Intervento di S.Em. Card. Carlo Caffarra al secondo convegno
S.Em.Card. CARLO CAFFARRA
Arcivescovo Metropolita di Bologna
Se uno è in Cristo è una nuova creatura (2 Cor 5,17)
“Se uno è in Cristo, è una nuova creatura”
[Catechesi al Movimento Apostolico: Catanzaro: 14-03-07]
Card. Carlo Caffarra
Vorrei iniziare questo nostro incontro ascoltando la voce di uno dei più radicali nichilisti del nostro tempo e nello stesso tempo testimone del bisogno che l’uomo oggi ha di incontrare Gesù, L. Pirandello.
Egli ha scritto una novella di struggente bellezza, struggente per il bisogno dell’incontro che questa pagina esprime: Ciaula scopre la luna. La vicenda è nota: Ciaula è più un animale che un uomo, costretto come è a lavorare sempre, spesso anche di notte, nella miniera. Ma una notte, distrutto dalla fatica, era appena sbucato dal buio della miniera: “Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle… Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna… Estatico cadde a sedere sul suo carico… E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva… per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore” [Novelle per un anno, volume secondo – tomo I, Mondadori ed. Milano 1996, pag. 463-464].
Ed ora poniamoci all’ascolto di S. Paolo: «E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» [2Cor 4,6].
L’ateo Pirandello si incontra coll’apostolo Paolo: l’uomo ha bisogno di luce, altrimenti è costretto a vivere come Ciaula lavorando penosamente dentro una tana. E poiché ne ha bisogno, ciascuno di noi desidera profondamente essere illuminato; desidera di poter vedere la realtà nella sua bellezza, nella sua bontà, nella sua verità.
1. Ciascuno di noi può trovarsi in tre diverse condizioni, che ora cercherò di descrivere.
– Vorrei descrivere la prima condizione con una parabola. Immaginate di viaggiare in treno e che a causa di un guasto si sia fermato. Ma ciò è accaduto in una lunga galleria, in un punto in cui non si vede più la luce dell’inizio e non si vede ancora la luce della fine. Un viaggiatore vi dice: “non vi preoccupate; intanto possiamo passare qualche ora assieme; possiamo parlare di ciò che ci interessa maggiormente; possiamo anche inventare qualche gioco che ci diverta: non ci accorgeremo neppure alla fine di essere fermi in una galleria” -.
Ora cercherò di spiegarvi questa breve parabola. Ad una riflessione attenta e pacata, ci rendiamo conto che i quesiti fondamentali della vita sono due: da dove vengo? verso dove vado? Se uno vi rispondesse: “tu, come ogni persona umana, vieni dal caso; esisti cioè per caso; sei un incidente fortuito, casuale dell’evoluzione della materia”. Se alla seconda domanda poi vi rispondesse: “tu, come ogni persona umana, non sei in possesso di una vita sensata, orientata cioè ad uno scopo ultimo: sei in cammino, ma senza un traguardo finale: un vagabondo, non un pellegrino”.
Se tu ti convincessi che questa è la verità, sulla tua vita, la parabola del treno esprimerebbe perfettamente la tua condizione esistenziale: buio alle spalle; buio davanti. Qualcuno ha vissuto tragicamente questa condizione; altri, hanno cercato di vivere comunque con gli altri nel modo migliore l’attimo di luce fra le due notti. Oggi purtroppo si sceglie spesso la soluzione peggiore: non pensare troppo; soprattutto non porre quelle due domande; e vivere come a ciascuno pare e piace, nella misura del possibile.
– La seconda condizione è narrata stupendamente nella novella di Pirandello. Invece che in un treno fermo sotto una galleria, Ciaula vive nel buio di una miniera perché lavora faticosamente. E la vita è in larga misura fatica e lavoro. Ma Ciaula, l’uomo, può “sbucare all’aperto” e rimanere “sbalordito”: è lo “sbalordimento” di fronte alla bellezza dell’essere. Voi provate questo quando per esempio vi siete resi conto per la prima volta che un/a ragazzo/a vi amava; quando vi siete trovati di fronte alla bellezza di spettacoli naturali. Quanto maggiore è la possibilità di conoscere, quanto più vaste e dettagliate sono le conoscenze dei processi della vita, tanto maggiore è – o almeno dovrebbe essere – lo stupore. Ciaula è ancora nel buio, nella notte, ma la sua notte è «ora piena del suo stupore».
Anche voi potete essere in questa situazione; o forse conoscete amici vostri che vi si trovano. Può essere l’inizio di un cammino.
