1 OTTOBRE – XXVI DOMENICA T.O. A
Egli certo vivrà e non morirà
Ez 18,25-28; Sal 24,4-9; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32.
I profeti sono voce potente del Signore fatta udire al suo popolo per annunziargli la sua volontà di perdono, misericordia, compassione, che potrà avvenire solo nella conversione alla sua Parola. Dio non è un Dio di morte, ma di vita. Lui vuole colmare della sua vita ogni figlio di Giuda e di Israele. Per questo manda i suoi profeti: perché annunzino questa sua volontà di amore. Anche la dura correzione è aiuto di amore perché i figli di Israele ritornino al loro Dio e Signore. Osea è voce di compassione.
Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, spaccherà la spranga di difesa, l’annienterà al di là dei loro progetti. Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Èfraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Seboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira. Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore (Os 11,1-11).
Il profeta Ezechiele, in un momento di grande smarrimento dottrinale, veritativo, frutto dello smarrimento morale, annunzia al popolo di Giuda chi è l’uomo dinanzi al suo Dio e chi è il Signore dinanzi all’uomo. L’uomo è essere storico chiamato all’obbedienza ad ogni comando. È essere storico che ha stretto in Lui un’alleanza di vita. Ecco ora la verità che il Signore gli annunzia. Lui viene, trova l’uomo nella sua alleanza, nell’osservanza di suoi comandamenti, agisce secondo la sua Parola, quest’uomo vivrà, non morirà. Vivrà perché è nella Parola di vita. Qualcuno potrebbe obiettare: ma prima era malvagio, empio, non merita di vivere. Il profeta risponde: prima era empio, ora non lo è più. Ora è tornato nella fedeltà ai Comandamenti e per questo vivrà.
Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.
Lo stesso discorso potrà essere fatto in modo inverso. Il Signore viene, trova un uomo che agisce da empio, malvagio, è trasgressore dei suoi Comandamenti, è immerso nell’idolatria e nell’immoralità. Quest’uomo dovrà morire. Non può vivere. Non è nella legge della vita. Qualcuno potrebbe obiettare: ma prima era giusto. Era giusto prima. Ora è empio. Il Signore dovrà trattarlo secondo la sua empietà. Per mezzo del suo profeta il Signore rivela al suo popolo che la giustizia di ieri non salva un uomo se passa nell’iniquità e nella malvagità, né l’iniquità e la malvagità di ieri sono causa di morte, se l’uomo si è convertito e ha fatto ritorno nella Legge del suo Dio.
È questa la profonda verità che Ezechiele rivela. Egli vuole illuminare l’uomo perché non cada nelle false illusioni e neanche nella più nera disperazione. Sono stato giusto, rimango sempre giusto, anche se sono malvagio ed empio. Sono stato empio e malvagio, per me non è più possibile tornare indietro. Convertirsi è sempre possibile e Dio sempre accoglie un cuore pentito, umile, che bussa alla sua misericordia. Ma anche deviare dalla retta via è possibile. In questo caso si esce dalla giustizia, si entra nell’ingiustizia. Si abbandona la via della vita, si percorre una via di morte.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la via della vita.
2 OTTOBRE
Ecco, io mando un angelo davanti a te
Es 23,20-23a; Sal 90,1-6.10-11; Mt 18,1-5.10.
Noi sappiamo che gli Angeli sono esseri “puro spirito”, creati buoni da Dio. Conosciamo anche che uno di loro, il più bello, Lucifero, si invaghì della sua luce che per splendore superava ogni altra luce del cielo, cadde nella superbia, si proclamò uguale a Dio. Nella sua rivolta convinse un terzo degli Angeli buoni a seguirlo. Avrebbe prodotto nei cieli eterni più danni se l’Arcangelo Michele non fosse intervenuto e non avesse combattuto contro di Lui, salvando due terzi si essi. Questa battaglia è descritta nel Libro dell’Apocalisse dall’apostolo Giovanni.
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro vita fino a morire. Esultate, dunque, o cieli e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è disceso sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo».
Quando il drago si vide precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto verso il proprio rifugio, dove viene nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente. Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso alla donna: aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca. Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. E si appostò sulla spiaggia del mare (Ap 12,1-18).
Per invidia gli angeli delle tenebre o spiriti impuri, o demòni, o diavoli tentano l’uomo per condurlo nel loro regno di tenebre e di morte. Come il Signore provvede perché l’angelo delle tenebre non trionfi sull’uomo? Mettendo al suo fianco un angelo buono, o angelo custode, a cui è affidato il compito di vegliare, indicando sempre la via giusta da seguire. L’Angelo buono non può imporre la sua volontà, le sue decisioni buone. Può solo suggerire, consigliare, illuminare, orientare. Occorre che l’uomo voglia essere da lui condotto per mano e per questo egli va invocato, pregato, a lui si deve dare amore, devozione, rispetto. La volontà dell’Angelo buono per operare il bene deve mettersi sempre in comunione con la volontà dell’uomo. L’uomo deve volere lasciarsi aiutare.
Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa.
Il Signore comanda all’uomo di ascoltare la sua voce. Per questo non solo occorre volontà, non solo occorre la preghiera, occorre anche mettersi in silenzio davanti a lui.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di vero ascolto.
3 OTTOBRE
Abbiamo udito che Dio è con voi
Zc 8,20-23; Sal 86,1-7; Lc 9,51-56.
La prima testimonianza sulla presenza del Signore in un uomo è nella Genesi. Abimèlec riconosce che Dio è con Isacco e gli propone un’alleanza di pace.
Intanto Abimèlec da Gerar era andato da lui, insieme con Acuzzàt, suo consigliere, e Picol, capo del suo esercito. Isacco disse loro: «Perché siete venuti da me, mentre voi mi odiate e mi avete scacciato da voi?». Gli risposero: «Abbiamo visto che il Signore è con te e abbiamo detto: vi sia tra noi un giuramento, tra noi e te, e concludiamo un’alleanza con te: tu non ci farai alcun male, come noi non ti abbiamo toccato e non ti abbiamo fatto se non del bene e ti abbiamo lasciato andare in pace. Tu sei ora un uomo benedetto dal Signore». Allora imbandì loro un convito e mangiarono e bevvero. Alzatisi di buon mattino, si prestarono giuramento l’un l’altro, poi Isacco li congedò e partirono da lui in pace. Proprio in quel giorno arrivarono i servi di Isacco e lo informarono a proposito del pozzo che avevano scavato e gli dissero: «Abbiamo trovato l’acqua». Allora egli lo chiamò Siba: per questo la città si chiama Bersabea ancora oggi (Gen 26,26-33).
La seconda testimonianza la troviamo nel Libro di Giosuè. Racab sa che il Signore è con i figli d’Israele e propone agli esploratori un patto di salvezza.
Quegli uomini non si erano ancora coricati quando la donna salì da loro sulla terrazza, e disse loro: «So che il Signore vi ha consegnato la terra. Ci è piombato addosso il terrore di voi e davanti a voi tremano tutti gli abitanti della regione, poiché udimmo che il Signore ha prosciugato le acque del Mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto, e quanto avete fatto ai due re amorrei oltre il Giordano, Sicon e Og, da voi votati allo sterminio. Quando l’udimmo, il nostro cuore venne meno e nessuno ha più coraggio dinanzi a voi, perché il Signore, vostro Dio, è Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra. Ora giuratemi per il Signore che, come io ho usato benevolenza con voi, così anche voi userete benevolenza con la casa di mio padre; datemi dunque un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e quanto loro appartiene e risparmierete le nostre vite dalla morte». Quegli uomini le dissero: «Siamo disposti a morire al vostro posto, purché voi non riveliate questo nostro accordo; quando poi il Signore ci consegnerà la terra, ti tratteremo con benevolenza e lealtà» (Gs 2,8-14).
La missione per attrazione è vera missione e produce molti frutti. I pagani vedono che Dio è con i figli d’Israele e decidono di convertirsi a Lui. Conversione per visione, per esperienza, per constatazione. Questa via produce sempre frutti di vita eterna.
Così dice il Signore degli eserciti: Anche popoli e abitanti di numerose città si raduneranno e si diranno l’un l’altro: “Su, andiamo a supplicare il Signore, a trovare il Signore degli eserciti. Anch’io voglio venire”. Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore. Così dice il Signore degli eserciti: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi”».
Nel Nuovo Testamento vi sono le folle che corrono dietro Cristo perché sanno che Dio è con Lui. Non è una sola persona che vede, constata. Ma è una grande moltitudine di gente, è una grande folla. Cristo attesta che Dio è con Lui e molti accorrono a Lui.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano (Mt 4,23-25).
La via della predicazione, dell’annunzio, senza la via della visione, della constatazione mai produrrà frutti. L’altro deve vedere che Dio è con noi. Gesù lo dice ai suoi discepoli. La gente saprà che Dio è con voi, vedrà che voi siete miei discepoli dal vostro grande amore gli uni per gli altri. Dio è amore. Chi è nell’amore di Dio attesta che Dio e con lui e per questa attestazione sono molti coloro che vorranno adorare il suo stesso Dio. Per questo tutti sono obbligati a manifestare Cristo con la loro vita.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci presenza di Cristo oggi.
4 OTTOBRE
Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo
Gal 6,14-18; Sal 15,1-3.7-8.11; Mt 11,25-30.
Sappiamo che la sofferenza di Paolo per Cristo è stata senza interruzione dal primo giorno della sua chiamata. Anzi è Dio stesso che attesta ad Anania che Paolo sarà un martire vivente, un crocifisso perenne, uno sempre circondato dalla grande sofferenza.
C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono (At 9,10-19).
Tuttavia, in quello in cui qualcuno osa vantarsi – lo dico da stolto – oso vantarmi anch’io. Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? (2Cor 11,21-29).
Possiamo affermare che la missione di Paolo non è solo quella di annunziare, predicare, proclamare il Vangelo della salvezza, ma anche e soprattutto quella di mostrare Cristo al vivo. Paolo sa questo e mai si sottrae ad una sola sofferenza per il Signore. Anzi è come se Lui fosse attratto dalla sofferenza e conquistato da essa tanto grande è il suo amore per Gesù Signore. È questo il suo grande desiderio: far sì che Cristo Crocifisso viva tutto nel suo corpo, nel suo spirito, nella sua anima. Lui vuole essere di Cristo Gesù immagine vivente. Chi vede lui deve vedere in lui Cristo, a Cristo aderire, a Cristo convertirsi. Paolo è un consegnato alla Croce di Cristo perché la vita di Cristo possa risplendere in quanti per mezzo di lui si fossero aperti alla fede in Cristo. Per Cristo vive, in Cristo vive, Cristo vive in lui con la sua morte e la sua croce.
