Intervento di S.Ecc. Mons. Giuseppe MARCIANTE al quarto convegno del Movimento Apostolico

Intervento di S. E. Mons. Giuseppe MARCIANTE
Vescovo Ausiliare della Diocesi di Roma
al quarto Convegno Nazionale del Movimento Apostolico
Sul tema:
“La missione evangelizzatrice del Movimento Apostolico e la nuova evangelizzazione”
Roma 2 Dicembre 2009 – Auditorium Conciliazione

Ho accettato di cuore l’invito anche per dire grazie al Movimento Apostolico, perché, veramente è stata una presenza forte, anche se silenziosa, umile e discreta nella mia Parrocchia di San Romano Martire, quindi non potevo non venire a questa assemblea e porgervi anche la mia parola, è il mio modo di dirgli stasera, grazie.
Movimento Apostolico, l’avete sentito, nasce per una ispirazione consegnata alla signora Maria Marino, alla fine degli anni settanta. Mi piace la parola ispirazione, non nel senso di un prodotto frutto di un’idea personale, ma nel senso di una ispirazione dello Spirito, che ha i connotati di una vocazione e di una missione.
La missione è di “ricordare il Vangelo di Gesù che il mondo ha dimenticato” e così aprire la via della salvezza attraverso la conversione. Mi piace far derivare la parola ricordare dal latino recordare derivato da cor, il cuore, perché per i Romani la memoria risiedeva nel cuore e quindi ricordare significa riportare al cuore. Io penso che il Vangelo solo attraverso il cuore, e poi vedremo in seguito il significato di questa parola, solo attraverso il cuore può trasformare la vita di una persona.

Nel Nuovo Testamento, spesso il ricordare è legato all’annunzio, alla testimonianza. Per noi discepoli di Gesù, la memoria è legata al dono dello Spirito Santo, il Consolatore. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. L’Apostolo Paolo esorta Timoteo a ricordare, rendendolo vivo il dono dello Spirito per non sentire vergogna della testimonianza da rendere al Signore. La missione quindi scatena un movimento. La definizione di questa missione come movimento, non pone soltanto un nuovo soggetto ecclesiale, ma esprime bene l’idea di una Chiesa in movimento per una nuova evangelizzazione. Il movimento poi è apostolico nel primo significato di mandato, inviato ad annunciare, ma anche nel senso di fondato nella dottrina degli Apostoli, quindi nella piena comunione ecclesiale con la successione apostolica con il Papa e i Vescovi.

Quando Monsignor Di Bruno, leggeva alcune date, quella del 3 novembre 1979, la nascita del Movimento Apostolico e quella del 1978, l’elezione di Papa Giovanni Paolo II, ho visto un legame, un disegno veramente straordinario. Ma prima di questo, l’8 dicembre 1975 Papa Paolo VI firmò l’esortazione apostolica “Evangeli nunzianti” per dare esito agli obiettivi del Vaticano II e che lo stesso Papa riassumeva nel compito di rendere la Chiesa più idonea ad annunziare il Vangelo all’umanità del XX secolo. Da qui, i rinnovati appelli di Giovanni Paolo II per una nuova evangelizzazione, nei paesi di antica cristianità, in modo particolare Europa e Americhe, toccati dall’indifferenza, dal secolarismo, dall’ateismo ecc.

La lettera apostolica “Nuovo Millennio Ineunte” del 6 gennaio 2001, possiamo considerarla la magna carta della nuova evangelizzazione. Nel n. 40 il Papa dice così: ho tante volte ripetuto in questi anni l’appello della nuova evangelizzazione, lo ribadisco ora, soprattutto, per indicare che occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dell’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste”. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “guai a me se non predicassi il Vangelo”. L’esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Europa” del 28 giugno del 2003, è una chiamata accorata esplicita a rievangelizzare il vecchio continente. Sentite questo grido del Papa “Chiesa in Europa, la nuova evangelizzazione è il compito che ti attende”.

