Commento teologico alla prima lettura – Dicembre 2016

 

1 DICEMBRE (Is 26,1-6)

Il Signore è una roccia eterna

Dio è la salvezza del suo popolo. È Lui la sua roccia eterna. Ma per chi il Signore è roccia eterna? Per chi costruisce la sua vita sulla sua Parola, sulla sua Legge. Il giusto non teme alcun male. Il Signore è il suo Salvatore potente, il suo Redentore.

Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici. Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti infernali; già mi avvolgevano i lacci degli inferi, già mi stringevano agguati mortali. Nell’angoscia invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido. La terra tremò e si scosse; vacillarono le fondamenta dei monti, si scossero perché egli era adirato. Dalle sue narici saliva fumo, dalla sua bocca un fuoco divorante; da lui sprizzavano carboni ardenti. Abbassò i cieli e discese, una nube oscura sotto i suoi piedi. Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento. Si avvolgeva di tenebre come di un velo, di acque oscure e di nubi come di una tenda.

Davanti al suo fulgore passarono le nubi, con grandine e carboni ardenti. Il Signore tuonò dal cielo, l’Altissimo fece udire la sua voce: grandine e carboni ardenti. Scagliò saette e li disperse, fulminò con folgori e li sconfisse. Allora apparve il fondo del mare, si scoprirono le fondamenta del mondo, per la tua minaccia, Signore, per lo spirare del tuo furore. Stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti, da coloro che mi odiavano ed erano più forti di me. Mi assalirono nel giorno della mia sventura, ma il Signore fu il mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene. Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia, mi ripaga secondo l’innocenza delle mie mani, perché ho custodito le vie del Signore, non ho abbandonato come un empio il mio Dio (Sal 118 (117), 1-22).

Il popolo del Signore è in esilio. Il Signore per mezzo del suo profeta gli annunzia il suo ritorno in Sion. Non è il popolo che si apre la strada del ritorno e neanche sarà esso a costruirsi le sue città. Tutto è opera del Signore. Lui farà tutto questo a motivo della conversione e dell’obbedienza alla sua voce, alla sua alleanza, alla sua Parola.

In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele. La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace, pace perché in te confida. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri».

Può confidare nel Signore solo chi è nella sua Parola. Chi è fuori, se vuole confidare, deve ritornare in essa. Anche Gesù conferma questa verità. La casa rimane stabile per chi è sulla roccia della sua Parola. Per gli altri la casa rovinerà alla prima pioggia.

Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande» (Mt 7,21-27).

La casa dell’uomo è senza alcuna stabilità se non viene costruita sulla roccia eterna di Dio secondo la sua Parola. Parola eterna e roccia eterna del Padre è Cristo Signore. Ogni casa che non è costruita su questa roccia eterna fallirà. Non potrà mai avere consistenza, solidità. È fondata sulla sabbia. Questa casa non solo non avrà alcun futuro eterno, non avrà neanche un futuro sulla terra. Essa di certo crollerà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci una cosa sola con Cristo.

 

2 DICEMBRE (Is 29,17-24)

Vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro

Nel discorso della montagna Gesù lega la fede non alla Parola, e quindi all’ascolto, ma alla visione e di conseguenza alla luce che la Parola accesa nella mente, nel corpo, nella volontà, nei pensieri, nei sentimenti, nei desideri produce. Per Gesù prima viene la fede e poi la Parola. Infatti Gesù la Parola, cioè il Discorso della Montagna, lo tiene ai suoi discepoli, a quanti cioè già credono in Lui e sono divenuti suoi seguaci.

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi. Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,1-16).

I discepoli hanno visto la luce di Cristo. Lo hanno seguito, perché hanno creduto in Lui. Ad essi che credono in Lui Gesù dona la sua Parola perché la realizzino in mezzo al mondo in ogni suo più piccolo precetto, senza tralasciare alcuno. Il popolo del Signore non ha creduto alla Parola del suo Dio. Venne la devastazione. Nella rovina il popolo vide la verità della Parola, sperimentò nell’esilio tutta la sua potenza, si convertì. Nella conversione si compie l’altra parola di Dio: quella che aveva promesso il ritorno dei deportati dalla schiavitù di Babilonia. Ora il popolo del Signore veramente potrà cantare la lode del Signore, potrà santificare il suo nome che è straordinariamente santo.

Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva. Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore, che riscattò Abramo: «D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele. Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza, quelli che mormorano impareranno la lezione».

Dalle opere di Dio nasce la fede nel popolo. Il popolo vive di Parola, il mondo vede la verità della Parola e glorifica il Signore. La fede in Dio nasce dalla Parola, non quella annunziata, ma quella vissuta. Si vede la Parola vissuta nasce la fede. Quando nasce la fede, si dona tutta la Parola di Cristo, perché si trasformi in opera, in Parola vissuta, perché nasca altra fede in molti altri cuori. Cristo Gesù vive la Parola del Padre. Le folle vedono e credono. A quanti credono Gesù dona la Parola da trasformare in vita perché tutto il mondo per la loro luce creda in Lui e in chi lo ha mandato.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera luce nel Signore.

