Commento teologico alla prima lettura – Settembre 2016

 

1 SETTEMBRE (1Cor 3,18-23)

Si faccia stolto per diventare sapiente

La sapienza dell’uomo è stoltezza dinanzi al Signore. Paolo lo grida ai Corinti servendosi del primo discorso di Elifaz a Giobbe e del Salmo 104 (103).

Grida pure! Ti risponderà forse qualcuno? E a chi fra i santi ti rivolgerai? Poiché la collera uccide lo stolto e l’invidia fa morire lo sciocco. Ho visto lo stolto mettere radici e subito ho dichiarato maledetta la sua dimora. I suoi figli non sono mai al sicuro, e in tribunale sono oppressi, senza difensore; l’affamato ne divora la messe, anche se ridotta a spine, la porterà via e gente assetata agognerà le sue sostanze. Non esce certo dal suolo la sventura né germoglia dalla terra il dolore, ma è l’uomo che genera pene, come le scintille volano in alto. Io, invece, mi rivolgerei a Dio e a Dio esporrei la mia causa: a lui, che fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare, che dà la pioggia alla terra e manda l’acqua sulle campagne. Egli esalta gli umili e solleva a prosperità gli afflitti; è lui che rende vani i pensieri degli scaltri, perché le loro mani non abbiano successo. Egli sorprende i saccenti nella loro astuzia e fa crollare il progetto degli scaltri. Di giorno incappano nel buio, in pieno sole brancolano come di notte. Egli invece salva il povero dalla spada della loro bocca e dalla mano del violento. C’è speranza per il misero, ma chi fa l’ingiustizia deve chiudere la bocca. Perciò, beato l’uomo che è corretto da Dio: non sdegnare la correzione dell’Onnipotente, perché egli ferisce e fascia la piaga, colpisce e la sua mano risana. Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima il male non ti toccherà; nella carestia ti libererà dalla morte e in guerra dal colpo della spada, sarai al riparo dal flagello della lingua, né temerai quando giunge la rovina. Della rovina e della fame riderai né temerai le bestie selvatiche; con le pietre del campo avrai un patto e le bestie selvatiche saranno in pace con te. Vedrai che sarà prospera la tua tenda, visiterai la tua proprietà e non sarai deluso. Vedrai che sarà numerosa la tua prole, i tuoi rampolli come l’erba dei prati. Te ne andrai alla tomba in piena maturità, come un covone raccolto a suo tempo. Ecco, questo l’abbiamo studiato a fondo, ed è vero. Ascoltalo e imparalo per il tuo bene» (Gb 5,1-27).

Dio vendicatore, Signore, Dio vendicatore, risplendi! Àlzati, giudice della terra, rendi ai superbi quello che si meritano! Fino a quando i malvagi, Signore, fino a quando i malvagi trionferanno? Sparleranno, diranno insolenze, si vanteranno tutti i malfattori? Calpestano il tuo popolo, Signore, opprimono la tua eredità. Uccidono la vedova e il forestiero, massacrano gli orfani. E dicono: «Il Signore non vede, il Dio di Giacobbe non intende». Intendete, ignoranti del popolo: stolti, quando diventerete saggi? Chi ha formato l’orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio, forse non vede? Colui che castiga le genti, forse non punisce, lui che insegna all’uomo il sapere? Il Signore conosce i pensieri dell’uomo: non sono che un soffio. Beato l’uomo che tu castighi, Signore, e a cui insegni la tua legge, per dargli riposo nei giorni di sventura, finché al malvagio sia scavata la fossa; poiché il Signore non respinge il suo popolo e non abbandona la sua eredità, il giudizio ritornerà a essere giusto e lo seguiranno tutti i retti di cuore. Chi sorgerà per me contro i malvagi? Chi si alzerà con me contro i malfattori? Se il Signore non fosse stato il mio aiuto, in breve avrei abitato nel regno del silenzio. Quando dicevo: «Il mio piede vacilla», la tua fedeltà, Signore, mi ha sostenuto. Nel mio intimo, fra molte preoccupazioni, il tuo conforto mi ha allietato. Può essere tuo alleato un tribunale iniquo, che in nome della legge provoca oppressioni? Si avventano contro la vita del giusto e condannano il sangue innocente. Ma il Signore è il mio baluardo, roccia del mio rifugio è il mio Dio. Su di loro farà ricadere la loro malizia, li annienterà per la loro perfidia, li annienterà il Signore, nostro Dio (Sal 94 (93) 1-23).

Il pensiero di Paolo è semplice. Il Corinti hanno abbandonato la sapienza della Croce, la scienza che viene dal Crocifisso e si stanno abbeverando di sapienza terrena, carnale, mondana. Non è questa la sapienza che gradisce il Signore. Questa sapienza non sgorga dal suo cuore trafitto. Non è il frutto dello Spirito Santo. Se loro persevereranno in questa sapienza, da essa saranno ricondotti nella falsità di ieri.

Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri sapienti in Cristo.

 

2 SETTEMBRE (1Cor 4,1-5)

Servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio

I Corinti vanno rifondati nella fede, non in un solo capitolo o in un solo principio, in questa o in quell’altra verità, ma in tutta la loro fede. Il loro essere discepoli di Gesù è un rincorrere ognuno se stesso a discapito degli altri. È l’esaltazione di se stessi, contro gli altri. Ognuno pensa di essere lui la luce per gli altri. È la guerra dei carismi e dei doni di grazia. È veramente il caos morale e spirituale. Inoltre ognuno si rifà ad un suo speciale, particolare maestro: Pietro, Apollo, Paolo e altri. È veramente difficile poter intervenire. Da dove partire? Quale principio basilare urge loro offrire perché si convincano che hanno bisogno di essere nuovamente piantati in Cristo Gesù.

Lo Spirito Santo, che sempre illumina e muove Paolo, gli suggerisce una via sovrana. Partire dalla sua verità. Chi è Paolo? È il servo di Cristo. Qual è il suo mandato o il ministero ricevuto da Cristo? Essere l’amministratore dei misteri di Dio. Anche Cristo e la comunità cristiana sono parti essenziali del mistero di Dio. È proprio dal mistero di Cristo che ogni altro mistero potrà essere riportato nella sua purissima verità. Se però i Corinti non crederanno nella verità e nella missione di Paolo, la sua fatica sarà vana. Non vi sarà alcuna possibilità perché essi possano tornare in Cristo e presentarsi al mondo come comunità cristiana, fondata sulla verità e sulla carità che sono in Cristo.

Dicendosi Paolo servo di Cristo, esclude ogni altro servizio umano. Lui non è servo né di Pietro e né di Paolo. È solo servo della verità di Cristo, della sua luce, della sua carità, del suo amore, della speranza che nasce dalla sua risurrezione. Che non sia né servo degli uni e né degli altri, Lui lo ha manifestato personalmente allo stesso Pietro, quando ad Antiochia lo riprese a viso aperto perché non agiva secondo la verità del Vangelo. Se Paolo ha ripreso Pietro in virtù del suo non essere suo servo, ma solo servo di Cristo, potrà anche ai Corinti indicare la vera via del servizio da offrire a Cristo.

Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?» (Gal 2,11-14).

Ma Paolo non è solo servo di Cristo Gesù, è anche amministratore dei misteri di Dio. Essendo amministratore, vi è una comunità che si è posta fuori del mistero e Lui possiede tutta l’autorità per ricondurla in esso. I Corinti devono ascoltarlo, se vogliono essere del mistero di Cristo. Altrimenti rimarranno eternamente fuori, senza rimedio.

Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

San Paolo è per noi vero maestro. Lui ci insegna che sempre per la soluzione dei problemi della comunità e di singoli suoi membri, sempre si deve partire dalla conoscenza della nostra verità. I Corinti mai avrebbero potuto risolvere una sola delle questioni dalle quali erano tormentati, perché erano divorati dalla falsità. Nella falsità si può entrare solo con la luce. La luce del proprio ministero e della propria missione che è portatrice della luce di Cristo, che è luce alla quale ogni altro deve attingere se vuole ritornare ad essere luce. Questo obbliga ognuno a conoscere la verità del suo servizio e della sua missione. Quando uno resta nella luce ed entra nella vita degli altri con la purezza della sua luce, chi vuole dalla falsità può ritornare ad essere luce in Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera luce in Cristo Gesù.

 

3 SETTEMBRE (1Cor 4,6b-15)

Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù

Altra Altissima verità con la quale Paolo entra nella comunità di Corinto. Si annunzia quale loro vero Padre nella fede. Lui è il Padre che li ha generati in Cristo Gesù. Qual è il compito dei figli per rapporto al padre? Il purissimo ascolto. La vita di luce, sapienza, verità, del figlio è dall’ascolto del padre. Chi ascolta vive, chi non ascolta muore. Non vi è istituzione umana che possa sopprimere questo principio divino.

Figli, ascoltate me, vostro padre, e agite in modo da essere salvati. Il Signore infatti ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati, chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Chi teme il Signore, onora il padre e serve come padroni i suoi genitori. Con le azioni e con le parole onora tuo padre, perché scenda su di te la sua benedizione, poiché la benedizione del padre consolida le case dei figli, la maledizione della madre ne scalza le fondamenta. Non vantarti del disonore di tuo padre, perché il disonore del padre non è gloria per te; la gloria di un uomo dipende dall’onore di suo padre, vergogna per i figli è una madre nel disonore. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa. Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te, come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati. Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta sua madre è maledetto dal Signore (Sir 3,1-16).

I Corinti, essendo stati generati alla fede in Cristo Gesù da Paolo, hanno l’obbligo di ascoltarlo. Come la fede è nata da Lui, dalla sua opera che è vera generazione, così la purificazione della loro fede, ormai divorata e travolta dalla falsità, dovrà essere nuovamente fatta da lui. Essi però sono obbligati all’ascolto. Non è però l’ascolto del discepolo verso il maestro, bensì del figlio nei riguardi del padre. Paolo è il loro padre ed essi lo dovranno ascoltare. Se non lo ascoltano, mancano nei loro doveri fondamentali. Inoltre vi è una seconda verità che va messa in evidenza. Né Pietro e né Apollo essi possono invocare o richiedere perché la loro fede venga ricollocata in Cristo Gesù. Essi non sono loro padri. Ad essi non spetta questo compito. D’altronde neanche saprebbero come ricollocarla, dal momento che essi non li hanno generati.

Perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo.