In varie parti d’Europa c’è bisogno di un primo annuncio del Vangelo, perché cresce il numero di figli, di famiglie, di tradizioni cristiana, che non hanno ricevuto il battesimo e anche per la notevole presenza di altre religioni. Quindi accanto a una nuova evangelizzazione, bisognerebbe mettere oggi un primo annuncio del Vangelo. Ovunque, c’è bisogno di un rinnovato annuncio per chi è battezzato, è qui la nuova evangelizzazione. Tanti europei, dice al numero 47 Ecclesia in Europa, tanti europei contemporanei pensano di sapere che cos’è il cristianesimo, ma non lo conoscono realmente. Spesso, addirittura gli elementi, le stesse nozioni fondamentali della fede non sono più noti. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse, si ripetono i gesti e i segni della fede specialmente attraverso le pratiche di culto, ma ad essi non corrisponde una reale accoglienza del contenuto della fede e una adesione alla persona di Gesù.

Sta qui, secondo me, il cuore della nuova evangelizzazione, alle grandi certezze della fede è subentrato in molti un sentimento religioso vago o poco impegnativo, si diffondono varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico che concorrono ad aggravare il divario tra fede e vita. Diversi si sono lasciati contagiare dallo spirito di un umanesimo immanentistico che ne ha indebolito la fede, portandoli sovente, purtroppo, ad abbandonarla completamente.
Quest’abbandono oggi addirittura è militante, si assiste a una sorta di interpretazione secolaristica della fede cristiana che la erode e alla quale si collega una profonda crisi della coscienza, della pratica morale cristiana. Il Papa Benedetto XVI rilancia più volte nei suoi discorsi la nuova evangelizzazione, un tema ben conosciuto così come dimostra in un intervento tenuto quando era ancora Cardinale, Prefetto della congregazione della dottrina della fede, in occasione del convegno dei catechisti e docenti di religione, durante il grande giubileo, il 10 dicembre del 2000, su questo intervento tornerò più avanti.

Le tre Encicliche del Papa Benedetto XVI: Deus caritas est, Spe Salvi e Caritatis in veritate, sono un esempio di nuova evangelizzazione. Il Papa, infatti usa un metodo secondo me straordinario, che è il metodo della nuova evangelizzazione. Innanzitutto raccoglie le domande, raccoglie le critiche, le sviluppa nel contesto storico e culturale odierno, risponde con la proposta della fede ricordando la tradizione, le radici e direi soprattutto i testimoni. Benedetto XVI ci esorta soprattutto alla coerenza e ad una formazione permanente per un’autentica riforma della nostra vita, affinché la nuova evangelizzazione, non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà, interessante questo discorso fatto nell’udienza di Castel Gandolfo, il 19 agosto del 2009.
Vi propongo adesso una riflessione, contemplandoli come a dei discepoli di Emmaus, in cui possiamo cogliere uno stile dell’ evangelizzazione attenta alla persona. Mentre discorrevano e discutevano insieme, dice l’evangelista Luca, “Gesù in persona si accostò e camminava con loro, ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo e egli disse loro: che sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?, si fermarono col volto triste”.

Sull’esempio di Gesù è necessario sapere accostarsi agli uomini di oggi, camminare con loro e ascoltare ciò che c’è dentro il loro cuore. Il primo impegno secondo me della nuova evangelizzazione, non è subito dare risposte, ma ascoltare, sapere ascoltare le domande, dare attenzione all’altro. Un atteggiamento di ascolto, che vuol dire comprensione delle problematiche che una cultura si pone, significa anche non essere più estranei all’altro, alla sua cultura, ma portarsi dentro la vita, la problematica culturale, le gioie, le angosce degli altri, in questo modo nulla ci diventa estraneo, ma tutto ci appartiene .

Pensando al dialogo tra i due discepoli di Emmaus, mi sembra di riconoscere anche il dialogo dell’uomo chiamato postmoderno, dove in questo dialogo, si è smarrita soprattutto, non la pecorella, ma la persona. Mi sembra questo un tema chiave per entrare in un dialogo col mondo di oggi, per poter dare un nuovo messaggio, un nuovo annunzio. Infatti, in questo tempo, all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana, la Chiesa è chiamata a capire la crisi di questa modernità e a cogliere gli elementi di fondo, inserirsi nel travaglio della cosiddetta postmodernità . Siamo in un certo qual modo, stiamo assistendo allo spaesamento dell’uomo occidentale, un senso di profondo smarrimento sembra essersi impossessato dell’uomo soprattutto di quello europeo. Esso appare come un naufrago, completamente abbandonato ai frutti del presente, disorientato nei confronti del futuro. Lo smarrimento porta alla rinuncia della riflessione della stessa razionalità della reazione e soprattutto dell’assunzione di responsabilità. Cito a questo punto un critico dell’arte Anselm Admeier, il quale fa una analisi attraverso l’arte veramente interessante e vede l’arte come anticipatrice dei movimenti moderni della cultura, chiamando appunto questa possibilità una funzione profetica dell’arte. L’arte stessa ha una funzione profetica, nel senso che il nuovo nell’arte anticipa i cambiamenti culturali. Nell’arte anima di un’epoca, non si mette mai la maschera, essa infatti giunge fino al cuore della vita e ne rivela i misteri. L’arte si allontana dal centro, dice questo storico dell’arte. L’arte si allontana dall’uomo, dall’umanità, dalla giusta misura e i sintomi si registrano specialmente nel nuovo, nell’indirizzo offerto dal susseguirsi di nuovi temi dominanti e che trovano nel turbamento totale la loro diagnosi.