 

3 DICEMBRE (Is 30,19-21.23-26)

Questa è la strada, percorretela

Per il popolo del Signore vi è una sola strada da percorrere: l’osservanza, l’ascolto, l’obbedienza ad ogni Parola del suo Dio. Quando Israele è nella Parola, il Paradiso scende nella sua terra ed esso sta bene. Quando invece esce dalla Parola, è l’inferno che dagli abissi sale sulla terra e per esso non vi è più vita. Il cielo diviene di rame, la terra un ferro infuocato. In Israele non cresce più la vita. Regna solo la morte.

In fondo questo sta dicendo il Signore al suo popolo. A motivo della sua conversione, del suo ritorno a Lui, della sua obbedienza ritrovata, il suo Dio sta per far discendere un vero Paradiso di vita in mezzo a Israele. Questo Paradiso o abbondanza di vita non è solo per gli uomini, ma anche per tutti gli animali, che collaborano al benessere dell’uomo. Anche loro sperimenteranno i frutti della conversione del suo popolo.

Questo sta a significare che nessun problema della terra e dell’uomo, degli animali, delle acque, dell’aria, sarà mai risolto se il popolo di Dio si allontana dalla Parola e si abbandona agli idoli. Questo abbandono fa salire l’inferno sulla nostra terra e allontana il Paradiso, lo scaccia via. Ma se l’uomo vive in un inferno umano, mai potrà pensare di ricacciare l’inferno nei suoi abissi, se lui non ritorna nella Parola.

Esce dalla Parola. Se ne va il Paradiso, al suo posto sorge l’inferno. Ritorna nella Parola, si allontana l’inferno e ogni spazio è lasciato al Paradiso. Il passaggio dall’inferno al Paradiso e dal Paradiso all’inferno non è solo per l’uomo, ma per tutta la terra. Per ogni suo elemento, ogni suo animale, ogni albero della campagna. Tutti godono della gioia che porta il Paradiso, ma anche tutti soffrono del fuoco dell’inferno.

Se il suo popolo percorre la strada che Dio gli sta indicando, che molte volte gli ha indicato e che sempre gli indicherà, il Signore trasformerà il suolo in un giardino di delizie. Se invece si discosterà da essa e percorrerà vie di idolatria e di immoralità, subito il giardino si trasformerà in un arido deserto infuocato. Anche gli alberi della foresta avvertiranno e sentiranno che Israele ha abbandonato il suo Signore.

Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: «Questa è la strada, percorretela», caso mai andiate a destra o a sinistra. Allora egli concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato. I buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno biada saporita, ventilata con la pala e con il vaglio. Su ogni monte e su ogni colle elevato scorreranno canali e torrenti d’acqua nel giorno della grande strage, quando cadranno le torri. La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni, quando il Signore curerà la piaga del suo popolo e guarirà le lividure prodotte dalle sue percosse.

Quello del Signore per il suo popolo e per l’uomo è un amore eterno. Mosso e spinto da questo amore Dio tutto è disposto a fare per la sua creatura. La condizione perché Dio sia tutto e interamente per l’uomo è una sola: percorrere la strada che Lui gli ha indicato. Deve sempre ricordarsi che il Signore è il suo Signore e a Lui è dovuta la sua obbedienza. L’uomo ascolta il suo Dio. Il suo Dio ascolta l’uomo. L’uomo vive per il suo Signore. Il suo Signore vive per l’uomo. Tutto Dio si dona all’uomo nella Parola.

L’uomo è stolto, insipiente, non comprende. Prima di aprirsi al suo Dio e alla verità della sua Parola e alla vita contenuta in essa, si autodistrugge, si annienta, si immerge nel fuoco dell’idolatria che causa per molti anche la morte fisica. Quando il popolo era nella sua terra non ha creduto. Per far sì che credesse, il Signore lo portò nell’inferno di Babilonia, nella dura schiavitù e la fede ritorna in seno ad esso. Urge però fare attenzione. Non per tutti vi sarà conversione e si finirà nell’inferno eterno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci fedeli ascoltatori di Dio.

 

4 DICEMBRE – II Domenica di Avvento – (Is 11,1-10)

La radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli

È questo il decreto immutabile in eterno del Signore dei popoli e delle nazioni, del Dio creatore dell’uomo. Il Dio del cielo e della terra ha stabilito di dare un Capo a tutta la sua creazione e questo Capo è il Virgulto che spunta dalla radice di Iesse. Questo Capo che è Gesù di Nazaret, il Crocifisso che è il Risorto, l’Agnello che fu immolato. San Paolo così canta questo stupendo decreto di Dio, da Lui stabilito nell’eternità.

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose (Ef 1,3-14.20-23).