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
Dinanzi alla visione di Cristo Crocifisso che vive in Paolo, le parole non servono. Parla il suo corpo, la sua vita. Parla Cristo per mezzo del suo corpo. Vi è Parola più alta e più convincente di questa? Vi è discorso più persuasivo della visione di Cristo Crocifisso? Solo chi non vuole potrà ancora ostinarsi nella sua non fede. Mostrando Cristo Crocifisso nel suo corpo, se non si crede nel Cristo che si vede, vi potranno essere altre vie per la fede? Nessuna. Questa via è il sommo che si possa offrire ad una persona. Dopo che questa via è stata offerta, ognuno deve assumersi la responsabilità della propria incredulità. Non si crede perché non si vuole credere. Il peccato rimane.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci immagine viva di Cristo.
5 OTTOBRE
E così facevano comprendere la lettura
Ne 8,1-4a.5-6.7b-12; Sal 18,8-11; Lc 10,1-12.
Spiegare la Parola è necessario se si vuole una sua comprensione secondo la verità che lo Spirito del Signore ha messo in essa. Gesù sempre ai suoi spiegava ogni cosa.
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (Cfr. Mt 13,36-43). Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,33-34).
Anche negli Atti appare questa urgenza di spiegare la Parola. Molti leggono, non comprendono, rimangono nell’ignoranza, spesso però danno anche significati non veri. Nascono le eresie, gli scismi, le alterazioni, le contraffazioni, ogni deviazione dalla verità. La Parola va letta nella Chiesa, spiegata dalla Chiesa, da quanti sono i ministri della Parola. Se tutti possono leggere la Parola, non tutti la possono spiegare.
Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa (At 8, 26-40).
La Scrittura Antica ci rivela due altissime verità. Ogni rinnovamento religioso e sociale del popolo nasce dalla Parola del Signore. La Parola del Signore va letta e interpretata.
Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse allo scriba Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato a Israele. Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. E i leviti spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi. Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!». Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci comprendere la Parola.
6 OTTOBRE
Ha fatto ciò che è male agli occhi del Signore
Bar 1,15-22; Sal 78,1.3-5.8-9; Lc 10,13-16.
Baruc è il profeta che deve confortare quanti partono per l’esilio, ma è anche il profeta che crea una fortissima speranza nel popolo. Il Signore che ha disperso Israele è il Signore che lo raduna. Il ritorno sarà operato con la conversione di quanti sono partiti. Così Baruc diviene anche colui che aiuta il popolo a leggere secondo verità la storia che sta vivendo. Senza la luce della profezia ogni storia può essere compresa male e anche male sarà vissuta. Dalla vera comprensione nasce la vera conversione.
Israele non si trova dispeso tra i popoli perché nemici più grandi di lui lo hanno sconfitto. Sono venuti con potenza e hanno prevalso, distruggendo, seminando stragi, lasciando dietro di sé rovina, morte, distruzione, desolazione. Dio e il suo popolo sono una cosa sola. Chi vuole vincere il popolo di Dio deve prima vincere Dio. Ma il Dio del popolo è invincibile. Perché allora il popolo è stato vinto? Ecco l’opera della profezia: aiutare il popolo a comprendere perché certi eventi avvengono e come riparlarli.
La parola di Baruc è chiara, limpida. Se Gerusalemme è stata devastata, il tempio distrutto, i suoi abitanti uccisi e deportati, se in Giuda è rimasto solo un piccolo resto, questo è avvenuto perché il popolo ha distrutto l’unità con il suo Dio. Avendo fatto due cose, due realtà, il popolo si è trovato senza Dio. Si è allontanato da Lui. Nonostante il Signore lo avesse molte volte e con premura invitato a ritornare a Lui, sempre con ostinata caparbietà e ribellione si è rifiutato. Io non torno. Basto a me stesso.
Quando l’uomo, chiunque esso sia, si separa dal suo Dio e Signore, diviene all’istante vulnerabile, vincibile, conquistabile. Le sue città possono essere distrutte. La morte può governare indisturbata, così come la peste, la fame, l’esilio, la deportazione. Giuda ha perso tutto perché ha deciso di sguarnirsi della sua protezione, della sua roccia, del suo baluardo, della sua potente difesa. Ecco il suo peccato. Non ho bisogno di Dio. Non mi serve alcuna balia. Sono adulto. Sono autosufficiente. Le alleanze umane potranno sempre salvarmi. Di Dio non so che farmene. Dio ormai è per me inutile.
Direte dunque: Al Signore, nostro Dio, la giustizia; a noi il disonore sul volto, come oggi avviene per l’uomo di Giuda e per gli abitanti di Gerusalemme, per i nostri re e per i nostri capi, per i nostri sacerdoti e i nostri profeti e per i nostri padri, perché abbiamo peccato contro il Signore, gli abbiamo disobbedito, non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, che diceva di camminare secondo i decreti che il Signore ci aveva messo dinanzi. Dal giorno in cui il Signore fece uscire i nostri padri dall’Egitto fino ad oggi noi ci siamo ribellati al Signore, nostro Dio, e ci siamo ostinati a non ascoltare la sua voce.
Così, come accade anche oggi, ci sono venuti addosso tanti mali, insieme con la maledizione che il Signore aveva minacciato per mezzo di Mosè, suo servo, quando fece uscire i nostri padri dall’Egitto per concederci una terra in cui scorrono latte e miele. Non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, secondo tutte le parole dei profeti che egli ci ha mandato, ma ciascuno di noi ha seguito le perverse inclinazioni del suo cuore, ha servito dèi stranieri e ha fatto ciò che è male agli occhi del Signore, nostro Dio.
Il profeta invece viene per ricordare al popolo del Signore a cambiare cuore, mente, pensieri. Dio gli serve. Dio è la sua vita. Senza Dio nulla potrà fare. L’esilio gli deve attestare la stoltezza di ogni suo pensiero di grandezza. Gli deve manifestare ogni falsità della sua mente e del suo cuore. Dio e il suo popolo devono ritornare ad essere una cosa sola. Ma come si potrà essere una cosa sola con il Signore? Divenendo una cosa sola con la sua Parola, i suoi Comandamenti, le sue Leggi.
Se Giuda, popolo disperso, vorrà essere riportato dal suo Dio nella sua terra, dovrà ricomporre questa unità. Finché questa unità non sarà ricomposta, Dio nulla potrà fare per il suo popolo ed esso rimarrà in terra d’esilio disperso fra le genti. Ecco allora che forte risuona la profezia di Baruc: questa unità sarà ricomposta, Giuda si convertirà e di nuovo tornerà in Gerusalemme. L’amore del Signore verrà e salverà il suo popolo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di Parola di Dio.
7 OTTOBRE
Decuplicate lo zelo per ricercarlo
Bar 4,5-12.27-29; Sal 68,33-37; Lc 10,17-24.
Sappiamo che il popolo del Signore caparbiamente si è ostinato, si è ribellato al Signore suo Dio. In esso vi era una regia diabolica e satanica ammaliatrice che riusciva a persuadere il popolo perché non ascoltasse e non mettesse nel cuore nessuna Parola rivolta ad esso dal suo Dio. Isaia parla di cecità e sordità spirituale. Geremia di limiti del male abbondantemente superati che impediscono ogni conversione.
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!». Egli disse: «Va’ e riferisci a questo popolo: “Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete”. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendilo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi, e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da essere guarito». Io dissi: «Fino a quando, Signore?». Egli rispose: «Fino a quando le città non siano devastate, senza abitanti, le case senza uomini e la campagna resti deserta e desolata». Il Signore scaccerà la gente e grande sarà l’abbandono nella terra. Ne rimarrà una decima parte, ma sarà ancora preda della distruzione come una quercia e come un terebinto, di cui alla caduta resta il ceppo: seme santo il suo ceppo (Is 6,8-13).
Questo popolo ha un cuore indocile e ribelle; si voltano indietro e se ne vanno, e non dicono in cuor loro: «Temiamo il Signore, nostro Dio, che dona la pioggia autunnale e quella primaverile a suo tempo, che custodisce per noi le settimane fissate per la messe». Le vostre iniquità hanno sconvolto quest’ordine e i vostri peccati tengono lontano da voi il benessere; poiché tra il mio popolo si trovano malvagi, che spiano come cacciatori in agguato, pongono trappole per prendere uomini. Come una gabbia piena di uccelli, così le loro case sono piene di inganni; perciò diventano grandi e ricchi. Sono grassi e pingui, oltrepassano i limiti del male; non difendono la causa, non si curano della causa dell’orfano, non difendono i diritti dei poveri. Non dovrei forse punirli? Oracolo del Signore. Di una nazione come questa non dovrei vendicarmi? Cose spaventose e orribili avvengono nella terra: i profeti profetizzano menzogna e i sacerdoti governano al loro cenno, e il mio popolo ne è contento. Che cosa farete quando verrà la fine? (Ger 5,23-31).
Bene, dice il profeta! Nel male vi siete ostinati sino all’inverosimile. Ora vi dovete dedicare a cercare il Signore con zelo dieci volte più grande, se volete che il Signore venga presto da voi e vi riconduca nella città santa, nella terra dei vostri padri. La forza profusa per allontanarsi ora deve essere moltiplicata per avvicinarsi. Questa volontà chiede il profeta al suo popolo. Non può attendere la sua conversione. Non può procrastinarla all’infinito. Urge fare presto e per questo lo zelo va decuplicato.
Coraggio, popolo mio, tu, memoria d’Israele! Siete stati venduti alle nazioni non per essere annientati, ma perché avete fatto adirare Dio siete stati consegnati ai nemici. Avete irritato il vostro creatore, sacrificando a dèmoni e non a Dio. Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno, avete afflitto anche colei che vi ha nutriti, Gerusalemme. Essa ha visto piombare su di voi l’ira divina e ha esclamato: «Ascoltate, città vicine di Sion, Dio mi ha mandato un grande dolore. Ho visto, infatti, la schiavitù in cui l’Eterno ha condotto i miei figli e le mie figlie. Io li avevo nutriti con gioia e li ho lasciati andare con pianto e dolore. Nessuno goda di me nel vedermi vedova e abbandonata da molti; sono stata lasciata sola per i peccati dei miei figli, perché hanno deviato dalla legge di Dio. Coraggio, figli, gridate a Dio, poiché si ricorderà di voi colui che vi ha afflitti. Però, come pensaste di allontanarvi da Dio, così, ritornando, decuplicate lo zelo per ricercarlo; perché chi vi ha afflitto con tanti mali vi darà anche, con la vostra salvezza, una gioia perenne.
Uno dei pericoli spirituali cui molti incorrono è nel rinviare all’infinito il loro ritorno a Dio. Questo rinvio è altamente rischioso. Si può scivolare di male in male e di peccato in peccato, fino a raggiungere il punto del non ritorno. Quanto il profeta dice al popolo in esilio, lo dice a ciascuno di noi. Guai a dormire sulla propria conversione. Ci si potrebbe svegliare nella perdizione eterna. Su questo pericolo mai si insisterà abbastanza. È una strada scivolosa il ritardo e molti si incamminano su di essa. Anche per noi è il monito. Anche per noi è obbligo decuplicare lo zelo per tornare al Signore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci nella vera conversione.
8 OTTOBRE – XXVII DOMENICA T.O. A
Demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata
Is 5,1-7; Sal 79,9.12-16.19-20; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43.
