Conclusioni Mons. Vincenzo Bertolone al VI Convegno
VI Convegno nazionale del Movimento Apostolico
Martedì 28 Febbraio 2012
I FEDELI LAICI E LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Conclusioni
Mons. Vincenzo Bertolone
Arcivescovo di Catanzaro-Squillace
È scritto nel Libro del Siracide: «Quando uno ha finito, allora comincia» (Sir 18,6). E proprio così: concludere queste riflessioni, ricche di provocazioni su diversi fronti dalla fede alla cultura, offre lo spunto per iniziare a riflettere su ciò che abbiamo ascoltato.
Esprimo i miei complimenti alla signora Concetta Maraffa, agli organizzatori ed a quanti hanno partecipato a questo significativo VI convegno del Movimento Apostolico : sulla nuova evangelizzazione ed il laico”. Ma il mio ringraziamento va a Mons. Miguel Delgado Galindo, sottosegretario al Pontificio Consiglio per i laici per la brillante lectio.
«Come Cristo durante il tempo della sua predicazione, come i Dodici al mattino della Pentecoste, anche la Chiesa vede davanti a sé una immensa folla umana che ha bisogno del Vangelo, perché Dio ”vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”» (Evangelii nuntiandi, 57). Con queste parole, il servo di Dio Paolo VI rammentava alla Chiesa del suo tempo l’urgenza dell’annuncio del Vangelo. Lo faceva in un frangente particolarissimo della storia mondiale, segnato per molti versi da timori e incertezze e da un progressivo dilatarsi degli orizzonti del progresso e della comunicazione, per cui la realtà planetaria poteva mostrarsi in tutta la sua estensione e complessità, in tutte le sue risorse, ma anche in tutti i suoi nuovi problemi. Dinanzi a questo mondo in rapido e continuo cambiamento, dinanzi alla “novità” di «questa immensa folla umana», papa Montini intuiva la necessità di trovare nuove strade per portare Cristo agli uomini: «L’azione evangelizzatrice della Chiesa […] deve cercare costantemente i mezzi e il linguaggio adeguati per proporre o riproporre loro la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo» (EN, 56).
Fu Giovanni Paolo II a parlare di “nuova evangelizzazione”. Lo fece per la prima volta il 9 giugno 1979, a Nowa Huta: «È iniziata una nuova evangelizzazione»[1] e nella Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, riprendendo il tema, affermava: «Chiesa in Europa, la “nuova evangelizzazione” è il compito che ti attende! Sappi ritrovare l’entusiasmo dell’annuncio»[2]. E, per ritrovare l’entusiasmo, del predecessore, Benedetto XVI e volendo rispondere a questa esigenza interna al cattolicesimo stesso, non ha esitato ad istituire un Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il quale ha come finalità sia di stimolare la riflessione sui temi della nuova evangelizzazione, sia di individuare e promuovere le forme e gli strumenti atti a realizzarla. Per completare il quadro dei riferimenti magisteriali di Benedetto XVI, a riguardo, è utile ricordare l’indizione dell’anno della fede e l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi per il prossimo ottobre che avrà come tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.
L’aggettivo «nuova», può forse suscitare qualche atteggiamento di meraviglia, se non di rifiuto. Perché «nuova»? Che cosa abbiamo fatto sinora, se non predicare il Vangelo? Che cosa deve essere cambiato nel patrimonio immutabile della Rivelazione?
Con l’espressione “nuova evangelizzazione” non si vuole esprimere giudizi su persone o metodi precedenti, ma piuttosto dare una risposta urgente e adeguata alle attuali situazioni in cui si trovano molte Chiese di antica cristianità nelle quali la fede sembra infiacchita al punto di perdere la forza trainante.
Nel cono di luce proiettato dal Concilio Vaticano II sulla riflessione ecclesiologica, la vocazione e il ministero dei fedeli laici sono stati oggetto di un’adeguata riconsiderazione, in virtù della quale la loro opera nell’ambito della nuova evangelizzazione appare assolutamente necessaria e insostituibile. Divenuto parte del corpo mistico di Cristo mediante il Battesimo, il fedele laico è infatti reso «corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa» (CL, 15). Tale corresponsabilità chiama ciascun membro del popolo di Dio ad offrire il proprio contributo in base ai carismi ricevuti, alle intrinseche capacità e possibilità del suo stato. La Costituzione dogmatica Lumen gentium ha definito come proprio e peculiare del laico il «carattere secolare». Lo specifico della missione laicale consisterà, allora, nel «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio». Essi, infatti «vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (LG, 31).
È urgente rifondare su base missionaria la nostra pastorale, mettendo Dio al centro della vita e della storia perché Dio non è negato o solo negato, è sconosciuto. Dovremo coinvolgere i laici di buona volontà, preparazione e attitudine, consapevoli di dover condividere con loro la missione della Chiesa nel mondo[3].
I movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono chiamati a riconsiderare in questa prospettiva la loro vocazione e missione, dando l’avvìo ad una seria riflessione sulla loro stessa identità.
È importante mettere in risalto come il Nuovo Testamento annodi la figura del laico alla novità cristiana. Il laico è l’homo christianus che ritaglia la propria identità nella Rivelazione. Da qui emerge una ricchezza di termini che descrivono l’identità laicale: a livello intra-ecclesiale, discepoli (cf. At 6, 1; 16, 1); credenti (cf. At 2, 44; 4, 32; 21, 20); fratelli (cf. At 11, 1; 14, 2); santi (cf. Ef 1,1; Col 1, 1); fuori dei giochi linguistici delle comunità, cristiani (cf. At 11, 26) o nazareni (cf. At 24,5). La conclusione provvisoria è, quindi, che “il laico è anzitutto il cristiano o cristiano tipico. Questa sua identità, tuttavia, è la condizione cristiana «comune» a tutti i battezzati”[4].