La prima regola di verità, che è tratta dal cuore di Cristo, dice che tutto è un dono che dal Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, discende nel cuore dell’uomo. Come è dono per gli altri così è anche dono per me. Se voglio che il mio dono venga rispettato anche i doni degli altri vanno rispettati. Dono è il mio e dono è quello dei fratelli. Nell’umiltà va donato, nell’umiltà va accolto. Il dono non è per il proprio vanto o gloria. Esso è puro servizio alla verità e alla carità che sono in Cristo Gesù. San Paolo così vive il dono ricevuto di essere servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio: come purissimo servizio all’amore di Gesù Signore. Ma tutti i doni sono un servizio di amore a Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci servi dell’amore di Cristo.

 

4 SETTEMBRE – XXIII Domenica T.O. – (Sap 9,13-19)

Gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito

Il Libro della Sapienza è tutto fondato su un solo principio: l’uomo è nella stoltezza. I re sono nella stoltezza e anche i sapienti di questo mondo sono nella stoltezza. La sapienza però non viene dalla terra. Essa discende dal Cielo, da Dio. A Lui va chiesta con preghiera incessante. Mai un solo giorno senza la preghiera di richiesta della sapienza. Essa è come l’aria che respiriamo. Abbiamo sempre bisogno di aria sempre nuova. L’aria già respirata è senza ossigeno e non dona vita al corpo. Ecco la preghiera elevata a Dio per ottenere la sapienza. Sono i versetti immediatamente precedenti il brano che è offerto oggi alla nostra contemplazione e meditazione.

«Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, e con la tua sapienza hai formato l’uomo perché dominasse sulle creature che tu hai fatto, e governasse il mondo con santità e giustizia ed esercitasse il giudizio con animo retto, dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono, e non mi escludere dal numero dei tuoi figli, perché io sono tuo schiavo e figlio della tua schiava, uomo debole e dalla vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Se qualcuno fra gli uomini fosse perfetto, privo della sapienza che viene da te, sarebbe stimato un nulla. Tu mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie; mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte, un altare nella città della tua dimora, immagine della tenda santa che ti eri preparata fin da principio. Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; lei sa quel che piace ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti. Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Ella infatti tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria. Così le mie opere ti saranno gradite; io giudicherò con giustizia il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre (Sap 9,1-12).

Perché dobbiamo chiedere perennemente la sapienza? Perché le sue doti ci permettono di operare sempre nella più pura volontà del Signore il bene più grande.

In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili. La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti. Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza. Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza (Sap 7, 11-30).

Oggi sappiamo chi è la nostra Sapienza: Cristo Signore. La nostra preghiera deve salire senza sosta al Padre celeste perché mandi nei nostri cuori lo Spirito Santo, il solo abilitato da Lui a scrivere Cristo ogni giorno nei nostri cuori. Quel giorno in cui Cristo non è scritto dallo Spirito, è giorno consegnato alla stoltezza, all’insipienza.

Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza».

Salomone pregò. Gli fu data la sapienza. Non prego più. Mori per stoltezza e follia. Confidò in se stesso. Pensò di essere saggio. Si consegnò all’idolatria. Rovinò il regno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri sapienti in Cristo.

 

5 SETTEMBRE (1Cor 5,1-8)

Con azzimi di sincerità e di verità

Fede e morale sono l’una l’albero e l’altra il frutto. Quando nel cuore secca la fede all’istante anche la morale secca. Né si può pensare che la morale possa esistere da sola, senza la fede. Si può anche insegnare la morale senza la fede, ma si lavora vanamente. È come se si facesse una lezione di chimica sull’acqua. Essa non produce nessuna acqua. Si sa solamente come l’acqua è fatta. Gesù questa verità l’annunzia nella similitudine della vera vite e dei tralci. “Senza di me non potete fare nulla”.

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,1-8).

San Paolo chiede ai Corinti di togliere il lievito vecchio. È questa una norma data da Dio per la celebrazione della Pasqua. Urge operare un passaggio dal vecchio al nuovo. Si lascia quanto appartiene al passato, quando si era pagani, si inizia un nuovo viaggio mangiando un pane nuovo, Cristo Gesù, pane di sincerità e di verità. Quanto Dio ordinava al suo popolo era solo figura. Si deve lasciare il vecchio uomo, si deve indossare il nuovo. Il nuovo Uomo è Gesù Signore. Di Lui ci si deve vestire.

Per sette giorni voi mangerete azzimi. Fin dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case, perché chiunque mangerà del lievitato dal giorno primo al giorno settimo, quella persona sarà eliminata da Israele. Nel primo giorno avrete una riunione sacra e nel settimo giorno una riunione sacra: durante questi giorni non si farà alcun lavoro; si potrà preparare da mangiare per ogni persona: questo solo si farà presso di voi. Osservate la festa degli Azzimi, perché proprio in questo giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dalla terra d’Egitto; osserverete tale giorno di generazione in generazione come rito perenne. Nel primo mese, dal giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete azzimi fino al giorno ventuno del mese, alla sera. Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievitato, quella persona, sia forestiera sia nativa della terra, sarà eliminata dalla comunità d’Israele. Non mangerete nulla di lievitato; in tutte le vostre abitazioni mangerete azzimi”» (Es 12,15-20).

L’immoralità è dell’uomo vecchio, di chi ancora non si è vestito di Cristo o se si è vestito, si è spogliato di Lui. Anche malizia e perversità appartengono a ciò che si era un tempo. Se oggi si è usciti da quel tempo, perché con le opere ritornare in esso? È segno che anche noi come i figli di Israele usciti dall’Egitto con il corpo, con la mente e con il cuore pensavano sempre di farvi ritorno. L’uscita deve essere una volta per sempre. Deve essere come la morte. Si lascia tutto, si entra in un mondo nuovo.

Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di mezzo a voi colui che ha compiuto un’azione simile! Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore. Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.

Chi esce e poi ritorna nel suo vecchio mondo attesta di non amare Cristo Gesù.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera luce nel Signore.

 

6 SETTEMBRE (1Cor 6,1-11)

Perché non subire piuttosto ingiustizie?

Dinanzi alla difesa del buon nome di Cristo Gesù, al cristiano è chiesto di dare la sua stessa vita. Perché Gesù Signore non subisca alcun danno ogni suo discepolo deve essere pronto anche al martirio. Se per Cristo si deve dare la vita, possiamo noi entrare in conflitto o in lite o in guerra per le cose della terra? Nel Discorso della Montagna è chiesto di essere liberi da tutte le cose di questo mondo e anche da noi stessi. Nulla ci appartiene. Neanche il nostro corpo. Esso è per il martirio, per la misericordia, la pietà, la compassione, l’amore universale.

Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,38-48).

San Giacomo, uomo sapiente e dal cuore evangelico ammonisce i cristiani a non seguire la sapienza diabolica, che viene dal cuore di Satana. Il cristiano deve stare lontano da gelosia amara, da spirito di contesa, da litigi e cose del genere. A lui è chiesto di essere sempre dalla sapienza arrendevole sempre creatrice di pace.

Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia (Gc 3,13-18).

San Paolo chiede di evitare lo scandalo. È una sconfitta per il cristiano entrare in liti con un altro cristiano. Ma molto di più è scandalo verso il mondo. Chi predica un Dio Crocifisso, un Dio che si è lasciato inchiodare sulla croce, donando il suo corpo ai carnefici, non deve essere attaccato a nessuna cosa. Se si attacca alle cose contraddice la sua fede, dona scandalo, allontana le persone da Cristo Gesù.

Quando uno di voi è in lite con un altro, osa forse appellarsi al giudizio degli ingiusti anziché dei santi? Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! Se dunque siete in lite per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente che non ha autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna! Sicché non vi sarebbe nessuna persona saggia tra voi, che possa fare da arbitro tra fratello e fratello? Anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello, e per di più davanti a non credenti! È già per voi una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizie e rubate, e questo con i fratelli! Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.

Ogni scandalo che si dona è peccato contro Gesù Signore. Si allontana il mondo da lui. Il primo vero annunzio è una vita conforme a quella di Gesù Signore. Di certo non è vita conforme quella che viene intessuta di liti, alterchi, contrapposizione, tribunali.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci liberi in tutto per Cristo.

 

7 SETTEMBRE (1Cor 7,25-31)

Il tempo si è fatto breve

San Paolo annunzia ai Corinti una verità sulla quale è giusto che tutti noi riflettiamo: “Il tempo si è fatto breve”. Perché si è fatto breve? Ce lo rivela l’Apocalisse di San Giovanni Apostolo. Si è fatto breve perché Gesù viene presto. Viene per prenderci e portarci con Lui nel suo cielo. Poiché viene presto, vi è poco tempo per noi per completare il nostro percorso di conformazione a Lui. Il lavoro è tanto, il tempo è poco.

E mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro». Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. E quando le ebbi udite e viste, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le mostrava. Ma egli mi disse: «Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo, con te e con i tuoi fratelli, i profeti, e con coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare». E aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Il malvagio continui pure a essere malvagio e l’impuro a essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.

Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine. Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna! Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino». Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta, ripeta: «Vieni!». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita. A chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro io dichiaro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro. Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti (Ap 22,6-21).

San Paolo vi aggiunge una seconda verità: la vita sulla terra non è fine, è solo un mezzo. È il mezzo per raggiungere il regno dei cieli. Quella è la vita vera, la vita eterna. Qui siamo solo di passaggio e dobbiamo vivere come un freccia che attraversa l’aria. Siamo sulla terra, ma dobbiamo vivere come se non ci fossimo. Dobbiamo svolgere ogni attività, vivere ogni missione, ma sempre sapendo che in ogni istante potremmo essere nell’eternità. Siamo sulla terra. Siamo nell’eternità. Questa è la brevità della nostra vita. Urge allora un cambiamento radicale, plenario.

Riguardo alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com’è. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele. Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

La scena, la figura di questo mondo passa, non è eterna. Sapendo che il tempo ci è dato come albero perché fruttifichiamo la nostra eternità, siamo chiamati a porre ogni attenzione a non lavorare per la terra, ma per il cielo. Se non costruiamo il nostro presente sulla più pura fede in Cristo Signore, le cose della terra sempre conquisteranno il nostro cuore e lo insabbieranno, facendoci perdere il vero fine per cui ogni cosa va fatta. È questa la stoltezza che oggi governa il mondo. Si è persa di vista l’eternità come frutto delle nostre azioni. La si pensa solo come un dono sganciato dalla vita attuale. Questo pensiero da solo basta per immergere gli uomini nella più grande immoralità. Crolla la vera fede, nascono idolatria e grandi nefandezze.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede in Cristo.

