II DOMENICA DI QUARESIMA
L’antifona d’ingresso inizia con un forte desiderio del giusto: cercare il volto del Signore: “Di te dice il mio cuore: Cercate il suo volto. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto”. Cercare il volto di Dio è desiderio di essere illuminati dalla sua luce eterna, per essere in mezzo ai fratelli il riflesso della luce del Signore che avvolge non solo lo spirito e l’anima, ma lo stesso corpo. La prima luce del Signore è la sua Parola. Cerca il volto di Dio chi cerca la sua Parola. Chi trasforma la luce della Parola in sua carne, cioè in vita quotidiana. Si vive di Parola, si mostra la luce.
La preghiera di Colletta ci ricorda qual è la nostra vocazione. Noi siamo chiamati tutti “ad ascoltare l’amato figlio del Padre”. È Cristo la nostra luce, perché è Lui la Parola del Padre. Ascoltare l’amato Figlio oggi è ascoltare la Chiesa. Si ascolta la Chiesa si ascolta Cristo. Non si ascolta la Chiesa, non si ascolta Cristo.
A Dio che ci invita all’ascolto, “chiediamo che nutra la nostra fede con la sua parola e di purificare gli occhi del nostro spirito”. Ecco il vero nutrimento della fede: la Parola di Dio che risuona tutta in Cristo Gesù. Gli occhi dello spirito si purificano, togliendo dal cuore il peccato. Solo se nutriamo la fede con la Parola e purifichiamo gli occhi dello spirito togliendo dal cuore il peccato, possiamo oggi “godere la visione della gloria di Dio”. È il godimento di oggi il preludio per il godimento eterno.
La prima Lettura ci rivela che il futuro dell’uomo non è un frutto dell’uomo. Esso è il frutto dell’obbedienza e della disobbedienza di chi ci precede. Adamo ha disobbedito. Tutto il futuro dell’umanità è di morte. Noè è uomo giusto. Per lui la vita viene conservata sulla terra. Abramo obbedisce al Signore che lo chiama perché lasci la sua terra. Diviene causa di benedizione per tutti i popoli. Per lui il Signore benedirà tutte le nazioni della terra. Sappiamo che la benedizione è per la sua discendenza. Ma la discendenza è il frutto della sua obbedienza.
Anche per me, per te, il futuro dell’umanità sarà di benedizione, cioè di vita, se si obbedisce al Signore. Sarà di maledizione, cioè di morte, se non si obbedisce. Le opere non fanno il futuro di Dio. Il futuro di Dio è fatto solo dall’obbedienza alla voce del Signore. Tutto nel cristiano deve avvenire per obbedienza. Tutto deve essere il frutto dell’ascolto della Parola di Gesù Signore. Chi ascolta, crea un buon futuro per sé e per il mondo intero. Chi non ascolta, crea un futuro di morte per sé e per l’intera umanità.
Il Salmo responsoriale annunzia all’uomo dove risiede il principio di verità della sua obbedienza: nella rettitudine e nella fedeltà del suo Dio: “Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra”. Chi è nella Parola è preso in custodia da Dio: “Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame”. Il credente non solo vive la sua fede, diviene aiuto con la sua testimonianza per la fede di ogni altro uomo: “L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo”.
Quando si cammina con Dio e non si crede nella rettitudine della sua Parola, ci si espone ad ogni tentazione. Gli Apostoli camminano con Cristo, ma non hanno fede in Lui. Sono governati dal pensiero del mondo. Non solo non sono aiuto a Cristo, gli fanno anche da tentazione, perché vogliono che pensi come il mondo e non si rechi a Gerusalemme. Gesù crede nella rettitudine della Parola del Padre e non cade in tentazione. La sua fede ferma e convinta diviene aiuto per tutti i discepoli.
La seconda Lettura pone Cristo vera sorgente della grazia della salvezza e della redenzione. Lui è sorgente per la sua obbedienza. Per obbedienza subì la morte. La morte offerta per obbedienza si trasforma per lui in gloriosa risurrezione, in vittoria eterna. Timoteo vuole essere sorgente di salvezza per il mondo? Anche lui deve soffrire per obbedire alla Parola. Anche Lui come Gesù deve consegnarsi alla Parola di Gesù. Ci si consegna interamente al Vangelo per produrre frutti di vita eterna.
