai veduto il ferro unito all’argilla fangosa. Se le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte d’argilla, ciò significa che una parte del regno sarà forte e l’altra fragile. Il fatto d’aver visto il ferro mescolato all’argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni, ma non potranno diventare una cosa sola, come il ferro non si amalgama con l’argilla fangosa. Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre. Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte, non per intervento di una mano, e che ha stritolato il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il Dio grande ha fatto conoscere al re quello che avverrà da questo tempo in poi. Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione».

La verità del Dio di Daniele sta in quella pietra che una mano invisibile fa cadere dal monte e manda la statua in frantumi. Signore della storia è Dio. Ogni regno è suo. Della storia il Signore è anche il giudice. Quando Lui decide che per un regno è venuta la sua fine, per mano invisibile, senza nessun preavviso, la fine viene infallibilmente.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che per il cristiano si creda nella verità di Cristo.

Mene, Tekel, Peres

Dn 5,1-6.13-14.16-17.23-28; C Dn 3,62-67; Lc 21,12-19

27 NOVEMBRE

Nessuno pensi di poter agire come meglio gli pare. Soprattutto nessuno creda di poter insultare il Dio vivo e vero, il Signore dell’universo, Il vero Creatore dell’uomo. Sempre il Signore può intervenire nella storia e sempre può abbassare i superbi, mandare a mani vuote i ricchi, abbattere i potenti dai loro troni. Ormai purtroppo questa verità del nostro Dio è stata cancellata, dichiarata falsa, dai suoi stessi adoratori. La Scrittura Santa invece rivela che il giudizio di Dio nella storia è essenza della sua verità. Tutta l’Apocalisse di Giovanni Apostolo attesta che Cristo Gesù è il Signore della sua Chiesa e dell’intera storia degli uomini. Nelle sue mani è il libro sigillato della storia. Solo Lui apre i sette sigilli e solo Lui compie tutto ciò che è scritto nelle sue pagine. Che Dio sia il solo Signore, ogni uomo ogni giorno lo sperimenta. La vita è solo nella sua Parola. Si esce dalla sua Parola, si percorrono vie di morte. Nella Parola è la vera pace dell’uomo. Si disobbedisce alla Parola non c’è pace. La nostra storia è la più verace testimone della verità di ogni Parola che è uscita della bocca del Signore. Ma l’uomo nella stoltezza è cieco, sordo, muto, incapace di leggere i segni di tempi. Non appena lo Spirito del Signore illumina un poco la sua mente, sa che veramente il Signore è il Signore e nessun altro è Signore. L’uomo mai potrà dirsi Signore, anche se ogni giorno gioca a dichiararsi tale. Ma non lo è. Gli eventi gli sfuggono dalle mani. Tra la sua volontà, con la quale decide, e gli eventi non vi è alcuna corrispondenza.

Il re Baldassàr imbandì un grande banchetto a mille dei suoi dignitari e insieme con loro si diede a bere vino. Quando Baldassàr ebbe molto bevuto, comandò che fossero portati i vasi d’oro e d’argento che Nabucodònosor, suo padre, aveva asportato dal tempio di Gerusalemme, perché vi bevessero il re e i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine. Furono quindi portati i vasi d’oro, che erano stati asportati dal tempio di Dio a Gerusalemme, e il re, i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine li usarono per bere; mentre bevevano il vino, lodavano gli dèi d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra. In quel momento apparvero le dita di una mano d’uomo, che si misero a scrivere sull’intonaco della parete del palazzo reale, di fronte al candelabro, e il re vide il palmo di quella mano che scriveva. Allora il re cambiò colore: spaventosi pensieri lo assalirono, le giunture dei suoi fianchi si allentarono, i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro. Fu allora introdotto Daniele alla presenza del re ed egli gli disse: «Sei tu Daniele, un deportato dei Giudei, che il re, mio padre, ha portato qui dalla Giudea?

Ho inteso dire che tu possiedi lo spirito degli dèi santi e che si trova in te luce, intelligenza e sapienza straordinaria. Ora, mi è stato detto che tu sei esperto nel dare spiegazioni e risolvere questioni difficili. Se quindi potrai leggermi questa scrittura e darmene la spiegazione, tu sarai vestito di porpora, porterai al collo una collana d’oro e sarai terzo nel governo del regno». Daniele rispose al re: «Tieni pure i tuoi doni per te e da’ ad altri i tuoi regali: tuttavia io leggerò la scrittura al re e gliene darò la spiegazione. Anzi, ti sei innalzato contro il Signore del cielo e sono stati portati davanti a te i vasi del suo tempio e in essi avete bevuto tu, i tuoi dignitari, le tue mogli, le tue concubine: tu hai reso lode agli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno, di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. Da lui fu allora mandato il palmo di quella mano che ha tracciato quello scritto. E questo è lo scritto tracciato: Mene, Tekel, Peres, e questa ne è l’interpretazione: Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine; Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente; Peres: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani».