 

8 SETTEMBRE (Mi 5,1-4a)

Fino a quando partorirà colei che deve partorire

I profeti del Dio vivente vedono quanto Dio farà nell’immediato o anche nel lontano futuro e lo dicono. Le loro parole potranno essere comprese solo al momento del loro compimento e spesso neanche. Occorre che venga in noi chi quelle parole ha scritto, cioè lo Spirito Santo, perché sia Lui a spiegarle al nostro cuore e alla nostra intelligenza. Senza la sua opera, leggiamo le parole, ma ci fermiamo alla pura lettera. Il significato ci sfugge, la verità non viene colta, si rimane fuori della vera fede e della vera speranza, dal momento che l’una e l’altra sono il frutto della Parola del Signore.

Leggiamo nella profezia di Michea: “Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire”. Chi è questa vergine che deve partorire? Qual è questo potere altrui? Quando questo avverrà? Sappiamo dalla storia del popolo del Signore, che sovente stranieri hanno occupato il suolo sacro e hanno imposto il loro potere. Tante sono le donne che hanno partorito, partoriscono, partoriranno. Se uniamo la profezia di Michea con quella di Isaia, possiamo restringere il campo. Isaia parla di una vergine che deve partorire. Ma chi è questa vergine? Perché si parla di una vergine che partorisce? Se partorisce non è vergine, se è vergine potrà mai partorire? La mente umana è incapace di leggere la Scrittura. Essa è tutta mistero.

Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonata la terra di cui temi i due re. Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Èfraim si staccò da Giuda: manderà il re d’Assiria» (Is 7,10-17).

La mente non deve comprendere. Deve accogliere la Parola dello Spirito Santo e su di essa fondare la sua vera speranza. Lo Spirito dice che il Messia verrà. Nascerà a Betlemme. Le sue origini sono dall’antichità. Dona anche delle indicazioni temporali e delle modalità storiche certe. Il compimento di queste modalità sarà però sempre lo Spirito a rivelarle, perché sarà Lui a realizzarle. Ora lo Spirito ci dice per mezzo dell’Evangelista Matteo che la Vergine che concepisce e partorisce è Maria di Nazaret. Ci dice anche che Lei è veramente Vergine in eterno. È Madre ed è Vergine. Lei ha concepito senza il concorso dell’uomo, per opera dello Spirito Santo, il Figlio Unigenito del Padre. Ecco le origini dall’antichità del Messia. La sua antichità non è dal tempo, è dall’eternità. Lui non è solo uomo, è anche vero Dio. Il suo è mistero divino e umano.

E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!

La Parola di Dio nasce dallo Spirito Santo, si compie per opera dello Spirito Santo, si comprende nella luce divina dello Spirito Santo. Sulla sua profezia possiamo fondare la nostra speranza. Quanto Lui dice sempre lo compie, non però secondo la nostra comprensione storica, che è assai scarsa, ma secondo la sua eterna volontà, la sua divina verità, il progetto di salvezza che Lui ha scritto per noi fin dall’eternità. Non comprendo, ma credo. Credo e chiedo allo Spirito Santo sempre più luce. Ma anche dopo il compimento nella storia della Parola, comprendiamo noi il mistero che la sua realizzazione porta nella storia? Il mistero è sempre dinanzi a noi. Conosciamo noi oggi il mistero della Vergine Maria? Esso è sempre infinitamente oltre la nostra mente.

Angeli, Santi, fate luce sul mistero della Vergine Maria, Madre della Redenzione.

 

9 SETTEMBRE (1Cor 9,16-19.22b-27)

Correte anche voi in modo da conquistarlo!

Il premio che Paolo vuole conquistare è Cristo Gesù. Il Signore è sempre dinanzi a Lui. Quando sembra che lo abbia raggiunto e stia sul punto di afferrarlo, Gesù aumenta la sua luce, la sua verità e Paolo è come se dovesse iniziare daccapo. È una corsa che continuerà nell’eternità. Il mistero di Cristo e la sua luce sono infiniti.

Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore. Scrivere a voi le stesse cose, a me non pesa e a voi dà sicurezza. Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare! I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (Fil 3,1-14).

Mentre Paolo compie la sua corsa, ha un ministero da vivere: portare a compimento la Parola del Signore. Ma in cosa consiste questa sua missione? Realizzare in sé tutta la Parola per far innamorare della Parola ogni altro uomo. La Parola si annunzia mostrando la bellezza della sua luce attraverso la nostra vita trasformata in luce. La Parola è Cristo. Paolo compie Cristo, realizza Lui nel suo corpo, nella sua carne.

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza (Col 1,24-29).

Questo significa che Lui fa tutto per il Vangelo. Lui vive per realizzare il Vangelo nella sua carne. Realizza il Vangelo per guadagnare qualcuno al Vangelo. Il Vangelo Lui lo realizza secondo le modalità che lo stesso Vangelo gli indica. Lo realizza secondo la forma di Cristo Gesù. Cristo Gesù si è consegnato alla morte per la Parola del Padre. Dinanzi a Cristo Crocifisso per amore niente più vale se non la Croce di Gesù.

Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io. Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a realizzare il Vangelo.

 

10 SETTEMBRE (1Cor 10,14-22 )

Giudicate voi stessi quello che dico

Paolo insegna ai Corinti che la fede da essi abbracciata esige, richiede che venga vissuta con intelligenza, sapienza, lungimiranza. Un discepolo di Gesù non è chiamato alla stoltezza, all’insipienza, alla confusione, all’indeterminatezza. Ogni principio o verità di fede partorisce delle conseguenze che sono essenza stessa della fede. Sono le conseguenze la verità storica della fede. Se aboliamo le conseguenze è come se coltiviamo degli alberi ma poi distruggiamo i loro frutti. Non è l’albero che ci nutre, sono i suoi frutti. Non è la fede che ci salva, sono i suoi frutti.

Un esempio potrà aiutarci a comprendere. Noi diciamo oggi che vi è un Dio uguale per tutti. Bene! Quali sono i frutti, le conseguenze di questo principio di fede? La cancellazione immediata di Cristo e dello Spirito Santo, della Chiesa e del suo mistero di grazia e di verità, del Vangelo e di tutta la Scrittura, della Tradizione e del Magistero. Muore il Sacerdozio e muore lo stesso cristiano. Perché tutte queste conseguenze non sono il frutto dell’albero di Dio, ma di quello di Cristo Gesù. Muoiono anche tutte le altre religioni, dal momento che vengono private della loro specificità.

Ma vi è una conseguenza ancora più disastrosa. I creatori di questo Dio unico sono proprio i cattolici. Costoro ingannano solo se stessi, ma non gli altri, cioè gli “adoratori” di altri dèi o i figli di altre religioni. Tutti costoro mantengono intatte le loro credenze e le modalità storiche di “adorazione” e di “culto”. I cattolici giocano, ingannandosi e illudendosi, alla religione universale, mente gli altri sono fortemente attaccati alle loro tradizioni particolari. Noi distruggiamo Dio nel suo mistero, essi invece sono fortemente legati alla loro credenza. Così noi cattolici non siamo più né cattolici e né di altra religione. Siamo sale insipido che a nulla serve se non per essere gettato e calpestato dagli uomini. Infatti il mondo ci calpesta per la nostra mostruosa stoltezza e stupidità.

San Paolo ci ammonisce dicendoci di badare bene alle conseguenze che ogni nostra parola o atto storico introduce nella purissima verità della fede. Chi si accosta al corpo di Cristo, chi forma con Cristo un solo corpo, una sola vita, deve sapere che deve abbandonare tutto ciò che appartiene all’idolatria. Non certo disprezzando gli altri che ancora sono idolatri, ma perché è vera esigenza della sua fede. Vivere di due comunioni è impossibile. Come è impossibile percorrere due vie. Chi vive la comunione con Cristo non può vivere la comunione con gli idoli, con i demòni. O con Cristo o con i demòni. O Con il vero Dio o con gli idoli. La fede obbliga. Si vive la fede riflettendo e contemplando tutte le conseguenze che un solo nostro gesto introduce in essa.

Perciò, miei cari, state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?

Una fede senza intelligenza, senza sapienza, acume di Spirito Santo, si trasforma subito in non fede. La vera fede crea la differenza. Abolire la differenza è cancellare la fede. La differenza è nel comportamento, nelle azioni, nelle decisioni. Ogni parola che noi diciamo deve essere rivelatrice della verità della fede che governa il nostro spirito, la nostra anima, il nostro corpo. Tutta la morale dice differenza. Un cristiano e un non cristiano si distinguono per la diversa vita che conducono. Se si vive la stessa vita è segno che la fede è morta. Solo una fede morta è fede senza diversità e differenze.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di vera fede.

 

11 SETTEMBRE –XXIV Domenica T.O.– (Es 32,7-11.13-14)

Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele

Il popolo ha peccato. Il Signore decide di distruggerlo. Ma può distruggerlo? Può annientarlo? Può farlo morire nel deserto? Può abbandonarlo a se stesso? No. Non può. Non può perché Lui si è obbligato con giuramento. Ogni obbligo giurato va adempiuto. Se Dio non adempie i suoi obblighi, chi potrà mai credere in Lui?

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1-3).

E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice. Alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo». Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate (Gen 15,7-18).

L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce» (Gen 22,15-18).

Mosè ricorda al Signore i suoi obblighi assunti con Abramo, Isacco e Giacobbe. Se Lui non è fedele alla sua Parola giurata, vi sarà un solo uomo sulla terra che potrà credere in Lui? Non vi potrà essere alcuna fede se Dio non è fedele a se stesso. Mosè ricorda questo al Signore e il Signore decide di osservare la sua Parola nonostante ogni peccato, ogni trasgressione, ogni disobbedienza, ogni idolatria del suo popolo.

Allora il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Il male oggi della nostra fede è uno solo: abbiamo privato di Dio della fedeltà alla sua Parola. Se Dio non è fedele alla sua Parola – ed è sulla sua Parola alla quale Lui è fedele per l’eternità che la nostra fede potrà sempre poggiarsi – potrà mai nascere sulla terra un solo uomo fedele alla Parola di Dio? È non senso essere fedeli ad una Parola alla quale Dio non è fedele. La fedeltà dell’uomo è dalla fedeltà di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la fede nel Dio fedele.

 

12 SETTEMBRE (1Cor 11,17-26.33)

Il vostro non è più un mangiare la cena del Signore

La fede necessariamente deve generare una morale nuova. La morale nuova cambia tutta la vita, non solo nelle grandi cose, ma anche nelle più piccole. Nulla vi è nell’uomo: corpo, anima, spirito, sensi, volontà, sentimenti, desideri, pensieri, che non siano cambiati, modificati, trasformati dalla fede. Se la fede non cambia tutto dell’uomo, o essa non è vera fede, oppure è morta nel cuore. Sono molti coloro che pensano la fede come una verità fuori di essi come tutte le altre verità della scienza.