In questo canto di Paolo si compie la visione del profeta Isaia. Lo Spirito del Signore prende il Messia di Dio e lo fa consumare per intero nella sua Parola. Da questa sua consumazione e per essa il Signore inizierà la sua nuova creazione che dovrà giungere fino all’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. Sarà nella Gerusalemme celeste che questa profezia realizzerà tutta la potenza e forza di vita nuova da essa annunziata. Ora per noi è importante sapere che il Messia non viene solo per il popolo del Signore. Lui viene per tutte le nazioni della terra. Viene per l’uomo. Il Dio che ha creato l’uomo ha decretato di salvare l’uomo per mezzo di un uomo da Lui scelto.

Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

Dio non ha scelto altri uomini e quanti sono venuti o verranno dopo il Virgulto che spunta dalla radice di Iesse, vengono per loro conto in nome proprio. Non sono essi i salvatori dell’uomo. Anche loro hanno bisogno di essere salvati. Questa verità va gridata con ogni forza, ogni energia. Il Virgulto non è per uno, molti, moltissimi uomini. Egli è costituito Salvatore e Redentore di tutti gli uomini, nessuno escluso e chi lo ha stabilito è il solo ed unico Creatore dell’uomo. Un solo Dio, un solo Salvatore da Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede in Gesù.

 

5 DICEMBRE (Is 35,1-10)

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi

L’uomo non solo non ha occhi per vedere l’invisibile eterno, divino, si ostina anche a negare la sua esistenza. Il peccato lo ha così indebolito nella volontà, nel cuore, nell’intelligenza, rendendolo però così forte nella falsità, nella malvagità, nella cattiveria, da farlo scagliare con ferocia, veemenza, furia omicida contro coloro che sono testimoni dell’eterno perché lo vedono e lo contemplano. Gli Atti degli Apostoli ci rivelano che Stefano fu lapidato perché vide Gesù seduto alla destra del Padre. Ci rivelano anche il grande miracolo compiuto per Paolo dal Signore sulla via di Damasco.

Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì (At 7,55-60).

E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perséguiti! Ma tu àlzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno. Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda. C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono (At 9,1-19).

È questo il grande miracolo che il Messia del Signore dovrà fare ad ogni uomo, cieco fin dalla nascita, incapace di vedere l’invisibile eterno. Lui dovrà aprire ogni occhio.

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa; nessun impuro la percorrerà. Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno. Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà. Vi cammineranno i redenti. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Non solo dovrà aprire gli occhi, ma anche l’orecchio, sciogliere la lingua, rendere agili le gambe perché tutti possano vedere Dio, ascoltarlo, camminare spediti verso di Lui. È questa anche l’opera della Chiesa fino all’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vedere l’invisibile eterno.

 

6 DICEMBRE (Is 40,1-11)

Ecco, il Signore Dio viene con potenza

Il gregge del Signore è disperso. Soffre in una terra lontana dalla sua. È schiavo di un duro padrone. Ma tutto questo è avvenuto perché si è ostinato nella sua ribellione e ha preferito percorrere vie di morte, fame, peste, spada, distruzione, esilio. Si è lasciato consumare da idolatria e immoralità. Ha commesso tutto ciò che è male dinanzi agli occhi del Signore. Ora sotto il giogo della pesante schiavitù riconosce il Signore, si converte a Lui. Ritorna sui suoi passi. Si pente. Chiede perdono. Si sente pronto per riallacciare ogni relazione di fedeltà, obbedienza, ascolto del suo Dio. Conosciamo già la promessa fatta dal Signore al suo popolo. Lui è sempre pronto per salvare. È verità eterna: nel momento in cui l’uomo rinnega il suo passato, il Signore sempre è pronto per correre e manifestargli tutto il suo amore. La parabola di Gesù sull’amore del Padre verso il figlio minore, commuove. Non esiste il passato. Vi è il presente di amore.

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa (Lc 15,11-24).

Se osserviamo bene la profezia di Isaia, è il Signore che vuole che il suo popolo sia consolato. È Lui che invita a credere nel suo amore. È Lui che opera ogni cosa. È Lui che conduce il suo gregge con tenerezza divina. È Lui che chiede di non temere i potenti della terra. Sono meno che erba che secca in un istante. Tanto grande è l’amore del Signore. Il Signore è solo amore. Lui lo riversa tutto su chi lo può ricevere.

«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

Se non entriamo nella verità dell’amore di Dio, la nostra vita è senza vera speranza. Niente di ciò che appartiene alla terra dona speranza vera. Solo Dio e il suo amore sono la nostra speranza. Dobbiamo ritornare a Lui, nel pentimento e nella conversione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convertiteci per essere di Dio.