Il canto della vigna di Isaia ci pone dinanzi ad una verità divina che è giusto che noi mettiamo nel cuore. La verità è l’unione indissolubile tra Dio e il suo popolo. Dio è il terreno. Il popolo è piantato in Dio, perché Dio possa produrre frutti divini di giustizia, carità, amore, misericordia, pace, benessere per sempre. Perché questi frutti divini siano prodotti, è necessario che il popolo rimanga sempre piantato in Dio. È piantato nel suo Signore, se è radicato nella sua Parola, nel suo Comandamento, nella sua Legge. Il popolo di Dio si è piantato fuori della Parola, è uscito dal cuore del suo Dio, non potrà produrre frutti divini. Come il Signore potrà far comprendere a Giuda che ha cambiato natura? Che da natura “di bene divino” è divenuto “natura di male”? Facendogli vedere che senza di Lui non potrà produrre neanche frutti di bene naturale per la sua stabilità sociale, religiosa, politica. Dio lo metterà per un istante nelle mani di se stesso. Sarà il disastro. La sua vigna sarà devastata, distrutta, annientata. Questa verità è fatta preghiera dal Salmo. Il Salmista vede, medita, prega, si interroga.
Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci. O Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Signore, Dio degli eserciti, fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo? Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza. Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini e i nostri nemici ridono di noi. Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli. Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna. Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. È stata data alle fiamme, è stata recisa: essi periranno alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal 80 (79) 1-20).
È verità eterna. Quando l’uomo si spianta dal suo Dio, non solo non produce frutti divini di bene, neanche produce frutti umani per se stesso. Spiantato dal suo Dio, sa solo distruggersi, autodistruggersi, annientarsi, devastarsi. Oggi l’uomo non si sta annientando anche nel suo fisico? Non si sta distruggendo nel suo futuro? Non sta compromettendo seriamente la sua stessa esistenza sulla terra? Quando ci si spianta da Dio, che è la sorgente di ogni vita, non c’è più alcuna vita per l’uomo. Solo morte!
Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
Urge gridare all’uomo questa verità eterna: “Se tu ti spianti da Dio, sei come albero spiantato, sradicato. Non vi sono altri Dèi nei quali è possibile piantarsi, radicarsi”. Oggi questo spiantamento si sta radicalizzando, universalizzando con cecità totale.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, mandate veri profeti tra noi.
9 OTTOBRE
Lontano dal Signore
Gn 1,1-2,1.11; Sal Gn 2,3-5.8; Lc 10,25-37.
Giona è persona che crede con fede convinta che obbedendo al Signore, recandosi in Ninive e predicando la Parola di Dio, la città si sarebbe convertita. Poiché lui non vuole la conversione di Ninive, a suo giudizio non meritevole del perdono del suo Dio, ma brama la sua distruzione, il suo annientamento, si imbarca per Tarsis per fuggire lontano dal Signore. Non obbedisco. Me ne fuggo lontano. Il Signore non mi trova. Nessuna Parola risuonerà in essa. Ninive sarà distrutta. Questo vuole Giona!
Il Signore non vuole la morte del peccatore, ama che si converta e viva. Dio non ha due pesi e due misure. Un peso e una misura per il suo popolo e un peso e una misura per gli altri popoli. Quello che vuole per il suo popolo, lo vuole per ogni altro popolo. Lui è il Dio amante della vita e ad ogni uomo offre la possibilità del pentimento e della conversione. Dio vuole la salvezza anche di chi non è suo popolo, perché rimane sempre creatura da Lui fatta a sua immagine e somiglianza. Questa la verità del Dio Creatore e Signore. Questa anche la verità di ogni uomo. Ogni uomo è un chiamato alla vita, nella conversione, nel pentimento, nel ritorno al suo Signore.
Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore. Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cosa fai così addormentato? Àlzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo».
Quindi dissero fra di loro: «Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?». Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato. Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia».
Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere». Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse. Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.
Quando il Signore decide che una cosa avvenga, dispone ogni cosa perché la sua volontà si compia. Giona fugge lontano dal Signore. Il Signore lo rincorre, lo prende, lo afferra e lo riconduce nuovamente sulla terra ferma, servendosi di un grosso pesce. Il Signore non può permettere che una intera città perisca. Può perire per rifiuto dell’offerta di grazia e di misericordia, ma non perché il Signore le ha rifiutato la sua grazia e la sua misericordia. Questa legge divina che Dio applica a se stesso, ogni uomo deve applicare alla sua persona: ad ogni altro deve offrire il suo amore e la sua misericordia, il suo perdono e la sua compassione, il suo aiuto e il suo sostegno. Ogni uomo deve sperimentare la sua pietà. La pietà è vera legge di vita e di salvezza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci strumenti di grazia.
10 OTTOBRE
Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta
Gn 3,1-10; Sal 129,1-4.7-8; Lc 10,38-42.
Osserviamo bene: Giona si reca in Ninive e cosa annunzia? Che il tempo della misericordia, dell’attesa è finito. Dice agli abitanti di Ninive che il Signore concede loro ancora quaranta giorni utili per la conversione, poi dovrà intervenire con la distruzione della città. O in questi giorni avverrà il pentimento, la conversione, il ritorno ad una vita moralmente corretta, oppure la città dovrà essere cancellata dalla terra. Giona annuncia il giusto giudizio di Dio, solo il giusto giudizio del Signore.
Ora è giusto che ci chiediamo: quale esigenza hanno oggi le moderne città a convertirsi, a ritornare sulla via della giustizia e della verità, se il giusto giudizio di Dio è stato cancellato come verità di fede e di teologia, giungendo a dichiarare che non vi è neppure la pena eterna, dal momento che tutti saranno accolti in paradiso dal Signore? Abolito il giusto giudizio di Dio sia nel tempo che nell’eternità, quali sono le ragioni per le quali una persona debba abbandonare il male per consegnarsi al bene?
Non si dica che si deve fare per misericordia verso l’uomo. Chi dovesse pensare così attesta di non conoscere l’uomo. La natura umana è corrotta. Non tende verso il bene, ma verso il male. Non sale verso la luce, discende verso le tenebre. Il vizio non si vince per natura e neanche la concupiscenza. Occorre una potente grazia di Dio, frutto anche della santità del corpo di Cristo. Ma se la giustizia non serve per entrare nel regno eterno di Dio, neanche la santità serve. Senza giustizia e senza santità il corpo di Cristo è solo un pezzo di legno secco. Da esso mai nascerà una parola di verità e neanche di giustizia. Che questa parola non esce lo attesta la storia. Sono proprio i missionari della verità di Dio che hanno abolito Dio nel suo giusto giudizio e cancellato ogni pena. Dio è l’eterna misericordia, l’eterna carità, l’eterna bontà e pietà.
Ci si dimentica di aggiungere che Dio è fedele ad ogni sua Parola. Una volta che essa esce dalla sua bocca, è Parola alla quale Dio è obbligato per sempre. La misericordia è obbligo di fedeltà. Anche il giusto giudizio è obbligo di fedeltà. È Parola di Dio la misericordia ed è Parola di Dio il suo giusto giudizio. Come si crede alla Parola della misericordia così si deve credere alla Parola della condanna anche eterna. La fede non è ad una Parola particolare. Essa è alla Parola. È ad ogni Parola uscita dalla bocca di Dio. Se una sola Parola non viene creduta, semplicemente non si crede in Dio.
Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere.
Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: «Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!». Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Il re crede nella Parola di Dio e ordina la conversione nel vero pentimento. Ninive si converte e il Signore non distrugge la città. Lui lo ha detto: non vuole la morte di chi muore. Vuole che il peccatore si converta per avere la vita. È verità, perché Parola di Dio. Se un profeta di Dio omette di dire anche una sola Parola di Dio agli uomini ed essi si dovessero perdere per questa omissione, la responsabilità eterna cade sul profeta. L’empio muore per il suo peccato. Ma responsabile di quella morte è il profeta che ha omesso di trasmettere nella sua interezza tutta la Parola del Signore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri profeti di Cristo Gesù.
11 OTTOBRE
Ti sembra giusto essere sdegnato così?
Gn 4,1-11; Sal 85,3-6.9-10; Lc 11,1-4.
Giona è l’uomo che non vive con il cuore di Dio e non possiede i pensieri del suo Signore. I pensieri di Dio sono invito alla conversione per poter gustare tutta la grande, infinita, eterna sua misericordia. Nel Nuovo Testamento chi manifesta di camminare con il pensiero di Cristo nella mente e nel cuore è San Paolo. La sua testimonianza è grande. Lui si sente un araldo, un banditore, un messaggero mandato da Dio nel mondo non a chiedere la conversione, ma a lasciarsi riconciliare con Dio. È il Signore che offre all’uomo il suo perdono, la sua compassione, la sua grazia. L’uomo deve solo accoglierla, chiedendo a Dio nel pentimento il perdono dei peccati.
L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio (2Cor 5,14-6,1).
Giona è triste, sconsolato. Non sopporta che il signore abbia perdonato. È questa l’abissale differenza tra Dio e l’uomo. Il cuore di Dio è di purissimo amore, misericordia eterna, carità senza misura. Il cuore dell’uomo è gretto, piccolo, meschino, di pietra.
Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?». Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.
Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere». Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».
Giona si rammarica per una pianta di ricino che neanche aveva piantato. Non si sarebbe per nulla rammaricato se Dio avesse distrutto la città. È l’assurdo assoluto. Si piange per un albero che secca. Si gioisce per un’intera città votata alla morte. Finché l’uomo non si munirà del cuore di Dio, cuore di Cristo, messo in lui dallo Spirito Santo, da pietra penserà, da pietra amerà, da pietra gioirà. È privo dei sentimenti di pietà e di misericordia più elementari. Gli manca quel discernimento e quella sapienza per separare il bene verso l’uomo, che è sempre al primo posto, il bene verso le cose e il bene verso gli animali. Possiamo affermare che oggi l’uomo sta perdendo questo sano discernimento. Un animale vale più che un uomo e un albero più di una città. Se si deve scegliere tra un animale e un uomo sono molti coloro che scelgono per l’animale.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, piantateci nel cuore di Dio.
12 OTTOBRE
Vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio
Ml 3,13-20a; Sal 1,1-4.6; Lc 11,5-13.
La religione, quella vera, sempre viene aggredita al pensiero dell’uomo, introducendovi pensieri ad essa estranei. Sono questi pensieri che la deturpano, la trasformano e da religione di vita la fanno divenire religione di morte. Sappiamo che al tempo del profeta Ezechiele il Signore dovette combattere contro un pensiero nefasto. Chi un tempo era stato giusto rimaneva sempre giusto e chi peccatore sempre peccatore. Si dichiarava così santo il peccatore e il peccatore santo. Grande diabolica aberrazione!
Voi dite: “Perché il figlio non sconta l’iniquità del padre?”. Perché il figlio ha agito secondo giustizia e rettitudine, ha osservato tutte le mie leggi e le ha messe in pratica: perciò egli vivrà. Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità. Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà (Ez 18,19-24).
Per questo il Signore aveva avvisato il suo popolo perché nulla aggiungesse alla sua Parola e nulla togliesse. Era suo obbligo mantenerla e conservarla integra e pura.
Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo (Dt 4,1-2).
Al tempo del profeta Malachia ecco apparire un’altra terribile abominevole diabolica falsità. Da più parti si gridava che a nulla serve rispettare la Legge del Signore. Giusti ed ingiusti avranno tutti e due la stessa sorte. Non vi è alcuna differenza. Allora a che pro sacrificarsi per essere giusti, se l’ingiustizia produce lo stesso frutto? Il Signore con fermezza interviene e cancella dalla mente del suo popolo questa aberrazione. Se il Signore non intervenisse per salvaguardare la purezza della sua Parola, per l’uomo non vi sarebbe più verità sulla nostra terra. Il suo cuore tutto trasforma in falsità.
Duri sono i vostri discorsi contro di me – dice il Signore – e voi andate dicendo: «Che cosa abbiamo detto contro di te?». Avete affermato: «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti». Allora parlarono tra loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome. Essi diverranno – dice il Signore degli eserciti – la mia proprietà particolare nel giorno che io preparo. Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve. Voi allora di nuovo vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio, fra chi serve Dio e chi non lo serve. Ecco infatti: sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.
Oggi non si sta assistendo ancora una volta al sorgere e farsi strada nei cuori di questa abominevole, diabolica, infernale, satanica menzogna? Non si sta dicendo che non esiste più alcuna differenza tra giusti ed empi, buoni o cattivi, dal momento che Dio è solo misericordia, pietà, compassione? Non si sta insegnando che non esiste più l’inferno e che tutti andranno in Paradiso? O noi diamo una mano a Dio e annunziamo con fermezza la sua Parola, senza alcuna parzialità, proferendola pura ed integra, o non ci sarà vera salvezza sulla nostra terra. La salvezza è dalla Parola detta così come essa è uscita dal cuore di Dio e di Cristo Gesù, compresa nella luce dello Spirito Santo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci imparziali nella Parola.
13 OTTOBRE
Priva d’offerta e libagione è la casa del vostro Dio
Gl 1,13-15; 2,1-2; Sal 9,2-3.6.16.8-9; Lc 11,15-26.
Quando la mensa del Signore è priva di offerte, è il segno che urge convertirsi. O Dio non è adorato come si conviene perché il popolo è divenuto idolatra e immorale, si è dato al servizio e all’adorazione di “inutilità”, oppure la terra più non produce e se la terra non dona più i suoi frutti, il suo non dono rivela che il popolo ha infranto l’alleanza con il suo Dio. Nell’uno e nell’altro caso è chiesta una vera conversione al Dio dell’alleanza, della benedizione, della vita, della pace.
Chi deve vigilare sulla conversione del popolo sono i sacerdoti. Ad essi il Signore ha affidato la missione di vigilare sulla santità e verità di tutti i figli d’Israele. Il sacerdote è il ministro della conversione. Lui deve vigilare sulle Leggi dell’alleanza e quando queste vengono infrante, lui sempre deve correre ai ripari. Subito deve avvisare il popolo del pericolo di morte che incombe su di esso. Senza perdere tempo, deve convocare un’assemblea sacra e richiamare tutti all’osservanza dei Comandamenti del Signore.
Se il sacerdote non vigila, se il ministro dell’altare non presta attenzione alla sua missione, il popolo si perde, ma di questa morte lui è responsabile in eterno dinanzi al suo Dio. Siamo tutti dal retto svolgimento della missione sacerdotale. È lui la sentinella, è lui il custode del popolo nella verità e nella giustizia, è lui che sempre deve prestare ogni attenzione perché niente della Legge di Dio venga trasgredito. Lui è vera presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Se lui è assente, Dio è assente e il popolo si perde. Dio giudica lui, il sacerdote, e gli attribuisce ogni responsabilità su ogni disastro religioso che subito diviene disastro materiale, politico, sociale.
«Ascoltate la parola del Signore, o figli d’Israele, perché il Signore è in causa con gli abitanti del paese. Non c’è infatti sincerità né amore, né conoscenza di Dio nel paese. Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue. Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periscono. Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l’accusa. Tu inciampi di giorno e anche il profeta con te inciampa di notte e farò perire tua madre. Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e anch’io dimenticherò i tuoi figli (Os 4,1-6).
Il sacerdote è come il motore per un aereo. Se il motore viene meno, l’areo precipita e si schianta, trascinando nella morte tutti coloro che sono in esso. Quando il sacerdote conoscerà qual è la sua missione – vero motore del veicolo che trasporta l’uomo a Dio e Dio all’uomo – allora saprà che non può giocare, non può scherzare, non può lasciarsi conquistare da nessun pensiero della terra. Se lui smette di essere sacerdote secondo il cuore di Dio, tutto il suo popolo va in perdizione. È verità eterna.
Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, urlate, ministri dell’altare, venite, vegliate vestiti di sacco, ministri del mio Dio, perché priva d’offerta e libagione è la casa del vostro Dio. Proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra, radunate gli anziani e tutti gli abitanti della regione nella casa del Signore, vostro Dio, e gridate al Signore: «Ahimè, quel giorno! È infatti vicino il giorno del Signore e viene come una devastazione dall’Onnipotente.
Suonate il corno in Sion e date l’allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di oscurità, giorno di nube e di caligine. Come l’aurora, un popolo grande e forte si spande sui monti: come questo non ce n’è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri, di età in età.
Il sacerdote deve vigilare sul suo popolo e invitarlo ad un vero cammino di conversione, perché sempre Dio viene per esercitare il suo giusto giudizio. Se viene e trova sia il suo popolo come anche le nazioni nell’ingiustizia e nell’empietà, saranno pianti e stridori di denti. Il giudizio del Signore è sempre nel grande rispetto della Parola da Lui proferita e da noi non osservata, non rispettata, non ascoltata. Ma oggi chi crede nella verità di ogni Parola di Dio? Chi crede nel suo giusto giudizio?
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di retta fede nella Parola.
14 OTTOBRE
Ma il Signore è un rifugio per il suo popolo
Gl 4,12-21; Sal 96,1-2.5-6.11-12; Lc 11,27-28.
La separazione tra bene e male, giustizia e ingiustizia, fedeltà ed empietà, osservanza dei comandamenti e disobbedienza, avverrà con l’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. Sarà nella nuova Gerusalemme del cielo che nessun impuro vi entrerà e neanche chi pratica l’ingiustizia e la menzogna, che è l’idolatria, sorgente di ogni immoralità. Questa separazione sarà eterna e irreversibile. I due regni saranno divisi per sempre, senza alcun contatto. Le tenebre eternamente tenebre e la luce eternamente luce. Non sarà più possibile il passaggio dal bene al male e dal male al bene. I dannati rimarranno dannati per sempre e i giusti saranno giusti per sempre.
E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli. E mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».
Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. E quando le ebbi udite e viste, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le mostrava. Ma egli mi disse: «Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo, con te e con i tuoi fratelli, i profeti, e con coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare». E aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Il malvagio continui pure a essere malvagio e l’impuro a essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora. Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine. Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna! (Ap 22,1-15).
Il giusto giudizio di Dio è nella storia ed esso è fatto per dare ad ogni uomo la possibilità di pentirsi del suo male, convertendosi al bene e alla giustizia. Nella storia il giudizio di Dio è sempre in vista della misericordia. Lui viene per salvare. Il giudizio dopo la storia, cioè dopo la morte, è un giudizio eterno. Si è trovati nella verità, si entra nella luce eterna. Si è trovati nella falsità, si passa nelle tenebre eterne. Questa è purissima rivelazione. Oggi purtroppo questo duplice giusto giudizio è negato.
Si affrettino e salgano le nazioni alla valle di Giòsafat, poiché lì sederò per giudicare tutte le nazioni dei dintorni. Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano, poiché grande è la loro malvagità! Folle immense nella valle della Decisione, poiché il giorno del Signore è vicino nella valle della Decisione. Il sole e la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare. Il Signore ruggirà da Sion, e da Gerusalemme farà udire la sua voce; tremeranno i cieli e la terra. Ma il Signore è un rifugio per il suo popolo, una fortezza per gli Israeliti. Allora voi saprete che io sono il Signore, vostro Dio, che abito in Sion, mio monte santo, e luogo santo sarà Gerusalemme; per essa non passeranno più gli stranieri. In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque. Una fonte zampillerà dalla casa del Signore e irrigherà la valle di Sittìm. L’Egitto diventerà una desolazione ed Edom un arido deserto, per la violenza contro i figli di Giuda, per il sangue innocente sparso nel loro paese, mentre Giuda sarà sempre abitata e Gerusalemme di generazione in generazione. Non lascerò impunito il loro sangue, e il Signore dimorerà in Sion.
Quando si nega la verità di Dio – e chi la nega sono proprio coloro che sono inviati per insegnarla, ricordarla, farla osservare – non vi è più salvezza per nessuno. Tutti si consegnano alla falsità, generatrice di ogni immoralità e nefandezza. Se il Signore viene e ci troverà fuori della sua Legge, per noi non ci sarà posto nel regno della luce.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri figli della luce.
15 OTTOBRE – XXVIII DOMENICA T.O. A
Eliminerà la morte per sempre
Is 25,6-10a; Sal 22,1-6; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14.
La vita dell’uomo si vive in due momenti, il primo brevissimo, di un istante, sulla terra. Il secondo, senza fine, dopo la morte, nell’eternità. Ciò che oggi ci si dimentica di dire è che il secondo momento è anche il frutto del primo. Se il primo momento è stato vissuto nell’ingiustizia e nell’empietà, il secondo sarà di perdizione e dannazione eterna. Se invece il primo momento è stato vissuto di giustizia e di obbedienza alla verità, il secondo, quello eterno, sarà nella luce e nella beatitudine. Il Salmista si chiede: “Signore, chi abiterà nella tua tenda eterna? Chi godrà per sempre del tuo santo volto? Chi gusterà la cena al banchetto dell’eternità?”. La sua risposta è chiara, limpida, inequivocabile: “Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogne, chi non vive di idolatria, chi osserva la Legge, chi cammina nella verità”. Gesù ci insegna che gusteranno l’eternità beata quanti hanno fatto della loro vita un’opera di carità, misericordia, amore, pietà, compassione, condivisione.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli (Lc 12,33-46).
Il profeta Isaia annunzia ai figli d’Israele che la cena del Signore non è solo per i figli di Abramo. Prima che figli di Abramo, gli uomini sono sue creature. È Lui che li ha fatti a sua immagine e somiglianza e Lui è il Creatore, il Signore, il Salvatore di tutti. Tutti Lui invita alla sua cena sul suo santo monte. Il Signore non vuole che Israele si veda come il solo amato da Dio, il solo prescelto. Lui è stato scelto perché mostri al mondo la bellezza del vero Dio così che tutti gli altri popoli lo possano amare, scegliere, servire. Lui è strumento perché tutti giungano alla fede. La salvezza è per tutti e tutti il Signore vuole che giungano alla verità e per la via della verità arrivino alla salvezza eterna.
Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».