Baldassàr decide di insultare il Signore, profanando gli oggetti sacri del suo tempio santo. Il Signore trova che con quest’azione il re abbia superato il limite del male e con tempestività interviene. Così cambia la storia della terra, da un istante all’altro. Chi vuole che le sue azioni producano bene e non male, vita e non morte, deve stare molto attento a rimanere nella Legge, nella verità, nella giustizia. Quando invece l’uomo si lascia governare dai suoi istinti, alimentati dai suoi vizi, deve sapere che dal male mai ne potrà venire un bene, anzi il male genera sempre male. Dio però interviene e pone fine attraverso vie misteriose che solo Lui conosce. Lui solo è il Signore.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che i cristiani confessino tutta la verità del loro Dio.

Tre volte al giorno fa le sue preghiere

Dn 6,12-18; C Dn 3,69-74; Lc 21,20-28

28 NOVEMBRE

Daniele, con la sua sapienza capace di dare soluzione ad ogni enigma che a lui veniva presentato, mette in tutta evidenza la vana, inutile, fallace, assai debole sapienza di maghi e indovini. Finora nessuno di essi è stato capace di dare una sola spiegazione ai quesiti posti dal re. La loro invidia si trasforma in desiderio di morte. Ma come realizzare un tale progetto dal momento che Daniele era nelle grazie del re? Con la loro astuzia, facendo leva anche sulla superbia del re, lo inducono a firmare un decreto nel quale veniva stabilito che nessun altro Dio, al di fuori del re, doveva essere adorato in tutto il suo regno, pena la morte dei trasgressori. Il decreto una volta firmato non poteva essere più abrogato. La legge valeva per tutti, nessuno escluso.

Dario volle costituire nel suo regno centoventi sàtrapi e ripartirli per tutte le province. A capo dei sàtrapi mise tre funzionari, di cui uno fu Daniele, ai quali i sàtrapi dovevano rendere conto perché nessun danno ne soffrisse il re. Ora Daniele era superiore agli altri funzionari e ai sàtrapi, perché possedeva uno spirito straordinario, tanto che il re pensava di metterlo a capo di tutto il suo regno. Perciò tanto i funzionari che i sàtrapi cercavano di trovare qualche pretesto contro Daniele nell’amministrazione del regno. Ma non potendo trovare nessun motivo di accusa né colpa, perché egli era fedele e non aveva niente da farsi rimproverare, quegli uomini allora pensarono: «Non possiamo trovare altro pretesto per accusare Daniele, se non nella legge del suo Dio». Perciò quei funzionari e i sàtrapi si radunarono presso il re e gli dissero: «O re Dario, vivi in eterno! Tutti i funzionari del regno, i governatori, i sàtrapi, i ministri e i prefetti sono del parere che venga pubblicato un severo decreto del re secondo il quale chiunque, per la durata di trenta giorni, rivolga supplica a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni. Ora, o re, emana il decreto e fallo mettere per iscritto, perché sia immutabile, come sono le leggi di Media e di Persia, che sono irrevocabili» (Dn 6,1-10).

Può Daniele obbedire al decreto del re, rinnegando il suo Dio? Mai. Meglio la morte che rinnegare il Signore, il solo Dio vivo e vero, per avere salva la vita. D’altronde la vita è già del Signore. Se Lui ha permesso che vanga consegnata alla morte, alla morte andrà consegnata. Se poi Lui vuole attestare che Lui è il Signore anche dei leoni, allora la sua obbedienza gli renderà una gloria ancora più grande. Il vero adoratore del vero Dio deve sempre sapere che dalla sua obbedienza nascono due grandi glorie: una per il Signore e una per il suo adoratore. Dio è riconosciuto come vero Dio. L’adoratore come adoratore del Dio vero e non di un dio falso, vano, vuoto.

Allora quegli uomini accorsero e trovarono Daniele che stava pregando e supplicando il suo Dio. Subito si recarono dal re e gli dissero riguardo al suo decreto: «Non hai approvato un decreto che chiunque, per la durata di trenta giorni, rivolga supplica a qualsiasi dio o uomo all’infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni?». Il re rispose: «Sì. Il decreto è irrevocabile come lo sono le leggi dei Medi e dei Persiani». «Ebbene – replicarono al re –, Daniele, quel deportato dalla Giudea, non ha alcun rispetto né di te, o re, né del tuo decreto: tre volte al giorno fa le sue preghiere». Il re, all’udire queste parole, ne fu molto addolorato e si mise in animo di salvare Daniele e fino al tramonto del sole fece ogni sforzo per liberarlo. Ma quegli uomini si riunirono di nuovo presso il re e gli dissero: «Sappi, o re, che i Medi e i Persiani hanno per legge che qualunque decreto emanato dal re non può essere mutato». Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e lo si gettasse nella fossa dei leoni. Il re, rivolto a Daniele, gli disse: «Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!». Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa: il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi dignitari, perché niente fosse mutato riguardo a Daniele.

Ecco il frutto dell’obbedienza di Daniele. Il suo Dio va adorato come Dio di tutta la terra.

Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano tutta la terra: «Abbondi la vostra pace. Per mio comando viene promulgato questo decreto: In tutto l’impero a me soggetto si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che rimane in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo potere non avrà mai fine. Egli salva e libera, fa prodigi e miracoli in cielo e in terra: egli ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni». Questo Daniele fu in grande onore sotto il regno di Dario e il regno di Ciro il Persiano.