 

7 DICEMBRE (Is 40,25-31)

Il mio diritto è trascurato dal mio Dio

Il Signore, sempre, in ogni modo ha sempre rassicurato il suo popolo. Lui è amore eterno. Anche se volesse essere altro, non potrebbe. La sua natura eterna è amore. La sua vita è amore. La comunione all’interno di sé è amore. Lui non può se non amare. Ma chi può amare il Signore? Chi da Lui si lascia amare. Perché l’uomo si lasci amare da Lui, Egli viene, lo cerca, stringe con esso un’alleanza di vita. Con patto solenne si impegna ad essere la vita del suo popolo in ogni momento e in ogni tempo. Quando l’uomo si sottrae all’amore del Signore, perché si consegna all’idolatria, anche in questo frangente Lui lo ama, perché gli manda i suoi profeti perché gli annunzino che dinanzi ai suoi piedi cammina la morte, la distruzione, la devastazione, la strage. I profeti non vengono solo per questo, ma anche per invitarlo alla conversione, nel pentimento e nel ritorno ad osservare il patto dell’alleanza solennemente stipulato. Al popolo che è tormentato dai suoi pensieri e dice che il Signore lo ha abbandonato, ecco cosa risponde per mezzo del suo profeta. È una parola di grande consolazione.

Così dice il Signore: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”. Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua. Io trasformerò i miei monti in strade e le mie vie saranno elevate. Ecco, questi vengono da lontano, ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente e altri dalla regione di Sinìm». Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri. Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me. I tuoi figli accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te (Is 49,8-17).

Dubita dell’amore del Signore solo chi ha il cuore ricolmo di rimorso per aver offeso il Signore e anche chi ancora vive inabissato sotto le sue trasgressioni e violazioni della Legge. Il Signore vuole che si creda veramente nel suo amore, nel suo perdono, nella sua grande misericordia. Il suo è un amore particolare, unico, divino. È un amore che cancella il passato dell’uomo. Lui non lo ricorda più. È un amore che getta nel profondo del mare le colpe dei suoi figli. Non vuole guardare verso il passato. C’è un presente da vivere e Lui vuole viverlo amando, solo amando. In tal senso l’amore del Signore è di purissima creazione. È come se in quel momento stesse creando l’uomo che torna, che bussa al suo cuore, che detesta il suo passato, che vuole essere accolto.

«A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia via è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio»? Non lo sai forse? Non l’hai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi.

Il Signore, dall’amore eterno, è anche il Dio onnipotente e capace di creare una nuova vita, una nuova storia. È il Signore che rigenera, rinnova, ricompone. È il Dio che dona perenne giovinezza e forze sempre fresche a coloro che lo amano. Ancora noi conosciamo poco, nonostante vediamo il Crocifisso che è il supremo atto di Amore del Padre per l’uomo, dell’amore che Lui nutre per i suoi figli. Quando comprenderemo, il cuore scoppierà in noi perché di certo sarà incapace di contenere tutto l’amore che il nostro Dio vuole riversare in esso: tutto il suo amore eterno. È la morte per amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, ricolmateci di Amore eterno.

 

8 DICEMBRE (Gen 3,9-15.20)

Io porrò inimicizia fra te e la donna

La sola donna che Satana non ha potuto inquinare in alcun modo con il peccato è la Vergine Maria. Veramente tra lui e Lei vi è inimicizia totale, piena. La bellezza della Madre di Dio è inferiore solo a quella di Gesù Signore, anche Lui mai toccato dalla sporcizia del serpente antico. Maria è vero giardino chiuso, fontana sigillata. A Satana ogni accesso gli è precluso. Mai potrà avvelenare l’acqua purissima che è l’anima, lo spirito, il corpo della Madre del Redentore, dell’Autore della salvezza. Maria è la vera sposa del Cantico dei Cantici. Ella però supera lo stesso Poema Sacro. Nell’amore Lei è oltre, infinitamente oltre. La sua bellezza risplende più che la luce del sole.

Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo. Le tue chiome sono come un gregge di capre, che scendono dal monte Gàlaad. I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno; tutte hanno gemelli, nessuna di loro è senza figli. Come nastro di porpora le tue labbra, la tua bocca è piena di fascino; come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo. Il tuo collo è come la torre di Davide, costruita a strati. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di eroi. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano tra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò sul monte della mirra e sul colle dell’incenso. Tutta bella sei tu, amata mia, e in te non vi è difetto. Vieni dal Libano, o sposa, vieni dal Libano, vieni! Scendi dalla vetta dell’Amana, dalla cima del Senir e dell’Ermon, dalle spelonche dei leoni, dai monti dei leopardi.

Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, mia sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto è soave il tuo amore, sorella mia, mia sposa, quanto più inebriante del vino è il tuo amore, e il profumo dei tuoi unguenti, più di ogni balsamo. Le tue labbra stillano nettare, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano. Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro e nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo, con ogni specie di alberi d’incenso, mirra e àloe, con tutti gli aromi migliori. Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive che sgorgano dal Libano. Àlzati, vento del settentrione, vieni, vieni vento del meridione, soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi. Venga l’amato mio nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti (Ct 4,1-16).

Il Padre dei cieli di certo ha messo sbarre e porte perché Satana mai entrasse nel cuore e nell’anima della Madre del Figlio suo. Dobbiamo però aggiungere che Maria mai ha aperto la porta perché lui vi entrasse. Lei è Vergine in eterno. Non è appartenuta a nessuna creatura. Non è stata mai del diavolo, neanche in una piccolissima trasgressione. È stata nel cuore, nella mente, nei pensieri, nei desideri, tutta e sempre del suo Signore, al quale ha consacrato la sua vita.

Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Maria è la Donna che Satana avrebbe voluto conquistare più che ogni altra donna. Ma non è mai riuscito e per questo si trova ora con la testa sotto i suoi piedi. Chi si aggrappa a Lei, mai sarà vinto da Satana. Sarà attaccato, ma mai vinto. La Madre di Gesù non lo permetterà. Come stirpe di Lei, perché siamo suoi veri figli, anche noi schiacciamo la testa al serpente antico. È verità confermata da tutti gli innamorati della Madre di Dio. Sempre essi hanno sconfitto e trionfato sul principe del male.

Angeli, Santi, fateci veri, devoti figli della Vergine Maria, Madre della Redenzione.

 

9 DICEMBRE (Is 48,17-19)

Se avessi prestato attenzione ai miei comandi

Aiutato dai suoi figli fedeli al Signore e anche dai profeti che Dio sempre inviava ad esso, Gerusalemme riflette sulla sua miseria materiale e comprende che essa è il frutto della sua miseria spirituale. Essa ha abbandonato il Signore. Ha dimenticato la sua Legge. Ha trasgredito la divina alleanza. Si è consegnato a degli idoli vani che sono nullità, divenendo essa stessa nullità. La sua gloria è sparita. La sua vigna un tempo simile ad una foresta del Libano, tanto era stupenda, ora è calpestata dagli animali selvatici, che ne hanno fatto uno scempio. Nulla più vi resta del suo splendore. Dalla meditazione, riflessione, si giunge alla preghiera. Si chiede al Signore che ritorni. Che prenda il suo posto di Re, Pastore, Guida, Dio e Signore in Gerusalemme.

Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci. O Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Signore, Dio degli eserciti, fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo? Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza. Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini e i nostri nemici ridono di noi. Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra.

La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli. Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna. Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. È stata data alle fiamme, è stata recisa: essi periranno alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal 80 (79) 1-20).

Anche il Signore aiuta Gerusalemme nel suo processo di vera conversione, vero ritorno nella Legge, nel Comandamento, nella vera religione. Essa è distrutta, incendiata, desolata, priva dei figli, perché non ha voluto ascoltare. Non è in questa condizione di disastro e di vero deserto per i suoi peccati, ma perché dopo il giudizio di Dio sulla sua condizione veramente disonorevole e l’invito dei suoi profeti perché retrocedesse dalla sua condotta malvagia, essa si è ostinata nella sua disobbedienza e ribellione. Se invece si fosse convertita, il Signore avrebbe dimenticato il suo peccato e la sua prosperità sarebbe stata infinitamente più grande. L’ostinazione nei peccati è peccato contro lo Spirito Santo. Ci rende rei di morte eterna. È l’ostinazione nella disobbedienza e nella ribellione la causa della sua rovina. Questa è la verità.

Dice il Signore, tuo redentore, il Santo d’Israele: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare. Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare. La tua discendenza sarebbe come la sabbia e i nati dalle tue viscere come i granelli d’arena. Non sarebbe mai radiato né cancellato il suo nome davanti a me».

Il Signore sa di cosa noi siamo fatti: di natura di peccato a causa della disobbedienza di Adamo. Sa anche che con la sua grazia possiamo convertirci e anche non peccare più. Perché ritorniamo a Lui, il Signore si serve anche della fame, della peste, della distruzione e devastazione, dell’esilio. Per il figliol prodigo si è servito dell’umiliazione. Lui, figlio di un così grande e ricco padre, non era considerato neanche come un porco. A lui non veniva data neanche una carruba per sfamarsi. Sopraffatto da questa condizione così miserevole decise di fare ritorno a casa. Sappiamo che il Padre gli ridiede tutta la dignità di figlio che aveva perduto. Questo è il nostro Dio. Lui attende per farci grazia. Aspetta per avere pietà di noi. Manda il Figlio suo e ne fa un olocausto e un sacrificio per l’espiazione delle nostre colpe. Dobbiamo però ritornare a Lui.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la via del ritorno.

 

10 DICEMBRE (Sir 48,1-4.9-11)

La sua parola bruciava come fiaccola

Elia è il grande combattente in difesa della purezza della fede. Ai suoi tempi imperversava l’idolatria e sappiamo che essa è la madre di ogni immoralità. Il cuore dell’idolatra spesso raggiunge il sommo della malvagità, della cattiveria, della malignità. Al tempo di Elia, perfezione del male assoluto, satanico, diabolico, infernale, è Gezabele, l’empia regina moglie del re Acab. Per esaudire un desiderio del marito, anche lui empio e idolatra, non esitò a far condannare per bestemmia contro Dio e il re, sul fondamento di falsi testimoni, l’uomo che si era rifiutato di cedere al marito la sua vigna, perché eredità dei suoi padri. La parola di Elia contro di essa è vero fuoco.