La via della salvezza passa necessariamente attraverso la via della fede, fede nella Parola per quanti sono figli dell’alleanza, fede nella verità e nella giustizia per quanti ancora non sono figli dell’alleanza. Il Signore vuole però che tutti giungano alla salvezza per la via della fede nella sua Parola. È la Parola la via perfetta della fede e della salvezza. Per questo è giusto, anzi necessario, che il popolo di Dio si riveli vero popolo di fede e attragga al vero Dio per la sua obbedienza tutti i popoli della terra.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di purissima fede.
16 OTTOBRE
Scelto per annunciare il vangelo di Dio
Rm 1,1-7; Sal 97,1-4; Lc 11,29-32.
Paolo presenta se stesso con pochissime parole: servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio. Lui è servo, apostolo, araldo del vangelo. Lui è servo di Cristo Gesù. Cristo lo ha comprato con il suo sangue, lo ha riscattato dal suo peccato, lo ha liberato dalla pesante schiavitù del diavolo sotto la quale lui prima viveva. Come prima tutta la sua vita apparteneva al male, ora essa è tutta di Gesù Signore. Il servizio in Paolo è consegna totale a Cristo. Non solo consegna del suo corpo, ma molto di più della sua anima e del suo spirito, dei suoi pensieri e del suo cuore. Paolo è uno e indivisibile. Come uno e indivisibile si è posto a servizio di Gesù Signore, a Lui si è consegnato. Lui vive solo per servire Cristo, curare gli interessi di Cristo, amare Cristo, obbedire a Cristo, fare la volontà di Cristo, con un ascolto non solo della sua voce, ma anche dei sospiri del suo cuore. In Paolo il servizio è così perfetto da giungere quasi a prevenire i desideri di Cristo e a compierli prima che gli vengano manifestati, rivelati, comandati. Servizio per anticipazione!
Ma Paolo è anche apostolo per chiamata. Gesù prima della sua risurrezione ha chiamato i Dodici Apostoli. Mattia è stato scelto dal Signore facendo cadere la sorte su di lui. Paolo invece è stato chiamato direttamente dal Signore sulla via di Damasco. Non solo è stato chiamato. A Lui è stata data anche la missione: essere l’apostolo delle Genti. Presso le Genti, i popoli, non è stato lui che ha scelto di recarsi. È stato lo Spirito Santo ancora una volta a sceglierlo assieme a Barnaba. Possiamo attestare che tutta la vita di Paolo è stata una ininterrotta chiamata da parte del Signore e dello Spirito Santo. Nulla in Paolo viene dal suo cuore. Tutto in lui si compie per obbedienza ad un comando a lui rivolto momento per momento. Lui vive di obbedienza a Cristo e al suo Santo Spirito. Tutta la sua missione è guidata dal Cielo. Nulla viene dal suo cuore. Lui stesso si dichiara “avvinto dallo Spirito”, “da Lui mandato e inviato”, “da Lui spinto e attratto” con continua, ininterrotta attrazione. Questo è Paolo e questa la sua vita.
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Paolo è stato scelto per annunciare il Vangelo di Dio. il Vangelo che Paolo annunzia non è una Parola e neanche una verità o un complesso di norme. Il Vangelo di Dio di Paolo è Cristo Signore, in tutto il suo mistero, perché ogni uomo conformi la sua vita al mistero di Cristo Gesù. Quando la vita è cristiana? Quando il discepolo si conforma a Cristo. Senza questa conformazione, non vi è vita cristiana e neanche discepolato. Il programma spirituale di Paolo diviene programma spirituale di ogni altro discepolo.
Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (Fil 3, 7-14).
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, conformateci a Cristo Gesù.
17 OTTOBRE
Essi non hanno alcun motivo di scusa
Rm 1,16-25; Sal 18,2-5; Lc 11,37-41.
Possiamo comprendere quanto Paolo insegna sulla inescusabilità dell’uomo in ordine al male che compie solo lasciandoci illuminare dal Libro della Sapienza. È sufficiente leggere la sua prima pagina e subito si entra nella conoscenza del mistero dell’uomo.
Amate la giustizia, voi giudici della terra, pensate al Signore con bontà d’animo e cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui. I ragionamenti distorti separano da Dio; ma la potenza, messa alla prova, spiazza gli stolti. La sapienza non entra in un’anima che compie il male né abita in un corpo oppresso dal peccato. Il santo spirito, che ammaestra, fugge ogni inganno, si tiene lontano dai discorsi insensati e viene scacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia. La sapienza è uno spirito che ama l’uomo, e tuttavia non lascia impunito il bestemmiatore per i suoi discorsi, perché Dio è testimone dei suoi sentimenti, conosce bene i suoi pensieri e ascolta ogni sua parola. Lo spirito del Signore riempie la terra e, tenendo insieme ogni cosa, ne conosce la voce.
Per questo non può nascondersi chi pronuncia cose ingiuste, né lo risparmierà la giustizia vendicatrice. Si indagherà infatti sui propositi dell’empio, il suono delle sue parole giungerà fino al Signore a condanna delle sue iniquità, perché un orecchio geloso ascolta ogni cosa, perfino il sussurro delle mormorazioni non gli resta segreto. Guardatevi dunque da inutili mormorazioni, preservate la lingua dalla maldicenza, perché neppure una parola segreta sarà senza effetto; una bocca menzognera uccide l’anima. Non affannatevi a cercare la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Ma gli empi invocano su di sé la morte con le opere e con le parole; ritenendola amica, si struggono per lei e con essa stringono un patto, perché sono degni di appartenerle (Sap 1,1-16).
Il discorso della sapienza può essere così sintetizzato. Se l’uomo ama la giustizia e inizia dalle cose più semplici, Dio lo aiuterà a pervenire alla giustizia più grande. Lo condurrà di giustizia in giustizia e di verità in verità. Se però l’uomo non ama la giustizia, quella semplice ed evidente, a poco a poco cadrà nelle ingiustizie più grandi, e perseverando nel male giungerà a soffocare la verità nell’ingiustizia, consegnandosi totalmente al male. Quando un uomo giunge al soffocamento della verità, questo non avviene perché il Signore lo ha abbandonato. Avviene perché l’uomo a poco a poco, avanzando di male in male, ha tolto Dio dal suo cuore. Di questo male lui è responsabile. Per questo Paolo dice che sono inescusabili. La coscienza è dura come pietra. Ma è l’uomo che ha portato la coscienza a questa condizione di irreversibilità.
Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà. Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
La coscienza non diviene pietra in un giorno. Il processo di pietrificazione è lento, ma inesorabile. Divenuta la coscienza come pietra, l’uomo diviene responsabile di tutti i mali che una tale coscienza pone in atto. Lui è obbligato a conservare la coscienza nella giustizia e nella verità. È obbligato ad amare e cercare la giustizia e la verità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci l’amore per la verità.
18 OTTOBRE
Portare a compimento l’annuncio del Vangelo
2 Tm 4,10-17b; Sal 144,10-13.17-18; Lc 10,1-9.
San Paolo vive per il Vangelo. Anzi il Vangelo è la sua stessa vita. Lui si identifica con il Vangelo e il Vangelo si identifica con lui. Come il cuore di Cristo è il cuore di Paolo e il cuore di Paolo è il cuore di Cristo, così dicasi del Vangelo: il Vangelo è Paolo e Paolo è il Vangelo. Poiché però Cristo è l’infinito amore irraggiungibile, Paolo vive una corsa ininterrotta per raggiungere il cuore di Cristo e anche per dare compimento perfetto al Vangelo. Sapendo che il Vangelo va portato a compimento sia nel mondo, ma prima ancora nella sua vita, Paolo chiede aiuto nella preghiera ai discepoli di Gesù e da essi si lascia anche aiutare materialmente. Il corpo è uno e il corpo deve aiutare il corpo. Nella Lettera agli Efesini, lui non solo dona la regola perfetta per essere perfetti soldati di Cristo nell’annuncio e nella difesa del Vangelo, chiede anche preghiere. Nessuno con le sole sue forze potrà essere un buon soldato del Vangelo.
Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare (Ef 6,1-20).
Paolo, nonostante sembri un granito, anche lui ha bisogno dei fratelli, del loro conforto, aiuto, sostegno per lo svolgimento santo del suo ministero. “Guai a colui che è solo” , vale anche per lui. Gesù ci ha fatti corpo, comunità, Chiesa, popolo. Nel popolo, nel corpo, nella Chiesa, nella comunità nessuno è solo, nessuno deve sentirsi solo. Siamo gli uni dagli altri, gli uni per gli altri. Paolo purtroppo sperimenta solitudine, abbandono. Non sempre i discepoli di Gesù sono per i discepoli di Gesù e non sempre prestano attenzione alle necessità spirituali dei fratelli. Paolo vuole che non si tenga conto di quanti lo hanno abbandonato. Vede l’abbandono come una prova per la sua fede. Ma lui non cade nello sconforto. Lui sa che il Signore è con lui. Sa che Dio mai abbandona i suoi eletti, anche se sono inchiodati su una croce. Questa verità non solo aiuta la vita di Paolo, deve aiutare la vita di tutti. È questa la verità di Cristo che lo accompagna fin sulla croce: “Io non sono solo. Il Padre è con me”.
Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo, ed è partito per Tessalònica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato Tìchico a Èfeso. Venendo, portami il mantello, che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le pergamene. Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni: il Signore gli renderà secondo le sue opere. Anche tu guàrdati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero.
La vita non è semplice, lineare. Non sempre cammina come noi vorremmo. La forza e la saggezza dell’uomo di Dio è rimanere nella più alta santità e obbedienza anche alla storia che il Signore prepara giorno per giorno per noi. Nulla è più gradito al Signore della nostra obbedienza alla storia. Si obbedisce alla solitudine, alla fame, alla sete, all’abbandono degli uomini, sapendo che questa è la sola via del più grande amore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di fede pura e retta.
19 OTTOBRE
Giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo
Rm 3,21-30a; Sal 129,1-6; Lc 11,47-54.
La giustizia di Dio è la fedeltà del Signore ad ogni sua Parola. Anche il giusto giudizio di Dio fa parte della sua giustizia. Paradiso e inferno sono manifestazione della sua giustizia. Il dono del Vangelo a tutte le genti è giustizia di Dio. Qual è la verità che Paolo vuole rivelare ad ogni uomo, al Giudeo prima e al Greco e al Romano dopo? La sua verità è semplicissima, oserei dire “banale”, perché “elementare”. Seguiamolo nel suo ragionamento e comprenderemo il suo pensiero o la sua rivelazione.
Dio ha deciso fin dall’eternità, nella sua scienza eterna, prima ancora che Adamo peccasse, di salvare l’uomo per la fede in Cristo Gesù. L’uomo da salvare non è il Greco, non è il Romano, non è lo Scita, non è il Barbaro, non è il Pagano. L’uomo è anche il Giudeo. Qual è allora la superiorità del Giudeo rispetto al Greco? Essa è una sola: il frutto benedetto nel quale è la benedizione dell’umanità nasce dagli Ebrei, è un loro dono dato al mondo. Gesù è la gloria del popolo del Signore. Nella discendenza di Abramo il Signore salva l’uomo. Ma nel frutto benedetto di Abramo dovrà essere benedetto, per la fede in lui, ogni altro figlio di Abramo.
