Commento teologico alla prima lettura – Febbraio 2016

 

1 FEBBRAIO (2Sam 15,13-14.30; 16,5-13a)

Mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi

Davide vive un momento assai particolare della sua vita. Sa che si sta compiendo per lui la Parola detta dal Signore per mezzo del suo profeta. Deve scontare la pena per i suoi orrendi peccati di adulterio e omicidio plurimo. La Parola di Dio sempre si compie.

“Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita”. Così dice il Signore: “Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole” (2Sam 12,9-12).

Dinanzi ai suoi peccati cosa sarà mai per lui un insulto? Solo una via per purificarsi ancora di più. Il Signore gli vuole attestare che nulla era senza di Lui e che nulla è ora e sempre. Il Signore lo ha lasciato solo per un istante e lui è divenuto adultero e omicida. Quando Davide avrà imparato a sue spese che lui senza il suo Dio è solo capace di compiere il male e si aggrapperà al suo Signore come un bimbo si aggrappa alla propria madre, allora potrà essere un buon re. Per questo il Signore lo sta provando come oro nel crogiolo. Davide si deve spogliare di sé. Da superbo e arrogante deve divenire umile. Da violento e reazionario deve trasformarsi in persona mite. La trasformazione della sua natura è un dono abituale, non dato una volta per sempre, del suo Dio e Signore. Oggi a Davide è chiesto di vivere di profonda umiltà.

I servi di Davide non sono ancora persone toccate dal Signore. Vivono alla maniera umana: occhio per occhio, dente per dente, maledizione per maledizione, insulto per insulto. Il re è stato offeso, maledetto, insultato, disprezzato? Questa offesa va lavata con il sangue. Davide vede invece in quell’insulto la divina pedagogia. Dio si sta servendo di quell’uomo per misurare la mitezza e l’umiltà del re. Vuole vedere se dopo la grazia del perdono, Davide è capace di perdonare, di vedere la giustizia non dalla parte della vendetta ma da quella del perdono e della misericordia. Ora il Signore sa che Davide è di cuore umile e mite. Sa che per lui la giustizia è prima di tutto il perdono e non la vendetta. Sa vedere il Signore nella storia. Sta apprendendo come si ama.

Arrivò un informatore da Davide e disse: «Il cuore degli Israeliti è con Assalonne». Allora Davide disse a tutti i suoi servi che erano con lui a Gerusalemme: «Alzatevi, fuggiamo; altrimenti nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne. Partite in fretta, perché non si affretti lui a raggiungerci e faccia cadere su di noi la rovina e passi la città a fil di spada». Davide saliva l’erta degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva. Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando e gettava sassi contro Davide e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla sua destra e alla sua sinistra. Così diceva Simei, maledicendo Davide: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario». Allora Abisài, figlio di Seruià, disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». Ma il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: “Maledici Davide!”. E chi potrà dire: “Perché fai così?”». Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi servi: «Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: e allora, questo Beniaminita, lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi». Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simei camminava sul fianco del monte, parallelamente a Davide.

La storia è via privilegiata dal Signore per insegnare ad ogni suo figlio la legge del vero amore, della vera giustizia. Amore vero e giustizia vera iniziano dal perdono.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci a perdonare.

 

2 FEBBRAIO (Ml 3,1-4)

Subito entrerà nel suo tempio il Signore

Il culto verso Dio attesta la qualità della nostra fede e del nostro amore per il Signore. Al tempo di Malachia – così come avveniva al tempo di ogni profeta – il culto era vissuto male, malissimo. A causa della profanazione del suo altare, il Signore esprime un desiderio sul quale dovremmo tutti riflettere, pensare, al fine di modificare la nostra condotta. Meglio chiudere le porte del tempio che offrire un sacrificio sacrilego.

Oh, ci fosse fra voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi – dice il Signore degli eserciti – e non accetto l’offerta delle vostre mani! Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le nazioni e in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni. Dice il Signore degli eserciti. Ma voi lo profanate quando dite: «Impura è la tavola del Signore e spregevole il cibo che vi è sopra». Voi aggiungete: «Ah! che pena!». E lo disprezzate. Dice il Signore degli eserciti. Offrite animali rubati, zoppi, malati e li portate in offerta! Posso io accettarla dalle vostre mani? Dice il Signore. Maledetto il fraudolento che ha nel gregge un maschio, ne fa voto e poi mi sacrifica una bestia difettosa. Poiché io sono un re grande – dice il Signore degli eserciti – e il mio nome è terribile fra le nazioni (Mal 1,10-14).

Responsabili di ogni falso e sacrilego culto sono i sacerdoti. Per essi l’ammonimento del Signore è pesante, pesantissimo. Lu trasforma le loro benedizioni in maledizioni.

Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già cambiate, perché nessuno tra voi se ne dà premura. Ecco, io spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia escrementi, gli escrementi delle vittime immolate nelle vostre feste solenni, perché siate spazzati via insieme con essi. Così saprete che io ho diretto a voi questo monito, perché sussista la mia alleanza con Levi, dice il Signore degli eserciti. La mia alleanza con lui era alleanza di vita e di benessere, che io gli concessi, e anche di timore, ed egli mi temette ed ebbe riverenza del mio nome. Un insegnamento veritiero era sulla sua bocca né c’era falsità sulle sue labbra; con pace e rettitudine ha camminato davanti a me e ha fatto allontanare molti dal male. Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca insegnamento, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti. Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. Perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento (Mal 2,1-9).

Il Signore promette che Lui manderà un suo messaggero a preparare la via davanti a Lui. Lui verrà per purificare il suo tempio, il suo culto, per dare all’uomo la vera legge dell’adorazione e della pietà. Lui verrà per purificare i figli di Levi, cioè i suoi sacerdoti, come oro nel crogiolo perché le loro offerte siano sante, immacolate, pure.

Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.

Oggi Gesù entra nel tempio per essere dato al Signore come offerta pura e santa. Viene offerto e riscattato, secondo la Legge di Mosè. L’offerta reale al Signore, suo Dio, viene solo rinviata. Domani, dal tempio del suo corpo santo, offrirà al Padre suo il suo corpo purissimo in olocausto per l’espiazione dei peccati e la redenzione dei cuori. Dopo questa offerta monda, nessun’altra offerta sarà gradita al Padre suo, se è fatto fuori di questo corpo innocente, immacolato, puro, santissimo. Chi vuole offrire a Dio un sacrificio, un olocausto di espiazione, riconciliazione, lode, deve offrirlo nel corpo di Cristo, con Cristo, in Cristo. Dio non gradisce altri sacrifici. Solo in Cristo. Per Lui.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sacrificio gradito a Dio.

 

3 FEBBRAIO (2Sam 24,2.9-17)

Io ho commesso una grande stoltezza

Senza una potente, ininterrotta, continua azione dello Spirito Santo è difficile, anzi impossibile sganciare l’uomo, separarlo dalla sua umanità superba e peccatrice. Anche San Paolo, afferrato dallo Spirito, da Lui condotto e guidato, sente il peso della superbia, dell’orgoglio, che gli fa attribuire meriti che non sono suoi. Il Signore, perché mai cada nel peccato della superbia, lo affligge con un continuo dolore nella carne.

Se bisogna vantarsi – ma non conviene – verrò tuttavia alle visioni e alle rivelazioni del Signore. So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni.

Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,1-10).

Davide ancora vive nel regime dell’Antica Alleanza. La carne milita con potenza in lui e ancora una volta lo tenta. Prima lo ha tentato con la concupiscenza, ora lo fa con la superbia. Da essa viene spinto perché conti i suoi sudditi, misuri la grandezza e potenza del suo regno. Ma il regno non è suo. È di Dio. I sudditi non sono suoi, sono di Dio. Anche lui non si appartiene. Lui è servo di Dio per servire i servi del suo Signore. La superbia pone Davide al posto di Dio. Il suo peccato è grande.

Il re disse a Ioab, capo dell’esercito a lui affidato: «Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione». Ioab consegnò al re il totale del censimento del popolo: c’erano in Israele ottocentomila uomini abili in grado di maneggiare la spada; in Giuda cinquecentomila. Ma dopo che ebbe contato il popolo, il cuore di Davide gli fece sentire il rimorso ed egli disse al Signore: «Ho peccato molto per quanto ho fatto; ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza». Al mattino, quando Davide si alzò, fu rivolta questa parola del Signore al profeta Gad, veggente di Davide: «Va’ a riferire a Davide: Così dice il Signore: “Io ti propongo tre cose: scegline una e quella ti farò”».

Gad venne dunque a Davide, gli riferì questo e disse: «Vuoi che vengano sette anni di carestia nella tua terra o tre mesi di fuga davanti al nemico che ti insegue o tre giorni di peste nella tua terra? Ora rifletti e vedi che cosa io debba riferire a chi mi ha mandato». Davide rispose a Gad: «Sono in grande angustia! Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!». Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono tra il popolo settantamila persone. E quando l’angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per devastarla, il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo devastatore del popolo: «Ora basta! Ritira la mano!». L’angelo del Signore si trovava presso l’aia di Araunà, il Gebuseo. Davide, vedendo l’angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: «Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!».

Il Signore non vuole che i suoi servi si insuperbiscano. Scalzino Lui dal trono e mettano al suo posto se stessi. Lui vuole i suoi servi umili, piccoli, che vedano se stessi opera delle sue mani, che mai si attribuiscano un qualche merito, dal momento che tutto avviene con la sua grazia e con il suo potente aiuto. Sostituirsi a Dio è il peccato più grande per un servo del Signore. È il vero peccato satanico e diabolico. La severa punizione servirà perché Davide mai più pensi che il regno è suo. Dovrà sempre ricordarsi che ogni peccato del re produce danni infiniti per il suo popolo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci piccoli, umili, miti.

 

4 FEBBRAIO (1Re 2,1-4.10-12)

Perché il Signore compia la promessa che mi ha fatto

Davide sa che ormai i suoi giorni sono finiti. Deve lasciare questo mondo. Vive il momento della morte con spirito di vera fede. Non lascia a colui che succede sul suo trono ricchezze e gloria, onori e magnificenza, oro o altre cose di questo mondo. Tutte le cose del mondo durano un istante. Lui lascia al figlio suo la Parola del Signore. Questa sì che dura in eterno. Questa mai verrà meno. Quanto Dio profetizza sempre si compie. La speranza dell’uomo è solo questa: il compimento di ogni Parola di Dio.

Dio però parla a noi in modo assoluto e condizionato. Quando la sua Parola è detta in modo assoluto, essa si compie anche senza la nostra fede. Si compie perché Lui l’ha proferita. L’ha proferita e vigila perché si realizzi in ogni verità in essa contenuta. Quando invece la Parola è proferita in modo condizionato, allora perché essa si compia, spetta all’uomo adempiere le condizioni poste da Dio. L’uomo in questo caso diviene responsabile della sua attuazione e della sua non attuazione.

Tutta l’Alleanza, sia la Nuova che quella Antica, si fondano su una Parola condizionata di Dio. All’uomo il dovere di adempiere ogni condizione perché Dio possa realizzare la sua Parola. “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. Se voi non perdonate, neanche il Padre vostro vi perdonerà”. Chi vuole ottenere la misericordia da parte di Dio deve essere misericordioso. La misericordia di Dio si riversa su di lui attraverso la sua personale misericordia e così dicasi per il perdono.

Ma anche il Paradiso è promessa condizionata. Se vuoi la vita eterna, osserva il Vangelo, cammina verso di essa percorrendo la strada stretta della Parola di Cristo Gesù. Se questa condizione non è attuata dall’uomo, se lui cammina sulla strada larga del vizio e del peccato, mai potrà prendere la misericordia divina della salvezza eterna. Non ha camminato sulla via della vita, mai potrà raggiungere la gioia eterna. Ha preferito le strade della perdizione, nella perdizione consumerà la sua eternità.

Davide sa che Salomone diventerà re al suo posto. Sul re d’Israele Dio ha dato una Parola che è assoluta ed anche condizionata. È assoluta riguardo al re che dovrà venire e al regno eterno. È condizionata in ordine alla benevolenza verso la casa di Davide. Dio mai toglierà la sua benevolenza se i suoi figli cammineranno per la via dell’Alleanza e dell’obbedienza alla sua Parola, se si asterranno dal cadere nell’idolatria, che li trasformerà in re immorali. Se questo avverrà, il Signore dovrà intervenire e scalzarli dal trono del suo regno. Lui interverrà e li punirà.