Vediamo cosa risulta turbato nell’arte. Risulta turbato il rapporto dell’uomo con Dio, il rapporto dell’uomo con se stesso, con il suo simile, con il tempo e infine con la sfera spirituale. Il nucleo più intimo di tale turbamento sta nella scissione tra Dio e l’uomo e nella proclamazione dell’uomo autonomo. Forse l’abbiamo sentita questa parabola, è molto antica, sotto certi aspetti, ma un’acuta analisi dello storico dice così: manca la mediazione fra di Dio e l’uomo, manca cioè la fede nell’uomo come immagine di Dio, senza la quale l’idea dell’uomo non può seguitare ad esistere. Il turbamento designato come perdita del centro può essere ricercato nella perdita del mediatore tra l’uomo e Dio. L’uomo chiudendosi verso l’alto si apre verso il tutto ma anche il tutto lo respinge come estraneo, anche la natura e la storia si sottraggono al suo dominio perché muoiono. La lotta contro la solitudine diventa l’inferno dell’uomo in cui riemergono i fantasmi delle sue angosce esistenziali e l’esito di questa lotta è l’atomizzazione dell’uomo che diventa sempre più un’isola.

L’argomento della crisi della modernità è oggi oggetto di dibattito, sia in campo teologico come in quello filosofico, sociologico, antropologico. Ognuna di queste discipline col metodo suo proprio, cerca di darne una interpretazione, nello stesso tempo ricerca le cause della crisi e tenta di prevederne gli eventuali sviluppi soprattutto dopo la caduta dei regimi forti e dell’ottimismo nei confronti della regione del progresso illimitato.
Il postmoderno non ha ancora la capacità di formulare nuovi contenuti e nuovi valori ma esprime sotto certi aspetti la consapevolezza dei limiti della modernità. Le crisi delle grandi ideologie, delle certezze culturali ha portato a dare un grande valore alla scienza e alla tecnica, ma anch’esse non sanno dare risposte chiare al bisogno di identità delle persone del loro smarrimento sociale ed etico. La tecnica oggi ha molti mezzi, ma non ha fini e questo il grande dramma, il grande problema. Il postmoderno viene definendosi come il generale depotenziamento della fede laica nell’universalità della ragione umana, il deperimento della metafisica del pensiero forte, la dissociazione tra sapere scientifico ed ogni altro sapere, la specializzazione spinta e il forte utilitarismo. L’uomo postmoderno non ha alcuna pretesa di scoprire valori assoluti ma si accontenta di effettuare un’accorata ermeneutica del presente la cui radice è il nulla e non l’essere, adeguandosi alla sua precarietà e proponendo soltanto teorie deboli mettendo in discussione la stessa soggettività umana. Sono le analisi, le idee che alcuni filosofi e oggi ribadiscono e ci dicono, pensate Liotardo, pensate per l’Italia a Vattimo.