Per la via della giustizia di Dio deve passare l’Ebreo e il Greco, i figli di Abramo e i figli dei Gentili. La legge antica, le molteplici altre prescrizioni servivano per essere popolo dell’alleanza, per poter giungere a gustare i frutti promessi dall’Alleanza. Tutte queste cose non danno la salvezza, perché questa è solo il frutto della giustizia di Dio, accolta nella fede. La fede non distrugge le opere. Una volta che si è divenuti Cristo, in Cristo, per Cristo, si deve vivere tutta la vita di Cristo per raggiungere la salvezza eterna. Si entra allora nella nuova Legge anch’essa frutto della giustizia di Dio.
Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù. Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede.
Chiarifichiamo con esattezza e precisione teologica il pensiero o la rivelazione che Paolo ci offre. La giustizia di Dio è duplice. La prima giustizia di Dio è la giustificazione, cioè il passaggio dalla morte alla vita, nel perdono e nella remissione dei peccati, nella nuova nascita in Cristo, nel divenire corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo, partecipi della divina natura, figli adottivi di Dio. La giustificazione, o prima giustizia di Dio si compie per la fede in Cristo Gesù. È questa la prima salvezza, che è il passaggio dal regno delle tenebre a quello della luce, dalla schiavitù di Satana alla libertà dei figli di Dio. Questa giustificazione è solo per la fede nel Cristo di Dio. Cristo viene predicato, lo si accoglie, si crede nel suo nome, ci si lascia battezzare nel suo nome, si è giustificati. Viene a noi applicata la prima giustizia di Dio.
Ma vi è anche la seconda giustizia di Dio che è il possesso della gloria eterna. Questa giustizia si compie se colui che è già giustificato realizza Cristo nella sua vita, realizzando la sua Parola. È questo il giusto giudizio di Dio frutto della sua giustizia. Abbiamo realizzato Cristo? Entreremo con Cristo nella gloria eterna del cielo. Non abbiamo realizzato Cristo? Ci siamo consegnati alle opere delle tenebre? Dio mai ci potrà accogliere nel suo Paradiso. Non abbiamo osservato le regole della sua giustizia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci camminare nella giustizia.
20 OTTOBRE
La sua fede gli viene accreditata come giustizia
Rm 4,1-8; Sal 31,1-2.5.11; Lc 12,1-7.
San Paolo, illuminato dallo Spirito Santo e confortato dalla sua sapienza e intelligenza, con spirito agile, acuto, penetrante, riesce a giungere fino al cuore della verità sulla giustizia di Dio e dell’uomo. La luce che governa la sua mente è mille volte più radiosa e splendente di quanto Salomone afferma della luce della sapienza a lui concessa.
In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili. La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti. Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza. Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza (Sap 7,22-30).
Possiamo affermare che tutto lo Spirito Santo agisce in Paolo con tutta la potenza della sua luce eterna. Lo Spirito che ha ispirato la Parola è lo stesso che insegna a Paolo come si legge la Parola. Ecco cosa rivela Paolo guidato dalla potentissima luce dello Spirito del Signore. Abramo crede nella Parola di Dio. Si consegna ad essa. Dio non gli dona quanto contenuto nella Parola per un puro dono. Il puro dono è nel momento dell’offerta. Poiché Abramo ha creduto, il dono gli spetta per giustizia. Se Dio non glielo elargisse, sarebbe ingiusto. Il dono è un’offerta gratuita, frutto della divina misericordia. Una volta che l’uomo crede, si consegna alla Parola, il dono non è più frutto della misericordia, ma della giustizia, va dato per giustizia. Così anche per giustizia non va dato a chi non ha creduto. Ma poiché il dono può essere dato solo per giustizia, quanti non hanno creduto nella Parola, per giustizia non possono ricevere il dono.
Che diremo dunque di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere: Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!
Ecco la sublimità del pensiero di Paolo: quando il Signore promette al serpente che avrebbe posto inimicizia tra lui e la donna, tra la sua stirpe e la stirpe della donna, non c’era nessuna opera sulla quale questa promessa poteva essere fondata. Così quando sempre il Signore promette ad Abramo che nella sua discendenza sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra. Non vi è nessuna opera a supporto di questa promessa. La promessa di Dio di benedire, salvare, redimere, giustificare, liberare non è possibile fondarla sulle opere. Queste non esistono. Uno che è nel regno della morte non ha opere da presentare al Signore. Viene giustificato per la fede. Nella fede la giustificazione avviene per giustizia, perché promessa da Dio.
Questo però non significa che Paolo distrugga le opere. Non le può distruggere perché la salvezza eterna è data anche per giustizia. Ma a chi? A chi osserva la Parola di Cristo Signore. La gloria del Paradiso è data sempre per giustizia a chi cammina di verità in verità, di obbedienza in obbedienza, di conformazione a Cristo in conformazione a Cristo. Sia la prima giustizia – il passaggio dalla morte alla vita – che la seconda giustizia – il possesso del regno dei cieli – è condizionata alla fede dell’uomo: fede in Cristo e fede nel Vangelo di Cristo come unica via verso il Paradiso.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede in Dio.
21 OTTOBRE
Saldo nella speranza contro ogni speranza
Rm 4,13.16-18; Sal 104,5-6.8-9.42-43; Lc 12,8-12.
Volendo comprendere in pienezza di verità quanto Paolo insegna sulla speranza contro ogni speranza, ci lasceremo aiutare dalla Vulgata: “Sicut scriptum est: quia patrem multarum gentium posui te ante Deum, cui credidit qui vivificat mortuos et vocat quae non sunt tamquam ea quae sunt. Qui contra spem in spem credidit, ut fieret pater multarum gentium secundum quod dictum est: sic erit semen tuum”. Abramo credette contro la speranza nella speranza. Qual è la perfetta verità da lui rivelata?
Usciamo da ogni interpretazione “volgare, mondana, atea, pagana” e subito entriamo nella comprensione così come essa è nel cuore dello Spirito Santo. Abramo si trova dinanzi a due Parole del Signore, in apparenza in contraddizione, delle quali una nega l’altra. Se si compie l’una non si compie l’altra, se si compie l’altra non si compie l’una.
Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?». Abramo disse a Dio: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». E Dio disse: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici prìncipi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l’anno venturo». Dio terminò così di parlare con lui e lasciò Abramo, levandosi in alto (Gen 17,15-22).
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo (Gen 22,1-4).
Abbiamo due Parole di Dio. L’una apparentemente annulla l’altra. Se si attua la prima non si potrà attuare la seconda. Se si attua la seconda, non si potrà attuare la prima. È questa la straordinaria fede di Abramo. Egli credete nella speranza – cioè che la prima Parola del Signore si sarebbe attuata – contro la speranza – lui stava per distruggere sul comando del Signore la sua speranza nella quale aveva creduto. Nella speranza distrugge la speranza, nella fede annulla la parola della fede. Su quale fondamento potrà fare questo? Nella fede nella fedeltà di Dio e nella sua onnipotenza.
Infatti non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede. Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi – come sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli – davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono. Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza.
La Lettera agli Ebrei ci rivela che Abramo contro la speranza credette nella speranza perché certo che Dio sarebbe stato capace di risuscitare Isacco. Lui lo avrebbe sacrificato e il Signore glielo avrebbe ridato, perché la sua Parola rimane stabile in eterno. Senza una fede perfetta in Dio, mai si potrà credere nell’ultima Parola di Dio, specie se l’ultima Parola dovesse annullare quelle precedentemente a noi rivolte.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo (Eb 11,17-19).
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di vera fede.
22 OTTOBRE – XXIX DOMENICA T.O. A
Io sono il Signore e non c’è alcun altro
Is 45,1.4-6; Sal 95,1.3-5.7-10; 1 Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21.
Anticamente, quando il Signore volle liberare il suo popolo dalla schiavitù degli Egiziani, non solo diede prova della sua onnipotenza sull’intera creazione con ben dieci segni, le dieci piaghe, in più alla fine aprì il Mar Rosso in due per far passare il suo popolo a piedi asciutti e subito dopo lo richiuse, imprigionando nei suoi flutti gli Egiziani con il loro faraone. Di questo evento resta come ricordo il “superbo” canto di Mosè.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare! Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome. I carri del faraone e il suo esercito li ha scagliati nel mare; i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mar Rosso. Gli abissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra. La tua destra, Signore, è gloriosa per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico; con sublime maestà abbatti i tuoi avversari, scateni il tuo furore, che li divora come paglia. Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono le onde come un argine, si rappresero gli abissi nel fondo del mare. Il nemico aveva detto: “Inseguirò, raggiungerò, spartirò il bottino, se ne sazierà la mia brama; sfodererò la spada, li conquisterà la mia mano!”. Soffiasti con il tuo alito: li ricoprì il mare, sprofondarono come piombo in acque profonde. Chi è come te fra gli dèi, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, terribile nelle imprese, autore di prodigi?
Stendesti la destra: li inghiottì la terra. Guidasti con il tuo amore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con la tua potenza alla tua santa dimora. Udirono i popoli: sono atterriti. L’angoscia afferrò gli abitanti della Filistea. Allora si sono spaventati i capi di Edom, il pànico prende i potenti di Moab; hanno tremato tutti gli abitanti di Canaan. Piómbino su di loro paura e terrore; per la potenza del tuo braccio restino muti come pietra, finché sia passato il tuo popolo, Signore, finché sia passato questo tuo popolo, che ti sei acquistato. Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua dimora, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato. Il Signore regni in eterno e per sempre!». Quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare. Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: «Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!» (Es 15,1-21).
Nella seconda liberazione il Signore non diede alcun segno della sua onnipotenza, non divise alcun Mar Rosso, neanche fece altri prodigi. Entrò nel cuore di un uomo, del re Ciro, e mise in esso un pensiero di benevolenza che subito dallo stesso re fu trasformato in un ordine di liberazione, in un decreto di partenza. Questa è l’onnipotenza ordinaria del Signore: quella che non si vede, che agisce nei cuori, nelle menti, che spinge al bene, che converte, che libera, che salva, che redime.
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri.
Con la sua onnipotenza invisibile il Signore governa il mondo, anche se nessuno se ne accorge. Il nostro Dio trasforma un cuore di pietra in un cuore di carne. Fa di una mente che cova odio, una mente che pensa solo come amare, come servire, come fare delle propria vita un olocausto di amore e di verità. Trasporta una persona dal regno delle tenebre in quello della luce. Spinge un uomo a camminare di verità in verità e di amore in amore per tutti i giorni della sua vita. Sostiene il suo Figlio Unigenito perché si lasci crocifiggere, Lui il Giusto e il Santo, offrendo la propria vita in riscatto e per la salvezza del mondo. Il nostro Dio è questa onnipotenza. Ne esiste una più grande?
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci conoscere il nostro Dio.