I giorni di Davide si erano avvicinati alla morte, ed egli ordinò a Salomone, suo figlio: «Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e móstrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi, i suoi comandi, le sue norme e le sue istruzioni, come sta scritto nella legge di Mosè, perché tu riesca in tutto quello che farai e dovunque ti volgerai, perché il Signore compia la promessa che mi ha fatto dicendo: “Se i tuoi figli nella loro condotta si cureranno di camminare davanti a me con fedeltà, con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima, non ti sarà tolto un discendente dal trono d’Israele”. Davide si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella Città di Davide. La durata del regno di Davide su Israele fu di quarant’anni: a Ebron regnò sette anni e a Gerusalemme regnò trentatré anni. Salomone sedette sul trono di Davide, suo padre, e il suo regno si consolidò molto.

Davide conosce la pesantezza della punizione di Dio, che è poi la sua correzione. Chiede a Salomone di camminare per la retta via. Lui per ben due volte è stato riportato sulla via della saggezza dal Signore. La conduzione nella verità è stata pesante. Molte sono state le vittime, i dolori, le sofferenze causate dal suo peccato. Il primo bene che un re deve volere per il suo popolo è quello di astenersi da ogni peccato sia di concupiscenza che di superbia, di stoltezza e di idolatria. Astenendosi dal peccato, lui diviene una benedizione per il suo popolo. Questo Salomone dovrà sempre operare. Se non camminerà con giustizia, il Signore dovrà intervenire.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a non peccare.

 

5 FEBBRAIO (Sir 47,2-11)

Il Signore perdonò i suoi peccati

Quando noi avremo lasciato questo mondo e ci saremo presentati dinanzi a Dio, porteremo con noi il nostro carico di bene e di male. Sulle opere da noi fatte il Signore ci giudicherà. Attraverso l’Agiografo del Libro del Siracide, lo Spirito Santo legge la vita degli uomini illustri e mette in evidenza il bene da essi operato. Alcuni uomini però che sono illustri per la terra, non lo sono stati per il cielo, e lo Spirito del Signore lo dice con somma verità. Noi uomini invece, che siamo studiosi delle grandi gesta degli uomini, elogiamo il male, la superbia, la concupiscenza. Siamo privi dello Spirito di Dio e parliamo degli altri secondo principi che vengono dalla carne.

Facciamo ora l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Il Signore li ha resi molto gloriosi: la sua grandezza è da sempre. Signori nei loro regni, uomini rinomati per la loro potenza, consiglieri per la loro intelligenza e annunciatori nelle profezie. Capi del popolo con le loro decisioni e con l’intelligenza della sapienza popolare; saggi discorsi erano nel loro insegnamento. Inventori di melodie musicali e compositori di canti poetici. Uomini ricchi, dotati di forza, che vivevano in pace nelle loro dimore. Tutti costoro furono onorati dai loro contemporanei, furono un vanto ai loro tempi. Di loro, alcuni lasciarono un nome, perché se ne celebrasse la lode. Di altri non sussiste memoria, svanirono come se non fossero esistiti, furono come se non fossero mai stati, e così pure i loro figli dopo di loro. Questi invece furono uomini di fede, e le loro opere giuste non sono dimenticate. Nella loro discendenza dimora una preziosa eredità: i loro posteri. La loro discendenza resta fedele alle alleanze e grazie a loro anche i loro figli. Per sempre rimarrà la loro discendenza e la loro gloria non sarà offuscata. I loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre. I popoli parlano della loro sapienza, l’assemblea ne proclama la lode (Sir 44,1-15).

Davide è ricordato nelle sue opere di bene. Esse sono veramente molte. Lui visse i suoi giorni unicamente per accrescere la gloria del Signore in mezzo al suo popolo. Due volte la concupiscenza e la superbia ebbero il sopravvento su di lui. Egli peccò dinanzi al Signore suo Dio. Lo disprezzò con le sue trasgressioni. Ma come fu grande nella colpa, così fu anche grande nel pentimento. Seppe umiliarsi dinanzi al suo Dio e il Signore lo perdonò con tutta la larghezza della sua misericordia. Ma anche seppe correggerlo con grande eterna, divina sapienza, per condurlo a non più peccare.

Come dal sacrificio di comunione si preleva il grasso, così Davide fu scelto tra i figli d’Israele. Egli scherzò con leoni come con capretti, con gli orsi come con agnelli. Nella sua giovinezza non ha forse ucciso il gigante e cancellato l’ignominia dal popolo, alzando la mano con la pietra nella fionda e abbattendo la tracotanza di Golia? Egli aveva invocato il Signore, l’Altissimo, che concesse alla sua destra la forza di eliminare un potente guerriero e innalzare la potenza del suo popolo. Così lo esaltarono per i suoi diecimila, lo lodarono nelle benedizioni del Signore offrendogli un diadema di gloria.

Egli infatti sterminò i nemici all’intorno e annientò i Filistei, suoi avversari; distrusse la loro potenza fino ad oggi. In ogni sua opera celebrò il Santo, l’Altissimo, con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato. Introdusse musici davanti all’altare e con i loro suoni rese dolci le melodie. Ogni giorno essi eseguono le loro musiche. Conferì splendore alle feste, abbellì i giorni festivi fino alla perfezione, facendo lodare il nome santo del Signore ed echeggiare fin dal mattino il santuario. Il Signore perdonò i suoi peccati, innalzò la sua potenza per sempre, gli concesse un’alleanza regale e un trono di gloria in Israele.

La vera grandezza di un uomo non è la sua impeccabilità. È invece la sua grande umiltà, che sa prostrarsi dinanzi al Signore per chiedere perdono per tutte le sue colpe. Dal perdono ottenuto, l’uomo è grande se diviene uomo dal grande perdono ed è questa la sua vera giustizia: abbandonare la via della vendetta e anche della richiesta di giustizia e della difesa dei propri diritti, per lasciarsi condurre da un solo desiderio: perdonare, perdonare sempre, sempre, senza mai stancarsi. A volte Dio permette il peccato, perché vuole trasformarci da uomini severi, vendicativi, giustizieri, a persone dalla grande pietà, misericordia, perdono, commiserazione, infinita compassione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di solo perdono.

 

6 FEBBRAIO (1Re 3,4-13)

Sappia distinguere il bene dal male

Salomone è re del popolo del Signore. Dovrà governare una grande nazione. Lui è giovane, inesperto. Ancora non distingue neanche il bene dal male. Vive di questa segreta preoccupazione nel cuore. Davide, suo padre, è stato persona dalla grande saggezza, prudenza, intelligenza. Con la sua buona opera e il suo servizio ineccepibile ha fatto di una moltitudine di gente, un solo cuore, un solo corpo, una sola nazione. Potrà lui, giovane e inesperto, seguire le orme del padre suo?

Il Signore viene in suo aiuto. Gli appare in sogno nella notte. Gli fa un’offerta: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. Salomone è re. Vuole essere un buon re, non superiore a suo padre, ma almeno come suo padre. Sa che un re non governa il popolo con la forza, la potenza, le leggi, le imposizioni, le costrizioni, gli obblighi .A tutte queste cose l’uomo è refrattario. Un popolo si può governare solo con saggezza, intelligenza, benevolenza. A lui ora occorre solo una saggezza così grande da poter con essa distinguere per i suoi sudditi ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Il re per questo esiste: per amministrare la vera giustizia.

Dio non governa forse il suo popolo con leggi giuste, decreti giusti, precetti saggi, comandamenti dai quali sgorga ogni vita? Una sola legge ingiusta indispone i cuori e li rende disobbedienti, ribelli. Crea mormorazioni, lamentele, parole vane. Un re saggio, dalla saggezza del suo cuore, attinge per il suo popolo solo ciò che è bene, anzi ciò che è il meglio per esso. È verità e la Scrittura lo insegna: un regno passa da un popolo ad un altro popolo per le ingiustizie e le disonestà di chi lo governa. La disonestà del re diviene disonestà del popolo. E così è anche dell’ingiustizia del re.

Un governatore saggio educa il suo popolo, il governo dell’uomo di senno è ordinato. Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri; quale il capo di una città, tali tutti i suoi abitanti. Un re che non ha istruzione rovina il suo popolo, una città prospera per il senno dei capi. Il governo del mondo è nelle mani del Signore; egli vi suscita l’uomo adatto al momento giusto. Il successo dell’uomo è nelle mani del Signore, ma sulla persona dello scriba egli pone la sua gloria. Non irritarti con il tuo prossimo per un torto qualsiasi e non fare nulla in preda all’ira. Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia, l’uno e gli altri hanno in odio l’ingiustizia. Il regno passa da un popolo a un altro a causa delle ingiustizie, delle violenze e delle ricchezze. Niente è più empio dell’uomo che ama il denaro, poiché egli si vende anche l’anima. Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere? Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti. Una lunga malattia si prende gioco del medico; chi oggi è re, domani morirà. Quando l’uomo muore, eredita rettili, belve e vermi (Sir 10,1-11).

Salomone chiede la sapienza e il Signore gliela dona oltre ogni misura. Il re si dovrà ricordare che questo dono va chiesto ogni giorno, sempre, senza alcuna interruzione.

Il re andò a Gàbaon per offrirvi sacrifici, perché ivi sorgeva l’altura più grande. Su quell’altare Salomone offrì mille olocausti. A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci oltremodo giusti e saggi.

 

7 FEBBRAIO – V Domenica T.O. – (Is 6,1-2a.3-8)

Chi manderò e chi andrà per noi?

È cosa giusta vedere con luce divina le scelte che il Signore opera nella storia per la salvezza dell’umanità e del suo popolo. Noè è stato scelto per la sua giustizia. Per lui il Signore non distrusse l’umanità, quando si è pentito di averla creata. Giacobbe è scelto dalla madre Rebecca a causa del peccato di disobbedienza al comandamento di Dio da parte del figlio maggiore Esaù. Samuele è stato scelto, anche per opera della madre Anna che glielo ha offerto per tutti i giorni della sua vita. Tutte le altre scelte hanno ognuna la loro specifica motivazione nella sapienza nascosta nel cuore di Dio.

Dinanzi ad ogni scelta, anche se passa per le vie tortuose e a volte intrise di peccato della storia, l’uomo di Dio si mette in adorazione e riconosce la sapienza di Dio che opera ogni cosa per il più grande bene dei suoi figli. Questa visione di fede è necessaria. Altrimenti si cade nel peccato della critica, della mormorazione, della gelosia, dell’invidia, della lamentela eterna. Questi orrendi peccati altro non fanno che delegittimare colui che è stato scelto dal Signore. Da questo peccato neanche Aronne e sua sorella Maria furono immuni. Anche loro peccarono contro Mosè.

Maria e Aronne parlarono contro Mosè, a causa della donna etiope che aveva preso. Infatti aveva sposato una donna etiope. Dissero: «Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?». Il Signore udì. Ora Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra. Il Signore disse a un tratto a Mosè, ad Aronne e a Maria: «Uscite tutti e tre verso la tenda del convegno». Uscirono tutti e tre. Il Signore scese in una colonna di nube, si fermò all’ingresso della tenda e chiamò Aronne e Maria. I due si fecero avanti. Il Signore disse: «Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ed egli contempla l’immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?».

L’ira del Signore si accese contro di loro ed egli se ne andò. La nube si ritirò di sopra alla tenda ed ecco: Maria era lebbrosa, bianca come la neve. Aronne si volse verso Maria ed ecco: era lebbrosa. Aronne disse a Mosè: «Ti prego, mio signore, non addossarci il peccato che abbiamo stoltamente commesso! Ella non sia come il bambino nato morto, la cui carne è già mezza consumata quando esce dal seno della madre». 13Mosè gridò al Signore dicendo: «Dio, ti prego, guariscila!». Il Signore disse a Mosè: «Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe lei vergogna per sette giorni? Stia dunque isolata fuori dell’accampamento sette giorni; poi vi sarà riammessa». Maria dunque rimase isolata, fuori dell’accampamento, sette giorni; il popolo non riprese il cammino, finché Maria non fu riammessa (Num 12,1-15).