Un altro filone esamina questa crisi della modernità attraverso un altro registro, la cosiddetta polimitia o il superamento del monoteismo. Che cos’è la polimitia? E’ la condizione della società in cui regna, non un monomito, ma molti miti in reciproca concorrenza. Un gioco competitivo che ha diversi piccoli racconti che si contrappongono ai cosiddetti grandi racconti della modernità, ripristinando un politeismo che è abbandono del moderno e del cristianesimo. E’ radicata la convinzione che più fedi fanno nessuna fede, più verità fanno nessuna verità, più giustizie sono l’anarchia. E’ il clima, possiamo dire culturale, che si respira ai nostri giorni, nei nostri tempi. Tutto questo si trasforma in intolleranza fino ad arrivare a un nuovo totalitarismo e qui, abbiamo a questo proposito, sono quanto mai chiare le parole del Cardinale Ratzinger nella Messa pro-eligendo romano pontifice dove dice: si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie. Si cerca di uscire da questa tentazione accettando la pluralità, i compromessi, le ragioni parziali, le spiegazioni provvisorie ricorrendo allo stesso principio della tolleranza, l’ordine ne costituisce un pericolo, il contrasto, una possibilità per l’esserci, perché solo la differenza è il contrasto sono in grado di preservare dalla realtà catastrofica del cosiddetto monismo. Capite bene, che siamo qui, possiamo dire nel pendolo di Fucol, quindi dalla assolutizzazione di questo monismo adesso questo polimitia atomizzata di cui ci parlano anche molti sociologi.

L’altro filone, è quello dell’uomo radicale e narcisista. L’individualismo radicale valorizza in modo esclusivo la sfera individuale privata a scapito della sfera sociale. L’io è completamente libero da vincoli morali e solo i sentimenti gli sono da guida per le azioni, l’io diventa atomizzato indifferente a tutto ciò che lo circonda e quindi incapace di impegno sociale e politico. Sta qui, possiamo dire alla base, la crisi del disimpegno politico, specialmente delle nuove generazioni. In particolare viene condannata come autoritaria e repressiva l’idea che l’amore significhi porre gli interessi degli altri al di sopra dei propri e viene svalutata la tesi che l’abnegazione e il sacrificio siano componenti centrali dell’amore. In questa visione, il concetto morale di valore, di sacrificio, risultano svuotati del contenuto effettivo.

Quindi possiamo dire che l’uomo radicale è un individuo e non una persona. L’io dell’antropologia radicale è un puro nudo ed esteriore essere, per sé senza coscienza dell’altro, in quanto essere per sé il soggetto radicale rende impossibile ogni forma di amore. Non si amano infatti persone, ma si ricercano piaceri nella negazione della natura comunionale dell’amore umano. La ricerca dell’altro come compagno di piacere, non rivela nulla, bensì conferma la stessa solitudine, la medesima solitudine. L’uomo radicale poi è autonomo, poiché invoca diritti e non ammette doveri, la libertà diventa la possibilità di soddisfare bisogni, desideri, passioni e tutto ciò è un bene che la società deve garantirgli. L’uomo radicale privatizza il concetto di felicità nella massimizzazione della soddisfazione del desiderio e qui trova alleata la cosiddetta società dei consumi. L’uomo radicale trova nel contratto e non nella legge l’unica possibilità del rapporto con l’altro dal momento che non riconosce un bene comune su quello individuale e la società radicale, si lotta per la realizzazione di tutti bisogni specialmente di quello sessuale, il più carico di significazione dei bisogni umani, nello stesso tempo si lotta per l’emancipazione del politico, del religioso il più ostile alla liberalizzazione del sesso. Nella cultura radicale manca la dimensione dell’amore e dell’alterità.