Allora la parola del Signore fu rivolta a Elia il Tisbita: «Su, scendi incontro ad Acab, re d’Israele, che abita a Samaria; ecco, è nella vigna di Nabot, ove è sceso a prenderne possesso. Poi parlerai a lui dicendo: “Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi!”. Gli dirai anche: “Così dice il Signore: Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue”». Acab disse a Elia: «Mi hai dunque trovato, o mio nemico?». Quello soggiunse: «Ti ho trovato, perché ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore. Ecco, io farò venire su di te una sciagura e ti spazzerò via. Sterminerò ad Acab ogni maschio, schiavo o libero in Israele. Renderò la tua casa come la casa di Geroboamo, figlio di Nebat, e come la casa di Baasà, figlio di Achia, perché tu mi hai irritato e hai fatto peccare Israele. Anche riguardo a Gezabele parla il Signore, dicendo: “I cani divoreranno Gezabele nel campo di Izreèl”. Quanti della famiglia di Acab moriranno in città, li divoreranno i cani; quanti moriranno in campagna, li divoreranno gli uccelli del cielo». In realtà nessuno si è mai venduto per fare il male agli occhi del Signore come Acab, perché sua moglie Gezabele l’aveva istigato. Commise molti abomini, seguendo gli idoli, come avevano fatto gli Amorrei, che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti. Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti, indossò un sacco sul suo corpo e digiunò; si coricava con il sacco e camminava a testa bassa. La parola del Signore fu rivolta a Elia, il Tisbita: «Hai visto come Acab si è umiliato davanti a me? Poiché si è umiliato davanti a me, non farò venire la sciagura durante la sua vita; farò venire la sciagura sulla sua casa durante la vita di suo figlio» (1Re 31,17-29).

Elia è l’uomo forte, dalla fede invincibile, dalla preghiera sempre esaudita dal Signore. Lui chiuse il cielo per tre anni e sei mesi, fece scendere fuoco più volte dal cielo per attestare la sua verità di profeta del Dio vivente. Eppure quest’uomo così forte ebbe un momento di stanchezza, fragilità. Ma gli venne incontro il Signore e fu confortato per mezzo di un Angelo. In tal senso è vera figura di Cristo Gesù, anche Lui confortato dall’Angelo nell’ora del combattimento nell’Orto degli Ulivi. Fermezza e fortezza non sono però sufficienti per combattere le battaglie di Dio. Ad esse vanno anche aggiunte la dolcezza, la mitezza, l’amorevolezza, il perdono, la grande misericordia. Dio sempre educa i suoi profeti alla perfezione morale e spirituale. Anche Gesù perennemente cresce in sapienza e grazia. Al vero profeta di Dio non deve mancare nessuna virtù.

Allora sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola. Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi. Per la parola del Signore chiuse il cielo e così fece scendere per tre volte il fuoco. Come ti rendesti glorioso, Elia, con i tuoi prodigi! E chi può vantarsi di esserti uguale? Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco, su un carro di cavalli di fuoco; tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri, per placare l’ira prima che divampi, per ricondurre il cuore del padre verso il figlio e ristabilire le tribù di Giacobbe. Beati coloro che ti hanno visto e si sono addormentati nell’amore, perché è certo che anche noi vivremo.

Malachia annunzia la venuta di Elia prima che giunga il giorno del Signore. È questa una profezia dalla difficile interpretazione. L’Angelo Gabriele annunzia a Zaccaria, nel tempio, che quanto Malachia ha profetizzato si compirà tutto nel figlio che nascerà da lui e da Elisabetta. Elia non ritorna nella sua persona. Il Signore prende lo Spirito di fortezza, di fuoco, che era di Elia e lo versa tutto su Giovanni, mentre è ancora nel seno di sua madre. La fortezza, la fermezza, la risolutezza, il fuoco che era in Elia ora è tutto in Giovanni il Battista perché possa preparare la via al Signore che viene. Elia è stato vera fiaccola che ha illuminato nel buio dell’idolatria la purissima verità di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci fiaccole di verità divina.

 

11 DICEMBRE– III Domenica di Avvento – (Is 35,1-6a.10)

Ecco il vostro Dio Egli viene a salvarvi

Non è l’uomo che va da Dio per implorare perdono. Il peccato è forza che allontana dal Signore. È invece sempre Dio che va dall’uomo. Leggiamo tre eventi della Scrittura Santa e comprenderemo la grande, infinita, eterna misericordia del nostro Dio.

Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,8-15).

Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden (Gen 4,2-16).

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1-3).

Mentre l’uomo è allontanato da Dio dal suo peccato, Dio nella sua divina ed eterna misericordia si accosta all’uomo per dargli salvezza, redenzione, giustizia, perdono. I profeti sono questa stupenda manifestazione della grazia del Signore. È Dio che manda a consolare il suo popolo. È Lui che annunzia il suo ritorno in Sion.

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Tutto è dall’iniziativa mirabile della misericordia e dell’amore del Signore. Oggi Lui viene nella Persona del Figlio Incarnato per manifestarci quanto è grande il suo amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci amore dell’amore di Dio.