Con il Battesimo siamo divenuti corpo di Cristo. Con l’Eucaristia nutriamo il corpo di Cristo che siamo noi, per divenire sempre più pienamente corpo di Cristo. Ma il corpo di Cristo non è solo spirituale, è anche fisico. Esso va nutrito anche fisicamente. Da chi deve essere nutrito? Dal corpo di Cristo. Cristo, nostro capo, nutre tutto il corpo con il suo corpo. Noi corpo di Cristo, dobbiamo nutrire tutto il corpo, con tutto ciò che noi siamo e possediamo. È il nostro corpo che va nutrito e deve essere nutrito dal corpo.

Se uno possiede dei beni di questo mondo e sono per lui superflui, è giusto per giustizia di fede e di nuova realtà acquisita con il battesimo, porli a disposizione di tutto il corpo perché possa nutrirsi. Se non lo fa, vive di certo di fede ammalata o addirittura morta. Ma se è di fede morta, non ha diritto di nutrirsi del corpo di Cristo. Il corpo di Cristo deve nutrire la sua fede, la sua carità, la sua speranza. Se la fede è morta, prima urge che venga risuscitata, resa viva e poi si può nutrire del corpo di Cristo.

A Corinto, nella comunità dei discepoli del Signore, succedeva proprio questo: Molti dalla fede ammalata, andavano, portavano la loro cena, si sedevano, la consumavano. Non condividevano nulla con i poveri. Costoro partecipavano alla cena, ma si nutrivano solo spiritualmente, non fisicamente. È questa una evidente contraddizione con la vera fede. Se il corpo è uno e Cristo mette a disposizione del corpo tutto se stesso, anche quanti partecipano alla cena devono mettere a disposizione del corpo tutto se stessi.

Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.

Non si può annunziare la morte del Signore, celebrare la sua morte, senza annunciare anche la nostra morte all’egoismo, alla superbia, alla concupiscenza, all’invidia, alla gelosia, a tutto ciò che divide e separa il corpo dal corpo. La fede esige il cambiamento di tutta la vita, se è vera fede. Se poi è morta, allora nulla cambia e nulla si modifica. Chi deve vigilare sul retto uso del corpo di Cristo, deve ammonire quanti vi partecipano senza fede, che la loro fede è morta. Altrimenti è lui che si carica del loro peccato.

San Paolo, dalla fede forte, ammonisce i Corinti che loro non mangiano la cena del Signore con santità, verità, giustizia. La mangiano senza fede, nel peccato, nella morte. Non è così che si costruisce il corpo di Cristo. Così il Signore è disprezzato e si getta anche il disprezzo sulle cose santissime. Non conoscono il corpo di Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera fede.

 

13 SETTEMBRE (1Cor 12,12-14.27.31a)

Ora voi siete corpo di Cristo

Nessuno da solo è Chiesa. Nessuno da solo può vivere nella perfezione della vera Chiesa. La Chiesa è un corpo ben compaginato e connesso, nel quale ogni membro è chiamato a svolgere una missione particolare, unica, conformemente ai suoi doni di grazia e al ministero che gli è stato affidato. L’unità spirituale esige l’unità fisica, l’unità fisica domanda l’unità missionaria, l’unità missionaria richiede l’unità morale, l’unità morale vuole l’unità dei pensieri e dei sentimenti, l’unità dei pensieri e dei sentimenti richiede l’unità nella verità, l’unità nella verità ci obbliga all’unità della fede.

Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità (Cfr. Ef 4,1-16).

Ognuno, per la sua parte, è obbligato dalla sua fede, speranza, carità a mettere ogni impegno, ogni attenzione, a costruire l’unico e solo corpo di Cristo. Questo corpo non è lasciato alla volontà del Signore. San Paolo dice che in primo luogo Dio ha posto gli Apostoli. Sono essi che devono custodire il corpo nella verità, nella giustizia, nella missione secondo il pensiero di Cristo Gesù, attinto da essi nello Spirito Santo. Una Chiesa dove la missione apostolica è in sofferenza o per l’Apostolo che si è lasciato trascinare nel pensiero del mondo, o per il corpo che non segue i suoi insegnamenti, questa Chiesa mai potrà produrre un solo frutto di salvezza. Le manca il carisma e il ministero dell’Apostolo. Ma questo non è il solo ed unico carisma e ministero.

Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Desiderate invece intensamente i carismi più grandi.

La Chiesa vive di molti carismi e molti ministeri. Anche l’apostolo deve nutrirsi dei carismi e dei ministeri del suo corpo, se vuole svolgere il suo nella santità, nella verità, nella fede che sono in Cristo Gesù. Lui ha bisogno del ministero della profezia, della teologia, dell’insegnamento, della consolazione, della guarigione, di ogni altro dono di grazia e di verità, di saggezza e di intelligenza dato dallo Spirito Santo al corpo di Cristo. La vita del corpo è dalla comunione dei carismi: si dona il proprio carisma si accolgono i carismi di tutti gli altri. Un solo carisma disprezzato, spento, sotterrato impoverisce il corpo e lo rende non perfettamente idoneo alla missione di salvezza che il Padre dei cieli, nello Spirito Santo, ha stabilito per il corpo di Cristo nella storia.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero corpo di Cristo.

 

14 SETTEMBRE (Num 21,4b-9)

Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta

La morte nel mondo venne dal serpente. Fu lui che tentò Eva, convincendola ad attingere e mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male, ingannandola.

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture (Gen 3,1-7).

San Paolo ammonisce i discepoli di Gesù a porre molta attenzione. Il serpente non ha smesso di sedurre l’uomo. Anche loro potrebbero essere sedotti e ingannati.

Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi sopportate. Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo. Infatti, se il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli! E se anche sono un profano nell’arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a voi (2Cor 11,1-6).

Dal Secondo Libro dei Re sappiamo che il serpente innalzato nel deserto era divenuto oggetto di vera idolatria. Non era più oggetto di fede, ma di gelosia per il Signore.

Nell’anno terzo di Osea, figlio di Ela, re d’Israele, divenne re Ezechia, figlio di Acaz, re di Giuda. Quando egli divenne re, aveva venticinque anni; regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abì, figlia di Zaccaria. Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, come aveva fatto Davide, suo padre. Egli eliminò le alture e frantumò le stele, tagliò il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, che aveva fatto Mosè; difatti fino a quel tempo gli Israeliti gli bruciavano incenso e lo chiamavano Necustàn. Egli confidò nel Signore, Dio d’Israele. Dopo non vi fu uno come lui tra tutti i re di Giuda, né tra quelli che ci furono prima. Aderì al Signore e non si staccò da lui; osservò i precetti che il Signore aveva dato a Mosè. Il Signore fu con lui ed egli riusciva in tutto quello che intraprendeva. Egli si ribellò al re d’Assiria e non lo servì. Sconfisse i Filistei fino a Gaza e ai suoi territori, dalla torre di guardia alla città fortificata (2Re 18,1-8).

Dal serpente venne la morte. Dal serpente Dio ha disposto che venisse la vita. Il serpente innalzato nell’accampamento va guardato con occhi di fede. La fede non è nel serpente, ma nella Parola del Signore. Si crede nella Parola, si guarda il serpente, si rimane in vita. La vita è dall’ascolto della Parola. Il segno è prova della fede.

Ma il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.

Tutta cambia con Cristo. Cristo Gesù non solo è segno. Lui è segno, Parola, vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci Cristo nostra vera vita.

 

15 SETTEMBRE (Eb 5,7-9)

Per il suo pieno abbandono a lui

Gesù vive di purissima obbedienza verso il Padre suo. Mai un solo attimo della sua vita fu sottratto alla volontà del Padre per essere vissuto secondo il cuore di Cristo Signore. Questa verità è l’essenza del Vangelo. Il Padre parla e Lui ascolta. Il Padre manda e Lui vi si dirige. Il Padre vuole e Lui realizza, compie, opera. Nulla è in Lui che non sia volontà del Padre ascoltata e vissuta in pienezza di amore. Gesù è l’obbedienza eterna incarnata. Lu ha vissuto, vive, vivrà sempre da vero Figlio nell’eternità e nel tempo. Chi è il vero Figlio? Colui che ascolta il Padre in ogni sua Parola.

Nell’Orto degli Ulivi Gesù fu fortemente tentato perché non andasse in Croce. Lui si prostrò in orazione e con la sua intensissima preghiera trionfò sulla tentazione. Si avviò verso la Croce con tutta la sua grande, infinita, eterna, divina e umana passione di amore, lasciandoci così l’esempio che è sempre possibile vincere ogni tentazione. Questo fa il vero discepolo di Gesù: non chiede al Padre che lo liberi dalla croce della vita. Chiede invece che possa sempre portare la croce dell’obbedienza e dell’amore.

Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,39-46).

Con la sua preghiera Gesù si consegna al Padre abbracciando la Croce. Il Padre lo libera non dalla croce, non dalla morte. Lo libera dalla morte, nella morte, dal sepolcro nel sepolcro. Gli dona un corpo immortale, spirituale, incorruttibile, glorioso, di luce.

Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

La prima discepola di Gesù è la Madre sua. Gesù camminava nella volontà del Padre. La vergine Maria, piena di Spirito Santo, contemplava il figlio suo e da Lui apprendeva giorno per giorno a crescere nell’obbedienza, perché anche a Lei il Signore sta per chiedere qualcosa che finora mai aveva chiesto ad alcuno. In verità lo aveva già chiesto ad Abramo: il sacrificio del figlio. Ma poi ad Abramo il Signore fermò la mano. Glielo diede vivo da vivo. Non glielo diede vivo da morto. Anche se la Lettera agli Ebrei ci rivela che Abramo fosse convinto che il Signore glielo avrebbe dato vivo da morto.

La fede della Vergine Maria deve andate oltre quella di Abramo e così anche la sua obbedienza. Lei deve credere realmente che il Signore le avrebbe ridato il Figlio suo. Non però da vivo facendolo discendere dalla croce. Glielo avrebbe dato vivo da morto, facendolo risorgere dal sepolcro. A Lei il Signore chiese l’immolazione reale, l’offerta del Figlio dalla croce. Lei infatti stava ai piedi della croce come “vero sacerdote”, per fare a Dio una duplice offerta: quella del Figlio e in quella del Figlio anche la sua. Ciò che ogni cristiano dovrebbe vivere in ogni Santa Messa: offrire Cristo e in Cristo offrirsi per la redenzione del mondo. Lei in questa offerta è stata perfettissima.