– La terza condizione è quella suggerita da S. Paolo. Anche l’Apostolo parla di tenebre. Ma la notte in cui si trova l’Apostolo è all’improvviso illuminata da una luce, potremmo dire, esterna e da una luce interna. La luce esterna è il volto di Cristo, il sole che illumina la notte; la luce interna rifulge nel cuore. Si dà come una sorta di riverbero: il sole che è il volto di Gesù illumina il cuore della persona.
Che cosa significhi questa “illuminazione” cercherò di spiegarlo con due “brevi narrazioni, una evangelica ed una contemporanea”.
La narrazione evangelica. Ricordate tutti l’incontro di Zaccheo con Gesù. Zaccheo desiderava vedere Gesù: curiosità? Stupore e meraviglia per ciò che sentiva dire? Egli comunque “desiderava”. E si sente fare una proposta incredibile: cenare insieme con Gesù; stare a tavola con Lui. È durante quella compagnia che Zaccheo esce dalla “galleria”: il suo cuore è illuminato. Vede la possibilità di una nuova esistenza: non più basata sul possesso ma sul dono. Ha visto Cristo; è stato con Lui: è stato rigenerato nella sua umanità. Le radici della sua persona e della sua esistenza sono state trapiantate in un nuovo terreno: è diventato “figlio di Abramo”. Le promesse di beatitudine fatte da Dio all’uomo sono ora sue: sono fatte anche a lui.
La narrazione contemporanea. Il 14 settembre 1946 una suora professoressa di lingua e letteratura inglese stava accompagnando in treno alcune ragazze al noviziato della sua Congregazione religiosa situato in una piccola città indiana. Ad un certo momento la suora vide non fisicamente ma spiritualmente una folla innumerevole di poveri e di disperati e sentì dentro di sé il grido di Gesù sulla Croce: «ho sete». Ella vide in ciascuno di quei disperati Cristo sulla Croce che chiedeva di essere saziato sia materialmente sia spiritualmente: fame di pane e di amore: sete di acqua e di affetto. E «si arrese». In quel momento “nacque” madre Teresa di Calcutta.
Il sole che è il volto sfigurato di Cristo nei poveri, illumina il cuore di quella donna, nel senso che le fa vedere la vocazione, il significato della sua vita: “vivo per dissetare Gesù nei poveri”.
Vi ho descritto le tre condizioni in cui una persona può trovarsi: dentro un treno sotto una galleria, avendo buio alle spalle e buio davanti a sé; sbucati dal buio di una miniera in una notte, ma piena di stupore e con il carico non più sulle spalle; illuminati dalla luce che splende nel volto di Cristo, la quale ci fa vedere da dove veniamo e verso dove andiamo.
Pascal dice tutto questo quando scrive che ci sono tre classi di uomini. Coloro che cercano ed hanno trovato; coloro che cercano e non hanno ancora trovato; coloro che né cercano né trovano.
2. A questo punto potete capire il significato esistenziale dell’affermazione paolina: «se uno è in Cristo è una nuova creatura».
Chi è in Cristo? il viaggiatore del treno guasto in galleria, Ciaula, Zaccheo – madre Teresa? Sono sicuro che avete già risposto: in nessuna maniera il viaggiatore [«è in Cristo»]; Ciaula è in cammino per diventarlo; Zaccheo – madre Teresa “sono in Cristo”. Non mi ripeto. Ma richiamo subito la vostra attenzione su ciò che accade a chi “è in Cristo”: diventa una nuova creatura.
Vorrei fermarmi brevemente su questa rigenerazione, e così concludere la nostra catechesi.
Questa novità riguarda le radici stesse della nostra esistenza. E quali sono le radici della nostra vita? Che cosa cioè nutre il nostro quotidiano esistere: ciò che ci fa lavorare o studiare, che ci fa prendere moglie/marito, che ci fa desiderare e pensare? Come ha visto bene Agostino: è il desiderio di beatitudine, di pienezza di essere. Le nostre scelte sono sempre in vista di un bene particolare; ma alla fine ciascuna di esse si inscrive e si radica nel desiderio di un bene che sia tale da dare piena soddisfazione alla nostra fame e sete di beatitudine, al nostro sconfinato desiderio di verità, di bontà, di bellezza. Solo una cultura disumana e superficiale come la nostra poteva tentare di estenuare nell’uomo questo suo desiderio, insegnandogli che è possibile ben navigare anche se si naviga sempre a vista senza avere nessun porto a cui dirigersi; che è possibile ben camminare anche senza sapere dove andare.