Isaia è l’unica vocazione che si propone da se stessa, dopo aver ascoltato il cuore del suo Dio, il quale non sa chi mandare per la salvezza del suo popolo. Questa modalità di Isaia è purissima rivelazione per noi. Per soddisfare le esigenze di salvezza del cuore del Padre, ogni uomo si può offrire a Lui e Lui accoglie il nostro Dio. Per l’esercizio della missione è però necessaria la purificazione di cuore e di labbra.

Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

Nessuno deve attendersi una chiamata diretta. Tutti si possono offrire. Urge sempre chiedere al Signore la purificazione della propria vita. La missione è dalla nostra verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate che tutti si offrano a Dio.

 

8 FEBBRAIO (1Re 8,1-7.9-13)

La nube riempì il tempio del Signore

Leggendo quanto avviene al Sinai e quanto si compie nel tempio di Gerusalemme, dobbiamo confessare che il Signore ha deciso di rivoluzionare il suo modo di essere con il suo popolo. Da presenza terrificante a presenza di infinita amorevolezza.

Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te». Mosè riferì al Signore le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Va’ dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo, non dovrà sopravvivere”. Solo quando suonerà il corno, essi potranno salire sul monte». Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: «Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna».

Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce. Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Il Signore disse a Mosè: «Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santifichino, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!». Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: “Delimita il monte e dichiaralo sacro”». Il Signore gli disse: «Va’, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro!». Mosè scese verso il popolo e parlò loro (Es 19,7-25).

Dio ha deciso di abitare in mezzo al suo popolo. Vuole essere non più il Dio lontano, ma il Dio vicino. Il Dio amico. Il Dio Padre. Il Dio Pastore. Il Dio Guida. Il Dio al quale tutti si potranno accostare e non più uno solo, il solo sacerdote, il solo Mosè.

Salomone allora convocò presso di sé in assemblea a Gerusalemme gli anziani d’Israele, tutti i capitribù, i prìncipi dei casati degli Israeliti, per fare salire l’arca dell’alleanza del Signore dalla Città di Davide, cioè da Sion. Si radunarono presso il re Salomone tutti gli Israeliti nel mese di Etanìm, cioè il settimo mese, durante la festa. Quando furono giunti tutti gli anziani d’Israele, i sacerdoti sollevarono l’arca e fecero salire l’arca del Signore, con la tenda del convegno e con tutti gli oggetti sacri che erano nella tenda; li facevano salire i sacerdoti e i leviti. Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele, convenuta presso di lui, immolavano davanti all’arca pecore e giovenchi, che non si potevano contare né si potevano calcolare per la quantità. I sacerdoti introdussero l’arca dell’alleanza del Signore al suo posto nel sacrario del tempio, nel Santo dei Santi, sotto le ali dei cherubini. Difatti i cherubini stendevano le ali sul luogo dell’arca; i cherubini, cioè, proteggevano l’arca e le sue stanghe dall’alto. Nell’arca non c’era nulla se non le due tavole di pietra, che vi aveva deposto Mosè sull’Oreb, dove il Signore aveva concluso l’alleanza con gli Israeliti quando uscirono dalla terra d’Egitto. Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nube riempì il tempio del Signore, e i sacerdoti non poterono rimanervi per compiere il servizio a causa della nube, perché la gloria del Signore riempiva il tempio del Signore. Allora Salomone disse: «Il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura. Ho voluto costruirti una casa eccelsa, un luogo per la tua dimora in eterno».

Dal Dio vicino, presente in mezzo al suo popolo, Dio vorrà fare un ulteriore passo: Al Dio Sposo del suo popolo e al suo popolo vera Sposa del suo Dio. Ulteriori passi saranno quello dell’Incarnazione del Verbo e la creazione del solo Corpo in Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la verità del nostro Dio.

 

9 FEBBRAIO (1Re 8,22-23.27-30)

Quando pregheranno in questo luogo

Quando un popolo diviene un cuor solo ed un’anima sola? Quando diviene una sola cosa? Il re da solo non basta, non è sufficiente. Il re crea unità esteriore, non interiore. All’unità esteriore sempre si deve aggiungere quella interiore. La risposta ce la offre il Libro della Sapienza. L’unità interiore è data dalla fede che si fa carità reale.

Per i tuoi santi invece c’era una luce grandissima; quegli altri, sentendone le voci, senza vederne l’aspetto, li proclamavano beati, perché non avevano sofferto come loro e li ringraziavano perché non nuocevano loro, pur avendo subìto un torto, e imploravano perdono delle passate inimicizie. Invece desti loro una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto e sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera. Meritavano di essere privati della luce e imprigionati nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva essere concessa al mondo. Poiché essi avevano deliberato di uccidere i neonati dei santi – e un solo bambino fu esposto e salvato –, tu per castigo hai tolto di mezzo la moltitudine dei loro figli, facendoli perire tutti insieme nell’acqua impetuosa. Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri (Sap 18,1-9).

Il popolo è unito quando è raccolto intorno ad un unico e solo Dio, intorno al Dio vivo e vero, al Dio che abita in mezzo ad esso con una presenza di luce, verità, giustizia, sapienza, comandamento, legge alla cui osservanza tutti si sono impegnati e si impegnano ogni giorno. Se Dio non diviene il centro di unità, neanche il re potrà mai divenirlo, né altra istituzione. Abitando in mezzo al suo popolo, Dio ha deciso di essere il cuore, gli occhi, la mente, la volontà, i desideri, ogni bene per il suo popolo. Quale via indica Salomone al suo popolo perché si costruisca in Dio come un sol cuore? Questa via è la preghiera. Ma cosa si deve chiedere al Signore? Tutto, ogni cosa. Soprattutto si deve chiedere il perdono assieme alla grazia di mantenersi fedeli alla Legge dell’Alleanza. Ma Salomone chiede anche un’altra grazia al Signore: “Che nessuna preghiera elevata nel suo tempio, Dio lasci inascoltata. Ogni preghiera dovrà essere esaudita”. Su questa certezza l’unità dei cuori si potrà sempre costruire, fondare.

Poi Salomone si pose davanti all’altare del Signore, di fronte a tutta l’assemblea d’Israele e, stese le mani verso il cielo, disse: «Signore, Dio d’Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore. Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: “Lì porrò il mio nome!”. Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!

Un popolo che crede nel suo Dio, che crede che ogni sua preghiera è ascoltata, non ha bisogno di altro. Deve solo vivere di questa fede, in questa fede. La sua vita dovrà sempre scorrere in questa certezza. Ogni speranza dovrà fondarsi su questa certezza. Se chiedo al mio Dio nel suo tempio santo, guardando verso il luogo della sua dimora sulla nostra terra, Lui mi ascolterà e il mio cuore troverà la pace. Veramente non si ha più bisogno di nulla. Si ha la fede nella preghiera e questa basta. Questa fede va vissuta nella fedeltà all’alleanza e sempre si deve chiedere una più grande fedeltà alla Parola. La preghiera dona ogni sapienza, forza, energia, luce, grazia necessaria per far sì che la nostra vita venga sempre vissuta nella Legge di Dio, secondo la Legge. Quando ci si pone fuori della Legge, subito si deve rientrare, con conversione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sempre dal nostro Dio.

 

10 FEBBRAIO (Gl 2,12-18)

Il Signore si mostra geloso per la sua terra

Tra Israele e il suo Dio vi è un patto di vita. Dio dona vita al suo popolo donando vita alla terra, agli alberi, alle piante, agli animali, allo stesso uomo, a condizione che il popolo doni vita alla Parola del suo Dio. Vita per vita. Se il popolo non dona vita alla Parola, neanche Dio darà vita al suo popolo. La terra diverrà un deserto. Essa produrrà per lui spine, cardi. E se continuerà a non dare vita alla Parola, essa non produrrà più neanche queste cose. Diverrà una desolazione. Vi potranno abitare solo scorpioni, ragni e altri animali dannosi per l’uomo. Essa sarà una terra devastata. È quanto è avvenuto al tempo di Gioele. Il popolo è privo di ogni alimento.

Udite questo, anziani, porgete l’orecchio, voi tutti abitanti della regione. Accadde mai cosa simile ai giorni vostri o ai giorni dei vostri padri? Raccontatelo ai vostri figli, e i vostri figli ai loro figli, e i loro figli alla generazione seguente. Quello che ha lasciato la cavalletta l’ha divorato la locusta; quello che ha lasciato la locusta l’ha divorato il bruco; quello che ha lasciato il bruco l’ha divorato il grillo. Svegliatevi, ubriachi, e piangete, voi tutti che bevete vino, urlate per il vino nuovo che vi è tolto di bocca. Poiché è venuta contro il mio paese una nazione potente e innumerevole, che ha denti di leone, mascelle di leonessa. Ha fatto delle mie viti una desolazione e tronconi delle piante di fico; ha tutto scortecciato e abbandonato, i loro rami appaiono bianchi. Laméntati come una vergine che si è cinta di sacco per il lutto e piange per lo sposo della sua giovinezza. Sono scomparse offerta e libagione dalla casa del Signore; fanno lutto i sacerdoti, ministri del Signore. Devastata è la campagna, è in lutto la terra, perché il grano è devastato, è venuto a mancare il vino nuovo, è esaurito l’olio. Restate confusi, contadini, alzate lamenti, vignaioli, per il grano e per l’orzo, perché il raccolto dei campi è perduto. La vite è diventata secca, il fico inaridito, il melograno, la palma, il melo, tutti gli alberi dei campi sono secchi, è venuta a mancare la gioia tra i figli dell’uomo (Gl 1,1-12).

La via perché Dio torni ad essere vita per la terra è una sola ed è sempre la stessa, senza alcuna variazione nel corso dei secoli e dei millenni. L’uomo dona vita alla Parola di Dio, Dio dona vita alla terra e la terra dona vita all’uomo. Se però l’uomo non dona vita alla Parola del suo Signore, neanche il suo Signore darà vita alla terra. Urge allora una immediata conversione. Non però a delle pratiche religiose esterne, quali il digiuno o altre opere. La conversione è alla Parola. Ci si converte alla Parola, abbandonando l’idolatria, l’immoralità, ogni altra disobbedienza e facendo della Legge del Signore la sola ed unica norma della propria vita. Senza vera conversione, mai ci potrà essere vita per il popolo del Signore. Il patto eterno tra Dio e l’uomo è questo.

«Or dunque – oracolo del Signore –, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti». Perché si dovrebbe dire fra i popoli: «Dov’è il loro Dio?». Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.

Il popolo è senza vita. Il profeta dona le modalità perché la vita ritorni in esso. Si vada al tempio, si chieda perdono al Signore. Non c’è perdono se non nel pentimento e nella conversione. Né si può fare appello alla sensibilità di Dio circa la santità del suo nome. Perché è proprio della santità del nome di Dio la sua fedeltà. Né si deve pensare che Dio sfiguri tra i popoli. Anzi i popoli proprio dalla fedeltà di Dio al suo nome, faranno la differenza con i loro dèi, che sono senza alcun nome santo. Se il popolo vuole che la vita di Dio torni in esso, si deve preoccupare di far tornare in vita la Parola del suo Dio. Noi diamo vita alla sua Parola. Dio dona vita alla nostra quotidiana morte. Dona vita a tutto ciò che ci circonda perché ci ricolmi di ogni vita. Fedeltà per fedeltà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convertiteci alla Parola di Dio.

 

11 FEBBRAIO (Dt 30,15-20)

Scegli la vita, perché viva tu e la tua discendenza

Insegna il Libro del Siracide che il Signore è sempre pronto per dare ad ogni uomo tutta la sua sapienza, perché lui possa camminare nella vita verso la vita, fino al raggiungimento della vita eterna. Rivela anche che Dio non costringe nessuno perché cammini nella sua sapienza, per progredire di vita in vita. Dio manifesta la via, pone dinanzi ad ogni uomo la vita e la morte, l’acqua e il fuoco, poi è dell’uomo decidere se vuole la morte o preferisce la vita, se ama dissetarsi del suo Dio o consumarsi nel fuoco per l’eternità. La sua è una scelta quotidiana tra fuoco e acqua, tra salvezza e perdizione, tra Paradiso e inferno, tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia.