Obbedienza e offerta sono una cosa sola. Se però non si cresce nell’obbedienza, mai si potrà crescere nell’offerta e senza l’offerta in Cristo della nostra vita, nessuna redenzione sarà possibile. La Vergine Maria diviene così l’esempio perfetto di come si segue il Figlio, dalla culla di Betlemme fino al Golgota e come si sta sempre ai piedi della sua Croce. Ma non per contemplare il Crocifisso, ma per offrirlo e in Lui offrirsi. Senza l’offerta del nostro corpo a Dio, la vera obbedienza mai si porterà a perfezione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti sino alla fine.

 

16 SETTEMBRE (1Cor 15,12-20)

Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede

Da San Paolo non si va solamente per cogliere le verità primarie, fondamentali su Cristo Gesù, quelle verità senza le quali nessuno mai potrà dirsi suo discepolo. Da Lui si deve andare anche e soprattutto per scoprire le modalità e le forme del suo argomentare teologico. L’Apostolo delle Genti dovrebbe essere per tutti vero modello di come si fa teologia, si elabora un pensiero, si argomenta e si deduce dalle verità della fede. Questa argomentazione e deduzione è la vita stessa della fede. La fede non è conoscere una verità, ma è soprattutto sapere quali sono le conseguenze che da essa derivano, scaturiscono, nascono. Questo vale sia al positivo che al negativo.

Oggi si dice, ad esempio, che l’inferno e vuoto e che la misericordia di Dio copre tutti i peccati dell’uomo indipendentemente dal suo pentimento, dalla sua fede, dalla sua religione, dalla Chiesa alla quale appartiene. Benissimo. Si risponde come ha risposto il profeta Geremia al falso profeta Anania. Voglia il Signore che sia così.

Il profeta Geremia rispose al profeta Anania, sotto gli occhi dei sacerdoti e di tutto il popolo, che stavano nel tempio del Signore. Il profeta Geremia disse: «Così sia! Così faccia il Signore! Voglia il Signore realizzare le cose che hai profetizzato, facendo ritornare gli arredi nel tempio e da Babilonia tutti i deportati. Tuttavia ascolta ora la parola che sto per dire a te e a tutto il popolo. I profeti che furono prima di me e di te dai tempi antichissimi profetizzarono guerra, fame e peste contro molti paesi e regni potenti. Il profeta invece che profetizza la pace sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà». (Ger 28,5-9).

Nessuno pensa che se così fosse, in un istante la terra si trasformerebbe in un inferno. Diventerebbe la terra della morte. Nessuno più osserverebbe un solo Comandamento. Ma questo è il nulla del nulla per rapporto ai guai seri che una tale falsità genera. Finisce l’opera della Chiesa. A nulla essa serve. Finisce il Papa e finiscono i Vescovi. Sono semplicemente dei pali sacri di pura idolatria e superstizione. Finisce la liturgia e i suoi sacramenti. Cristo a nulla più serve e neanche più Dio serve. Dello Spirito Santo non sappiamo cosa farcene. Tutte queste cose servono per indicarci la via per il Paradiso e per farci di giorno in giorno uomini nuovi capaci di camminare verso il Cielo. Finisce il Vangelo e la Scrittura. Finisce la verità, il diritto, la giustizia, la santità. Finiscono anche le confessioni religiose. Tutto viene assorbito dalla vanità. Una sola falsità inserita nel complesso delle verità della fede, le distrugge tutte. Non se ne salva neppure una. Eppure oggi questa falsità è in tutti i cuori e in tutte le menti.

Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

I Corinti hanno distrutto la vera fede in Cristo Gesù, nulla è rimasto in loro delle altre verità. Tutto si è sciolto in un istante più che neve al sole. Questo ci obbliga alla coerenza nelle verità della fede. Se neghiamo, togliamo, aggiungiamo, modifichiamo una sola verità, dobbiamo anche essere capaci di dedurre tutte le conseguenze che nascono dalla nostra affermazione. Se questo non lo facciamo, non siamo neanche uomini razionali, intelligenti, sapienti. Manchiamo di ogni saggezza. Siamo puramente e semplicemente degli stolti e degli insipienti. Quando la stoltezza si impossessa della fede, è la sua morte. E si è sempre stolti e insipienti, quando si afferma una verità che distrugge tutta la fede e poi si mantiene in vita l’apparato della stessa. Se usciamo dalla fede dobbiamo anche uscire dall’apparato di essa. Lo esige la falsità detta.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera sapienza.

 

17 SETTEMBRE (1Cor 15,35-37.42-49)

È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità

San Paolo per illuminare i Corinti sul mistero della risurrezione gloriosa, si serve della stessa immagine usata da Gesù per parlare di se stesso. Lui si è paragonato ad un chicco di grano gettato nella terra. Da essa non viene un altro chicco di grano. Il chicco di grano muore, dalla sua morte nasce la nuova vita, portatrice in sé di molti frutti.

Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!» (Gv 12,20-28).

Gesù scende nel sepolcro da morto. Vi scende con un corpo corruttibile, di carne, limitato nel tempo e nello spazio, finito e circoscritto. Risorge invece con un corpo immortale, incorruttibile, glorioso, spirituale, trasformato in purissima luce, come Dio e luce. Non è più soggetto agli angusti limiti dello spazio e del tempo. È in ogni tempo e in ogni luogo nello stesso istante. È nel cielo e sulla terra, è con Paolo e con Pietro. Vive in ogni ostia consacrata realmente, sostanzialmente, veramente. Si spezza la specie, ma non si spezza il corpo di Cristo che è uno e indivisibile. Non vi sono più corpi di Cristo. Ma uno solo. Il solo ed unico corpo tutti possono mangiarlo. Esso non si moltiplica. Rimane sempre uno. È eternamente uno. È il miracolo della risurrezione.

Tutto questo avviene nel mistero. Non cade sotto i sensi dell’uomo. Ci si può accostare ad essa solo nella fede. Ma la fede non conforme alle nostre categorie umane e terrene. Essa è perennemente conforme alle categorie divine e celesti. Le nostre categorie non possono comprendere la fede. Viene lo Spirito Santo e mette nel nostro cuore le sue categorie, le sue forme celesti, la sua sapienza e saggezza, la sua verità e a poco a poco la luce comincia a farsi strada nel cuore e nella mente. Metodologia corretta è iniziare un vero cammino di obbedienza nella Parola. Man mano che comprendiamo le cose della terra, secondo la purezza della fede, a poco a poco lo Spirito Santo ci introduce anche alle cose difficili, impossibili per qualsiasi mente umana. Questa metodologia o questo percorso va sempre applicato ad ogni anima.

Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.

La Scrittura Santa, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, non danno spiegazioni per comprendere il mistero, ne danno sempre però per una pronta e immediata obbedienza. Si ascolta il comando, la Parola, si obbedisce ad essa. Poi sarà lo Spirito Santo, alla fine, a dare la comprensione secondo quello che la mente potrà ricevere del mistero, che è sempre oltre, infinitamente e eternamente oltre. L’obbedienza alla fede viene sempre prima. Si obbedisce, si vive, si può anche comprendere e non sempre.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di pronta obbedienza.

 

18 SETTEMBRE – XXV Domenica T.O. – (Am 8,4-7)

Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere

È verità eterna e universale. Vale per ogni uomo, ogni popolo, ogni nazione, tribù, popolo, lingua: Tutti siamo sottoposti al giusto giudizio del Signore. Non solo nell’eternità, al momento della nostra morte e nell’ultimo giorno, ma anche nel corso della nostra vita sulla terra. In qualsiasi momento il Signore può venire e chiedere ragione dell’amministrazione della nostra vita rispetto a noi stessi e anche agli altri. Questa verità è essenza della rivelazione. Abolita questa verità, si può anche abolire la rivelazione. Essa perde ogni significato. Ma cosa è il giusto giudizio di Dio?

Esso è la fedeltà alla sua Parola, detta a noi dai suoi Mediatori, Profeti e Saggi, per opera dello Spirito Santo. Dio si è obbligato solennemente ad ogni sua Parola, ad alcune sue Parole si è legato anche con giuramento. La Parola e Dio sono una cosa sola. Come Dio rimane stabile in eterno, così la sua Parola rimane stabile in eterno. Essendo la storia anche il frutto dell’ascolto e del non ascolto della Parola del Signore, essa ogni giorno testimonia e attesta che quanto Dio dice è tremendamente vero. La Parola non si compie nei secoli eterni, dopo la storia. Si compie nella storia.

Essa sempre si compie secondo verità, donando vita e creando morte, generando benessere e anche malessere, producendo benedizione e maledizione. La verità è una sola: se ascolti Dio secondo la sua Parola, vivi. Se non lo ascolti, muori. Se lo ascolti, la benedizione ti ricoprirà. Se non lo ascolti sarai invece imprigionato in una maledizione che potrà essere anche eterna. Chi vuole la vita deve piantarsi nella Parola e in essa rimanere in eterno. Chi vuole la morte è sufficiente per lui che esca dalla Parola, disobbedisca, e morte avrà. Il Signore lo disse ad Adamo alle origini della storia: “Se ne mangi, muori”. Adamo non ascoltò e noi tutti moriamo a causa della sua disobbedienza. Satana tentò Eva, facendole credere che nulla era vero.

Amos vede un popolo angariato, calpestato, oppresso da alcuni che si credano sicuri da ogni giudizio del Signore. Lui interviene con fermezza profetica e annunzia agli oppressori del popolo che per essi verrà presto il giudizio del Signore. Dio non dimenticherà di certo le loro opere, non le cancellerà dal suo libro. Quando Lui verrà, e verrà presto, a Lui dovranno rendere conto anche di un centesimo estorto con ingiustizia ai loro fratelli. Qualcuno potrebbe obiettare: Ma io non credo nelle tue parole. A costoro il profeta risponde: Puoi anche non credere. Puoi anche perseverare nelle tue oppressioni. Sappi però che il sole per te oggi o domani non arriverà alla sera. Il Signore verrà e ti scalzerà dalla tua sicurezza. Dovrai confessare che il suo giudizio è sommamente giusto, sommamente vero. Ti aveva avvisato e tu non hai ascoltato.

Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

L’ammonimento del profeta e il ricordo nella storia per cancellare le iniquità dei malvagi e degli oppressori non è per incutere terrore oppure per dire che per essi non c’è più speranza. Il giudizio del profeta è invece un invito per la vera conversione. Tu, uomo, sei oppressore dei fratelli. Stai agendo con malvagità e cattiveria. Stai operano cose disoneste. Ti avviso che se non smetti, se non ti converti, se non ritorni nella giustizia, sarai colpito dal giudizio del Signore. Anche il giudizio di Dio sulla terra non è per la punizione, ma per la conversione. Si vuole far retrocedere l’uomo dalla sua malvagità. Quello dell’eternità, dopo la morte, non è più per la conversione. Esso è ratifica dello stato della persona. Se questa è trovata nella bontà del cuore, andrà con il Signore nel suo regno. Se invece è nella malvagità e nella cattiveria, andrà nell’inferno. Non è Dio che manda all’inferno. Dio non può accogliere nel suo regno di luce chi è tenebra.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede nella Parola.

