Intervento di S.Ecc.Rev.ma Mons. SALVATORE NUNNARI al terzo convegno
S.Ecc.Rev.ma Mons. SALVATORE NUNNARI
Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano
La speranza porta della Chiesa
Natura della Speranza
Voglio iniziare questa nostra conversazione con alcune suggestioni letterarie di grandissima potenza evocativa.
“Dove, sei, Speranza?”. E’ la domanda nella lirica Alla Speranza di Holderlin che già aveva contrapposto nel romanzo Hyperion la leggerezza della speranza, che è sogno, alla pesantezza del ragionare, che è come camminare a fatica “Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette”. In questa lirica, la speranza appare lieta, vicina ai miseri mortali come ai potenti del cielo. Il cuore dell’uomo è ormai senza canto e intirizzito. Eppure la valle è verde, l’acqua fresca, i fiori si schiudono, la vita nel bosco continua invisibile e le stelle sbocciano gioiose. Discende la Speranza dai giardini del Padre come spirito Terrestre anche nella forma dello spavento, desiderato perché il cuore resti spaventato dalla speranza, beneficamente spaventato. Leggiamola assieme:
“O Speranza! O gentile! O tu benefica!
Che non disdegni la casa dei miseri!
Nobile! Tu che t’adopri lieta
Tra i mortali e i potenti del cielo.
Dove sei? Poco io vissi, ma il mio vespero
Già spira freddo. E già qui sono, simile
all’ ombra e il cuore senza canto
intirizzito mi dorme nel petto.
Là nella verde valle ove continua
fresca dal monte la sorgente mormora,
e il dolce colchico si schiude
nel di autunnale, io voglio in silenzio
cercarti, oppure nel bosco dove invisibile
la vita, al mezzo della notte, fluttua,
e sopra me brillano i fiori
sempre giocondi, le stelle sbocciate.
o tu, figlia dell’ etere, appari a me,
dai giardini del Padre!
Scendi spirito terrestre; o, se non puoi, con altra
forma, spaventa, spaventa il mi cuore!”
E ancora:
“Cio che mi sorprende, dice Dio, è la speranza; o incredibile. Questa piccola speranza che sembra non avere alcuna consistenza. Questa ragazzina speranza. Immortale” (Peguy).
“La speranza è un atto di fede” (Proust). “La speranza è la più grande e la più difficile vittoria che un possa riportare nella propria anima” (Bernanos, La libertà per che cosa?).
Proprio così. “Cristo nostra speranza” (1 Tim 1,1). La presenza di Cristo nella vita dei credenti è un vero e proprio mistero che però Dio ha voluto rivelare. Il mistero stesso rivelato da Dio è l’oggetto della speranza dei cristiani. All’origine della speranza cristiana vi è quindi un atto libero e gratuito dell’amore di Dio; esso consiste nella chiamata alla salvezza mediante la partecipazione alla sua stessa vita.
La speranza, quindi, nella prospettiva cristiana non nasce dall’uomo, ma è una chiamata gratuita che parte dalla Rivelazione di Dio. E’ qui che si percepisce la novità della nostra concezione e si compie il discernimento riguardo ogni altra forma di speranza che appartiene all’umanità come sforzo solo umano di tendere verso il futuro. La speranza cristiana, infatti, si distingue dalle speranze umane o utopie (progresso, comunismo, socialismo) per origine e oggetto dello sperare. Quanto all’ origine, essa non si fonda su una filosofia o su di una ideologia, né sulla volontà dell’uomo, ma affonda le
sue ragioni direttamente in quel “Dio della speranza” (Rm 15,13).
Riguardo all’ oggetto, poi, : essa non si esaurisce nel tempo umano; al contrario, come spiega Paolo VI, ha come fine la “salvezza, dono grande di Dio, che non solo è liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo, ma è soprattutto liberazione dal peccato e dal Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui” (Evangelii nuntiandi, n. 9).