Chi teme il Signore farà tutto questo, chi è saldo nella legge otterrà la sapienza. Ella gli andrà incontro come una madre, lo accoglierà come una vergine sposa; lo nutrirà con il pane dell’intelligenza e lo disseterà con l’acqua della sapienza. Egli si appoggerà a lei e non vacillerà, a lei si affiderà e non resterà confuso. Ella lo innalzerà sopra i suoi compagni e gli farà aprire bocca in mezzo all’assemblea. Troverà gioia e una corona di esultanza e un nome eterno egli erediterà. Gli stolti non raggiungeranno mai la sapienza e i peccatori non la contempleranno mai. Ella sta lontana dagli arroganti, e i bugiardi non si ricorderanno di lei. La lode non si addice in bocca al peccatore, perché non gli è stata concessa dal Signore. La lode infatti va celebrata con sapienza ed è il Signore che la dirige.

Non dire: «A causa del Signore sono venuto meno», perché egli non fa quello che detesta. Non dire: «Egli mi ha tratto in errore», perché non ha bisogno di un peccatore. Il Signore odia ogni abominio: esso non è amato da quelli che lo temono. Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere. Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare (Sir 15,1-20).

Nel Deuteronomio Dio dona un ordine all’uomo. Gli comanda di amare il Signore suo Dio, perché questa è la sola va della vita. Naturalmente è un comando di amore, dato per amore. Spetta all’uomo accoglierlo, viverlo, osservarlo. È giusto che ci si chieda: Qual è la differenza tra il comando e la volontà dinanzi alla quale Dio pone l’uomo? Il comando priva forse l’uomo della sua volontà? Nient’affatto. Donando Dio all’uomo il comando di scegliere di amare il Signore, pone l’ordine nell’ambito dell’Alleanza del Sinai. Israele mai si dovrà dimenticare che esso ha giurato fedeltà alla Parola del suo Dio. Se ha giurato fedeltà e ha anche sigillato il giuramento con il rito del sangue, si trova obbligato per sua volontà ad osservare quanto promesso. Se non osserva quanto promesso, esce dall’alleanza, e subito precipita nella morte, che sarà per lui anche eterna, se non si convertirà e non entrerà nella pienezza della fedeltà.

Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, oggi io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso, attraversando il Giordano. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe».

Il comando è obbligo eterno se l’uomo vuole entrare in possesso dei beni promessi e anche per conservare questi beni. Beni e obbedienza sono una cosa sola. Si obbedisce si possiedono i beni promessi. Non si obbedisce si perde ogni bene. Chi sceglie la morte, mai potrà gustare la vita. La vita è nell’obbedienza al comando di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera obbedienza.

 

12 FEBBRAIO (Is 58,1-9a)

Sciogliere le catene inique

L’esteriorità fatta di belle liturgie, canti polifonici dalle melodie angeliche, grandiosi organi, ogni altro strumento a corda e a percussione, luci scintillanti, cattedrali e chiese addobbate a festa, pomposità di abiti, pastorali dorati, spettacolari coreografie, lunghe processioni introduttive, incensi profumati, di certo non è gradita al Signore. È lui stesso che lo dice al suo popolo. Non sa cosa farsene Lui si sacrifici senza numero. Con Osea rivela che Lui vuole la compassione, l’amore, la misericordia non il sacrificio. Oggi ci dice quale digiuno lui gradisce. Non certo quello che consiste nel non mangiare pane o altro. Il cibo è elemento essenziale per il corpo. Esso non è tossico quando lo si mangia con moderazione e sobrietà e sempre va mangiato secondo la virtù della temperanza. Questa virtù non obbliga due volte in un anno. Obbliga sempre.

Vi è però un cibo tossico che è dell’anima e questo mai va mangiato. L’anima mai dovrà essere nutrita di egoismo, superbia, invidia, alterchi, disprezzo verso il prossimo, negazione dei diritti dei fratelli. Mai dovrà essere alimentata con la trasgressione dei comandamenti, con l’idolatria, la superstizione, la violazione del giorno consacrato al Signore, con il poco amore o il disonore dei genitori. Da essa sempre si deve tenere lontano tutto ciò che è ingiustizia verso l’uomo. Spesso però essa viene ingozzata di false testimonianze, furti, adulteri, omicidi, ingiurie, litigi senza fine, concupiscenza. Astenersi da tutte queste cose è il digiuno che il Signore chiede a tutti i suoi adoratori. Gesù, nel giorno del giudizio, ci interrogherà sul nostro amore reale, concreto, quotidiano da noi operato verso il prossimo, senza alcuna distinzione tra uomo e uomo.

Nella nostra purissima fede dobbiamo sempre distinguere e separare cioè che viene dagli uomini e ciò che viene da Dio. Ciò che viene dagli uomini mai potrà sostituire ciò che viene da Dio. Invece noi con diabolica astuzia e sottigliezza infernale, togliamo ciò che viene da Dio e lo sostituiamo con ciò che viene dall’uomo. Aboliamo la legge di Dio e poi ci creiamo quella religione artificiale che lascia il cuore così come esso è. Si praticano divorzi, aborti, omicidi, si vive di furti, incesti, lussuria, si trasgredisce ogni altra legge del Signore e si pensa che con un’opera esterna, la partecipazione ad una lunga o corta processione, l’anima possa stare in pace. Si è dannati dentro, ma le apparenze sono spettacolarmente belle. Ma questa non è la religione che il Signore vuole. Questa appartiene a Satana. È la religione che prepara per l’inferno.

Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».

Urge convincersi. Dio vuole una sola religione, quella della fede, dell’ascolto, dell’obbedienza, dell’amore, della misericordia. Non però una misericordia pensata dall’uomo, ma quella che Lui ci ha dettato. Anche la misericordia dovrà essere purissima obbedienza. Anche la giustizia mai potrà essere quella stabilita dall’uomo. La vera giustizia è quella che il nostro Dio ha scritto nella sua Legge eterna. È obbligo dei profeti del Dio vivente ricordare ad ogni uomo la volontà di Dio su di esso.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci il vero ascolto.

 

13 FEBBRAIO (Is 58,9b-14)

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione

Nell’Antico Testamento esempio perfetto di come si vive il vero digiuno secondo Dio, cioè la misericordia, la carità, la compassione dell’uomo verso l’uomo è Giobbe.

Ho stretto un patto con i miei occhi, di non fissare lo sguardo su una vergine. Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode, mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconosca la mia integrità. Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguìto i miei occhi, se la mia mano si è macchiata, io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna e sono stato in agguato alla porta del mio prossimo, mia moglie macini per un estraneo e altri si corichino con lei; difatti quella è un’infamia, un delitto da denunciare, quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto. Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, che cosa farei, quando Dio si alzasse per giudicare, e che cosa risponderei, quando aprisse l’inquisitoria? Chi ha fatto me nel ventre materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel grembo? Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l’orfano – poiché fin dall’infanzia come un padre io l’ho allevato e, appena generato, gli ho fatto da guida –, se mai ho visto un misero senza vestito o un indigente che non aveva di che coprirsi, se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, riscaldàti con la lana dei miei agnelli, se contro l’orfano ho alzato la mano, perché avevo in tribunale chi mi favoriva, mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio, perché mi incute timore il castigo di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere.

Se ho riposto la mia speranza nell’oro e all’oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia”, se ho goduto perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano, se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio, anche questo sarebbe stato un delitto da denunciare, perché avrei rinnegato Dio, che sta in alto. Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico? Ho esultato perché lo colpiva la sventura? Ho permesso alla mia lingua di peccare, augurandogli la morte con imprecazioni? La gente della mia tenda esclamava: “A chi non ha dato le sue carni per saziarsi?”. All’aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte. Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto, come se temessi molto la folla e il disprezzo delle famiglie mi spaventasse, tanto da starmene zitto, senza uscire di casa. Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono a una sola voce, se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare i suoi coltivatori, in luogo di frumento mi crescano spini ed erbaccia al posto dell’orzo (Cfr. Gb 31,1-40).

Di questa condotta il Signore si compiace e Giobbe dal Signore è presentato anche a Satana come vero modello di fedeltà, nel purissimo amore e nella grande carità.

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni. Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate. Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato delizia e venerabile il giorno sacro al Signore, se lo onorerai evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di contrattare, allora troverai la delizia nel Signore. Io ti farò montare sulle alture della terra, ti farò gustare l’eredità di Giacobbe, tuo padre, perché la bocca del Signore ha parlato.

Chi vuole essere benedetto da Dio dovrà essere persona che benedice sempre il suo prossimo, non con le parole, ma con i fatti, con le opere, riversando su di esso ogni bene. La misura della nostra benedizione del prossimo viene usata dal Signore per benedire noi. Se noi siamo larghi con il prossimo, Dio sarà larghissimo con noi. Ci darà la sua eternità. Se noi siamo stretti con i fratelli, anche il Signore sarà strettissimo con noi, non ci potrà portare nel suo regno eterno, non potrà concederci alcun bene. Lui paga a noi il bene fatto al nostro prossimo moltiplicandolo per l’eternità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ricchi nella carità.

 

14 FEBBRAIO – I Quaresima – (Dt 26,4-10)

E il Signore ascoltò la nostra voce

Il popolo di Dio era schiavo e prigioniero in Egitto. Gridò al Signore suo Dio. Lui ascoltò dal cielo, scese e liberò il suo popolo, conducendolo in una terra dove scorre latte e miele. Avrà ancora bisogno Israele del suo Dio, ora che vive in una terra tutta sua, nella quale vi è ogni abbondanza? Una similitudine sarà sufficiente a convincere il popolo che esso ha sempre bisogno del suo Dio.

La Terra di Canaan, luogo dove scorre un vero fiume di vita, deve essere paragonata ad una nave che dovrà solcare tutto il vastissimo mare della storia fino al raggiungimento dell’altra terra, la nuova terra e i nuovi cieli che il Signore si appresta a preparare per il suo popolo. È Dio la nave sulla quale Israele è salito. Di questa nave esso ha bisogno sempre. Senza la nave nessun oceano sarà attraversato.

Dove è l’inganno nel quale il popolo del Signore potrebbe cadere? L’inganno è semplicemente nella visione. Durante il viaggio verso la terra di Canaan la nave era visibile. Nella terra conquistata essa è divenuta invisibile, ma non per questo meno necessaria. Anzi è più necessaria oggi che ieri. Oggi vi è l’inganno di una visibilità che è solo apparenza. Se per un solo istante Dio si allontanasse, il popolo sarebbe nella morte. Non vi sarebbe più vita per esso. Sarebbe finito per sempre.

Come fare allora perché il popolo ricordi che esso può vivere solo se rimane perennemente su questa nave? Il Signore istituisce per esso il rito delle primizie. Si dovrà presentare dinanzi al Signore, portare le sue primizie, deporle ai piedi dell’altare e recitare il suo credo. Lui è sempre dal suo Dio. Lo è stato al momento della liberazione. Lo è stato nel deserto. Lo è stato nella conquista della terra. Lo è oggi e sempre. Perché non può essere se non dal suo Dio. O è e sarà perennemente dal suo Dio, o semplicemente non è e mai potrà essere. Dio è la nave che lo porta.

I frutti della terra sono il dono più bello che Dio ogni giorno gli fa. Non è frutto del suo lavoro. Lui potrebbe stare nei campi giorno e notte. Ma la terra non produce sul comando di chi la lavora. Produce su ordine del Signore. Dona i suoi frutti per la benedizione del suo Dio. E chi benedice il suo Dio? Chi è aggrappato a Lui, chi forma con Lui una sola vita, una sola volontà, un solo patto di amore. Se Israele abbandona il suo Dio, Dio potrà solo invitarlo a tornare a Lui e finché esso non torna, non potrà benedirlo e il suo popolo consuma invano le sue energie. Lavora per il nulla.

Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio.