 

19 SETTEMBRE (Pr 3,27-34)

Egli benedice la dimora dei giusti

La fede, quella vera, regola ogni relazione con Dio e con il prossimo. Ogni relazione sfasata con Dio e con il prossimo attesta che è sfasata la nostra fede oppure essa è inesistente. Nutriamo il cuore di immaginazioni, falsi diritti stabiliti anche come legge, cancellazione di diritti veri. Nella fede vera, quella fondata sul vero Dio, sul Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, vi sono anche delle relazioni da osservare con il tempo e con gli animali di cui l’uomo si serve per il suo lavoro. Tutto in questa fede è fondato sulle Due Tavole della Legge, date da Dio al suo popolo come fondamento del vivere insieme Lui con il popolo e i membri del suo popolo tra di loro.

Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,1-17).

È evidente che questa Legge divina è solo il fondamento primario senza il quale nessun cammino insieme sarà mai possibile. Successivamente il Signore provvede a manifestare ogni altra cosa necessaria per una armoniosa vita di comunione, ricca di pace, misericordia, perdono, elemosina, aiuto reciproco, benevolenza, pietà, compassione. Il Libro dei Proverbi è come sviluppasse secondo più forte carità e verità, giustizia e misericordia, tutto quanto è non solamente giusto ma anche caritatevole perché gli uomini possano vivere insieme. Non si può camminare insieme solo fondandoci sui comandamenti che vietano di privare l’altro di ciò che è suo. Questa norma da sola non basta. Non è sufficiente. Bisogna che si cominci anche ad aiutare gli altri con ciò che è nostro. Giustizia e misericordia sono la perfezione.

Non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. Non dire al tuo prossimo: «Va’, ripassa, te lo darò domani», se tu possiedi ciò che ti chiede. Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli dimora fiducioso presso di te. Non litigare senza motivo con nessuno, se non ti ha fatto nulla di male. Non invidiare l’uomo violento e non irritarti per tutti i suoi successi, perché il Signore ha in orrore il perverso, mentre la sua amicizia è per i giusti. La maledizione del Signore è sulla casa del malvagio, mentre egli benedice la dimora dei giusti. Dei beffardi egli si fa beffe e agli umili concede la sua benevolenza.

Dinanzi a noi vi è il prossimo. Verso di lui non solo si deve osservare ogni diritto. Dobbiamo anche rinunciare ai nostri diritti, dinanzi alle sue necessità. L’altro va aiutato, sostenuto. Con l’altro si deve vivere nella pace. L’altro può avere anche una posizione migliore della nostra, ma non per questo dobbiamo invidiarlo. Si deve benedire il Signore per il bene che viene da Lui. Sopra ogni cosa poi dobbiamo sempre vivere nel timore del Signore, sapendo che per ogni nostra azione a Lui dobbiamo rendere conto. Lui non benedice il male, mai maledice il bene. Il male sempre produrrà male a chi lo opera. Il bene sempre il bene. Per questa ragione sempre dobbiamo vivere alla sua presenza, camminando nella sua volontà, che Lui di volta in volta ci rivela.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci giusti secondo Dio.

 

20 SETTEMBRE (Pr 21,1-6.10-13)

Invocherà a sua volta e non otterrà risposta

Ogni relazione tra gli uomini è buona, se vissuta secondo la volontà di Dio, che regola anche i più piccoli dettagli. Nessun uomo ha un cuore così perfetto, così luminoso da vedere anche le più piccole, microscopiche imperfezioni nei rapporti tra gli uomini. Il nostro Dio invece vuole che anche le più insignificanti e minuscole vengano regolate dalla sua sapienza, giustizia, misericordia, pietà, compassione eterna. Nulla deve decidere l’uomo. Non ne è capace. Tutto invece deve decidere il Signore. Tutto deve scaturire dal suo cuore ricco di amore e dalla sua volontà che vuole ed ama la misericordia e la compassione. All’uomo non è dato di stabilire alcuna legge né per se stesso e né per gli altri. Legislatore dell’uomo è solo il Creatore. La regolamentazione di ogni rapporto tra uomo e uomo, tra uomo e Dio, tra uomo, gli animai, la terra, la stessa religione, è già parte essenziale della Legislazione dell’Esodo.

Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso. Non bestemmierai Dio e non maledirai il capo del tuo popolo. Non ritarderai l’offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me. Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l’ottavo giorno lo darai a me. Voi sarete per me uomini santi: non mangerete la carne di una bestia sbranata nella campagna, ma la getterete ai cani (Es 22,20-30).

Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per far da testimone in favore di un’ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo così da stare con la maggioranza, per ledere il diritto. Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo. Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico. Non ledere il diritto del tuo povero nel suo processo. Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l’innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti. Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto (Es 23,1-9).

Il Signore benedice e guida chi a Lui si affida. Mai potrà benedire né guidare chi si consegna al male e il male persegue. Questa verità obbliga ogni uomo che vuole riuscire nelle sue cose, di camminare nella Legge del Signore senza mai distaccarsi.

Il cuore del re è un corso d’acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole. Agli occhi dell’uomo ogni sua via sembra diritta, ma chi scruta i cuori è il Signore. Praticare la giustizia e l’equità per il Signore vale più di un sacrificio. Occhi alteri e cuore superbo, lucerna dei malvagi è il peccato. I progetti di chi è diligente si risolvono in profitto, ma chi ha troppa fretta va verso l’indigenza. Accumulare tesori a forza di menzogne è futilità effimera di chi cerca la morte. L’anima del malvagio desidera fare il male, ai suoi occhi il prossimo non trova pietà. Quando lo spavaldo viene punito, l’inesperto diventa saggio; egli acquista scienza quando il saggio viene istruito. Il giusto osserva la casa del malvagio e precipita i malvagi nella sventura. Chi chiude l’orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta.

Chi vuole trovare benevolenza, misericordia, pietà, perdono presso Dio, deve a sua volta usare benevolenza, misericordia, pietà, perdono verso il suo prossimo. L’uomo non può pensare di chiedere a Dio e di essere ascoltato, tenendo lui il cuore chiuso a chiunque gli chiede aiuto, sostegno. Il misericordioso otterrà misericordia. Chi è senza misericordia mai troverà misericordia. Oggi anche la legge della misericordia l’uomo vuole stabilire a partire dal suo cuore. Nessun uomo potrà mai legiferare. Solo Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede nel Signore.

 

21 SETTEMBRE (Ef 4,1-7.11-13)

Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli

San Paolo sia nella Prima Lettera ai Corinzi che in quella agli Efesini, presenta la Chiesa come un vero corpo. È un corpo particolare, speciale, unico, perché questo corpo è il corpo di Cristo Gesù, vero organismo vivente, nel quale ogni membro vive arricchito di una particolare manifestazione o dono dello Spirito Santo per l’utilità di tutte le altre membra. Ognuno riceve vita dal ministero e dal carisma degli altri, ma anche ognuno dona vita al ministero e al carisma degli altri. Quando questa comunione viene compromessa, il corpo non vive. Potrà mai vivere un corpo senza il buon uso o servizio del ministero e del carisma del cuore, dei reni, degli occhi, dell’udito, di ogni altro suo membro? Più membri vi sono compromessi e più il corpo è nella sofferenza.

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. (Cfr. 1Cor 12,1-31).

Ministero insostituibile per il corpo è quello degli Apostoli. Esso è il primo e vitale servizio, senza il quale non vi è né la verità di Cristo, né la grazia di Cristo, né lo Spirito Santo di Cristo. Infatti quanti non hanno più il ministero apostolico vivono una religione senza verità, senza grazia, senza il dono sacramentale dello Spirito di Cristo. Vivono di verità confezionata dagli uomini e di religione senza alcun riferimento alla purissima volontà di Gesù Signore, anche se è fatta risalire al suo Vangelo. Manca però del Vangelo il cuore di Cristo e dello Spirito Santo che sono dal ministero apostolico.

Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Ogni ministero e carisma sono essenziali alla Chiesa. Se però leggiamo l’Apocalisse noteremo che “le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello” (Ap 21,14). Sono essi che danno stabilità alla Chiesa di Gesù Signore. Dove l’apostolo non è posto come basamento la Chiesa è costruita sulla sabbia. Dinanzi agli uragani delle eresie, delle falsità, delle menzogne degli uomini, essa miseramente crolla. Manca la solida e dura roccia della sua stabilità. L’apostolo è il fondamento su cui si innalza la verità, la grazia, lo stesso Spirito Santo. Senza di Lui la Chiesa è senza vita soprannaturale. Vive una vita puramente umana. Ma la Chiesa non esiste per vivere di vita umana, ma dello stesso Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la verità dell’Apostolo.

 

22 SETTEMBRE (Qo 1,2-11)

Vanità delle vanità: tutto è vanità

Vanità per il Qoelet è consumare la propria vita nell’inseguire ciò che non dura, non vale, non ha consistenza eterna. Allora è giusto che ci chiediamo: cosa dona consistenza eterna a tutto ciò che facciamo? La risposta perfetta ce la offre Gesù con la sua nuova legge che sono le beatitudini. Solo esse danno valore eterno alla vita.

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt 5,3-12).

Ma cosa sono in realtà le Beatitudini? Sono la sola via per ricolmare di eternità ogni piccola e grande opera dell’uomo, ogni sua scelta, decisione, pensiero, desiderio. L’eternità è ciò che vale. L’effimero è ciò che non vale. Qual è la saggezza dell’uomo? Una sola: trasformare l’effimero in eternità beata. Come si trasforma l’effimero? Anche questa scienza viene da Gesù Signore: lavorare per portare l’anima in Paradiso.

Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno» (Mt 16,21-28).

Anche la carità, la stessa fede, a nulla servono, sono vanità, se ogni giorno non vengono ricolmate di valore eterno. Il vero guadagno per l’uomo è quello eterno. Tutti gli altri guadagni sono vani. Non durano. Gli altri guadagni ci fanno consumare la vita per il nulla, anzi, più che per il nulla. La si consuma per la perdizione eterna.

Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta a tornare là dove rinasce. Il vento va verso sud e piega verso nord. Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento. Tutti i fiumi scorrono verso il mare, eppure il mare non è mai pieno: al luogo dove i fiumi scorrono, continuano a scorrere. Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo. Non si sazia l’occhio di guardare né l’orecchio è mai sazio di udire. Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. C’è forse qualcosa di cui si possa dire: «Ecco, questa è una novità»? Proprio questa è già avvenuta nei secoli che ci hanno preceduto. Nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito.

È vera saggezza dell’uomo sottrarre ogni attimo della sua vita alla vanità e consegnarla all’eternità. Altrimenti si lavora solo per il fuoco eterno. Nella vanità la vita non si gode sulla terra, perché la si trasforma in un inutile affanno. Non si gode nell’eternità perché non l’abbiamo trasformata in vita eterna. Niente sulla terra possiede in sé un valore di eternità. È l’uomo, che portando tutto nella sapienza eterna insegnataci da Dio, si libera da ogni vanità. Dona alla sua vita una fortissima consistenza di eternità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, trasformate la vanità in eternità.

 

23 SETTEMBRE (Qo 3,1-11)

Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo

È grande sapienza per l’uomo vivere il tempo secondo la verità del tempo assegnato da Dio per ogni cosa che si fa sotto il cielo. Sbagliare tempo è sbagliare la vita. Sciupare il tempo è sciupare la vita. Cambiare la struttura del tempo delle cose è modificare la struttura stessa della vita. Qual è la stoltezza dell’uomo? Lui può anche cambiare, modificare, alterare la struttura del tempo secondo Dio, mai però il tempo si piegherà alla volontà dell’uomo. I frutti saranno un vero disastro. San Paolo ci ammonisce a non sciupare neanche un solo istante del nostro tempo. Esso va interamente riempito di eternità. Il lavoro è molto. Il tempo è breve. Nulla dovrà andare sciupato. Anche i secondi, gli attimi vanno raccolti e vissuti nella più alta sapienza.

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! Io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni (1Cor 7,29-35).

San Pietro ci avvisa di vivere il tempo come se fosse un attimo. Un altro attimo potrà anche non esserci donato e noi finiremmo così nella perdizione eterna. Ogni attimo Dio vuole che sia colmato di eternità. Non vi sono altre modalità per vivere bene il tempo.

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta. Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia (2Pt 3,8-13).

Il Qoelet ci rivela che per ogni cosa sotto il cielo vi è il suo tempo specifico. È proprio della saggezza che discende da Dio sapere che ciò che può essere fatto prima, mai dovrà essere fatto dopo. È anche sapere che ogni momento va rispettato nell’arco della sua brevità. Del momento non ne se può fare un tempo eterno. Urge che ogni momento sia vissuto nel momento. Poi si deve necessariamente cambiare. La vita è fatta di moltissimi momenti differenti e tutti vanno vissuti solo nel loro momento storico. È saggio chi sa passare da un momento all’altro, vivendo la verità del momento.

Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via. Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica? Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la verità del tempo.

 

24 SETTEMBRE (Qo 11,9-12,8)

Su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio

Il giusto giudizio di Dio è verità eterna del Signore e Creatore dell’uomo. Non è però un giudizio da emettere. È una sentenza già emessa. Non c’è vita se non nell’obbedienza alla sua Parola. Vivi nella Parola? Progredisci e avanzi nella vita, anche se apparentemente sei sulla Croce. Gesù dalla Croce passò alla gloriosa risurrezione. Non cammini nella Parola? Avanzi e progredisce di morte in morte, anche se nell’apparenza sei nella vita. Ti si vede vivo, invece sei nella morte.

La seconda verità riguarda il futuro eterno dell’uomo. Cammini nella Parola? Avanzi e progredisci verso la beata eternità. Ti distacchi dalla Parola? Cammini spedito verso la morte eterna. Tutto il lavoro di Dio attraverso i suoi profeti, saggi, sapienti, apostoli, profeti, maestri, evangelisti, dottori, ogni altro agiografo della sua divina ed eterna sapienza, per questo sono mandati: per insegnare all’uomo come si esce dalla via della morte e si entra sulla via della vita. Essi devono mostrare a quanti camminano verso la morte come si cammina verso la vita e a quanti camminano verso la vita a non smarrire mai questo sentiero che conduce alla beata eternità.

Dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli, come è giusto, perché la vostra fede fa grandi progressi e l’amore di ciascuno di voi verso gli altri va crescendo. Così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra perseveranza e la vostra fede in tutte le vostre persecuzioni e tribolazioni che sopportate. È questo un segno del giusto giudizio di Dio, perché siate fatti degni del regno di Dio, per il quale appunto soffrite. È proprio della giustizia di Dio ricambiare con afflizioni coloro che vi affliggono e a voi, che siete afflitti, dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Essi saranno castigati con una rovina eterna, lontano dal volto del Signore e dalla sua gloriosa potenza. In quel giorno, egli verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile da tutti quelli che avranno creduto, perché è stata accolta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Per questo preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo (2Ts 1,3-12).

Il giudizio è anche sul grado della perfezione e su quello dell’imperfezione. La gioia del Paradiso e la sofferenza dell’inferno sono in perfetta conformità al nostro grado di santità o anche di malvagità. Anche questo è perfetto giudizio di Dio sulla nostra vita.

Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio. Caccia la malinconia dal tuo cuore, allontana dal tuo corpo il dolore, perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio. Ricòrdati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire: «Non ci provo alcun gusto»; prima che si oscurino il sole, la luce, la luna e le stelle e tornino ancora le nubi dopo la pioggia; quando tremeranno i custodi della casa e si curveranno i gagliardi e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste poche, e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre e si chiuderanno i battenti sulla strada; quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto; quando si avrà paura delle alture e terrore si proverà nel cammino; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada; prima che si spezzi il filo d’argento e la lucerna d’oro s’infranga e si rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo, e ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato. Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità.

Nel giorno del giudizio Dio peserà tutto della nostra vita, sia in bene che in male, e secondo il grado di santità o di cattiveria, ci assegnerà il nostro posto eterno. Possiamo essere rivestiti di più luce eterna, ma anche di più infamia eterna. Tutto è da noi.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci crescere di luce in luce.

 

25 SETTEMBRE – XXVI Domenica T.O. – (Am 6,1a.4-7)

Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati

Mai vi potrà essere vera relazione con Dio se non vi è una santa, perfetta relazione con gli uomini. La relazione sia con Dio che con gli uomini non è però l’uomo a doverla determinare, stabilire, costruire. È il Signore il solo e unico Legislatore. Solo Lui può mostrare, rivelare, indicare, ispirare. Manifestare la verità e santità di ogni relazione. Da quando però l’uomo esiste sulla terra, sempre ha pensato di farsi lui le regole della giustizia, della verità, del comportamento, senza il Signore, contro il Signore. Sempre però il Signore è venuto e l’ha avvisato. Quanto il Signore ha fatto con Caino, lo fa con ogni altro uomo. Ma come insegna San Paolo, l’uomo soffoca la verità nell’ingiustizia.

Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa (Rm 1,18-32).

Amos ammonisce quanti tramano l’iniquità e la compiono. O entrano nella vita secondo le relazioni stabilite da Dio tra uomo e uomo, oppure la loro scelta di vivere fuori della Parola li esporrà ad una relazione di morte. Lui può custodire nella vita solo chi è nella sua Parola. Quanti per sciagurata scelta hanno deciso di vivere fuori della Parola, fuori delle relazioni da Lui stabilite, mai potranno essere da Lui custoditi e saranno preda della morte da loro voluta, desiderata, bramata. Non è Dio che li manda in esilio. Dio rivela loro cosa avverrà della loro vita posta fuori della sua Parola.

Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Amos è come uno che vede un uomo che corre incontro ad un fuoco che lo distruggerà. Lo avvisa perché non perseveri nella sua corsa. Se l’uomo lo ascolterà, ritornerà sui suoi passi, si conserverà in vita, altrimenti per lui sarà la fine. Ha scelto di morire nel fuoco, nel fuoco morirà. Così dicasi dei malvagi e degli operatori di iniquità in mezzo al popolo del Signore. Hanno scelto di non essere custoditi da Dio? Saranno custoditi da altri signori. Ma questi li custodiranno nella schiavitù fisica. Li priveranno della loro libertà. Li condurranno in esilio, lontano dalla loro terra. Tutto questo avverrà perché sono usciti dalla casa della vita e sono entrati in quella della morte.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci della casa della vita.

 

26 SETTEMBRE (Gb 1,6-22)

Ecco, quanto possiede è in tuo potere

Il Libro di Giobbe inizia con un dialogo tra Dio e Satana. Il Signore elogia le virtù del suo servo. “Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male”. Quanto il Signore attesta di Giobbe è purissima verità. Giobbe viveva con una coscienza così pura da offrire sacrifici di espiazione per i suoi figli non perché avessero peccato, ma solo al pensiero che avrebbero potuto farlo. L’innocenza di un uomo non è mai perfetta. Qualche imperfezione sempre si introduce nella sua vita. Anche per questa si deve chiedere perdono al Signore. Il Salmista non chiede perdono per le colpe che non conosce?

I suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti per ognuno di loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno maledetto Dio nel loro cuore». Così era solito fare Giobbe ogni volta (Gb 1,4-5).

La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, i molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. Anche il tuo servo ne è illuminato, per chi li osserva è grande il profitto. Le inavvertenze, chi le discerne? Assolvimi dai peccati nascosti. Anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro da grave peccato. Ti siano gradite le parole della mia bocca; davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia roccia e mio redentore (Sal 19 (18), 8-15).

Satana non può mettere in dubbio le parole del Signore. In verità è così. Giobbe è retto, santo, giusto, perfetto. Ma perché è così? Perché il Signore lo benedice in ogni cosa, lo fa prosperare, gli dona ogni gloria e onore: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra”. Dinanzi alla grandezza della benedizione di Dio, Giobbe non può che essere perfetto. Se però il Signore stenderà un poco la sua mano e lo priverà di quanto possiede, allora Lui potrà constatare che Giobbe da persona buona diventerà malvagia e da uomo pio e giusto si trasformerà in un grande bestemmiatore. Il Signore accetta la sfida. Permette a Satana di privarlo di ogni cosa. Non lo dovrà toccare nella sua carne. La vita gli dovrà essere risparmiata. E così in un giorno Giobbe perde tutto.

Ora, un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». Satana si ritirò dalla presenza del Signore.