In altre parole, quella cristiana è una speranza meta-temporale e sovrumana che propone all’uomo un destino soprannaturale; è una speranza trascendente che comincia a realizzarsi qui e ora. Tuttavia, non rimane confinata nell’orizzonte temporale, ma è “annuncio profetico di un al di là, vocazione
profonda e definitiva dell’uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente” (Evangelii nuntiandi , n. 28).
In questo senso, qualsiasi lettura ideologica della speranza cristiana ( si pensi a cosa è avvenuto con la teologia della liberazione) o pseudo-sociale equivale ad una sua adulterazione e snaturalizzazione. Allo stesso tempo, però, ciò non vuol dire che essa è aliena dalla vita presente, anzi, i figli di Dio devono impegnarsi, ciascuno secondo la propria vocazione, a realizzare in questo
mondo il Regno di Dio attraverso la testimonianza dell’ amore donato. Ecco allora ciò che i cristiani devono raggiungere: la consapevolezza di un equilibrio tra storia e trascendenza o meglio, di una storia vissuta con gli occhi del trascendente e del già e non ancora.
La speranza non è una dimenticanza della vita. Al contrario, è uno sguardo nuovo su tutto, che nasce dalla fede. Sperare è imparare a vedere ciò che è veramente amabile e desiderabile dentro l’apparente banalità quotidiana, perfino dentro le contraddizioni.
Il futuro che attende coloro che oggi sperano e credono, non solo compenserà il presente ma, soprattutto, lo supererà nell’intensità della felicità. Il dramma è sopravvivere e non progettare più, smarrire il senso della nostra diaconia della speranza, non una speranza solo per noi, ma per tutti. Giovanni Paolo II nella “Nuovo millennio ineunte” ci esortava “andiamo avanti con speranza”. Mentre S. Bernardo diceva ai suoi monaci: “Chi non va avanti, va sicuramente indietro”.
Sperare, infatti, è intravvedere nel presente il futuro di ogni cosa e andare avanti. Ma chi ci garantisce tutto ciò? E’ Dio la nostra garanzia e la sua Resurrezione ne è il segno tangibile.
Ma quale è, allora, la carta di identità della speranza cristiana? Per rispondere a questa domanda possiamo far riferimento alla meravigliosa enciclica del Santo Padre Benedetto XVI SPE SAL VI, che rappresenta una grande lezione di teologia e di testimonianza di fede vissuta.La speranza è prima di tutto non individualista, ma comunitaria, come comunitaria è la vita cristiana. Dopo un lungo viaggio, soprattutto nella storia moderna, in cui il Papa spiega che ogni speranza centrata esclusivamente sull’uomo e sulle sue conquiste tecnologiche è una speranza vana che sarà delusa. La vera Speranza, invece, quella che salva veramente, è un dono gratuito della fede che viene fatto direttamente da Dio attraverso il figlio Gesù.
La ragione non può sovrastare, come sostenevano alcuni filosofi moderni ed alcune correnti ideologiche, la Spes. “L’uomo non è in grado di salvarsi da solo senza un intervento che vada oltre se stesso … senza una Speranza che superi le sue speranze terrene, poiché queste ultime sono tali che una volta raggiunte, sono già superate e non riescono a permeare di quella gioia che può venire solo dall’Eterno”. Il carattere comunitario della Speranza si spiega con il suo essere intimamente in comunione con Gesù ed attraverso di Lui con tutti i fratelli.
L’enciclica, poi, si conclude con la descrizione dei Luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza. Questo significa che “il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. nuova”.
“Giungere a conoscere Dio, il vero Dio, questo significa ricevere speranza”. Questo lo comprendevano bene i primi cristiani, come gli Efesini, che prima di incontrare Cristo avevano molti dèi ma vivevano senza speranza e senza Dio. Ma le nostre comunità spesso vivono un rischio mortale: quello dell’ assuefazione e dell’ abitudine. Per coloro che mancano di slancio e freschezza, dice il Papa, la speranza “che proviene dall’incontro reale con … Dio, quasi non è più percepibile”. Infatti, possiamo affermare che la stessa crisi della fede è in ultima analisi “una crisi della speranza cristiana”. L’uomo contemporaneo cioè perde la fede quando smette di sperare e cade nell’angoscia e nella disperazione. Ma è proprio quando tutto sembra perso e insensato che la fede può sollevarci “con ali d’aquila” e riportarci alla vita. Ai giovani, spesso domando “Cosa speri?” e non “Cosa credi?”.