Questo “credo” è la vita per il popolo di Dio. È un “credo” che non è rivolto alla contemplazione del passato. Serve invece a dare la giusta verità al presente. Ogni “credo” che è solo una recita di cose fatte da Dio nel passato, ma che non coinvolge il presente, illuminandolo e anche creandolo, a nulla serve. Non si crede in ciò che Dio ha fatto ieri. Si crede in ciò che Dio oggi fa, oggi opera, oggi realizza. Oggi il Signore libera l’uomo dalla schiavitù di se stesso, dalla non fede, dalle idolatrie, da ogni superstizione. Oggi conduce alla libertà più grande per una vita intessuta interamente di ogni Parola che esce dalla sua bocca. Oggi il nostro Dio viene per operare la nostra vera conquista di quella dignità umana che solo Lui può dare e che dona con amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sempre dal nostro Dio.

 

15 FEBBRAIO (Lev 19,1-2.11-18)

Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo

Tra la santità dell’Antico Testamento e quella del Nuovo vi è una differenza sostanziale. Nell’Antico Patto la santità era obbedienza ad un comando di amore. Amore verso Dio. Amore verso il prossimo, dove per prossimo, necessariamente deve intendersi ogni uomo: amico, nemico, forestiero, abitante del paese, persona che risiede in un luogo e persona che semplicemente transita, santo e peccatore, giusto e ingiusto, buono o cattivo, pio o empio e idolatra. Amare Dio è ascoltarlo in ogni sua Parola, ogni suo Comando, Precetto, Statuto, Regola da Lui dati all’uomo come unica e sola via per amare. Amare l’uomo è invece pensare, volere, desiderare per esso il bene più grande, vero, autentico, sempre però secondo le reali possibilità di colui che è chiamato ad amare. Di certo non ama il fratello chi potendolo riscattare dalla sua schiavitù, non lo riscatta. Né lo ama chi potendo fare il molto, fa il poco.

È evidente che la sola Legge del Decalogo non è sufficiente per amare secondo verità. Il Decalogo più che legge per amare secondo Dio, secondo la pienezza dell’amore possibile, è legge che ci vieta di fare del male al nostro prossimo. Ma non fare del male, non essere ingiusti, è semplicemente rispettarlo nei suoi diritti. Questo però a Dio non basta, perché Dio non ci ama rispettando i nostri diritti. Non ne abbiamo alcuno. Lui ci ama facendoci tutto il bene che è nelle possibilità della sua natura infinita. Il primo bene che Lui ci offre è il perdono, la riconciliazione, la possibilità di ricominciare a camminare con Lui. Noi lo abbiamo tradito, rinnegato e Lui nuovamente ci elargisce tutto il suo amore e la sua grande misericordia. Lui veramente ama.

Nel Nuovo Patto l’amore non è solo obbedienza ad una legge esterna, ad un Comandamento che il Signore ci ha donato. Nel Battesimo siamo divenuti partecipi della sua natura divina, siamo stati elevati all’altissima dignità di essere corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo. L’amore che Dio ci chiede non può fondarsi più su un comando. Il nostro dovrà essere un amore divino, eterno, santo, perfetto. Deve essere il frutto della nostra nuova natura. Come Cristo sulla Croce fruttificò lo Spirito Santo e la grazia della redenzione e della santificazione per ogni uomo, così dovrà essere anche il nostro amore per il mondo intero: una fruttificazione perenne di Spirito Santo e una grazia di salvezza e di redenzione. Il nostro amore dovrà essere la consegna della nostra vita a Dio, che è divenuta parte della sua vita, in Cristo, perché ne faccia un olocausto di salvezza eterna. Al bene materiale dovrà aggiungersi tutto il bene spirituale, al bene di obbedienza dovrà corrispondere il bene del frutto della natura.

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo. Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo. Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore.

Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso il potente: giudicherai il tuo prossimo con giustizia. Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.

Amare secondo l’Antico Patto è troppo poco per un discepolo di Gesù. Noi siamo stati innestati sulla natura umana di Cristo Gesù, che è il Corpo della sua Persona divina, lo strumento attraverso il quale il Padre ha compiuto la redenzione del mondo. Il nostro amore è vero se è purissimo amore di salvezza e di redenzione. Se non produciamo questo frutto, è segno che l’innesto è fallito. Noi siamo nella nostra vecchia natura e la natura vecchia mai potrà produrre un solo frutto di redenzione e di salvezza eterna.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci albero di vera salvezza.

 

16 FEBBRAIO (Is 55,10-11)

Così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca

Il profeta non è mandato in mezzo al popolo del Signore per dire una parola da parte di Dio e poi per ritornare presso di Lui, portando i frutti dell’ascolto e della fede in essa. Lui deve andare solo per riferire quanto Dio gli ha comandato. Ogni altra cosa appartiene a Dio e a colui che ha ascoltato il suo messaggero. Il dono della Parola, oltre che è la più grande grazia concessa da Dio al suo popolo, domani servirà a giustificare Dio dall’accusa di aver tralasciato qualcosa nell’amare l’uomo. Nessuno per l’eternità potrà rivolgere questa accusa al suo Dio. Dovrà semplicemente confessare la sua stoltezza e insipienza. Dio è innocente della sua morte eterna. Questa verità ci è rivelata sia per mezzo del profeta Ezechiele e sia attraverso Paolo.

Mi disse: «Figlio dell’uomo, àlzati, ti voglio parlare». A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. Ma tu, figlio dell’uomo, non li temere, non avere paura delle loro parole. Essi saranno per te come cardi e spine e tra loro ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce: sono una genìa di ribelli. Ascoltino o no – dal momento che sono una genìa di ribelli –, tu riferirai loro le mie parole. Figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non essere ribelle come questa genìa di ribelli: apri la bocca e mangia ciò che io ti do». Io guardai, ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto da una parte e dall’altra e conteneva lamenti, pianti e guai (Ez 2,1-10).

Siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita. E chi è mai all’altezza di questi compiti? Noi non siamo infatti come quei molti che fanno mercato della parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo (2Cor 2,14-17).

Quando il profeta, o il messaggero del Signore, viene e ci annunzia la sua parola di salvezza, tutta la responsabilità dell’ascolto e del non ascolto ricade sull’uomo. La Parola è data, viene ascoltata. Essa produce un frutto di vita per coloro che l’ascoltano, ma anche un frutto di morte per coloro che si rifiutano di trasformarla in loro vita. Sono nella morte e rimangono in essa per non ascolto della Parola. Ma il dono di essa non produce solo vita in chi l’ascolta, produce un frutto di giustizia anche in Dio. Lui è stato divinamente giusto. Aveva indicato all’uomo la via della vita, ma non è stato ascoltato. L’uomo si perde, ma per sua unica e sola responsabilità. Adamo cadde nella morte. Ma non accusò di ingiustizia Dio. Accusò la donna. Lei lo aveva tentato e lui si era lasciato sedurre dalle sue parole. La Parola detta se non salva l’uomo, salva sempre Dio.

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.

Il profeta deve vivere nel suo cuore di questi due amori: amore per l’uomo, ma anche amore per il suo Dio. Se si dovesse stancare di essere messaggero a causa degli uomini, mai si deve stancare per amore del suo Dio. Lui mai dovrà permettere che un solo uomo possa accusare Dio di ingiustizia. Ma vi è anche un’altra ragione per cui deve riferire la Parola: per non essere domani lui accusato dall’uomo di ingiustizia, di non amore, di non svolgimento corretto della sua missione. Se questa accusa risultasse vera, il Signore metterebbe sul suo conto tutte le dannazioni avvenute per mancata predicazione della sua Parola di salvezza. Anche per questo motivo, lui mai deve smettere di dire la Parola della vita. Dalla sua predicazione è la sua salvezza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri missionari di Gesù.

 

17 FEBBRAIO (Gio 3,1-10)

Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta

Giona è profeta particolare, unico. Nella sua umanità rivela tutta la potenza salvatrice e redentrice della Parola del Signore, ma anche le profondità delle ferite che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, divenuto incapace di comprendere, accettare, vivere tutta la ricchezza della misericordia del Signore che si manifesta nel suo perdono. Giona è profondamente umano, vero figlio di Adamo, inquinato dalla colpa antica. Lui non vuole che il Signore perdoni Ninive, città corrotta, peccatrice, nemica del popolo del Signore. Poiché sa che all’annunzio della Parola la città si sarebbe potuto convertire e Dio avrebbe perdonato il suo peccato, fugge lontano dal Signore, imbarcandosi su una nave diretta a Tarsis, disobbedendo con coscienza, volontà, impegno. Lui mai si recherà a Ninive. Il Signore vuole che lui si rechi e predispone ogni evento perché la sua volontà si compia. Dalla nave viene gettato in mare.

Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, e disse: «Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha risposto; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Io dicevo: “Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio”. Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo. Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio. Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino al tuo santo tempio. Quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore. Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore». E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia (Gn 2,1-11).

Dopo questa esperienza, pur avendo sperimentato tutta la potenza di salvezza del Signore, pur essendo stato liberato dalle fauci della morte, nulla cambia nel suo cuore. Tra lui e il suo Dio vi è incomunicabilità di pensiero, verità, misericordia, perdono. Lui accoglie per sé il dono della vita, ma non lo vuole per Ninive. Essa deve morire sotto il peso del suo peccato. Dio spesso è obbligato a lavorare con cuori simili.

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: «Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!». Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

Giona aveva visto bene. Ninive ascolta la Parola e si converte. Dio perdona. Chi non si converte alla grande misericordia del Signore è invece proprio lui. Vede, ma si rammarica. Gli viene anche un forte dolore di testa, tanto grande è il suo dispiacere perché Ninive era stata perdonata dal suo Dio. Il suo cuore è chiuso, anzi ben sigillato nella sua stoltezza e grande insipienza. Non riesce a comprendere che il suo Signore non è solo il Dio dalla grande giustizia, è prima di ogni altra cosa il Dio potente nella misericordia e nel perdono. Il suo Dio, prima di punire qualcosa, offre al peccatore tutta la potenza della sua luce perché si possa convertire. Solo quando tutte le risorse del suo amore sono finite, allora interviene per retribuire il peccatore secondo le sue iniquità. Ma prima c’è ogni spazio per la sua grande offerta di perdono.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, angeli, Santi, fateci persone di perdono.

 

18 FEBBRAIO (Est 4,17k-u)

Quanto a noi, salvaci con la tua mano

L’Apostolo Giacomo ci insegna che la preghiera del giusto è molto potente. San Paolo ci rivela che per la preghiera Dio custodisce ogni cuore nella sua pace.

Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode. Chi è malato, chiami presso di sé i presbìteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto potente è la preghiera fervorosa del giusto. Elia era un uomo come noi: pregò intensamente che non piovesse, e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto (Gc 5,13-18). Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù (Fil 4,4-7).

La regina Ester ci insegna che la preghiera va rivolta al Signore e agli uomini, che sono strumenti della sua volontà. Essa ci mostra come si prega sia Dio che il re che è ministro del suo regno. Ci rivela ancora che se è sempre facile invocare il Signore, non sempre è possibile chiedere agli uomini. Anche se si dovesse esporre la propria vita alla morte, è giusto per un bene universale, sacrificare tutto di noi a beneficio di un intero popolo. Ester è pronta ad immolarsi per il suo popolo, ma prima chiede a Dio che possa trovare benevolenza presso il re sia per la sua persona e sia nella richiesta di grazia. Sa che ogni cuore può essere da Lui mosso a benevolenza. Con questa fede prega e con la stessa fede espone la sua vita entrando dal re senza essere stata richiesta. Lei è donna che vive la fede sino in fondo, sino al sacrificio di sé. Lo fa volontariamente, per amore. Lei è “martire” del suo amore e della sua compassione.

Anche la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un’angoscia mortale. Si tolse le vesti di lusso e indossò gli abiti di miseria e di lutto; invece dei superbi profumi si riempì la testa di ceneri e di immondizie. Umiliò duramente il suo corpo e, con i capelli sconvolti, coprì ogni sua parte che prima soleva ornare a festa. Poi supplicò il Signore e disse: «Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te, perché un grande pericolo mi sovrasta. Io ho sentito fin dalla mia nascita, in seno alla mia famiglia, che tu, Signore, hai preso Israele tra tutte le nazioni e i nostri padri tra tutti i loro antenati come tua eterna eredità, e hai fatto per loro tutto quello che avevi promesso. Ma ora abbiamo peccato contro di te e ci hai consegnato nelle mani dei nostri nemici, perché abbiamo dato gloria ai loro dèi. Tu sei giusto, Signore!