Anche la cultura del narcisismo è una cultura individualista. Vivere il presente e l’ossessione dominante, vivere per se stessi non per i predecessori o per i posteri. La società del narcisismo è caratterizzata dalla terapia e in particolar modo della terapia post freudiana, per cui la salute coincide con l’abbandono delle inibizioni e l’immediata gratificazione di qualsiasi impulso, ossessionato dall’ansia del fallimento personale nell’analisi egli cerca una religione, un sistema di vita, sperando di trovare nel rapporto terapeutico, un sostegno esterno alle sue fantasie di onnipotenza e di eterna giovinezza. Attraverso un’analisi, dice un grande psicanalista secondo me Hilman, dice che attraverso l’analisi l’uomo si guarda indietro e non si guarda intorno, interessante questa definizione che viene da uno psicanalista che viene dalla stessa scuola di Freud.
Concludo questa breve analisi con una affermazione lucidamente attuale di Vladimir Soloviov, è un anticipatore anche lui sotto certi aspetti di questo clima sociale e culturale che stiamo vivendo. L’interesse egoistico singolo, il fatto casuale, il particolare angusto, l’atomismo della vita, della scienza e nell’arte, sono l’ultima parola della civiltà occidentale, questo lo scrive sulla divina umanità e in altri scritti.
Andiamo alla seconda parte, sempre percorrendo un po’ il Vangelo di Luca: “e cominciando da Mosè e da tutti i profeti e spiegò loro tutte le scritture ciò che si riferiva a lui”. Il primo tratto che caratteristica l’incontro tra Gesù e i due discepoli è la totale discrezione. Luca scandisce come suo solito l’incontro con una sequenza di atteggiamenti, si avvicina, cammina con loro, rivolge loro la parola sotto la forma di una domanda. La sua arte è quella di riagganciare quelle vite smarrite all’esperienza e ai volti della storia della salvezza. Sta qui secondo me il processo anche della nuova evangelizzazione. In questo tempo di trapasso ci sembra di capire che l’uomo d’oggi esprime delle domande profonde attraverso la sua solitudine e la sua angoscia, attraverso il suo disorientamento e la sua mancanza di un centro che dia unità alla sua vita. Come discepoli di Emmaus, anche tutte le nostre domande sembrano dei sentieri interrotti perché non si arriva mai ad affrontare un nodo fondamentale che è quello della persona umana.

L’uomo infatti viene diminuito a strumento della tecnica, dell’economia, del piacere, non viene colto nella sua vera identità e di conseguenza si assiste all’oscuramento della sua coscienza e alla perdita della gioia e della speranza. L’uomo si ritrova pensando di essere l’unico soggetto con diritto di esistere ed oggi si trova solo, individuo mezzo a tanti individui, ma anche questo diventa un problema, si sente prigioniero di se stesso, si sente nulla e si chiede: chi sono io se non c’è l’altro che mi riconosce? E chi è l’altro se io non lo riconosco? L’esperienza del nulla dice soltanto dell’assenza del tu. Chi gli risponderà?, chi risponderà a questa domanda fondamentale dell’uomo di oggi?.
Il compito della nuova evangelizzazione è quello di aprire la persona umana oltre se stessa, alla verità integrale e ad una razionalità, all’assoluto. I misteri principali della fede cristiana, il mistero dell’unità e della Trinità di Dio, il mistero della divina umanità di Cristo, il mistero pasquale, contengono un principio ideologico per l’ancoramento di un nuovo concetto di persona e la possibilità di un rinnovato annuncio cristiano in Europa. Il centro di questo principio è la persona aperta alla comunione. Annunciare Cristo ai nostri contemporanei significa inserirli nel cuore della vita dell’uomo di oggi. Cristo infatti non è estraneo alle sue problematiche, ma entra dentro di esse e con la sua presenza apre il cuore dell’uomo e lo spinge oltre, lo spinge oltre i limiti che lui stesso si è dato. Egli annuncia una vita dell’uomo aperta a diverse dimensioni allargandola e dilatandola per superare tutte le riduzioni di qualsiasi natura esse siano.
Sta qui, secondo me, il cuore perché possa entrare, oggi nell’uomo che abbiamo chiamato postmoderno, nell’uomo dei giorni nostri, possa entrare il messaggio evangelico. Come Cristo anche l’uomo per essere pienamente se stesso come persona deve fare il passaggio della chenosi, la Pasqua dell’individuo alla persona, cioè deve scendere, uscire, calarsi nel tu, calarsi nell’altro, così come il Figlio si è unito all’umanità non per costrizione, ma per volontà di dono.

Esiste nella persona, un centro che si chiama cuore e Gesù riscalda, questa dimensione della persona, tanto è vero che discepoli dicono a un certo punto: “Non sentivamo mentre lui ci parlava che si riscaldava il cuore?”. E’ qui, secondo me il centro che noi dobbiamo toccare nell’uomo nostro fratello contemporaneo. Dal cuore lento a credere, cioè chiuso, spento, al cuore riscaldato, infiammato, dilatato, c’è un passaggio e il passaggio è quello dell’amore. La persona umana e la persona di Cristo, hanno in comune la realtà del cuore che è la punta di contatto tra l’uomo e Dio. La persona si dispiega e si capisce solo nell’amore, Cristo si spiega nell’amore in lui l’esperienza storica dell’umanità diventa il dispiegarsi dell’amore di Dio. L’amore in questo caso è estasi, è esodo, e tutta la persona è chiamata a questa uscita da sé per potersi comprendere. La storia della persona come quella dell’umanità è storia esodale, è un esodo da sé per raggiungere un altro, per entrare in una relazione d’amore, ma se voi fate caso anche in Dio c’è una storia esodale, il Figlio fa il suo esodo dal seno del Padre e sposa l’umanità e qui ci sta poi la redenzione dell’uomo. Quando l’individuo attraverso Cristo si scopre persona comincia a entrare nella comunione .