Rispetto alla mentalità moderna, occorre da un lato mettere in discussione i suoi miti (progresso sganciato dalla morale, assolutizzazione della ragione, della libertà e della scienza) ma dall’ altro apprezzare ciò che di buono ha portato nel mondo. L’orizzonte è quello più volte ribadito da Benedetto XVI:
da un lato la fede-speranza non è fanatismo, ma deve essere mantenuto in stretta relazione con la razionalità, dall’altro la ragione umana va liberata dal confinamento all’ambito dello sperimentale e del calcolabile e allargata alla dimensione della fede, del mistero, della speranza: la speranza per la ragione è una ragione che fa posto alla speranza.
Per l’epoca tecnologica, infatti, “La restaurazione del paradiso perduto, non si attende più dalla fede” ma dal progresso tecnico-scientifico, da cui, si pensa erroneamente, potrà emergere “il regno dell’uomo”. La speranza diventa così “fede nel progresso” fondata su due colonne: la ragione e la libertà che “sembrano garantire da sé, in virtù della loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta”.
Al contrario, “la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo” affinché “il mondo diventi un po’ più luminoso e umano”. E solo se so che “la mia vita personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile dell’amore” io “posso sempre ancora sperare anche se … non ho più niente da sperare”.
L’uomo della speranza è definito da Paolo “spe erectus” (Rm. 12,12). Si tratta, cioè, di un uomo che cammina diritto, non con la testa bassa, sconsolato, ripiegato su se stesso e isolato.
Gli ambiti della speranza nella Spe salvi
Dove possiamo imparare la speranza, in quali luoghi possiamo assaporarne tutta la sua forza? L’enciclica individua tre ambiti di apprendimento: la preghiera, l’agire e il soffrire, il giudizio. La preghiera è dimensione
essenziale dell’uomo aperto alla speranza: essa «è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio» (p.64). Inoltre, ” la preghiera è la lingua della speranza” (Ratzinger). La speranza, cioè, si radica e si realizza proprio nella nostra vita come domanda e invocazine. Nella preghiera diventiamo capaci di comprendere il cammino su cui lo Spirito di Dio ci vuole condurre. Lo stesso Spirito che fa accadere ciò che accade, ci insegna a discernere ciò che Cristo ci chiede. Ciò che conta allora non è sforzarci di distinguere tra i nostri pensieri e sentimenti ciò che Dio ci suggerisce, ma imparare ad ascoltare lo Spirito, ad avere su ciò che accade lo stesso sguardo di Cristo. Gesù ci fa entrare a poco a poco in questo sguardo nuovo se noi glielo domandiamo con vero desiderio. Occorre che la nostra preghiera porti dentro di sé tutta la nostra storia e sia davvero il nostro grido davanti a Dio.
Prima di riflettere brevemente su gli altri due ambiti proposti dal Papa, vorrei soffermarmi ampliando il discorso sulla preghiera, in particolare riguardo alla dinamica sacramentaria che è la fonte della speranza cristiana. Dio non si è accontentato di essere un uomo, ma ha voluto essere me e fare in modo che io diventi lui. Non solo cioè, mi chiama a sé, ma entra nella mia vita identificandola con la sua. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” dice Paolo nella “Lettera ai Galati”, e ai Filippesi “per me vivere è Cristo”.
A cominciare dal battesimo, attraverso tutto ciò che nasce e ne è la fioritura, Cristo entra in noi per trasformarci a poco a poco. Colui che ci attrae non rimane fuori di noi, ma entra in noi mediante il suo Spirito. Cristo prende dimora nella nostra persona attraverso il dono dei Sacramenti: dopo il battesimo, l’eucarestia che ne è lo sviluppo culminante, la penitenza ( ad essa strettamente legata), i sacramenti del matrimonio e dell’ ordine sacro, i quali caratterizzano la vita adulta e la vocazione particolare di ciascuno.