L’acclamazione al Vangelo anticipa il racconto di quanto è avvenuto sul monte: “Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre: “Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!”. Per salvare, rafforzare, vivificare nei discepoli la fede in Cristo, interviene direttamente il Padre dal cielo. Pensiamoci: se muore la vera fede in Cristo nel cuore dei discepoli, Cristo muore in croce vanamente. Ma anche: se la vera fede in Cristo muore in noi, la redenzione di Cristo per noi viene resa vana. Senza la nostra fede, la morte in croce del Dio incarnato rimane senza alcun frutto. Il cristiano non è solo persona che vive di perfetta fede. Deve necessariamente essere persona che crea fede.
Il Vangelo narra cosa Gesù opera per rendere credibile ai discepoli la sua crocifissione e morte, la sua consegna da parte del suo popolo e la condanna per opera del Procuratore di Roma. Sul monte, prima di ogni cosa si trasfigura. Si rivela ai suoi discepoli in tutto lo splendore della sua gloria eterna e divina. Lui è di natura divina. Ma è anche il Messia che deve portare sulle sue spalle tutti i peccati del mondo ed espiare per essi, facendosi olocausto di amore sul legno della croce. Mosè, la Legge, Elia, i Profeti, attestano che da sempre questa verità di Gesù da essi era stata profetizzata.
Tutto questo ancora non è sufficiente. Il Padre in persona dalla nube fa udire la sua voce e dichiara che Gesù è il Figlio suo, l’Amato e invita i discepoli ad Ascoltarlo. Questo significa che se ci fossero dinanzi a Gesù Signore duecento milioni di scribi, farisei e sadducei, eruditi, filosofi e maestri, teologi e professori e tutti attestanti il contrario, i discepoli devono ascoltare solo il loro Maestro. Solo Lui conosce la sua verità direttamente da Dio e solo per Lui la si può conoscere. Tutti gli altri parlano solo per sentito dire, immaginazione, filosofia, pensieri della terra. Lui parla dal seno del Padre. Lui si conosce come il Padre lo conosce e secondo questa conoscenza parla.
Quanto ha operato Gesù per fondare la fede dei suoi discepoli, devono operarlo questi ultimi per fondare la fede in essi. I discepoli non devono fondare la fede in Gesù, ma in sé stessi. Essi devono rendersi credibili. Qual è la via perché la loro credibilità sia perfetta dinanzi agli occhi di ogni uomo? Una vita perfettamente evangelica. Se loro vivono tutto il Vangelo senza tralasciare neanche una solo parola, il mondo noterà la differenza e saprà che essi vivono un’altra parola, un’altra verità, un’altra dottrina che sono infinitamente superiori alle loro parole e loro dottrine. La credibilità è dalla differenza. La differenza della Parola deve essere differenza di vita.
La preghiera sulle offerte vede già in lontananza la pasqua verso la quale siamo diretti. Essa può essere celebrata come puro rito o anche come passaggio, in Cristo, come vera morte al peccato e vera risurrezione al nuova vita. Non è sufficiente allora che il Signore perdoni il nostro peccato. Urge anche la nostra santificazione nel corpo e nello spirito e anche questa è opera del nostro Dio. A Lui umilmente dobbiamo chiederla. Senza la nostra quotidiana santificazione, la Pasqua sarà solo un rito.
L’antifona alla comunione ci ricorda ancora una volta cosa è avvenuto sul monte: “Questo è il mio Figlio prediletto, l’Amato, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. Mentre la preghiera dopo la comunione è vero rendimento di grazie al Signore perché già su questa terra, ai pellegrini verso il cielo, “fa gustare i beni del cielo”. Questa pregustazione deve alimentare e far crescere la nostra speranza, così da correre velocemente verso la loro conquista nella gioia del cieli beati.