Qual è stata la reazione di Giobbe dopo aver perso possedimenti, figli e figlie? Dalla sua bocca si è innalzato un inno di benedizione al suo Dio: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia fatta la sua volontà”. Giobbe vede ogni cosa come un dono di Dio. Il Signore ci dona le cose per benedire Lui e per fare del bene ai fratelli. Ce le toglie, ma sempre per benedire Lui che vuole insegnare agli uomini che solo Lui è il necessario per la loro vita. Ogni altra cosa è inutile. Addirittura potrebbe anche trasformarsi in peccato. A Giobbe basta il Signore. Le altre cose sono ininfluenti.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la libertà dalle cose.

 

27 SETTEMBRE (Gb 3,1-3.11-17.20-23)

Perché dare la luce a un infelice?

Quanto Giobbe fa uscire dall’amarezza del suo cuore, nella Scrittura è vero genere letterario che serve a rivelare tutto il grande dolore che è nel cuore. La sofferenza è vera, reale. Il dolore è indicibile. Come manifestare questa pena che è dell’anima, dello spirito, del corpo? Gesù sulla Croce la manifesta con le parole del giusto sofferente.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele. In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti; a te gridarono e furono salvati, in te confidarono e non rimasero delusi. Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente. Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!». Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato; dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti. Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce. Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte.

Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l’unico mio bene. Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto! Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele; perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto. Da te la mia lode nella grande assemblea; scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli! A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere; ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!» (Sal 22 (21) 1-32).

Giobbe è vera immagine, figura del giusto sofferente. Lui è nel grande dolore non per i suoi peccati, ma perché Satana ha chiesto a Dio di mettere alla prova la sua fedeltà, di saggiare il suo cuore. Giobbe sarà capace di amare Dio anche quando il suo corpo è una piaga? Riconoscerà la bontà del suo Signore privato di ogni bene? Se il Signore vuole conoscere secondo perfetta verità il cuore di Giobbe, lo deve calare nel crogiolo di ogni privazione, anche della privazione della sua salute. Tutto gli deve togliere.

Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”. Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e due mammelle mi allattarono? Così, ora giacerei e avrei pace, dormirei e troverei riposo con i re e i governanti della terra, che ricostruiscono per sé le rovine, e con i prìncipi, che posseggono oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bambini che non hanno visto la luce. Là i malvagi cessano di agitarsi, e chi è sfinito trova riposo. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono fino a esultare e gioiscono quando trovano una tomba, a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio ha sbarrato da ogni parte?

Giobbe grida a Dio e all’universo tutto il suo dolore. La sua sofferenza non è fittizia. È reale, vera, perfetta. Questo attesta il suo grido. Nient’altro. Allo stesso modo che anche Gesù dalla croce gridò a Dio e al mondo la verità del suo dolore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci essere fedeli nella prova.

 

28 SETTEMBRE (Gb 9,1-12.14-16)

Chi gli può dire: “Cosa fai?”

Giobbe è nella grande sofferenza. I suoi amici che vengono per consolarlo, lo accusano di essere persona ingiusta, malvagia, cattiva. Lo invitano al grande pentimento, così da ottenere il perdono dei suoi peccati, se vuole ritornare nella benedizione e nelle grazie del suo Dio e Signore. Quanto i suoi amici dicono, contrasta con una verità storica. Giobbe è innocente. La verità di Dio da sola non può aiutarci a risolvere le questioni che la storia pone dinanzi alla nostra intelligenza perché noi diamo ad esse vere soluzioni di purissima verità secondo perfetta giustizia. Giobbe infatti conferma la purissima verità di Dio. Di certo Lui non fa cose ingiuste. Lui non si può accusare di ingiustizia. Questa verità fa parte del patrimonio della rivelazione.

E chi domanderà: «Che cosa hai fatto?», o chi si opporrà a una tua sentenza? Chi ti citerà in giudizio per aver fatto perire popoli che tu avevi creato? Chi si costituirà contro di te come difensore di uomini ingiusti? Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. Né un re né un sovrano potrebbero affrontarti in difesa di quelli che hai punito. Tu, essendo giusto, governi tutto con giustizia. Consideri incompatibile con la tua potenza condannare chi non merita il castigo. La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento. Se infatti i nemici dei tuoi figli, pur meritevoli di morte, tu hai punito con tanto riguardo e indulgenza, concedendo tempo e modo per allontanarsi dalla loro malvagità, con quanta maggiore attenzione hai giudicato i tuoi figli, con i cui padri concludesti, giurando, alleanze di così buone promesse! (Sap 12,12-31).

Dio è sommamente giusto e nessuno lo potrà mai accusare di ingiustizia. Ma questa verità da sola non è sufficiente a dare verità alla vita di Giobbe. Occorre che i suoi amici, se vogliono risolvere secondo giustizia la questione sul perché del dolore di Giobbe, mettano sulla bilancia una seconda verità: l’innocenza del loro amico. Se essi non crederanno nell’innocenza di Giobbe, parleranno invano. Sono raffazzonatori di menzogne. Sono medici da nulla. Sono teologi che argomentano dalla carta e non dalla vita. Giobbe non pecca contro Dio. Vorrebbe solo comprendere perché il giusto debba soffrire. Lui confessa la somma giustizia di Dio. Ma vuole che Dio gli confessi la sua. È da questa duplice confessione che nascerà la purezza della verità.

Giobbe prese a dire: «In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione dinanzi a Dio? Se uno volesse disputare con lui, non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille. Egli è saggio di mente, potente di forza: chi si è opposto a lui ed è rimasto salvo? Egli sposta le montagne ed esse non lo sanno, nella sua ira egli le sconvolge. Scuote la terra dal suo posto e le sue colonne tremano. Comanda al sole ed esso non sorge e mette sotto sigillo le stelle. Lui solo dispiega i cieli e cammina sulle onde del mare. Crea l’Orsa e l’Orione, le Plèiadi e le costellazioni del cielo australe. Fa cose tanto grandi che non si possono indagare, meraviglie che non si possono contare. Se mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non mi accorgo. Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire? Chi gli può dire: “Cosa fai?”. Tanto meno potrei rispondergli io, scegliendo le parole da dirgli; io, anche se avessi ragione, non potrei rispondergli, al mio giudice dovrei domandare pietà. Se lo chiamassi e mi rispondesse, non credo che darebbe ascolto alla mia voce.

La verità del libro, della tradizione, della stessa rivelazione sempre dovrà essere aggiornata dalla verità della storia. Se la verità della storia non aggiorna la verità del libro, della tradizione, del passato, mai si potrà giungere a tutta la verità. Si diviene incapaci di una qualsiasi argomentazione. Si parla da una verità che non è quella dell’uomo. Infatti gli amici di Giobbe gli annunziano una verità che dopo quanto è capitato a Giobbe non è più la verità di Dio. Anche se lo è stata per il passato, oggi non lo è più. La storia è governata da un’altra verità che rende falsità ogni verità antica.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, ricolmateci di ogni sapienza.

 

29 SETTEMBRE (Dn 7,9-10.13-14)

Uno simile a un figlio d’uomo

San Paolo rivela al mondo le modalità divine secondo le quali la profezia di Daniele si è compiuta. Gesù, il Crocifisso e il Risorto, è stato posto a capo di tutte le cose. Lo era prima perché per Lui tutto era stato creato. Lo è adesso perché tutto per Lui è stato redento e liberato dalla morte, dal peccato. Lui è il solo Redentore e Salvatore.

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose (Ef 1,3-14.20-23).

L’apostolo Giovanni vede il compimento della profezia di Daniele nel suo essere costituito da Dio il Signore dell’intera storia. Tempo ed eternità sono ora in Lui.

Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, e cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra». E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione (Ap 5,6-14).

Solo in Cristo la profezia di Daniele si compie e si realizza per l’eternità. Cristo è il solo che esercita il governo della storia e dell’eternità in nome del Padre suo, per sua eterna volontà. Chi non accoglie Cristo, non ama Dio, non lo adora. Non rispetta la sua volontà, non ascolta la sua voce, non compie i suoi desideri. È fuori di ogni verità.

Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti. Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci da Cristo, in Lui, per Lui.

 

30 SETTEMBRE (Gb 38,1.12-21; 40,3-5)

Dillo, se sai tutto questo!

Sappiamo che vi è la verità di Dio: nulla lui compie di ingiusto. Conosciamo anche la verità di Giobbe: nulla lui ha fatto di ingiusto. Queste due verità da sole non possono risolvere la questione della sofferenza di Giobbe. Il Signore introduce una terza verità anch’essa necessaria in ordine alla conoscenza della verità. Questa terza verità così ci viene insegnata dal Libro della Sapienza. Si tratta della necessità della rivelazione.

Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; lei sa quel che piace ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti. Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Ella infatti tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria. Così le mie opere ti saranno gradite; io giudicherò con giustizia il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre. Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza» (Sap 9,9-18).

Il Libro della Sapienza lo afferma con grande forza: per conoscere anche il più semplice dettaglio della propria vita – di conseguenza anche l’intera vita e ogni dettaglio che compone la vita dell’universo – occorre la rivelazione. Se Dio non dona agli uomini la luce, la loro vita rimane nascosta anche ai loro occhi. Questo significa che se Dio vuole che l’uomo rimanga nella non conoscenza dei dettagli della sua vita, l’uomo deve anche accettare di non conoscerli. Non necessariamente dovrà gridare a Dio che glieli spieghi o lo illumini su di essi. Giobbe non deve gridare a Dio che gli manifesti la sua giustizia. Lui deve occuparsi di una cosa sola: rimanere giusto in eterno. A volte il mistero dei dettagli non si può conoscere. Deve rimanere segreto proprio perché si possa crescere nella fede, nella speranza, nel totale abbandono a Dio. È Lui che stabilisce nella sua sapienza eterna cosa rivelare e cosa tenere nascosto. Giobbe deve consegnarsi interamente al suo Dio. È questa la giustizia che attualmente gli manca. Questa giustizia è giusto che ricuperi all’istante.

Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: «Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato? Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa? Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! Giobbe prese a dire al Signore: «Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò».

In verità Giobbe, messo da Dio dinanzi al mistero che governa tutto l’universo, ricupera la sua giustizia e tace dinanzi al suo Signore. Non ha nulla da chiedergli. Ed è questa la forza di questo portentoso Libro della Scrittura: far pervenire l’uomo alla terza verità: accogliere tutta la vita facendo silenzio dinanzi a Dio in adorazione del suo mistero. Quando si giunge al silenzio adorante e benedicente è allora che l’uomo è perfettamente giusto dinanzi al Signore. Altrimenti potrà essere giusto dinanzi ai suoi occhi, ma non agli occhi del suo Dio. Ancora non si è interamente consegnato alla sua sapienza, intelligenza, volontà. Giungere ad una giustizia così perfetta si può, a condizione che si chieda allo Spirito Santo di condurci nel totale abbandono a Lui.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dal silenzio adorante.