Ma ora non si sono accontentati dell’amarezza della nostra schiavitù: hanno anche posto le mani sulle mani dei loro idoli, giurando di abolire il decreto della tua bocca, di sterminare la tua eredità, di chiudere la bocca di quelli che ti lodano e spegnere la gloria del tuo tempio e il tuo altare, di aprire invece la bocca delle nazioni per lodare gli idoli vani e proclamare per sempre la propria ammirazione per un re mortale. Non consegnare, Signore, il tuo scettro a quelli che neppure esistono. Non permettere che ridano della nostra caduta; ma volgi contro di loro questi loro progetti e colpisci con un castigo esemplare chi è a capo dei nostri persecutori. Ricòrdati, Signore, manifèstati nel giorno della nostra afflizione e da’ a me coraggio, o re degli dèi e dominatore di ogni potere. Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, per lo sterminio suo e di coloro che sono d’accordo con lui. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te, Signore! Tu hai conoscenza di tutto e sai che io odio la gloria degli empi e detesto il letto dei non circoncisi e di qualunque straniero.

Ester diviene così vera maestra nella fede e nell’amore. Per la sua preghiera a Dio e al re, il popolo del Signore viene salvato. Da lei dobbiamo tutti imparare che non si chiede solo a Dio. Si chiede a Dio e anche agli uomini. Prima però si chiede al Signore di volgere il cuore degli uomini al bene e poi ci si rivolge anche a costo di esporre la propria vita al martirio. Dio ha spesso bisogno dell’intervento degli uomini.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera preghiera.

 

19 FEBBRAIO (Ez 18,21-28)

Egli certo vivrà e non morirà

Se confrontiamo la primitiva legislazione dell’Esodo con la profezia di Ezechiele, dobbiamo confessare che con quest’ultimo si compie una vera rivoluzione nella fede del popolo del Signore. Prima molti peccati erano sanzionati con la morte. Ora invece vi è spazio al pentimento. Questa verità è anche annunziata dal Libro della Sapienza.

Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo a morte. Se però non ha teso insidia, ma Dio glielo ha fatto incontrare, io ti fisserò un luogo dove potrà rifugiarsi. Ma se un uomo aveva premeditato di uccidere il suo prossimo con inganno, allora lo strapperai anche dal mio altare, perché sia messo a morte. Colui che percuote suo padre o sua madre, sarà messo a morte. Colui che rapisce un uomo, sia che lo venda sia che lo si trovi ancora in mano sua, sarà messo a morte. Colui che maledice suo padre o sua madre, sarà messo a morte. Quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani, si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o due, non sarà vendicato, perché è suo denaro. Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido (Es 21,12-25).

Chiunque si abbrutisce con una bestia sia messo a morte (Es 22, 18). Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo (Es 31, 14). Durante sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro di sabato sarà messo a morte (Es 31, 15). Per sei giorni si lavorerà, ma il settimo sarà per voi un giorno santo, un giorno di riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque in quel giorno farà qualche lavoro sarà messo a morte (Es 35, 2).

Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi si opporrà alla potenza del tuo braccio? Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento (Sap 11,21-23). Ma hai avuto indulgenza anche di costoro, perché sono uomini, mandando loro vespe come avanguardie del tuo esercito, perché li sterminassero a poco a poco. Pur potendo in battaglia dare gli empi nelle mani dei giusti, oppure annientarli all’istante con bestie terribili o con una parola inesorabile, giudicando invece a poco a poco, lasciavi posto al pentimento, sebbene tu non ignorassi che la loro razza era cattiva e la loro malvagità innata, e che la loro mentalità non sarebbe mai cambiata, perché era una stirpe maledetta fin da principio; e non perché avessi timore di qualcuno tu concedevi l’impunità per le cose in cui avevano peccato (Sap 12,8-11).

Con Ezechiele il Signore manifesta al suo popolo quando alta, profonda, abissale, grande, infinita sia la sua misericordia. Egli attende che il peccatore si converta per fargli grazia, per concedergli la grazia del perdono. Poiché l’uomo è vero uomo solo se è ad immagine del suo Dio, anche lui è chiamato a mostrare la grandezza del suo perdono. La vendetta non appartiene più all’uomo, ma solo una grande misericordia.

Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà. Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri uomini nel perdono.

 

20 FEBBRAIO (Dt 26,16-19)

Ti comanda di mettere in pratica queste leggi

Il Signore parla con chiarezza al suo popolo. Quando Lui potrà essere Dio per il suo popolo? Quando il suo popolo cammina nella sua Legge, la osserva con tutto il cuore e con tutta l’anima. Altrimenti Lui non potrà essere il suo Dio e se non potrà essere il suo Dio, Israele finirà per non essere più popolo. Non finirà di non essere più il popolo di Dio, ma di non essere semplicemente popolo. Con Osea il Signore rivela al suo popolo che questa sua Parola si è compiuta. Lui è Dio, ma non per il suo popolo.

Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele. Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: «Va’, prenditi in moglie una prostituta, genera figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore». Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: ella concepì e gli partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Izreèl, perché tra poco punirò la casa di Ieu per il sangue sparso a Izreèl e porrò fine al regno della casa d’Israele. In quel giorno io spezzerò l’arco d’Israele nella valle di Izreèl». La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: «Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d’Israele, non li perdonerò più. Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri». Quando ebbe svezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete popolo mio e io per voi non sono (Os 1,1-9).

Essere Dio del popolo Significa per il Signore rendere Israele pieno di ogni vita, benedizione, grazia. Ma anche custodirlo, proteggerlo, difenderlo da ogni attacco del nemico. Non essere più Dio per il suo popolo, è per il popolo perdere ogni identità, libertà, la stessa terra. Senza il suo Dio dovrà sperimentare una dura schiavitù. Tutto il bene dei figli di Israele è dal loro Signore. Senza il Signore semplicemente non sono, mai potranno essere, perché è Dio la loro vita, la loro prosperità, il loro tutto.

Oggi il Signore, tuo Dio, ti comanda di mettere in pratica queste leggi e queste norme. Osservale e mettile in pratica con tutto il cuore e con tutta l’anima. Tu hai sentito oggi il Signore dichiarare che egli sarà Dio per te, ma solo se tu camminerai per le sue vie e osserverai le sue leggi, i suoi comandi, le sue norme e ascolterai la sua voce. Il Signore ti ha fatto dichiarare oggi che tu sarai il suo popolo particolare, come egli ti ha detto, ma solo se osserverai tutti i suoi comandi. Egli ti metterà, per gloria, rinomanza e splendore, sopra tutte le nazioni che ha fatto e tu sarai un popolo consacrato al Signore, tuo Dio, come egli ha promesso».

L’osservanza de Comandamenti e delle Leggi del Signore non produce un frutto di bene per il Signore. Il Signore è così Alto, così Santo, così Trascendente, da non potersi aggiungere alla sua gloria nulla che venga dal di fuori della sua divina essenza. Tutto quello che Dio fa per l’uomo, dalla creazione, alla redenzione, alla santificazione, alla glorificazione, lo fa per il più grande bene dell’uomo. Dio ha deciso di porre tutta la sua onnipotenza a servizio della sua creatura, vi è però una condizione essenziale da osservare: l’uomo si deve impegnare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze ad amare il suo Dio e lo ama obbedendo alla sua Parola, ascoltando la sua voce.

Dio è l’acqua della vita per il suo popolo. L’acqua della vita è in un pozzo profondo. La Parola vissuta è il mezzo, il secchio che si fa calare in questo pozzo di vita, dal quale solamente è possibile attingere ogni vita. Senza l’obbedienza alla Parola vi è eterna incomunicabilità tra Dio e la sua creatura. Dio viene, ma solamente per offrirci la Parola nella quale e per la quale si può attingere ogni acqua di vita eterna. D’altronde anche Gesù ha mandato i suoi discepoli nel mondo per offrire ad ogni uomo lo strumento per attingere la vera acqua della vita. Se il mondo non ascolta la Parola, non l’accoglie, non crede in essa, Dio resta nella sua eternità con la sua acqua di vita e l’uomo nella sua morte oggi e sempre. La Parola accolta è il solo strumento che permette di attingere in Dio ogni vita. Tutto inizia dalla Parola e tutto si consuma in essa. Dio e la Parola sono una cosa sola. Chi vuole Dio deve attingerla nella Parola con la Parola.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a nutrirci di Parola.

 

21 FEBBRAIO – II Quaresima – (Gen 15,5-12.17-18)

Il Signore concluse quest’alleanza con Abram

L’Alleanza che il Signore conclude con Abramo impegna solo il Signore unilateralmente. È una promessa solenne, sigillata con il rito degli animali squartati in due – diventi io come questi animali se non mantengo fede alla mia parola – sulla quale il Signore nella storia fonderà ogni suo intervento, sia di liberazione, che di perdono. Questa alleanza finisce nel momento in cui Israele è nella terra di Canaan. Prima è Dio che ricorda a Mosè questa alleanza, poi è Mosè che la ricorda a Dio.

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte» (Es 3,1-12).

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”» (Es 32, 11-13).

Essendo alleanza unilaterale, Dio, per giuramento solenne, dovrà dare la terra, tutta la terra di Canaan alla discendenza di Abramo. Ora sappiamo che Dio mai viene meno ad una sola sua Parola. Promessa unilaterale è anche che il Signore sempre darà il suo perdono a quanti, pentiti e convertiti, bussano al suo cuore. Ogni Parola di Dio è per il Signore un obbligo eterno. Dio sarà sempre fedele a quanto da Lui detto.

Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate.

La promessa di Dio è anche bilaterale, condizionata all’ascolto dell’uomo. Se ti penti, ti perdono. Se osservi la Legge, la Parola, ti benedico. Se vivi secondo il Vangelo avrai in eredita la vita eterna. In questo caso Dio è fedele nella fedeltà dell’uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera fedeltà.

 

22 FEBBRAIO (1Pt 5,1-4)

Riceverete la corona della gloria che non appassisce

Una verità alla quale nessuno vuole credere ci obbliga a dire che anche Gesù, poiché vero uomo, ha dovuto conquistare la gloria della risurrezione attraverso una purissima obbedienza al Padre. La missione di salvezza, redenzione, giustificazione dell’uomo, è un frutto dell’obbedienza. Ma l’obbedienza prima di ogni altra cosa, è per la propria umanità, per la sua salvezza, per la sua entrata nella vita eterna. Gesù è vero uomo e anche lui deve entrare nella più grande gloria del Cielo attraverso la via della più grande e perfetta obbedienza al Padre suo. Questa verità è nascosta nella Parola che Paolo rivolge ai Filippesi, quando li invita a vivere con gli stessi sentimenti di Gesù.

Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre (Fil 2,1-11).

È camminando verso l’eredità eterna che si attirano anime verso Cristo Gesù. È vivendo tutto il Vangelo nel compimento della propria missione che le anime di innamorano della Parola del Signore. È salvando la propria anima che si possono salvare anime per Gesù Signore. I presbiteri sono come un treno. Tutte le anime che il Signore affida loro perché vengano trasportati dalla terra al Cielo, salgono sulle loro spalle. Se il treno rimane fermo in stazione, le anime rimangono ferme. Se il treno cammina verso il Cielo, le anime anch’esse avanzano verso il Cielo. Se però loro camminano verso l’inferno, anche le anime sulle loro spalle prendono la via dell’inferno. Salvezza personale e salvezza universale sono una sola verità, non due.

Cristo Gesù ha salvato noi perché ha salvato se stesso. Avendo vissuto sulle sue spalle tutta la sofferenza del mondo, la sua gloria nei cieli è incomparabile. Nessun’altra gloria è pari alla sua. Così dicasi anche per il presbitero. Se Lui vive tutta la sofferenza in espiazione dei peccati delle anime a lui affidate, anche la sua gloria nei cieli sarà grande. Inoltre più si consegna interamente al Signore, più obbedisce alla sua Parola, più santifica se stesso e più frutti produce di vita eterna per il mondo. Questa legge vale per ogni altro che ha desiderio che le anime si salvino. Chi vuole salvare qualche anima deve dare alla sua anima una bellezza celeste, la più grande bellezza e splendore. Gli altri si salvano salvando noi stessi.

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce.