“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò, lo diede loro, allora si aprirono i loro occhi, lo riconobbero”. La comunione che trova nell’eucarestia il suo centro è la meta della persona, essa diventa così agapica perché luogo di accoglienza e di dono che non distrugge l’identità dell’altro pur facendosi uno e fondendosi con esso. Nella comunione si riflette il mistero della Trinità, della divina umanità, della Pasqua, della persona umana. Nella comunione ci si riconosce, la persona umana assume il suo vero volto, l’io trova il suo partner che è il tu per realizzare il noi. Concludo l’ultima parte “partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme e poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via è come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. La Chiesa è la sposa dell’agnello che fa sempre memoria nel mistero dell’eucaristia della comunione.
La nuova evangelizzazione nel cuore della nostra cultura, deve scaturire da un soggetto credibile. Ci diceva il Papa, in uno dei convegni della diocesi di Roma: la nuova evangelizzazione deve scaturire da una compagnia affidabile, che fa esperienza di comunione. Il soggetto che evangelizzata deve avere un radicamento in Cristo che trasforma la persona e la comunità dilatandole sempre verso nuove accoglienze. Il testo dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, di cui ho fatto cenno all’inizio, ora lo richiamo perché dà una prospettiva interessante allo sviluppo della nostra azione evangelizzatrice. Al solito, il Papa comincia con l’interrogare attraverso una domanda: Come si realizza questo diventare uomo? Come si impara l’arte di vivere? Qual è la strada della felicità?. E quindi, sviluppa il tema nel contesto dell’oggi, evangelizzare vuol dire mostrare questa strada, insegnare l’arte di vivere, la povertà più profonda e l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questa povertà oggi è molto diffusa in forme ben diverse, sia nelle società materialmente ricche sia anche nei paesi poveri. Prima di passare ai contenuti della nuova evangelizzazione, il Papa il cardinale Ratzinger, in questo discorso, offre due note sulla struttura e sul metodo della nuova evangelizzazione, la forza del granello di senape, l’ho intitolata la prima nota.
Il regno di Dio comincia sempre in umiltà, è in fondo Dio che si rimpicciolisce, che discende sotto i segni del piccolo, dell’umile, del nascosto e del semplice. Dice il Papa: nuova evangelizzazione, non può voler dire attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa, no, non è questa la premessa della nuova evangelizzazione, ma osare di nuovo con l’umiltà del piccolo granello lasciando a Dio quanto e come crescerà.

Interessante a livello metodologico, ma penso che è bello vedere anche nel Movimento Apostolico, che a piccoli gruppi, che a piccole realtà, piano piano, lentamente, riscaldano il cuore di tanti compagni di strada. Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo e i movimenti di massa sono sempre effimeri. L’importante che il piccolo sia lievito, la nuova evangelizzazione deve sottomettersi al ministero del grano di senape e non pretendere di produrre subito il grande albero. Qui si può insinuare una grande tentazione per la nuova evangelizzazione, la tentazione dell’impazienza, che è la tentazione del successo e dei grandi numeri. Le comunità di Paolo erano piccole comunità, lievito nella pasta, gravide del futuro del mondo.
L’altra nota, di cui si parla in questo discorso sulla nuova evangelizzazione, è la forma di vita del nuovo evangelizzatore. Da questo tipo di struttura diveniva il metodo della nuova evangelizzazione che Ratzinger definisce con un termine, direi l’interessantissimo, il termine è espropriazione. Vogliamo servire nelle persone dell’umanità dando spazio a colui che è vita questa espropriazione del proprio io offrendola a Cristo per la salvezza degli uomini è la condizione fondamentale del vero impegno per il Vangelo. Il modello dell’evangelizzatore è il Figlio, questa sarebbe la forma cristologica dell’evangelizzazione, che non parla nel nome suo come invece fa l’anticristo, sta qui la differenza tra Cristo è l’anticristo. L’anticristo parla a nome suo, il Cristo parla invece al nome del Padre, cioè parla nella comunione.

