Riflessioni –  Fede e scienza nella vita del credente

Fede e scienza: il limite della vita

Alla domanda “Qual è la tua più grande paura?”, la maggior parte della gente risponde: essere sepolto vivo. Questa paura ci si ripresenta, in forma più o meno consapevole, ogni volta che un fatto di cronaca ci invita a prendere posizione su ciò che è vita per distinguerlo da ciò che non lo è più: in quella zona grigia che sono le gravi cerebrolesioni acquisite, ovvero di quei danni cerebrali tali da compromettere seriamente i movimenti e le funzioni cognitive come lo stato vegetativo. Ed è così che, spesso, i termini specialistici che la scienza usa, interpretati alla luce di un’ideologia dichiaratamente atea, più che fare chiarezza finiscono per creare maggiore confusione. Cosa fare in questi casi? Occorre rivolgersi alla fede (espressa dal Magistero e dalla Tradizione della Chiesa) e alla scienza. La fede e la scienza cercano la verità, e quando la scienza lo fa, libera da pregiudizi ideologici, irradia la sua sapienza nel mondo e migliora la vita degli uomini.

Nel 2004 San Giovanni Paolo II aveva indetto un Congresso Internazionale per approfondire il concetto di stato vegetativo, nella cui dichiarazione congiunta si sostiene che i soggetti in questo stato non possono in alcun modo essere considerati malati terminali (e infatti in nessuno stato la loro morte è legale), perché possono restare stabili per anni e, inoltre, non sono sottoposti a cure assimilabili all’accanimento terapeutico (vengono solo alimentati artificialmente). Il documento sostiene che le ricerche future potrebbero dare risultati importanti per migliorare la condizione di chi si trova in questo stato. Di fatto, così è stato.

È emblematico il caso di Scott, un ragazzo canadese di 26 anni, che, dopo un incidente automobilistico, è stato considerato in stato vegetativo per 12 anni, prima che attraverso nuovi esami si scoprisse che fosse cosciente della sua condizione, del luogo in cui si trovava e di chi si stesse prendendo cura di lui. Quando gli è stato chiesto se provava dolore, con profonda emozione del medico, Scott ha risposto di no. In effetti, la maggior parte dei pazienti che si trovano nelle sue condizioni sostiene di essere abbastanza felice e di non voler porre fine alla propria vita. Il progresso degli studi ha fatto emergere che il termine vegetativo connota troppo negativamente questo stato e così si è proposto di cambiarlo in sindrome di veglia aresponsiva.

È chiaro che da cattolica non vorrei mai che si decidesse di mettere fine a una vita, ma la cosa che mi fa più rabbrividire è pensare che si possano stabilire dei criteri, assolutamente arbitrari, per stabilire quale tipo di vita ha una dignità maggiore e può dunque essere vissuta. E ogni volta che penso a chi è ricorso alla giustizia, per mettere fine alla vita di un proprio caro in stato vegetativo, penso a quanto male è in grado di fare l’uomo che si allontana dalla luce della verità.

Per questo prego la Madre della Redenzione, affinché ci ottenga la grazia di essere Luce del mondo e Sale della terra in una società che sembra sempre più aver dimenticato la Verità della Parola di suo Figlio Gesù.

Maria Primo