Ho presentato il mio dorso ai flagellatori – Tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
22 Giugno
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori
Il Salmo parla del giusto sofferente. Presenta a Dio il suo corpo lacerato, torturato, flagellato, incoronato di spine, denudato, abbeverato di fiele e aceto, forato nelle mani e nei piedi. Il Signore Dio deve sapere qual è la sua condizione. Glielo presenta con nel cuore una grande speranza. Sa che dopo che tutto il dolore del mondo si sarà abbattuto su di Lui, senza alcun limite e senza misura, in tutta la potenza della sua devastazione, il suo Dio lo libererà. La sua discendenza sarà gloriosa. Che il Messia di Dio fosse avvolto da tutta la sofferenza della terra, è verità che già conosciamo. È bene che la ricordiamo. Così non ci dimentichiamo che essa è grande quanto l’universo.
Al maestro del coro. Su «Cerva dell’aurora». Salmo. Di Davide. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me.
Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele. In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti; a te gridarono e furono salvati, in te confidarono e non rimasero delusi.
Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente. Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato; dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti.
Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce.
Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte.
Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l’unico mio bene. Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto!
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele; perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto.
Da te la mia lode nella grande assemblea; scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli.
Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli! A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere; ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!» (Sal 22 (21) 1-32).
Cosa aggiunge questo canto di Isaia sul Messia? Quale nuova verità ci comunica? Isaia è il profeta della libera accettazione, libera accoglienza della sofferenza da parte del Servo del Signore. Possiamo fare un confronto con il profeta Geremia. Questi viene chiamato a svolgere la missione di profeta in mezzo al popolo del Signore. Viene avvisato che gli moveranno guerra. A lui viene detto che nessuno lo vincerà. Perché non sarà vinto? Perché il Signore è con lui per proteggerlo, custodirlo, salvarlo.
Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare».
Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla».
Mi fu rivolta di nuovo questa parola del Signore: «Che cosa vedi?». Risposi: «Vedo una pentola bollente, la cui bocca è inclinata da settentrione». Il Signore mi disse: «Dal settentrione dilagherà la sventura su tutti gli abitanti della terra. Poiché, ecco, io sto per chiamare tutti i regni del settentrione. Oracolo del Signore.
Essi verranno e ognuno porrà il proprio trono alle porte di Gerusalemme, contro le sue mura, tutt’intorno, e contro tutte le città di Giuda. Allora pronuncerò i miei giudizi contro di loro, per tutta la loro malvagità, poiché hanno abbandonato me e hanno sacrificato ad altri dèi e adorato idoli fatti con le proprie mani.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Oracolo del Signore (Is 1,4-19).
Cosa vi è di nuovo nel Messia che oggi Isaia ci rivela? Geremia è invitato a non temere, non aver paura, ad andare incontro alla sua missione. Il Messia di Dio non deve essere invitato dal Signore ad andare incontro alla sofferenza. È Lui che con grande libertà non si sottrae ad essa. Sa che la sofferenza è la sola via per operare la salvezza e lui vi si inoltra con grande decisione.
Una verità va detta fin da subito. Il Verbo di Dio non scelse di sottoporsi liberamente alla passione e morte, al ludibrio e all’insulto della sua creatura dopo la sua incarnazione. La decisione è presa nell’eternità, ancor prima della creazione dello stesso uomo. Nella sua scienza eterna il Signore ha visto l’uomo e la sua ribellione. Ha anche deciso di amarlo di amore eterno. Il suo amore è eterno perché inizia prima della stessa creazione, è nel tempo ed è anche dopo il tempo.
È nell’eternità, prima della creazione, che il Padre ha manifestato al Figlio la sua volontà di voler redimere l’uomo e il Figlio nell’eternità, liberamente, facendo suo tutto l’amore del Padre ha deciso di lasciarsi crocifiggere dall’uomo per la salvezza dell’uomo. Questa volontà eterna da sola non basta. Cristo Gesù, in questo anche vero uomo, essendo dotato di volontà, deve accogliere la volontà della Persona divina e farla sua. Cosa che avviene il giorno del Battesimo.
Gesù immergendosi volontariamente nelle acque del Giordano, volontariamente consegna la sua volontà alla volontà del Padre, consegnandosi per intero alla volontà della sua Persona divina. Il Padre accoglie il dono e consacra il Figlio suo come olocausto di amore e sacrificio di espiazione e redenzione per il mondo. Da questo istante Gesù cammina verso il Golgota. Infatti il suo è un viaggio dal Giordano al Calvario, passando per la Galilea e la Samaria.
