Con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese
Se dovessi definire con una sola parola il cristiano dei nostri giorni, direi che è un “frantumatore”. A questa parola se ne dovrebbe aggiungere una seconda: “Seminatore di sabbia o di farina”. È un “frantumatore” perché ha ridotto in briciole ogni Mistero: della Santissima Trinità, di Cristo Gesù, della Chiesa, della grazia, della verità, dei sacramenti, della Parola, della teologia, della morale, della comunione, dell’unità, dell’antropologia. Niente è rimasto intatto. Tutto è stato sottoposto a questa pesante macina della frantumazione e tutto è venuto fuori ridotto in sabbia o in farina. Il frutto del suo lavoro poi lo semina nei cuori pensando illusoriamente di poter produrre un qualche frutto. Ma seminando farina o sabbia non si potrà mai raccogliere un solo frutto. È il deserto spirituale. È la carestia nella salvezza.
Anche le virtù sono state frantumate. Quando si parla di una virtù necessariamente si deve parlare delle altre. Il settenario delle virtù è uno, come uno è lo Spirito Santo al quale esso è legato. Anche i doni dello Spirito sono sette, ma uno è lo Spirito che le rende operanti nel cuore, nella mente, nell’anima, nello stesso corpo. Oggi si parla solo di misericordia. Ma senza unire la misericordia alla fede e alla speranza e senza inserire queste tre virtù teologali nella quattro virtù cardinali, che sono la forma essenziale nella quale le virtù teologali possono vivere, i frutti sono oltremodo scarsi. Al di là di un vago sentimento, tutto alla fine diviene vano. Certo, possiamo anche essere soddisfatti per aver seminato molta sabbia o molta farina, ma da questa semina mai si potrà raccogliere un solo frutto. Si rimane sempre affamati, perché né il Cielo e né la terra nutriranno mai l’uomo. Nulla si semina e nulla si raccoglie.
La fede ci dice che si deve costruire la vita della Parola del Signore. Se la fede non viene posta a fondamento della speranza che ci annunzia che ogni futuro è dono di Dio e non delle nostre mani, quale carità possiamo noi vivere? Nessuna. Senza fede muore la vera speranza e anche la vera carità muore. Rimangono quei palliativi inutili di carità che mai possono dirsi vera carità, carità alla maniera di Cristo Gesù che sulla croce diede il suo corpo per il perdono dei nostri peccati, il suo sangue per essere lavati da ogni macchia, la sua carne come cibo verso la vita eterna, il suo Santo Spirito come rigeneratore e rinnovatore perenne della nostra vita. Un mistero frantumano mai potrà darci la vera carità, ma neanche la vera fede e la vera speranza.
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (Lc 12,32-48).
È la Parola di Gesù che mi dice come vivere quotidianamente la carità. La carità altro non è che purissima vita secondo la Parola. Noi tutti siamo indaffarati nel fare cose, rimanendo noi però senza fede, senza speranza, senza carità, essendo privi di fortezza, giustizia, temperanza, prudenza. Non possiamo seminare sabbia di carità e pretendere poi dei frutti di vita eterna dalla nostra semina. La carità, quella vera, non è fare qualcosa per gli uomini. È invece dare tutta la nostra vita al Padre celeste, perché se ne serva Lui per salvare e redimere i suoi figli. Ma dare la vita al Padre si può a condizione che si possiede una fede viva e una speranza contro ogni speranza. Urge allora smettere di essere frantumatori del mistero e ritornare ad essere unificatori di esso. Solo un mistero santamente riunificato nello Spirito Santo produce veri frutti.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri seminatori di Cristo nei cuori.