Ciò è tanto più importante se lo si legge alla luce del quadro ecclesiologico della categoria di popolo-di-Dio, cioè di un popolo che trova la sua identità nell’evento di una chiamata alla sequela del Regno[5].
Ecco la ragione per cui l’esortazione apostolica del beato Giovanni Paolo II Christifideles laici (cf. 36-40) indica uno stretto nesso tra l’identità del laico e i processi di evangelizzazione. “Annunciando il Vangelo (…) i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e la società” praticando “la carità, anima e sostegno della solidarietà”.
In altre parole, i cristiani sin dalle origini si erano fatti portatori di una esperienza paradossale. Ce lo rammenta anche il documento della CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, quando al n. 35 chiamando, in causa la Lettera a Diogneto, mostra come i cristiani siano uomini come gli altri, eppure capaci di modificare con la loro testimonianza e identità i processi storici, religiosi e culturali. Ora, proprio la riflessione sull’identità del laico mette in gioco la questione del rapporto Chiesa-mondo[6], per il fatto che, come testimonia il Nuovo Testamento, la coscienza della novità cristiana da parte della chiesa delle origini nasce e assume spessore nel processo di evangelizzazione.
Tutto questo riprende una delle istanze più importanti emerse anche dal Convegno di Verona: l’urgenza della formazione del laicato per promuovere una figura adulta della fede, perché oggi il laico deve partecipare al carattere corale della testimonianza, parlare i molti “linguaggi” della testimonianza. Essere testimoni non è un atto isolato, ma si dà solo nella comunione ecclesiale. Il NT non conosce dei profeti isolati, ma semmai pionieri che fanno da battistrada e trascinano dietro di sé la comunità credente. Non si dà testimonianza separata dalla trama di relazioni della comunione ecclesiale. Si profila al nostro orizzonte un tempo dove la Chiesa o sarà la comunità dei molti carismi, servizi e missioni, o non esisterà semplicemente. In questo nuovo contesto pastorale il laico deve stare attento al pericolo della burocrazia ecclesiastica e, al contrario, deve promuovere la corrente viva della pastorale d’insieme, della lettura dei segni nuovi della vita della Chiesa, dell’animazione di progetti profetici, anche se parziali, della capacità di abitare i linguaggi della cultura, della socialità, della cittadinanza, soprattutto presso le nuove generazioni.
Là dove c’è una persona, là c’è bisogno di Cristo, del suo amore, della sua presenza che anima di un senso sempre nuovo la continuità dei giorni umani. C’è bisogno di quella sua viva e insostituibile presenza che, nello Spirito Santo, ogni cristiano è chiamato ad essere. E c’è bisogno di quell’annuncio e ricordo della sua parola, che voi, cari amici, dovete ad ogni battezzato e che, in una maniera tutta speciale, vi siete impegnati a garantire facendo vostre la spiritualità e la missione del Movimento Apostolico. Vi esorto calorosamente a proseguire con vigore ed entusiasmo sulla strada intrapresa. Dinanzi ai vostri occhi sta tanta gente, che ha diritto a ricevere l’annuncio del Vangelo. Dinanzi ai voi si apre a perdita d’occhio il terreno della missione ecclesiale: portare il Cristo vivo a ogni creatura, fino agli estremi confini della terra. Si dischiudono per voi gli spazi senza misura del cuore umano. Ai vostri parenti, amici, colleghi, alle persone che incontrerete, a quanti vi saranno in qualche misura compagni nel viaggio della vita, siete chiamati ad offrire la testimonianza radiosa di un’esistenza trasformata dall’incontro personale con Cristo, dalla concreta e vivificante esperienza della sua verità e della sua grazia. Nuova, perché rinnovata nelle forme, nelle modalità, nei metodi, nello sguardo sulla complessità di una realtà in rapido e continuo mutamento, la vostra opera evangelizzatrice riparta sempre da Lui, il Signore e salvatore degli uomini, che è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8).
In questo processo di più o meno evidente scristianizzazione ci chiediamo quale possibilità abbia l’annuncio del Vangelo nei confronti della rassegnazione al senso comune e alla ineluttabilità delle cose. Sicuramente quello di offrire uno sguardo inedito, differente dall’orizzonte di Dio che rivoluziona le sicurezze di una tranquilla verifica delle cose già viste. Per questo, la nuova evangelizzazione non può essere un optional, ma una scelta ormai improcrastinabile perché chiama l’uomo a volgersi dalla esistenza come problema al Mistero come orizzonte di senso, invitandolo a non arrestarsi alla superficie, ma ad approfondire i dati storici ed esistenziali il cui senso non è misurabile secondo parametri esclusivamente razionalistici.
Allora, carissimi fedeli laici l’invito di Cristo “Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20, 3-4) va inteso come un chiaro richiamo ad assumersi la propria parte di responsabilità nella vita e nella missione della Chiesa, vale a dire nella vita e nella missione di tutte le comunità cristiane: diocesi e parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali, «secondo la verità nella carità» (Ef 4,15).
Facendo eco alla voce del Signore, chiedo ai laici della nostra Chiesa, (la quale ebbe la grazia di ricevere il Vangelo nella prima ora dell’era cristiana), al Movimento apostolico di “operare nella vigna”, come operosi, missionari, diventando protagonisti della «nuova evangelizzazione», “testimoniando Gesù risorto, speranza del mondo”.