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che dalla nostra obbedienza nasca una grande gloria.

Uno simile a un figlio d’uomo

Dan 7,2-14; C Dn 3,75-81; Lc 21,29-33

29 NOVEMBRE

Nel cielo vi è un cambiamento di governo. L’Antico dei giorni, che è il Signore, il Creatore, l’Onnipotente, ha deciso di mettere il governo del cielo e della terra nelle mani di uno che è simile ad un figlio d’uomo, cioè nelle mani di un uomo. A quest’uomo viene data la gloria, l’onore, il potere, il regno che sono di Dio. A quest’uomo ogni popolo e lingua devono prestare il loro servizio. Gloria, regno, onore, potere sono eterni, mai verranno meno. Questa visione attesta che nel cielo e sulla terra avverrà un cambiamento di sovranità. L’Antico dei giorni rimane sempre il Sovrano dei sovrani, il Signore dei signori, ma ha deciso che il suo regno sia governato da uno simile ad un figlio d’uomo. È una visione unica nel suo genere. Finora tutto era saldo nelle mani dell’unico e solo vero Dio di tutta la terra. Nessun uomo avrebbe potuto solamente immaginare una simile cosa. Quanto Daniele vede è purissima rivelazione.

Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna, ed ecco, i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande e quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare. La prima era simile a un leone e aveva ali di aquila. Mentre io stavo guardando, le furono strappate le ali e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d’uomo. Poi ecco una seconda bestia, simile a un orso, la quale stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: «Su, divora molta carne». Dopo di questa, mentre stavo guardando, eccone un’altra simile a un leopardo, la quale aveva quattro ali d’uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro teste e le fu dato il potere. Dopo di questa, stavo ancora guardando nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia, spaventosa, terribile, d’una forza straordinaria, con grandi denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie precedenti e aveva dieci corna. Stavo osservando queste corna, quand’ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte: vidi che quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che proferiva parole arroganti.

Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti. Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine stabilito. Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

Viene Gesù. Lui sempre annunzia e rivela se stesso come il Figlio dell’uomo. Il potere, l’onore, la gloria, il regno non lo riceve mentre è in vita nel suo corpo mortale. Lo riceve invece dopo la sua gloriosa risurrezione. La croce diviene così la scala per salire fino all’Antico dei giorni, cioè presso il Padre. Un’altra visione conferma quella di Daniele: il libro sigillato è il mistero della storia e dell’eternità. Tutto ora è nelle mani di Gesù.

E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, e cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra». «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli» (Cfr. Ap 5,1-14).

Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che il cristiano sempre confessi la verità di Gesù.

L’ascolto riguarda la parola di Cristo

Rm 10,9-18; Sal 18; Mt 4,18-22

30 NOVEMBRE

La Parola della salvezza ha la sua sede eterna nel cuore del Padre. Da questa sede eterna essa deve sempre scaturire. Il Padre non solo la Parola, ma anche la vita eterna ha dato al Figlio suo incarnato. Ora sede eterna della Parola e della grazia della salvezza non solo è in Cristo, ma è lo stesso Cristo Gesù. La salvezza è per Lui, ma in Lui. È anche con Lui. Significa che fuori di Cristo nessuna salvezza sarà possibile.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio (Gv 3,16-18). Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita (Gv 5,36-40). Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui (Gv 3,31-36).

Cristo Gesù ha costituito amministratori dei suoi misteri e della sua Parola i suoi Apostoli. Dal Padre a Cristo, da Cristo agli apostoli. Il Padre manda Cristo, Cristo manda gli Apostoli. Se c’è separazione dagli Apostoli c’è separazione da Cristo, c’è separazione dal vero Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non c’è più vera salvezza, vera redenzione, vera edificazione del regno di Dio sulla nostra terra. Il mistero di Gesù deve essere annunziato dagli Apostoli e sempre in comunione gerarchica con essi, sempre. Il mandato apostolico è strettamente necessario. Esso però differisce da sacramento a sacramento. Altro è il mandato battesimale, altro quello che nasce dalla cresima e così dicasi per diaconi, presbiteri, vescovi. Mandato speciale è quello che Gesù ha affidato a Pietro. Lui deve pascere pecore e agnelli.

Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato? Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo. Ora io dico: forse non hanno udito? Tutt’altro: Per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino agli estremi confini del mondo le loro parole.

Non è l’annunzio della Parola che salva, ma l’annunzio della Parola degli Apostoli. Dove il mandato apostolico non esiste più per interruzione nella comunione gerarchica o perché non è mai esistito, anche se si annunzia la Parola della Scrittura, quella Parola non è di vera salvezza, perché non scaturisce dal cuore di Cristo per mezzo del cuore degli Apostoli e di quanti sono vitalmente legati al loro cuore. Chi si separa dalla comunione apostolica, è già fuori della Parola. Non solo è anche fuori della grazia, fuori della verità. La Parola della Scrittura diviene Parola di salvezza per il cuore apostolico.

Madre di Dio, Angeli, Santi, dateci una purissima fede nel vero mandato apostolico.