23 OTTOBRE
Ecco perché gli fu accreditato come giustizia
Rm 4,20-25; Sal Lc 1,68-75; Lc 12,13-21.
La vita di Abramo fu un cammino di fede in fede e di Parola in Parola. Lui ebbe solo un momento di difficoltà. Vedeva il suo corpo camminare verso la morte, ma non vedeva il compimento della promessa del Signore. Era infatti senza alcuna discendenza. È in questo momento di non visione che si rivolse al suo Dio, ottenendo immediata risposta.
Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice. Alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo». Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate (Gen 15,1-18).
Sappiamo che per Paolo la discendenza di Abramo è solo Cristo Gesù. Sappiamo anche che per lui – ed è anche questa purissima verità – divenendo con Cristo un solo corpo nel battesimo e rivestendo lui, anche il cristiano diviene discendenza di Abramo e quindi per giustizia, per la fede che fu accreditata ad Abramo come giustizia, anche noi diveniamo eredi di Dio in Cristo e partecipi della benedizione di cui portatore è Cristo. Per grazia Dio fa la sua promessa ad Abramo. Per giustizia noi siamo gli eredi di quella promessa e i fruitori di quella grazia. Se Dio non la concedesse sarebbe sommamente ingiusto. Verrebbe meno ad un suo giuramento. Questo è impossibile.
Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Oggi l’errore cristiano, che viene insegnato come verità anche ad alti livelli, è nella non distinzione, obbligatoria e necessaria, tra grazia, misericordia, benevolenza, giustizia. Grazia, misericordia, benevolenza non sono un dono, sono invece una promessa. Questa promessa Dio la lega inscindibilmente alla fede nella sua Parola. Si crede nella Parola, si entra in possesso della grazia, della misericordia, della benevolenza. Questa procedura si applica per tutto il percorso della fede fino al conseguimento dei beni eterni. Anche i beni eterni sono promessa di grazia, misericordia, benevolenza secondo la Parola della fede. Si diviene per la fede giustificati in Cristo, con Cristo, per Cristo. In Cristo si diviene eredi della vita eterna. Si realizza Cristo nel nostro corpo, si entra in possesso dei beni eterni. Non si realizza Cristo, ci si pone fuori della Parola della fede, non si ha diritto per giustizia ad ereditare la vita eterna. Si è fuori della fede.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla Parola della fede.
24 OTTOBRE
La giustificazione, che dà vita
Rm 5,12.15b.17-19.20b-21; Sal 39,7-10.17; Lc 12,35-38.
È giusto mettere in chiara luce, senza alcuna penombra, la differenza sostanziale che governa il peccato di Adamo e la grazia di Cristo Gesù. Il peccato di Adamo è un fatto di natura. O meglio: è un fatto di eredità naturale. Questa verità Paolo la rivela nella sua Lettera agli Efesini. Con Adamo siamo divenuti figli dell’ira, natura corrotta.
Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. 8Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. 1Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo (Ef 2,1-13).
La natura si eredita per nascita. Si nasce figli di Adamo. La natura secondo Adamo rimane per sempre. Ogni uomo che viene in questo mondo è figlio di Adamo, anche se nasce da genitori cristiani. La sua natura essendo natura di peccato, sotto il regno del principe del mondo, ha bisogno di essere trasportata nel regno della luce per mezzo della fede in Cristo Gesù, immergendola nelle acque del battesimo. Figlio di Dio in Cristo Gesù si diviene solo per la fede in Cristo e per nascita da acqua e da Spirito Santo. Questa verità va annunziata oggi, domani, sempre. Oggi in modo particolare essa va gridata, perché sono molti i cristiani che affermano la salvezza senza passare per il battesimo. Abolito il battesimo, anche la fede in Cristo viene abolita, Si è salvi perché Cristo ci ha salvati tutti mediante il suo sangue. Ma questo è modo ereticale di leggere quanto Paolo afferma in questa Lettera ai Romani, facendo il parallelismo antitetico tra Adamo e Cristo Signore. Per uno viene la morte, per l’Altro la vita.
Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo.
Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
In questo brano della Lettera ai Romani, Paolo ci rivela la verità assoluta, immortale, indistruttibile. Adamo è padre nella morte. La vita viene a noi per l’obbedienza di Cristo Gesù. Questa verità non abolisce le altre. Le esige. La Scrittura è fatta di tante verità. Nessuna sta senza le altre. Una dona vita alle altre. La salvezza è dalla fede in Cristo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede in Cristo.
25 OTTOBRE
Siete stati resi schiavi della giustizia
Rm 6,12-18; Sal 123,1-8; Lc 12,39-48.
Paolo conosce bene l’antica legge sulla schiavitù. Lui applica questa legge che riguarda la schiavitù fisica alla schiavitù spirituale. Per comprendere quanto lui insegna, dobbiamo lasciarsi aiutare dal Libro dell’Esodo e del Deuteronomio.
Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero, senza riscatto. Se è venuto solo, solo se ne andrà; se era coniugato, sua moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli ha dato moglie e questa gli ha partorito figli o figlie, la donna e i suoi figli saranno proprietà del padrone, ed egli se ne andrà solo. Ma se lo schiavo dice: “Io sono affezionato al mio padrone, a mia moglie, ai miei figli, non voglio andarmene libero”, allora il suo padrone lo condurrà davanti a Dio, lo farà accostare al battente o allo stipite della porta e gli forerà l’orecchio con la lesina, e quello resterà suo schiavo per sempre. Quando un uomo venderà la figlia come schiava, ella non se ne andrà come se ne vanno gli schiavi. Se lei non piace al padrone, che perciò non la destina a sé in moglie, la farà riscattare. In ogni caso egli non può venderla a gente straniera, agendo con frode verso di lei. Se egli la vuol destinare in moglie al proprio figlio, si comporterà nei suoi riguardi secondo il diritto delle figlie. Se egli prende in moglie un’altra, non diminuirà alla prima il nutrimento, il vestiario, la coabitazione. Se egli non le fornisce queste tre cose, lei potrà andarsene, senza che sia pagato il prezzo del riscatto (Es 21,2-11).
Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo lascerai andare via da te libero. Quando lo lascerai andare via da te libero, non lo rimanderai a mani vuote. Gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio. Gli darai ciò di cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto. Ti ricorderai che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando. Ma se egli ti dice: “Non voglio andarmene da te”, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te, allora prenderai la lesina, gli forerai l’orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Anche per la tua schiava farai così. Non ti sia grave lasciarlo andare libero, perché ti ha servito sei anni e un mercenario ti sarebbe costato il doppio; così il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni cosa che farai (Dt 15,12-18).
Leggiamo questa normativa in chiave di redenzione o riscatto fatto da Cristo Signore e comprenderemo. Noi eravamo schiavi del peccato a servizio del peccato. Viene Cristo, paga per noi il riscatto, ci prende come suoi schiavi. Cosa cambia. Non la nostra schiavitù che rimane. Cambia il padrone. Prima eravamo schiavi del principe del mondo a servizio del peccato e della morte. Ora siamo schiavi del Redentore e del Salvatore a servizio della giustizia, della verità, della grazia. Prima ci comandava Satana. Ora ci comanda Cristo. Come obbedivamo a Satana per il male ora dobbiamo obbedire a Cristo per la giustizia, nella libertà da ogni peccato.
Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia. Che dunque? Ci metteremo a peccare perché non siamo sotto la Legge, ma sotto la grazia? È assurdo! Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell’obbedienza che conduce alla giustizia? Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati. Così, liberati dal peccato, siete stati resi schiavi della giustizia.
Letto alla luce dell’Antica Scrittura il pensiero di Paolo diviene luminoso, splendente. Non cambia lo statuto dell’uomo: che è quello della schiavitù. Cambia il padrone. Anticamente gli schiavi venivano venduti. Da un padrone passavano ad un altro. Con Cristo avviene la stessa cosa. Schiavi eravamo prima. Schiavi siamo dopo. Cambia il comando. Prima eravamo comandati per il male. Ora siamo comandati per il bene. Prima eravamo schiavi della concupiscenza, ora siamo schiavi della Parola, della fede, della carità, dell’amore. Prima obbedivamo al male. Ora si obbedisce solo alla giustizia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera schiavitù.
26 OTTOBRE
A servizio della giustizia, per la santificazione
Rm 6,19-23; Sal 1,1-4.6; Lc 12,49-53.
Se comprendessimo quanto lo Spirito Santo ci insegna per bocca di Paolo e lo accogliessimo con cuore puro, libero, sincero, faremmo della terra un paradiso. Nella Lettera Prima ai Corinzi la verità annunziata è oltremodo divina. Può esistere un cristiano schiavo? Schiavitù e fede in Cristo non sono in contrapposizione. Gesù non si è fatto schiavo di Pilato? Da lui non si è lasciato condannare a morte? L’unica schiavitù dalla quale si deve uscire è quella del peccato, della concupiscenza, dell’idolatria, dell’iniquità, del male. La schiavitù fisica non è un male. È una condizione di vita. Cosa allora cambia in uno schiavo che crede in Cristo Gesù? Lui vive la sua schiavitù con amore, facendo del suo servizio un servizio all’amore, per la propria santificazione.
Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato (1Cor 7,20-24).
Paolo non mette nel cuore di Onèsimo un desiderio di libertà e di ribellione verso il suo padrone Filemone. Al padrone rimanda lo schiavo, invitandolo ad amarlo come lui è amato da Cristo Gesù. Filemone e Onèsimo sono l’uno e l’altro schiavi di Cristo, comprati da Lui. L’uno e l’altro devono essere a servizio della giustizia per la santificazione. Quando il cuore è di Cristo, vive in Cristo e per Cristo, il corpo può vivere sotto qualsiasi schiavitù fisica. Il cuore è di Cristo, a servizio dell’amore di Cristo. Questa legge vale anche per il padrone. Quando il suo cuore è di Cristo, non ci sono dinanzi a lui servi. Ci sono persone verso le quali si deve servire la giustizia di Gesù Signore. Lo schiavo serve al padrone la giustizia. Il padrone serve allo schiavo la giustizia. L’uno e l’altro sono servi di Cristo per servirsi l’un l’altro Cristo Gesù.
Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è opportuno, in nome della carità piuttosto ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene, lui, che un giorno ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso. E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto. Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno: pagherò io. Per non dirti che anche tu mi sei debitore, e proprio di te stesso! Sì, fratello! Che io possa ottenere questo favore nel Signore; da’ questo sollievo al mio cuore, in Cristo! (Fm 8-20).
San Paolo chiede ad ogni discepolo di vivere come vero schiavo di Cristo, perennemente a servizio della giustizia per poter ereditare la vita eterna. Essere schiavi significa appartenere nel corpo, nella volontà, al proprio padrone.
Parlo un linguaggio umano a causa della vostra debolezza. Come infatti avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità, per l’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la santificazione. Quando infatti eravate schiavi del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Il loro traguardo infatti è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto per la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Gesù è Lui nostro servo. È il servo del Padre, a Lui sempre obbediente, per servirci tutto il suo amore, la sua misericordia, la sua grazia per la nostra santificazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri servi della giustizia.