L’incontro con Cristo pesca in questa profondità dell’essere: Cristo è «sentito» come la risposta vera e totale al proprio desiderio illimitato di beatitudine: «mio Signore e mio tutto» [pregava S. Francesco]. Zaccheo ha capito che non nel denaro, ottenuto con tutti i mezzi, era la risposta al suo desiderio, ma la risposta era Lui, lo “stare a tavola” con Lui. Madre Teresa ha capito che la vita vale nella misura in cui è donata.
Ho parlato di “radici” del nostro essere, della nostra persona. Di radici che pescano nella persona di Cristo, che si impiantano in Lui. Vorrei fermarmi ancora un momento su questo punto richiamando la vostra attenzione all’esperienza di S. Agostino.
Egli era cresciuto nella fede cristiana. Ci confida che fin da bambino era segnato dalla madre Monica con segno della croce: «di tutte queste cose ero certo». Tuttavia aggiunge: «eppure ero totalmente incapace di godere di te» [Conf. VII, 20,26]. Uno può sapere tutto di una persona, ma non goderne: non godere della sua presenza, della sua compagnia. Si può vivere una dedizione alla “causa” cristiana, ma non essere attratti dalla bellezza di Cristo ed affascinati dal suo volto. La dedizione non è l’attrazione.
Ecco che cosa intendo dire quando dico che siamo rinnovati nella radice della nostra persona. Uso ancora un’espressione agostiniana: «amata est foeda ne remaneret foeda» [È stata amata quando era brutta, ma perché non rimanesse brutta] (En. in ps. 44,3). Siamo attratti da un Amore che ci trasforma; da una Bellezza che ci rende belli. Dice stupendamente Agostino: «evertit foeditatem, formavit pulchritudinem».
Rinnovati alla radice del nostro vivere, lo siamo di conseguenza anche nei due dinamismi spirituali fondamentali della nostra persona: l’intelligenza e la libertà.
A livello di intelligenza, è soprattutto il testo paolino citato all’inizio ad illuminarci. Sarebbe necessario fare un lungo discorso per comprendere che cosa accade nell’intelligenza della persona che incontra Cristo, che «è in Cristo». Mi limito ad una sola riflessione.
L’incontro con Cristo mette in moto la tua intelligenza perché tu vuoi sapere la verità e il valore di ciò che è e di ciò che fai alla luce di Cristo. Ti chiedi: che cosa è l’amore umano? Quale è il valore della sofferenza? E così via. Chi «è in Cristo» cerca colla sua ragione la risposta nella luce di Cristo, nella luce della Sapienza stessa di Dio. Ecco perché la ragione del credente è spinta ad esercitarsi al massimo, senza precludersi nulla. Nasce una nuova cultura.
A livello di libertà, è soprattutto la pagina evangelica che narra la storia di Zaccheo ad illuminarci. Anche su questo sarebbe necessario un lungo discorso, perché penetriamo nella chiave di volta di ogni umana esistenza: l’idea e l’esperienza che ciascuno ha della propria libertà. Mi limito ad una sola riflessione.
Zaccheo ha radicalmente cambiato il suo modo di essere libero: dal possesso al dono. Tutto qui! La sua libertà è stata liberata, perché è stata resa capace di amare. Ha acquistato la libertà del dono. Nasce l’amore e l’amicizia. E Paolo con Giovanni dirà che questo è tutto.
Ma c’è qualcosa d’altro nella vita di chi incontra Cristo: colui che incontra Cristo, non può tacere. Paolo percorre quasi tutto l’impero romano per annunciare Cristo; Madre Teresa diventa la pura testimone dell’amore. Non si può tacere!
Conclusione
Mi piace concludere con l’insegnamento di un bambino ed ancora di S. Agostino.
Durante una recente visita pastorale ho tenuto una catechesi ai bambini sul tema della fede, dell’incontro con Gesù. Ad un certo punto un bambino di seconda elementare mi disse: «ma come faccio ad incontrare un morto?». Si alzò una bambina: «ma Gesù è morto, ma poi è risorto ed è presente in mezzo a noi».
Ed ora S. Agostino: «Volevo essere considerato sapiente, ma pieno della mia tristezza non piangevo» [VII, 20,26]. Possiamo conoscere tutta la dottrina cristiana, ma questo non basta perché il cuore sia commosso da una presenza, dall’esperienza di una persona che ti ama.
La Chiesa esiste per rendere possibile l’incontro di ogni uomo con Cristo; per rendere possibile ad ogni uomo di essere in Lui. Esiste perché ogni uomo possa piangere di commozione di fronte a Cristo: «habet et laetitia lacrimas suas» [S. Ambrogio, De excessu fra tris sui Satyri I.10].