È questa la differenza con ogni altro uomo. Ogni altro uomo è stato chiamato e spinto dal Signore ad accogliere la sofferenza dovuta alla sua missione. Mosè è stato quasi costretto ad accettare la missione. Nulla di tutto questo in Gesù. In Lui, poiché fortemente cresciuto in sapienza e grazia, ogni desiderio del Padre, anche inespresso era per Lui legge di purissimo amore. Il Padre gli chiede di amare dalla croce e Lui liberamente si offre. Niente potrà mai intralciare il compimento della volontà del Padre suo, neanche la morte in croce, neanche l’indicibile sofferenza.
Dice il Signore: «Dov’è il documento di ripudio di vostra madre, con cui l’ho scacciata? Oppure a quale dei miei creditori io vi ho venduti? Ecco, per le vostre iniquità siete stati venduti, per le vostre colpe è stata scacciata vostra madre. Per quale motivo non c’è nessuno, ora che sono venuto? Perché, ora che chiamo, nessuno risponde? È forse la mia mano troppo corta per riscattare oppure io non ho la forza per liberare? Ecco, con una minaccia prosciugo il mare, faccio dei fiumi un deserto. I loro pesci, per mancanza d’acqua, restano all’asciutto, muoiono di sete. Rivesto i cieli di oscurità, do loro un sacco per mantello».
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? Ecco, come una veste si logorano tutti, la tignola li divora.
Chi tra voi teme il Signore, ascolti la voce del suo servo! Colui che cammina nelle tenebre, senza avere luce, confidi nel nome del Signore, si affidi al suo Dio. Ecco, voi tutti che accendete il fuoco, che vi circondate di frecce incendiarie, andate alle fiamme del vostro fuoco, tra le frecce che avete acceso. Dalla mia mano vi è giunto questo; voi giacerete nel luogo dei dolori (Is 50,1-11).
Altra verità che il profeta Isaia inserisce nella sofferenza di Gesù Signore è la sua innocenza. Gesù è veramente l’Agnello senza macchia e senza difetto. Nessuno lo potrà mai né accusare né convincere di peccato. Giobbe dinanzi alla sofferenza grida tutta la sua innocenza con forza e determinazione. Lui è innocente. Soffre da innocente. Ha vissuto da innocente. In Lui non vi è alcuna colpa.
Giobbe continuò il suo discorso dicendo: «Potessi tornare com’ero ai mesi andati, ai giorni in cui Dio vegliava su di me, quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre; com’ero nei giorni del mio rigoglio, quando Dio proteggeva la mia tenda, quando l’Onnipotente stava ancora con me e i miei giovani mi circondavano, quando mi lavavo i piedi nella panna e la roccia mi versava ruscelli d’olio! Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio, vedendomi, i giovani si ritiravano e i vecchi si alzavano in piedi, i notabili sospendevano i loro discorsi e si mettevano la mano alla bocca, la voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato; infatti con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza, perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto e l’orfano che ne era privo.
La benedizione del disperato scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia. Ero rivestito di giustizia come di un abito, come mantello e turbante era la mia equità. Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto, spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda. Pensavo: “Spirerò nel mio nido e moltiplicherò i miei giorni come la fenice. Le mie radici si estenderanno fino all’acqua e la rugiada di notte si poserà sul mio ramo. La mia gloria si rinnoverà in me e il mio arco si rinforzerà nella mia mano”. Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio. Dopo le mie parole non replicavano, e su di loro stillava il mio dire. Le attendevano come si attende la pioggia e aprivano la bocca come ad acqua primaverile. Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, non si lasciavano sfuggire la benevolenza del mio volto. Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra le sue schiere o come un consolatore di afflitti (Gb 29,1-25).
Ora, invece, si burlano di me i più giovani di me in età, i cui padri non avrei degnato di mettere tra i cani del mio gregge. Anche la forza delle loro mani a che mi giova? Hanno perduto ogni vigore; disfatti dall’indigenza e dalla fame, brucano per l’arido deserto, da lungo tempo regione desolata, raccogliendo erbe amare accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo. Espulsi dalla società, si grida dietro a loro come al ladro; dimorano perciò in orrendi dirupi, nelle grotte della terra e nelle rupi. In mezzo alle macchie urlano accalcandosi sotto i roveti, razza ignobile, razza senza nome, cacciati via dalla terra.