27 OTTOBRE
Chi mi libererà da questo corpo di morte?
Rm 7,18-25a; Sal 118,66.68.76-77.93-94; Lc 12,54-59.
Quanto sia pesante il corpo di morte già San Paolo lo ha rivelato all’inizio di questa stessa sua Lettera. È un peso che giunge fino a soffocare la verità nell’ingiustizia. È un peso che non conosce alcun limite del male. Anzi è un peso che dichiara il male bene.
Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa (Rm 1,24-32).
Gesù ci svela che la fonte di ogni peso di peccato è il cuore. È in esso che si annida ogni virus del male. Dal cuore esce dalla bocca e inquina il mondo intero. A volte basta una sola parola di falsità e menzogna per distruggere l’umanità. A Satana è bastata una sola parola falsa per portare la morte nel mondo, trasformandola in morte eterna.
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7,14-23).
San Paolo vede il peso del peccato. Lo ha visto quando la stoltezza governava il suo cuore e dirigeva la sua mente. Da questo peso non si è liberato da se stesso. Nessun uomo si potrà liberare da se stesso. Chi libera è lo Spirito Santo, che viene, toglie il cuore di peccato, il cuore di pietra e al suo posto pone un cuore di carne, capace di amare. Lo Spirito Santo uno solo lo dona Cristo Gesù e lo dona per mezzo della mediazione della Chiesa fondata sugli Apostoli. Quanti non sono fondati sugli Apostoli non danno lo Spirito, il cuore rimane di pietra e il peso del peccato si fa terribilmente sentire. Non vi è possibilità di alcuna liberazione. Senza lo Spirito si rimane nella schiavitù. Il peccato divora noi e gli altri. È il peccato la fonte di ogni male del mondo.
Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!
Paolo rende grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, perché è stato Gesù non solo ad espiare i peccati del mondo, ma anche a dare lo Spirito Santo. Senza lo Spirito del Signore nessuno esce dalla sua vecchia natura. Nessuno diviene creatura nuova in Gesù Signore. Si rimane schiacciati dal peso del peccato.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci dal corpo di morte.
28 OTTOBRE
Avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù
Ef 2,19-22; Sal 18,2-5; Lc 6,12-19.
La Chiesa di Dio è ben costruita. È un edificio progettato da Dio su solide basi. Il suo principio di stabilità eterna è Cristo Signore. Lui è la pietra angolare. Ogni chiesa non edificata su questa pietra, non ha alcuna stabilità, consistenza, futuro. È una chiesa già crollata. È simile alla casa costruita sulla sabbia, così come insegna il Vangelo. Questa casa non è però fatta di una sola pietra, ogni battezzato in Cristo è pietra spirituale di quest’unico edificio. Urge però rimanere sempre legati a Cristo come il tralcio alla vite.
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato» (Mt 21,42-44). Allontanate dunque ogni genere di cattiveria e di frode, ipocrisie, gelosie e ogni maldicenza. Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, se davvero avete gustato che buono è il Signore. Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso. Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia (1Pt 2,1-10).
Immediatamente sopra Gesù, da Gesù è stato posto Pietro. Se Gesù è il fondamento invisibile, Pietro è il fondamento visibile dell’unità nella fede e nella carità.
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,17-19).
Ma neanche sul solo Pietro la Chiesa è costruita. Fondamento essenziale sono con Pietro e sotto Pietro gli Apostoli, in comunione di fede e di amore, di verità e grazia vengono tutti gli altri ministeri e carismi. Il corpo è uno, le membra sono molte.
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? (1Cor 12,27-30).
Un solo ministero posto fuori della comunione ascendente, discendente, orizzontale, rende la Chiesa povera di grazia e di verità. La forza della Chiesa sono le sue solide basi e i suoi molteplici ministeri e carismi. Si regge sulle basi, vive per i suoi ministeri e carismi. Ognuno nella Chiesa è parte vitale del mistero dell’unica salvezza.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Isolarsi nel proprio ministero si è simile ad un fiume d’acqua incanalato in un tubo di plastica che va dalla sorgente al mare. La preziosa acqua è sterile. Non irriga la terra.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci acqua nella terra.
29 OTTOBRE – XXX DOMENICA T.O. A
Non molesterai il forestiero né lo opprimerai
Es 22,20-26; Sal 17,2-4.47.51; 1 Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40.
Le regole fondamentali, essenziali, primarie dell’amore verso il prossimo, cioè verso ogni uomo, sono dettate dai Comandamenti e sono parte costitutiva dell’Alleanza. L’Alleanza vive di quest’amore. In quest’amore vi è la benedizione del Signore.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 0ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,8-17).
Quando un uomo vuole sapere se è giusto o ingiusto, vive di bontà o di iniquità, è sufficiente che si esamini sulla legge dell’amore verso il prossimo. Il forestiero è essenza e sostanza di questa legge dell’amore. Il non amore del forestiero rende iniquo l’uomo, lo pone fuori dell’Alleanza e lo incammina su una via di morte.
Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia, se non mangia sui monti e non alza gli occhi agli idoli della casa d’Israele, se non disonora la moglie del suo prossimo e non si accosta a una donna durante il suo stato d’impurità, se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l’affamato e copre di vesti chi è nudo, se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall’iniquità e pronuncia retto giudizio fra un uomo e un altro, se segue le mie leggi e osserva le mie norme agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, oracolo del Signore Dio. Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, mentre egli non le commette, e questo figlio mangia sui monti, disonora la donna del prossimo, opprime il povero e l’indigente, commette rapine, non restituisce il pegno, volge gli occhi agli idoli, compie azioni abominevoli, presta a usura ed esige gli interessi, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli, costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte. Ma se uno ha generato un figlio che, vedendo tutti i peccati commessi dal padre, sebbene li veda, non li commette, non mangia sui monti, non volge gli occhi agli idoli d’Israele, non disonora la donna del prossimo, non opprime alcuno, non trattiene il pegno, non commette rapina, dà il pane all’affamato e copre di vesti chi è nudo, desiste dall’iniquità, non presta a usura né a interesse, osserva le mie norme, cammina secondo le mie leggi, costui non morirà per l’iniquità di suo padre, ma certo vivrà. Suo padre invece, che ha oppresso e derubato il suo prossimo, che non ha agito bene in mezzo al popolo, morirà per la sua iniquità (Ez 18,5-18).
Quanto è grande l’amore di Dio per il forestiero? È della stessa misura del suo amore verso i figli di Abramo. Dio non fa alcuna distinzione. Ogni uomo è sua creatura.
Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso.
L’amore del Signore è così grande da assegnare loro anche la terra di Canaan.
Vi dividerete questo territorio secondo le tribù d’Israele. Lo distribuirete in eredità fra voi e i forestieri che abitano con voi, i quali hanno generato figli in mezzo a voi; questi saranno per voi come indigeni tra i figli d’Israele e riceveranno in sorte con voi la loro parte di eredità in mezzo alle tribù d’Israele. Nella tribù in cui lo straniero è stabilito, là gli darete la sua parte di eredità. Oracolo del Signore Dio (Ez 47,21-23).
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la legge dell’amore.
30 OTTOBRE
Se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze
Rm 8,12-17; Sal 67,2.4.6-7.21; Lc 13,10-17.
Con il Battesimo il corpo è uno. Cristo Gesù e ogni suo discepolo formano un solo corpo. Divenendo un solo corpo, divengono una sola morte di croce e una sola risurrezione. Per Paolo la sofferenza per Cristo è vera grazia.
Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi. Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio. Perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora (Fil 1,21-30).
Il corpo di Cristo è lo strumento della redenzione dell’umanità. Alle sofferenze di Cristo necessariamente dovranno essere aggiunte quelle di ogni suo discepolo. Senza la sofferenza aggiunta, offerta, vissuta per amore, non c’è redenzione del mondo.
Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza (Col 1,24-29).
La fede nella sofferenza diviene evangelizzazione. Chiede a Timoteo di soffrire anche Lui per il Vangelo. I discepoli di Gesù devono sostenersi l’un l’altro nella sofferenza.
Come un buon soldato di Gesù Cristo, soffri insieme con me. Nessuno, quando presta servizio militare, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Anche l’atleta non riceve il premio se non ha lottato secondo le regole. Il contadino, che lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra. Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere ogni cosa. Ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso (2Tm 2,3-13).
La Parola di Paolo è Parola di Spirito Santo. Un solo corpo, una sola sofferenza, una sola morte, una sola risurrezione. Il mistero è uno e va vissuto nell’unità sempre. Parteciperà domani alla gloriosa risurrezione chi partecipa oggi alla morte di Cristo. La conformazione a Cristo nella morte ci renderà conformi nella sua risurrezione.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci un solo mistero con Gesù.
31 OTTOBRE
Nella speranza infatti siamo stati salvati
Rm 8,18-25; Sal 125,1-6; Lc 13,18-21.
Per comprendere il pensiero di Paolo, dobbiamo lasciarci aiutare da quanto lui scrive ai Colossesi. Nel Battesimo si compie nell’uomo il duplice mistero di Gesù Signore. Realmente si muore nella sua morte, realmente si vive la sua risurrezione. Si è sepolti con Cristo nella sua morte. Si risorge con Lui nella sua vita nuova. Si muore al peccato. Si nasce alla vita nuova dei figli di Dio. Questa morte e questa risurrezione sacramentale deve divenire morte e risurrezione reale, storica, attraverso il quotidiano impegno del discepolo di Gesù di vivere nella più pura e santa volontà di Dio, astenendosi da ogni male, anche minimo. È questa la salvezza sulla nostra terra: manifestare per intero la vita di Cristo nel nostro corpo.
Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! (Col 3,1-15).
La salvezza sacramentale deve divenire salvezza storica, la salvezza storica deve trasformarsi in salvezza eterna. Questi tre momenti per Paolo sono un solo momento. Nella salvezza sacramentale si compie la salvezza storica, nella salvezza storica si compie la salvezza eterna. La speranza non è l’attesa di un futuro di bene che è fuori di noi. È invece la realizzazione di un presente di vita eterna che è già dentro di noi. La salvezza nella speranza è certezza del raggiungimento della vita eterna perché oggi sulla terra, nella storia, noi stiamo compiendo la morte di Cristo nel nostro corpo. La nostra speranza è simile a quella del contadino che ha seminato nella terra il buon seme e attende che esso maturi. Semina e raccolta sono una sola opera.
Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Con il battesimo tutto il mistero di Cristo è stato seminato nel cristiano. Se il discepolo di Gesù compie la morte di Cristo nel suo corpo necessariamente mieterà la sua gloriosa risurrezione. Sono un solo mistero, un solo atto, una sola opera. Oggi invece si insegna che vi è risurrezione gloriosa senza il compimento della morte di Cristo nel nostro corpo. Si separa salvezza sacramentale, salvezza storica, salvezza eterna. Si annuncia per tutti la salvezza eterna, ma fuori della salvezza sacramentale, cioè della semina del mistero di Cristo nel nostro corpo e del compimento in noi della sua morte.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la verità piena di Cristo.