GIOVEDI’ SANTO – MESSA IN COENA DOMINI

L’antifona d’ingresso vede la croce come l’unica e sola gloria del discepolo di Gesù: “Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati”. Forse ancora il cristiano non sa che della Croce di Gesù ci si può gloriare in un solo modo: divenendo con Cristo una sola Croce, una sola Passione, una sola obbedienza.

La preghiera di Colletta dice che nell’Eucaristia si attualizza “il nuovo ed eterno sacrificio” e che essa è “il convito nuziale dell’amore di Gesù Signore”. È in esso che si attinge “pienezza di carità e di vita”. È l’Eucaristia la differenza tra il cristiano, il non cristiano e anche con i cristiani che non hanno questo “nuovo ed eterno sacrificio come loro convito nuziale”. Senza Eucaristia nessuno potrà raggiungere la perfezione dell’amore e dell’obbedienza di Gesù Signore. Nell’Eucaristia ci si nutre dell’amore e dell’obbedienza di Cristo per fare del suo amore e della sua obbedienza la nostra via.

La Prima Lettura ricorda le disposizioni di Dio circa l’agnello della pasqua: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!”. L’agnello immolato salva con il suo sangue i primogeniti del popolo del Signore dalla morte. Con la sua carne dona forza ed energia per compiere il cammino della liberazione, nella notte in cui si deve lasciare la schiavitù dell’Egitto.

Nella Nuova Pasqua il Signore dona un Nuovo Agnello: “Gesù, il Figlio eterno del Padre”. Il suo sangue ci libera dalla morte eterna, perché in esso si stipula la Nuova Alleanza con il nostro Dio. La sua carne ci dona ogni forza per vivere in Cristo, con Cristo, per Cristo, il mistero della sua umiltà e della sua obbedienza al fine di raggiungere la patria eterna del cielo. È questa la divina onnipotenza e grazia del Nuovo Agnello: mangiando Lui possiamo vivere come Lui, per Lui. È la più grande offesa arrecata all’Eucaristia nutrirsi di essa senza far agire in noi tutta la sua divina ed eterna potenza di redenzione, salvezza, giustificazione, liberazione da ogni peccato.

Il Salmo responsoriale va letto tutto in chiave cristologica e cristiana insieme. il calice della salvezza è la vita offerta al Signore. Questo calice non è solo di Cristo. In Cristo, per Cristo, con Cristo, è anche il calice del cristiano: “Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli. Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene. A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo”. Non c’è salvezza né per il discepolo di Gesù e né, per suo tramite, per alcun altro uomo, se i due calici non divengono un solo calice.

Il fallimento cristiano oggi è proprio questo: non fare di due vite da una sola vita, due calici da un solo calice, due corpi da un solo corpo, due croci da una sola croce, due obbedienza da una sola obbedienza. Il cristiano è oggi la vita, il calice, il corpo, la croce di Cristo nel mondo per la sua redenzione eterna. L’unità va necessariamente ricomposta. A noi non deve interessare ciò che fa il Signore fuori della sua Chiesa. A noi Lui ha chiesto di essere sua vita per il mondo intero, sua croce, suo calice e noi dobbiamo a Lui ogni obbedienza. La nostra sempre deve essere vita di Cristo Gesù.

La Secondo Lettura ci offre la fede di Paolo nell’Eucaristia così come da Lui è annunziata e rivelata nella Prima Lettera ai Corinzi: “il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”.

Non solo San Paolo annunzia ciò che Gesù disse e fece nell’Ultima Cena. Svela anche il suo significato: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Annunziare la morte del Signore è vivere il mistero della sua morte. La morte di Cristo va annunziata, celebrata, vissuta fino al giorno della sua venuta, cioè fino al giorno della creazione dei nuovi cieli. È giusto chiedersi: “La nostra vita celebra la morte di Cristo Gesù? È un quotidiano canto alla sua Croce? È una perenne obbedienza al suo amore? È manifestazione della sua vita?”. Se non lo è, è obbligatorio per noi che lo divenga oggi, fin da subito.

Nell’acclamazione al Vangelo Gesù lascia il suo amore come perenne eredità ai suoi discepoli: “Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. È una eredità pesante. Non è una eredità solamente da godere. È invece una eredità da trasformare in nostra vita e con essa alimentare ogni altro cuore. Chi è allora il cristiano? Colui al quale Gesù ha lasciato tutto il suo amore in eredità perché per mezzo di esso, alimentando nel suo cuore, ami ogni uomo. Per mezzo di lui, tutti dovranno vedere come Gesù amava le creature del Padre.

Il Vangelo secondo Giovanni narra l’esempio che Gesù lasciò ai suoi discepoli perché fosse il loro unico e solo modello e stile di vita: “Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto”. Il gesto è divinamente luminoso.

Il servo lava i piedi al suo padrone. Gesù, Dio Onnipotente, si fa servo dell’uomo. Fa l’uomo suo padrone. Lava la sua anima con il suo sangue, la sua mente con il suo Spirito Santo, nutre anima e mente, dopo averle lavate, con la sua carne. Non si tratta allora di compiere qualche gesto di amore. La realtà è divinamente altra. Anche il cristiano deve lavare l’anima dell’uomo con il suo sangue, la sua mente con il suo Spirito Santo, anima e mente le deve nutrire con il suo corpo offerto a Cristo come corpo della redenzione: “Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Questo comandamento cambia la storia dell’umanità.

La preghiera sule offerte è richiesta “al Signore di concederci di partecipare degnamente ai santi misteri. Nell’Eucaristia si compie l’opera della nostra redenzione”.

L’antifona alla comunione ci ricorda la verità dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo, che è per voi; questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”, dice il Signore. “Fate questo ogni volta che ne prendete, in memoria di me”. Viviamo la morte di Gesù.

Nella preghiera dopo la comunione chiediamo a Dio che dalla mensa eucaristica passiamo domani alla mensa eterna del cielo: “Padre onnipotente, che nella vita terrena ci nutri alla Cena del tuo Figlio, accoglici come tuoi commensali al banchetto glorioso del cielo. Per Cristo nostro Signore”. Questa coscienza manca al cristiano.