Anche il soffrire quindi è luogo di apprendimento della speranza nella consapevolezza, tuttavia, che eliminare il potere del male, della colpa “potrebbe realizzarlo solo Dio: solo Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. “A ve Crux spes unica”.
Sappiamo, cioè, che questo Dio c’è, perciò tale potere “toglie il peccato dal mondo” (Gv. 1,29) è presente nel mondo. (Spe salvi:36).
“Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare, di trovare un senso mediante l’unione con Cristo che ha sofferto per infinito amore” (n.37).
“La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e il sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata interiormente è una società crudele e disumana. (n.38). Dio rivela il su Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo, abbandonato da Dio prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza. Dio c’è e Dio sa creare la giustizia in un mondo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Si, esiste la risurrezione della carne, esiste una giustizia. Esiste la revoca della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto” (n.43).
Perciò il Giudizio non può essere il volto della minaccia o della paura, e anzi, la fede nel Giudizio diventa fede nella speranza.
“Per questo la fede, -scrive ancora Benedetto XVI – , nel Giudizio finale è innanzi tutto e soprattutto speranza, quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli.
Infatti, “un mondo che si deve creare da sé la giustizia è un mondo senza speranza” (p.8I). Un mondo invece che confida in una giustizia finale può sperare e attivare una piena responsabilità per l’agire presente e asciugare le lacrime di coloro che soffrono perché alla fine Dio darà a ciascuno secondo i propri meriti e secondo la misericordia. In Dio non c’è delusione; tutto passa solo Dio e la speranza di vederlo faccia a faccia resta.
La speranza narrata al mondo
Viviamo un momento importante della storia. I grandi cambiamenti che sono sotto i nostri occhi coinvolgono in modo particolare la mutazione dei paradigmi di pensiero che dall’antichità ai nostri giorni si sono sviluppati in maniera dinamica, ma coerente. Assistiamo a una sostanziale modificazione dei concetti basilari della cultura quali quello di natura-mondo, uomo-dio, spazio-infinito, tempo-eternità, libertà-verità, diritto-giustizia … solo per fare alcuni esempi. Il pluralismo, il relativismo e spesso l’indifferenza nella nostra società, impone a noi credenti una riflessione che si faccia carico non solo di chiarificare i concetti e le ragioni della nostra speranza, ma anche di codificare nuovi linguaggi che esprimano con coerenza i contenuti di sempre e ne supportino la testimonianza. La ricchezza della tradizione cristiana, il suo messaggio e la missione che Dio stesso ha affidato ai presbiteri e a ciascun battezzato ci impone di parlare al mondo di ciò che speriamo. Una società che volesse escludere il cristianesimo sarebbe per ciò stesso destinata alla disperazione. Non avrebbe in sé, infatti, la forza creatrice e la linfa che fa dell’uomo un uomo vivo e non ripiegato sul suo breve tempo. Per questo motivo, coltivare la speranza vuol dire affidarsi a Lui nella consapevolezza che solo Lui ci darà vita piena.
Si deve rischiare sapendo però che, come scrive Charles Péguy nella composizione Il Portico del Mistero della seconda virtù: “Lui ha messo in mano nostra la sua speranza eterna e noi, peccatori non metteremo la nostra debole
speranza nelle sue eterne mani … Singolare virtù della speranza, singolare mistero, lei è una virtù in contropiede. Quando tutto scende solo lei risale”.
Conclusione
Mi piace concludere rivolgendo un pensiero a Maria, Madre della Speranza, “La Madre di Gesù … sulla terra brilla ora innanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore” Cfr. PT 3,10 (68).
Con un inno dell’ottavo-nono secolo, quindi scritto più di mille anni fa, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come “Stella del mare”. Ave, maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale metà? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza.
E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi Stella della Speranza? La domanda sulla speranza incrocia, dunque, la domanda su questa donna eccezionale e può ricercare proprio nella Donna il segno sicuro della speranza.
Grazie.