 

12 DICEMBRE (Num 24,2-7.15-17)

Una stella spunta da Giacobbe

Balak, re di Moab, vede Israele, sa che è invincibile, perché benedetto dal suo Dio. Chiede a Balaam che lo maledica. Così non gli recherà alcun male.

Poi gli Israeliti partirono e si accamparono nelle steppe di Moab, oltre il Giordano di Gerico. Balak, figlio di Sippor, vide quanto Israele aveva fatto agli Amorrei, e Moab ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moab fu preso da spavento di fronte agli Israeliti. Quindi Moab disse agli anziani di Madian: «Ora questa assemblea divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l’erba dei campi». Balak, figlio di Sippor, era in quel tempo re di Moab. Egli mandò messaggeri a Balaam, figlio di Beor, a Petor, che sta sul fiume, nel territorio dei figli di Amau, per chiamarlo e dirgli: «Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto; ha ricoperto la faccia della terra e si è stabilito di fronte a me. Ora dunque, vieni e maledici questo popolo per me, poiché esso è più potente di me. Forse riuscirò a batterlo, per scacciarlo dalla terra; perché io lo so: colui che tu benedici è benedetto e colui che tu maledici è maledetto» (Num 22,1-6).

Balaam viene, contempla Israele. lo vede benedetto dal suo Dio. Lui non può maledire ciò che Dio ha benedetto. Può solo confermare la benedizione del suo Dio.

«Da Aram mi fa venire Balak, il re di Moab dalle montagne d’oriente: “Vieni, maledici per me Giacobbe; vieni, minaccia Israele!”. Come maledirò quel che Dio non ha maledetto? Come minaccerò quel che il Signore non ha minacciato? Perché dalla vetta delle rupi io lo vedo e dalle alture lo contemplo: ecco un popolo che dimora in disparte e tra le nazioni non si annovera. Chi può contare la polvere di Giacobbe? O chi può calcolare un solo quarto d’Israele? Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro» (Num 23,7-10).

Balak insiste perché lo maledica. Ma la risposta di Balaam è sempre la stessa. Non c’è sortilegio contro Israele. Egli è benedetto dal suo Dio e benedetto rimarrà in eterno.

«Sorgi, Balak, e ascolta; porgimi orecchio, figlio di Sippor! Dio non è un uomo perché egli menta, non è un figlio d’uomo perché egli ritratti. Forse egli dice e poi non fa? Parla e non adempie? Ecco, di benedire ho ricevuto il comando: egli ha benedetto, e non mi metterò contro. Egli non scorge colpa in Giacobbe, non ha veduto torto in Israele. Il Signore, suo Dio, è con lui e in lui risuona un’acclamazione per il re. Dio, che lo ha fatto uscire dall’Egitto, è per lui come le corna del bufalo. Perché non vi è sortilegio contro Giacobbe e non vi è magìa contro Israele: a suo tempo vien detto a Giacobbe e a Israele che cosa opera Dio. Ecco un popolo che si leva come una leonessa e si erge come un leone; non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda e bevuto il sangue degli uccisi» (Num 23,18-24).

Balak insiste ancora perché maledica il popolo del Signore. Balaam invece rivela a Balak la grandezza futura di questo popolo. Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spacca le tempie di Moab e il cranio di tutti i figli di Set. Di certo questa profezia riguarda David. Ma noi sappiamo che da Davide nascerà la vera stella, quella che viene per illuminare tutti i popoli con la luce della salvezza.

Balaam alzò gli occhi e vide Israele accampato, tribù per tribù. Allora lo spirito di Dio fu sopra di lui. Egli pronunciò il suo poema e disse: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, e oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante; oracolo di chi ode le parole di Dio, di chi vede la visione dell’Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Si estendono come vallate, come giardini lungo un fiume, come àloe, che il Signore ha piantato, come cedri lungo le acque. Fluiranno acque dalle sue secchie e il suo seme come acque copiose. Il suo re sarà più grande di Agag e il suo regno sarà esaltato. Egli pronunciò il suo poema e disse: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante, oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell’Altissimo, di chi vede la visione dell’Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spacca le tempie di Moab e il cranio di tutti i figli di Set.

La stella della verità, della giustizia, dell’amore, del perdono, della riconciliazione di Dio con l’umanità è Cristo Signore. Dove questa stella brilla, vi è la conoscenza del vero Dio. Dove essa viene oscurata, Dio non si conosce e neanche l’uomo secondo verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci luce della luce di Cristo.

 

13 DICEMBRE (Sof 3,1-2.9-13)

Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele

Sofonia è il profeta che annunzia il giorno del Signore, come giorno della sua ira, perché viene per giudicare il suo popolo. Ma noi sappiamo che il giudizio di Dio, sulla nostra terra, non è per la condanna. Esso è manifestazione all’uomo del suo orrendo peccato, perché si converta per entrare nella vita. È vero giudizio quello del Signore, perché annunzia a Israele la pena che subirà se non si sarà convertito prontamente.