Vivere bene la missione è solo in funzione degli altri, ma è prima di tutto in funzione della nostra anima. Questa regola vale per ogni ministero nella Chiesa e nella società. Non si vive il ministero per gli altri, si vive per se stessi. Vivendo bene per raggiungere l’eredità eterna, si coopera in Cristo, con Cristo, per Cristo, alla redenzione delle anime. Nessuno pensi di essere utile agli altri se non è utile a se stesso. Chi non cammina verso il Cielo non speri di portare alcuna anima a Cristo. A Cristo si porta divenendo una cosa sola con Lui. Si diviene una sola croce, si diverrà una sola gloria.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci una sola croce con Cristo.

 

23 FEBBRAIO (Is 1,10.16-20)

Allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni

Il falso profeta nutre il popolo di illusioni, perché promette la salvezza di Dio, lasciando il popolo nell’idolatria, nell’immoralità, nella disobbedienza ai comandamenti. Il falso profeta è un servo della “carne” dell’uomo e delle sue opere di carne. La sua colpa è grave. Egli, con le sua falsità, dona legittimità al peccato, alla trasgressione, alla ribellione contro il Signore. Il popolo segue la concupiscenza della carne e la superbia della vita, e lui lo accontenta, anzi lo ratifica nella sua autonomia dalla Parola di Dio.

Guai a voi, figli ribelli – oracolo del Signore – che fate progetti senza di me, vi legate con alleanze che io non ho ispirato, così da aggiungere peccato a peccato. Siete partiti per scendere in Egitto senza consultarmi, per mettervi sotto la protezione del faraone e per ripararvi all’ombra dell’Egitto. La protezione del faraone sarà la vostra vergogna e il riparo all’ombra dell’Egitto la vostra confusione. Quando i suoi capi saranno giunti a Tanis e i messaggeri avranno raggiunto Canes, tutti saranno delusi di un popolo che è inutile, che non porterà loro né aiuto né vantaggio, ma solo confusione e ignominia. Oracolo sulle bestie del Negheb. In una terra di angoscia e di miseria, della leonessa e del leone che ruggisce, di aspidi e draghi volanti, essi portano le loro ricchezze sul dorso di asini, i loro tesori sulla gobba di cammelli a un popolo che non giova a nulla. Vano e inutile è l’aiuto dell’Egitto; per questo lo chiamo «Raab l’ozioso». Su, vieni, scrivi questo su una tavoletta davanti a loro, incidilo sopra un documento, perché resti per il futuro in testimonianza perenne. Poiché questo è un popolo ribelle. Sono figli bugiardi, figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore. Essi dicono ai veggenti: «Non abbiate visioni» e ai profeti: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d’Israele».

Pertanto dice il Santo d’Israele: «Poiché voi rigettate questa parola e confidate nella vessazione dei deboli e nella perfidia, ponendole a vostro sostegno, ebbene questa colpa diventerà per voi come una breccia che minaccia di crollare, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene in un attimo, improvvisamente, e s’infrange come un vaso di creta, frantumato senza misericordia, così che non si trova tra i suoi frantumi neppure un coccio con cui si possa prendere fuoco dal braciere o attingere acqua dalla cisterna». Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,1-15).

Tutti i mali del mondo sono nati, nascono, nasceranno dalla falsa profezia. La morte è venuta nell’umanità per la falsa profezia di Satana. Tutto il bene nasce invece dalla vera profezia, dalla Parola del Dio vivente che viene fatta risuonare in mezzo agli uomini. Isaia, vero profeta del Dio vivente, annunzia al suo popolo che la magnificenza del culto non attesta che si è graditi al Signore. Il Signore vuole un popolo senza culto, senza sacrifici, anche senza tempio e senza altare, ma che osservi la sua alleanza, viva secondo la sua Parola, cammini nei comandamenti. Sono i comandamenti osservati con coscienza retta, pura, candida, che attestano che si è del Signore.

Ascoltate la parola del Signore, capi di Sòdoma; prestate orecchio all’insegnamento del nostro Dio, popolo di Gomorra! Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato».

La verità di un profeta la si osserva, la si constata dal suo pressante invito alla conversione e mai vi sarà conversione senza l’ascolto della Parola del profeta. Oggi il profeta invita il popolo di Dio a liberarsi da ogni male, a purificarsi, lavarsi da ogni peccato. Nel pentimento e nella conversione, il Signore è sempre pronto a perdonare. Lui è il Dio del perdono sempre, a condizione però che il suo popolo di converta e si incammini sulla retta via. Se invece il popolo si ribellerà, si ostinerà, camminerà fuori della Legge, per esso non vi sarà alcuna vita. La spada lo distruggerà, divorerà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci una vera conversione.

 

24 FEBBRAIO (Ger 18,18-20)

Venite e tramiamo insidie contro Geremia

Finché la Parola di Dio rimane nel Libro della Legge – e per noi del Vangelo – essa può essere ignorata, dimenticata, non considerata. In Israele vi fu un tempo in cui lo stesso Libro della Legge non esisteva più. Era scomparso dalla vista di tutti. Eppure era obbligo che esso fosse nel tempio e nella casa del re. Grande fu lo stupore quando esso fu ritrovato nascosto in angoli remoti del tempio, mentre lo si ristrutturava.

Nell’anno diciottesimo del re Giosia, il re mandò Safan, figlio di Asalia, figlio di Mesullàm, scriba, nel tempio del Signore, dicendo: «Sali da Chelkia, il sommo sacerdote, perché metta assieme il denaro depositato nel tempio del Signore, che i custodi della soglia hanno raccolto dal popolo. Lo si dia in mano agli esecutori dei lavori, sovrintendenti al tempio del Signore; costoro lo diano agli esecutori dei lavori che sono nel tempio del Signore, per riparare le parti danneggiate del tempio, ossia ai falegnami, ai costruttori e ai muratori, per l’acquisto di legname e pietre da taglio per riparare il tempio. Tuttavia non si controlli il denaro consegnato nelle loro mani, perché lavorano con onestà». Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safan: «Ho trovato nel tempio del Signore il libro della legge». Chelkia diede il libro a Safan, che lo lesse. Lo scriba Safan quindi andò dal re e lo informò dicendo: «I tuoi servitori hanno versato il denaro trovato nel tempio e l’hanno consegnato in mano agli esecutori dei lavori, sovrintendenti al tempio del Signore». Poi lo scriba Safan annunciò al re: «Il sacerdote Chelkia mi ha dato un libro». Safan lo lesse davanti al re. Udite le parole del libro della legge, il re si stracciò le vesti. 12Il re comandò al sacerdote Chelkia, ad Achikàm figlio di Safan, ad Acbor, figlio di Michea, allo scriba Safan e ad Asaià, ministro del re: «Andate, consultate il Signore per me, per il popolo e per tutto Giuda, riguardo alle parole di questo libro ora trovato; grande infatti è la collera del Signore, che si è accesa contro di noi, perché i nostri padri non hanno ascoltato le parole di questo libro, mettendo in pratica quanto è stato scritto per noi» (2Re 22,3-13).

Il vero profeta, attualissima e immediata volontà di Dio per il suo popolo, non può essere nascosto in posti reconditi così da non poter essere trovato se non dopo molto tempo e per caso. Neanche lo si può chiudere in una cassaforte, sigillando, perché mai più venga fuori. Lui è parola vivente, parola che non si può fare tacere, parola che grida al popolo i suoi misfatti, parola che invita alla conversione. I capi del popolo non amano che vengano svelate le loro falsità, immoralità, idolatrie, abbandono del Signore. Urge far tacere quella voce. Vi è un solo modo perché il vero profeta non parli più: uccidendolo, togliendolo di mezzo, tendendogli ogni insidia. La soppressione del profeta è richiesta dalla loro falsa fede nel Dio dei Padri.

Dissero: «Venite e tramiamo insidie contro Geremia, perché la legge non verrà meno ai sacerdoti né il consiglio ai saggi né la parola ai profeti. Venite, ostacoliamolo quando parla, non badiamo a tutte le sue parole». Prestami ascolto, Signore, e odi la voce di chi è in lite con me. Si rende forse male per bene? Hanno scavato per me una fossa. Ricòrdati quando mi presentavo a te, per parlare in loro favore, per stornare da loro la tua ira.

La persecuzione di un profeta con l’insulto, la carcerazione, la condanna a morte, ogni altra angheria contro di lui, è segno che i suoi oppositori sono fuori della Legge del Signore. Non vivono secondo la Parola del loro Dio. Possono anche avere un culto splendido, ma non amano la Parola e neanche vogliono amarla, pentendosi e convertendosi ad essa. Perseguitano i veri profeti quanti sono idolatri, empi, ostinati, arroganti ribelli alla Parola del Signore. È facile conoscere quanti non solo vivono senza Dio, perché sono senza la sua Parola, ma anche non vogliono rientrare in essa. È sufficiente che si osservi la loro reazione dinanzi ad un vero profeta. Ogni loro contrapposizione, di qualsiasi natura, contro il vero profeta attesta che essi hanno una religione vana. È la parola viva del profeta che traccia per il popolo l’unica e sola via della vita. Quanti vogliono ad ogni costo l’annientamento del profeta, attestano e rivelano che essi non vogliono ascoltare il Signore. Intendono seguire le vie del loro cuore e nessuno potrà entrare nella loro vita per modificarle. La rivolta contro Dio diviene e si fa rivolta contro il profeta. Non potendo uccidere Dio, uccidono il suo profeta, così Dio non potrà più parlare. Essi ignorano che il profeta è nelle mani di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci di ascoltare i veri profeti.

 

25 FEBBRAIO (Ger 17,5-10)

Per dare a ciascuno secondo la sua condotta

È giusto chiedersi: perché è maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno? È maledetto perché costruisce la sua vita sul male, sul peccato, sulla morte. Edifica se stesso su una parola di menzogna e di falsità. Per ogni uomo si aprono due porte: una sulla benedizione eterna, l’altra sulla maledizione anch’essa eterna. Questa verità non è solo dell’Antico Testamento, lo è anche del Nuovo. Benedizione e maledizione eterna sono purissimo Vangelo.

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,31-46).

Chi abolisce maledizione e benedizione eterna come frutto delle sue azioni, non solo distrugge la purissima verità del Vangelo, è responsabile di ogni peccato commesso dagli uomini ascoltando la sua falsa profezia. Dio è la salvezza del suo popolo. I falsi profeti dicono ad esso che Dio non serve. Lo invitano a stringere alleanza con altri popoli per avere la salvezza. A questi tali risponde il Signore che l’alleanza fondata sugli uomini è morte. Non dona vita. Non salva dalla distruzione. Costoro vogliono la maledizione per il popolo di Dio. Non vogliono la sua benedizione perché non lo aiutano perché confidi e si fidi solo del Signore, convertendosi e ritornando nella sua Parola. Dio sempre ritorna ad essere Dio per chi osserva la sua Legge.

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti. Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni.

Chi è piantato saldamente nella Parola del Signore, nulla deve temere. Possono anche venire tutti gli eserciti della terra per attaccarlo, ma Dio si fa suo scudo e sua potente difesa. Sarà per il giusto roccia inaccessibile. Il Signore metterà attorno a lui, a sua difesa, un muro di fuoco. Lui ha creduto nella Parola, dalla Parola sarà salvato. Da Dio sarà benedetto. Chi invece ha confidato in parole umane, da queste parole sarà distrutto, per queste parole sarà maledetto. Non ha confidato nel suo Dio. Non ha creduto nella sua salvezza. Si è lasciato trascinare nella falsità di alleanze della terra nelle quali mai si potrà né si dovrà credere. Sono alleanze di morte per la morte.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di Parola di Dio.

 

26 FEBBRAIO (Gen 37,3-4.12-13a.17b-28)

Per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe

Le vie di Dio, per attuare i suoi progetti di vita e di benedizione, sono sempre avvolte dal grande mistero di una indicibile sofferenza. La sofferenza è fedele compagna degli uomini scelti dal Signore per portare la benedizione sulla nostra terra. Abramo visse un momento di indicibile sofferenza quando il Signore gli chiede di sacrificare il suo figlio, l’unico suo figlio, sul monte. Anche Isacco visse nella sofferenza. Giacobbe non ebbe un solo momento di tregua. Giuseppe fu venduto dai suoi fratelli a motivo della loro invidia e gelosia. Più grande e indicibile è la sofferenza è più grande e inimmaginabile è la gloria con la quale il Signore vuole vestire coloro che lo amano.