Ora, invece, io sono la loro canzone, sono diventato la loro favola! Hanno orrore di me e mi schivano né si trattengono dallo sputarmi in faccia! Egli infatti ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto, ed essi di fronte a me hanno rotto ogni freno. A destra insorge la plebaglia, per far inciampare i miei piedi e tracciare contro di me la strada dello sterminio. Hanno sconvolto il mio sentiero, cospirando per la mia rovina, e nessuno si oppone a loro. Irrompono come da una larga breccia, sbucano in mezzo alle macerie. I terrori si sono volti contro di me; si è dileguata, come vento, la mia dignità e come nube è svanita la mia felicità. Ed ora mi consumo, mi hanno colto giorni funesti. Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo. A gran forza egli mi afferra per la veste, mi stringe come il collo della mia tunica. Mi ha gettato nel fango: sono diventato come polvere e cenere.
Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta. Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti; mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera. So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove convengono tutti i viventi. Nella disgrazia non si tendono forse le braccia e non si invoca aiuto nella sventura? Non ho forse pianto con chi aveva una vita dura e non mi sono afflitto per chi era povero? Speravo il bene ed è venuto il male, aspettavo la luce ed è venuto il buio. Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d’affanno mi hanno raggiunto. Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell’assemblea mi alzo per invocare aiuto. Sono divenuto fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi. La mia pelle annerita si stacca, le mie ossa bruciano per la febbre. La mia cetra accompagna lamenti e il mio flauto la voce di chi piange (Gb 30,1-31).
Ho stretto un patto con i miei occhi, di non fissare lo sguardo su una vergine. E invece, quale sorte mi assegna Dio di lassù e quale eredità mi riserva l’Onnipotente dall’alto? Non è forse la rovina riservata all’iniquo e la sventura per chi compie il male? Non vede egli la mia condotta e non conta tutti i miei passi? Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode, mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconosca la mia integrità. Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguìto i miei occhi, se la mia mano si è macchiata, io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna e sono stato in agguato alla porta del mio prossimo, mia moglie macini per un estraneo e altri si corichino con lei; difatti quella è un’infamia, un delitto da denunciare, quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto.
Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, che cosa farei, quando Dio si alzasse per giudicare, e che cosa risponderei, quando aprisse l’inquisitoria? Chi ha fatto me nel ventre materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel grembo? Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l’orfano – poiché fin dall’infanzia come un padre io l’ho allevato e, appena generato, gli ho fatto da guida –, se mai ho visto un misero senza vestito o un indigente che non aveva di che coprirsi, se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, riscaldàti con la lana dei miei agnelli, se contro l’orfano ho alzato la mano, perché avevo in tribunale chi mi favoriva, mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio, perché mi incute timore il castigo di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere.
Se ho riposto la mia speranza nell’oro e all’oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia”, se ho goduto perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano, se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio, anche questo sarebbe stato un delitto da denunciare, perché avrei rinnegato Dio, che sta in alto. Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico? Ho esultato perché lo colpiva la sventura? Ho permesso alla mia lingua di peccare, augurandogli la morte con imprecazioni? La gente della mia tenda esclamava: “A chi non ha dato le sue carni per saziarsi?”. All’aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte. Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto, come se temessi molto la folla e il disprezzo delle famiglie mi spaventasse, tanto da starmene zitto, senza uscire di casa. Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono a una sola voce, se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare i suoi coltivatori, in luogo di frumento mi crescano spini ed erbaccia al posto dell’orzo. Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema! Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi presenterei a lui come un principe». Sono finite le parole di Giobbe (Gb 31,1-40b).
Il confronto con Giobbe, il giusto che soffre, ma che non si è offerto alla sofferenza, il giusto che chiede spiegazioni a Dio del suo dolore, ci aiuta a cogliere l’abisso che separa Gesù Signore da ogni altro giusto che vive un momento di grande passione. Diciamo fin da subito che Giobbe è giusto per rapporto alla sua coscienza, ma non lo è dinanzi al Signore. Non si consegna, non si affida alla sua volontà. Cristo Gesù invece è giusto dinanzi agli uomini, ma anche dinanzi a Dio. Si consegna interamente al suo volere. “Questo io desidero. La tua legge è nel profondo del mio cuore”. Anche Gesù dice ai giudici che nessuno di essi lo potrà convincere di peccato, ma il fine per cui lo dice è ben differente. Gesù non vuole dimostrare la sua innocenza, ma vuole invece rendere gloria al Padre suo. Quanto io faccio non viene da me, ma dal Padre mio. La relazione di Gesù non è mai né con la sua coscienza, né con il pensiero degli uomini.
A queste sue parole, molti credettero in lui. Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio (Gv 8,30-59).