Vivere nell’ascolto e farsi voce del Padre e poi il modello, è lo Spirito che non parla da sé ma dice ciò che ha udito, questa sarebbe la forma pneumatologica dell’evangelizzazione. E, infine, c’è la forma ecclesiologica dell’evangelizzazione dal momento che la vita del Risorto e la vita dello Spirito si comunicano nella Chiesa. Non parlare nel nome proprio significa parlare nella missione della Chiesa, sta qui l’espropriazione di cui ci ha parlato il Papa, ma senza questa espropriazione non si può evangelizzare, mi sembra una condizione oltre che una nota.
Infine, la legge di fecondità del chicco di grano. Nella preghiera, nella passione, c’è l’evento, dell’espropriazione di sé. La parola dell’annuncio deve sempre bagnare in una intensa vita di preghiera. Gesù, dice Benedetto XVI, non ha redento il mondo tramite parole belle, ma con la sua sofferenza e la sua morte. Questa sua passione è la fonte inesauribile di vita per il mondo. La passione da forza alla sua parola non possiamo dare vita ad altri senza dare la nostra vita. Così, agli inizi della Chiesa, così per Paolo la sua fecondità fu legata alla sofferenza, alla comunione e alla passione con Cristo, così per Pietro chiamato a pascere, cioè a dare la vita come una madre che non può portare alla vita al bambino senza sofferenze e ogni parto esige sofferenza. Infine, il contenuto dell’annuncio che è il tema della conversione e quindi rientriamo qui con quest’ultimo tema, nella missione del Movimento Apostolico.

Secondo Ratzinger non c’è accesso a Gesù Cristo senza il Battista, il legame è dato dalla stessa parola annunciata dal precursore da Cristo “convertitevi”. La conversione viene proposta nel duplice movimento personale e comunitario, conversione mettere in questione il proprio, il comune modo di vivere e prendere posizione uscire dalle omologazioni cioè dal così fan tutti. Conversione è vedere la propria vita con gli occhi di Dio, è uscire dall’autosufficienza, scoprire ed accettare la propria intelligenza, diligenza degli altri e dell’altro del suo perdono, della sua amicizia. Nella continuità tra Giovanni Battista e Gesù vedo una duplice azione. Giovanni in fondo ci mette in ginocchio perché ci costringe a conoscere i nostri limiti, Gesù ci rialza e ci apre all’ingresso del Regno, infatti la parola chiave dell’annuncio di Gesù è Regno di Dio, cioè tutto cambia se c’è Dio. La nuova evangelizzazione quindi è l’annuncio che in Cristo Dio c’è, solo in Cristo e tramite Cristo il tema di Dio diventa realmente concreto.

Carissimi, concludo dicendo che è solo nell’esperienza con la vita con Dio che appare con tutta evidenza anche la nostra esistenza. Perciò, sono così importanti oggi le realtà come i movimenti, come le scuole di preghiera, le comunità di preghiera. Dall’esperienza della preghiera, in modo particolare, inizia la sequela che non è la semplice imitazione dell’uomo Gesù, ma un’assimilazione Cristo ha una vita uditiva dal momento che l’uomo non si accontenta di soluzione sotto il livello, dice il Papa, della divinizzazione. La sequela se è unione al suo amore è nello stesso tempo partecipazione al mistero della croce, sulla croce Gesù ama. Io direi sulla croce Gesù ama da Dio, ama da Dio. Sulla croce sperimentiamo l’amore che ha la forza di trasformare la vita. Chi omette la croce, omette la stessa essenza del cristianesimo. Ecco, solo così possiamo dire non solo attraverso il primo passaggio, siamo riusciti ad aprire la persona, accogliere il nucleo della nuova evangelizzazione della persona, ma col secondo passaggio siamo riusciti in qualche modo ad aprire questa persona nella solitudine, ad aprirla nella comunione attraverso Cristo. E’ questo carissimi l’augurio che faccio al Movimento Apostolico, perché possa far passare l’uomo da quel cuore lento di cui ci parlava l’evangelista Luca, possa far passare l’uomo a cuore riscaldato, riscaldato dell’apertura della persona, alla piena comunione, riscaldato della presenza dello stesso movimento, nel limite dell’uomo.
Auguri a tutti