Il Signore rivela a Giuseppe che lui sarà domani posto al di sopra dei suoi fratelli. Nessuno mai avrebbe potuto trarre dai suoi sogni che un giorno sarebbe divenuto Viceré in Egitto. Pensarlo sarebbe stato vera follia. Mai un Ebreo, da solo, con le sue forze, senza alcun esercito dietro di lui, avrebbe potuto occupare un tale posto. Ma le vie di Dio non sono quelle degli uomini e il Signore si serve proprio dell’odio e dell’invidia dei fratelli per realizzare la sua volontà. Così Giuseppe entra in Egitto come schiavo. È uno schiavo che subito viene messo in vendita e comprato nuovamente.

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente. I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan.

Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua.

Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di resina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto. Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto.

Ma Giuseppe non è stato mandato in Egitto per fare lo schiavo a vita, ma per essere il Viceré del Faraone. Ancora una volta il Signore si serve del peccato dell’uomo per realizzare il suo disegno. Prima il peccato era l’invidia, la gelosia. Ora è l’impurità, la concupiscenza, la passione di una donna. La moglie del suo padrone lo vuole possedere. Lui si rifiuta. La donna si vendica accusandolo di essere stata da lui molestata, aggredita. Per questa accusa, Giuseppe viene gettato nelle prigioni del re.

È quando si giunge nel più profondo della morte, quando appare con ogni evidenza che nulla può essere dall’uomo, è in questo istante, quando si è negli abissi nel quale il male ci ha catapultati, che il Signore viene, libera, salva, adempie la sua Parola. Cristo Gesù dal peccato del mondo non scese forse realmente negli abissi della morte, passando per la croce? Nel regno della morte, quando tutti cantavano la loro vittoria di peccato, Dio è sceso e lo ha liberato, donandogli un corpo glorioso, incorruttibile, spirituale, immortale. Dagli abissi dell’umiliazione al sommo della glorificazione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a vivere la sofferenza.

 

27 FEBBRAIO (Mi 7,14-15.18-20)

Egli non serba per sempre la sua ira

Il nostro Dio è il Dio della grande, infinita, eterna misericordia. Un tempo, alle origini, per grande, infinita, eterna misericordia, ordinava la maledizione per i trasgressori della sua Legge. La maledizione veniva comminata per evitare che il suo popolo si immergesse nella grande immoralità e idolatria, dalla quale è difficile venire fuori. La maledizione aiuta a non peccare, ma non salva quando si è caduti nel peccato.

Mosè e i sacerdoti leviti dissero a tutto Israele: «Fa’ silenzio e ascolta, Israele! Oggi sei divenuto il popolo del Signore, tuo Dio. Obbedirai quindi alla voce del Signore, tuo Dio, e metterai in pratica i suoi comandi e le sue leggi che oggi ti do». In quello stesso giorno Mosè diede quest’ordine al popolo: 12«Ecco quelli che, una volta attraversato il Giordano, staranno sul monte Garizìm per benedire il popolo: Simeone, Levi, Giuda, Ìssacar, Giuseppe e Beniamino; ecco quelli che staranno sul monte Ebal per pronunciare la maledizione: Ruben, Gad, Aser, Zàbulon, Dan e Nèftali. I leviti prenderanno la parola e diranno ad alta voce a tutti gli Israeliti: “Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso, abominio per il Signore, lavoro di mano d’artefice, e la pone in luogo occulto!”. Tutto il popolo risponderà e dirà: “Amen”. “Maledetto chi maltratta il padre e la madre!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi sposta i confini del suo prossimo!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi fa smarrire il cammino al cieco!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi lede il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi si unisce con la moglie del padre, perché solleva il lembo del mantello del padre!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi giace con qualsiasi bestia!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi giace con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi giace con la suocera!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi colpisce il suo prossimo in segreto!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi accetta un regalo per condannare a morte un innocente!”. Tutto il popolo dirà: “Amen”. “Maledetto chi non mantiene in vigore le parole di questa legge, per metterle in pratica!”. Tutto il popolo dirà: “Amen” (Dt 27,9-26).

Dio vede che se dovesse applicare al suo popolo la legge della maledizione, ogni giorno dovrebbe distruggerlo, annientarlo. Con i profeti la maledizione è sostituita con la conversione. Il Signore manda i suoi profeti per annunziare al suo popolo la sua volontà di perdono, riconciliazione. Lui vuole essere vita non morte, gioia non afflizione, speranza non disperazione, benedizione non maledizione. Lui si servirà della maledizione solo quando tutte le risorse del suo amore e della sua misericordia, di perdono e di riconciliazione avranno fallito. Quando il suo cuore non avrà più alcuna risorsa di amore da offrire, allora sarà il tempo della maledizione, ma essa sarà eterna.

Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità, che sta solitario nella foresta tra fertili campagne; pascolino in Basan e in Gàlaad come nei tempi antichi. Come quando sei uscito dalla terra d’Egitto, mostraci cose prodigiose. Quale dio è come te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità? Egli non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore. Egli tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati. Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo il tuo amore, come hai giurato ai nostri padri fin dai tempi antichi.

Il profeta Michea è mandato in mezzo al suo popolo per rivelare proprio la grandezza della misericordia del Signore. Il loro Dio ha pietà, è ricco di perdono, sa calpestare le loro colpe, vuole usare misericordia e compassione. Vuole mostrare oggi e sempre quanto è grande la sua fedeltà. Ma tutta questa ricchezza di amore è condizionata al pentimento, alla conversione, al ritorno del popolo nella Legge, nei Comandamenti del suo Dio, nell’ascolto della sua Parola. Se però l’uomo si ostina nel suo peccato, si ribella alla voce del suo Dio, per lui si chiuderanno in eterno le porte della benedizione, e si compie per esso ogni maledizione comminata dalla Legge. Vita e morte sono nelle mani dell’uomo. Benedizione e maledizione sono una sua scelta. Ognuno avrà ciò che lui desidera. A nessuno però è consentito né credere né affermare né profetizzare che scegliendo l’ostinazione e la ribellione a Dio e alla sua Parola domani si gusteranno frutti di vita, benedizione, salvezza. Ogni scelta produce i suoi frutti.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a scegliere la Parola.

 

28 FEBBRAIO – III Quaresima – (Es 3,1-8a.13-15)

Verso una terra dove scorrono latte e miele

Vi è una verità che deve sempre ricolmare di gioia il cuore dell’uomo: Dio è fedele ad ogni Parola uscita dalla sua bocca. Possono passare mille secoli, un milione di anni, possono anche trascorrere anni luce, ma essa si compirà. Nessuna profezia di Dio, nessun oracolo, nessun giuramento, nessuna promessa cadrà a vuoto. Lui sempre si ricorda di quanto ha promesso. Ad Abramo il Signore ha promesso che tutta la terra di Canaan sarebbe stata dei suoi discendenti. Gli aveva anche profetizzato che essi sarebbero rimasti in Egitto per ben quattrocento anni.

A Giacobbe ha fatto un’altra promessa. Gli ha detto di scendere in Egitto. Lui lo avrebbe riportato nella Terra Promessa. Dio e la sua Parola sono una cosa sola. Eterno è Dio, eterna è la sua Parola. La fedeltà di Dio alla sua voce è fedeltà verso se stesso. Potrà mai Dio non essere Dio? Quando Dio potrà essere non Dio, allora la sua Parola non è più sua Parola. Ma fino a quel giorno, cioè per l’eternità, Dio sempre sarà fedele ad essa. Mai una sola Parola del Signore è caduta a vuoto. Esse sono state tutte provate con il fuoco ed ognuna di esse si compirà.

Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze (Gen 15,13-14). Israele dunque levò le tende con quanto possedeva e arrivò a Bersabea, dove offrì sacrifici al Dio di suo padre Isacco. Dio disse a Israele in una visione nella notte: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare. Giuseppe ti chiuderà gli occhi con le sue mani». (Gen 46,1-3).

Ora il tempo di adempiere la sua promessa è compiuto. Dio crea le condizioni per poterla realizzare. Permette che una grande sofferenza si abbatta sul suo popolo, in modo che sia esso a chiedere al suo Signore che venga presto a liberarlo.

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele. Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

La sofferenza è la sola strada che il Signore conosce per realizzare ogni sua promessa di bene. Pensare un cammino nella Parola del Signore senza la sofferenza è cadere dalla vera fede, vera Parola, vera salvezza, vera redenzione. La sofferenza è il vero lievito che trasforma la nostra farina azzima in un gustoso pane di vita. Senza la grande sofferenza mai si potrà conoscere il vero Dio. Questa legge vale anche per il Signore. Lui è sceso sulla nostra terra, si è fatto vero uomo. Tutta la sofferenza del mondo si è abbattuta su di Lui. Per la sua sofferenza siamo tutti salvati e redenti.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci amare la sofferenza.

 

29 FEBBRAIO (2Re 5,1-15a)

Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele

Il fine di ogni miracolo che da Dio discende su di noi è uno solo: creare, aumentare, far crescere, purificare, elevare la nostra fede nel Signore, nostro Creatore, Salvatore, Redentore. Quando si è nella vera fede e in essa si cresce, allora non si ha più bisogno di alcun miracolo. Quando la fede è portata alla sua maturazione, si è capaci di stare su qualsiasi croce il Signore ha preparato per noi, per il raggiungimento della più grande gloria e beatitudine eterna. Sempre Gesù ha rimproverato quelle città che pur avendo gustato ogni suo miracolo sono rimasti nella non fede e nell’incredulità.

Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!» (Mt 11,20-24).

Naaman è lebbroso. Per vie misteriose da Damasco scende in Samaria per essere guarito dalla sua lebbra per mezzo del profeta Eliseo. Per comando del profeta scende sette volte a bagnarsi nel fiume Giordano. Ottiene la perfetta guarigione. Qual è il frutto di questo miracolo? Lui era venuto per la lebbra del corpo e il Signore gli concede anche la grazia di guarire dalla lebbra dell’anima che è l’idolatria. Lui riconosce che non vi è alcun altro Dio vivo e vero, se non il Dio di Eliseo, il Dio che si adora in Israele.

Naamàn, comandante dell’esercito del re di Aram, era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la salvezza agli Aramei. Ma quest’uomo prode era lebbroso. Ora bande aramee avevano condotto via prigioniera dalla terra d’Israele una ragazza, che era finita al servizio della moglie di Naamàn. Lei disse alla padrona: «Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria, certo lo libererebbe dalla sua lebbra». Naamàn andò a riferire al suo signore: «La ragazza che proviene dalla terra d’Israele ha detto così e così». Il re di Aram gli disse: «Va’ pure, io stesso invierò una lettera al re d’Israele». Partì dunque, prendendo con sé dieci talenti d’argento, seimila sicli d’oro e dieci mute di abiti. Portò la lettera al re d’Israele, nella quale si diceva: «Orbene, insieme con questa lettera ho mandato da te Naamàn, mio ministro, perché tu lo liberi dalla sua lebbra». Letta la lettera, il re d’Israele si stracciò le vesti dicendo: «Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di liberare un uomo dalla sua lebbra? Riconoscete e vedete che egli evidentemente cerca pretesti contro di me».

Quando Eliseo, uomo di Dio, seppe che il re d’Israele si era stracciate le vesti, mandò a dire al re: «Perché ti sei stracciato le vesti? Quell’uomo venga da me e saprà che c’è un profeta in Israele». Naamàn arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: «Va’, bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato». Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: “Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra”. Forse l’Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?». Si voltò e se ne partì adirato. Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: “Bàgnati e sarai purificato”». Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato. Tornò con tutto il seguito dall’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele».

Da questo istante lui non vuole adorare nessun altro Dio. La grazia è fatta. Il Dio di Eliseo è il suo Dio. Gesù è venuto. Ci ha guarito da ogni infermità del nostro spirito e della nostra anima. Il Dio, che è Padre del nostro Signore Cristo Gesù, deve essere adorato come unico e solo nostro Dio. Per noi non possono esistere altri Dèi.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci del Dio di Cristo Gesù.