Non vi è in Cristo relazione con se stesso, con la sua coscienza, la sua storia. Gesù in ogni momento ha un solo fine da raggiungere: manifestare attraverso la sua vita la più grande gloria del Padre. Se qualcuno potesse accusarlo di peccato, il suo peccato sarebbe solo uno: la falsità nella relazione con il Padre. Nessuno potrà dire di Lui che vive di relazione falsa con il Padre. Tra Lui e il Padre vi è perfettissima comunione di volontà e di opere, di parole e di azione. In Lui la volontà del Padre si fa storia.
Gesù è colui che volontariamente si dona. Questa volontà è prima del tempo ed è nel tempo. Gesù vive per consegnarsi volontariamente ai suoi flagellatori. Lui vive per andare in Croce. Fa questo per purissimo amore verso il Padre. Il Padre vuole la redenzione dell’uomo e Gesù Signore si appresta a realizzarla tramite l’offerta del suo corpo, il dono della sua vita al Padre. Gesù vive di purissimo rapporto con Dio. Questo rapporto si trasforma necessariamente in relazione purissima con gli uomini. Tutto in Lui è dalla piena, eterna, storica, obbedienza al Padre. Tutto è in lui obbedienza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti a Cristo Gesù.
Tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
La prima parte del Canto del Servo Sofferente ci mette dinanzi al volto di un uomo che in nessun modo si riesce ad identificare come volto umano. È volto umano, ma non identificabile come volto umano. La malvagità, la crudeltà, la mancanza di ogni pietà dell’uomo ha dato una “figura nuova” al volto del Servo del Signore.
La sofferenza del Servo del Signore è veramente indicibile. È come se tutta la cattiveria del mondo si fosse avventata contro di Lui. Noi sappiamo che la sofferenza di Cristo è stata perfettissima. Ad essa nulla manca. Tutti i peccati della terra e ogni sua modalità si sono accaniti contro di Lui. Gesù fu martire nell’anima, nello spirito, nel corpo. Il peccato gli ha lacerato anima, spirito, corpo. Come ha risposto Gesù a questa lacerazione? Con l’amore più grande. Dall’ultima lacerazione dopo la sua morte ha fatto sgorgare l’acqua che vivifica il mondo e il sangue che lo rigenera.
Svégliati, svégliati, rivèstiti della tua magnificenza, Sion; indossa le vesti più splendide, Gerusalemme, città santa, perché mai più entrerà in te l’incirconciso e l’impuro. Scuotiti la polvere, àlzati, Gerusalemme schiava! Si sciolgano dal collo i legami, schiava figlia di Sion!
Poiché dice il Signore: «Per nulla foste venduti e sarete riscattati senza denaro».
Poiché dice il Signore Dio: «In Egitto è sceso il mio popolo un tempo, per abitarvi come straniero; poi l’Assiro, senza motivo, lo ha oppresso. Ora, che cosa faccio io qui? – oracolo del Signore. Sì, il mio popolo è stato deportato per nulla! I suoi dominatori trionfavano – oracolo del Signore – e sempre, tutti i giorni, il mio nome è stato disprezzato. Pertanto il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: “Eccomi!”».
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio. Fuori, fuori, uscite di là! Non toccate niente d’impuro. Uscite da essa, purificatevi, voi che portate gli arredi del Signore! Voi non dovrete uscire in fretta né andarvene come uno che fugge, perché davanti a voi cammina il Signore, il Dio d’Israele chiude la vostra carovana.
Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito (Is 52,1-13).
La profezia ci dice che la sofferenza ha così grandemente sfigurato il volto del Servo del Signore da risultare inimmaginabile, impensabile. Eppure l’uomo è abituato ad ogni atrocità. Ebbene su Cristo le atrocità sono state senza misura, senza alcun limite. È come se il Padre avesse concesso a Satana di non risparmiarsi in nulla. È come se gli avesse dato l’ordine di scuotere il suo Servo con tutta la sua ferocia infernale.
Questo è avvenuto perché nessuno potesse dire un giorno al Signore: Io ho sofferto più fi te. Io sono giunto dove tu ti sei fermato e sono andato oltre. Questo mai si potrà dire a Dio. Gesù è andato oltre l’umanamente concepibile e pensabile nell’amore. Ma anche è andato oltre l’umanamente concepibile e pensabile nel sacrificio. Lui si è fatto olocausto reale e spirituale insieme. Nessuno mai raggiungerà il grado di sofferenza di Gesù Signore. Tutte le sofferenze della terra dinanzi alla sua, sono meno che polvere sul piatto di una bilancia. Questa verità va predicata dinanzi ad ogni sofferenza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci di contemplare Cristo.