«Tutto farò sparire dalla terra. Oracolo del Signore. Distruggerò uomini e bestie; distruggerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, farò inciampare i malvagi, eliminerò l’uomo dalla terra. Oracolo del Signore. Stenderò la mano su Giuda e su tutti gli abitanti di Gerusalemme; eliminerò da questo luogo quello che resta di Baal e il nome degli addetti ai culti insieme ai sacerdoti, quelli che sui tetti si prostrano davanti all’esercito celeste e quelli che si prostrano giurando per il Signore, e poi giurano per Milcom, quelli che si allontanano dal seguire il Signore, che non lo cercano né lo consultano». Silenzio, alla presenza del Signore Dio, perché il giorno del Signore è vicino, perché il Signore ha preparato un sacrificio, ha purificato i suoi invitati. «Nel giorno del sacrificio del Signore, io punirò i capi e i figli di re e quanti vestono alla moda straniera; punirò in quel giorno chiunque salta la soglia, chi riempie di rapine e di frodi il palazzo del suo padrone. In quel giorno – oracolo del Signore – grida d’aiuto verranno dalla porta dei Pesci, ululati dal quartiere nuovo e grande fragore dai colli. Urlate, abitanti del Mortaio, poiché tutta la turba dei mercanti è finita, tutti i pesatori dell’argento sono sterminati.

In quel tempo perlustrerò Gerusalemme con lanterne e farò giustizia di quegli uomini che, riposando come vino sulla feccia, pensano: “Il Signore non fa né bene né male”. I loro beni saranno saccheggiati e le loro case distrutte. Costruiranno case ma non le abiteranno, pianteranno viti, ma non ne berranno il vino». È vicino il grande giorno del Signore, è vicino e avanza a grandi passi. Una voce: «Amaro è il giorno del Signore!». Anche un prode lo grida. Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebra e di oscurità, e giorno di nube e di caligine, giorno di suono di corno e di grido di guerra sulle città fortificate e sulle torri elevate. Metterò gli uomini in angoscia e cammineranno come ciechi, perché hanno peccato contro il Signore; il loro sangue sarà sparso come polvere e la loro carne come escrementi. Neppure il loro argento, neppure il loro oro potranno salvarli. Nel giorno dell’ira del Signore e al fuoco della sua gelosia tutta la terra sarà consumata, poiché farà improvvisa distruzione di tutti gli abitanti della terra (Sof 1,2-18).

Il Signore rivela al suo popolo quanto grande è la forza distruttrice e dissolvitrice del peccato. Dove regna il peccato, anche le pietre vengono ridotte in frantumi. Il peccato non lascia alcun segno di vita dove esso è fatto regnare. Ora che il popolo sa questo – l’ira del Signore è questa verità – se vuole abitare nella vita deve necessariamente liberarsi dalla sua idolatria e ritornare alla fedeltà dell’alleanza. Il peccato distruggerà, annienterà Gerusalemme. Rimarrà in mezzo ad essa solo un popolo umile e povero. Tutti gli altri partiranno per l’esilio. Saranno deportati. Questo sarà capace di operare il peccato del suo popolo: annientarlo anche come popolo del Signore. Solo un piccolo resto si salverà, ma solo per misericordia e per bontà del suo Dio e Signore.

Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio. Allora io darò ai popoli un labbro puro, perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano tutti sotto lo stesso giogo. Da oltre i fiumi di Etiopia coloro che mi pregano, tutti quelli che ho disperso, mi porteranno offerte. In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perché allora allontanerò da te tutti i superbi gaudenti, e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte. Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero». Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.

Ora Gerusalemme lo sa. Può impedire che il giudizio di Dio si compia. Può permettere la sua devastazione, distruzione, strage, morte, esilio. Tutto è dalla sua decisione. Sappiamo che essa ha deciso per la strage e l‘esilio dei suoi figli. Non si è convertita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dal cuore fedele e puro.

 

14 DICEMBRE (Is 45,6b-8.18.21b-25)

Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!

Il popolo di Dio è divorato dall’idolatria, che si consuma in ogni sorta di immoralità e nefandezza. Un popolo idolatra è un popolo stolto e insipiente, cieco e amante della vanità. Sempre il Signore attraverso i suoi profeti ha rivelato la vanità degli idoli.

A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde l’idolo, l’orafo lo riveste d’oro, e fonde catenelle d’argento. Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si muova. Non lo sapete forse? Non lo avete udito? Non vi fu forse annunciato dal principio? Non avete riflettuto sulle fondamenta della terra? Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette. Egli stende il cielo come un velo, lo dispiega come una tenda dove abitare; egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra. Sono appena piantati, appena seminati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra, egli soffia su di loro ed essi seccano e l’uragano li strappa via come paglia.

«A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia via è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio»? Non lo sai forse? Non l’hai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (Is 40,18-31).

Noi viviamo non nella stessa condizione del popolo del Signore al tempo del profeta Isaia. Ma in una situazione anche peggiore, direi pessima. Regna oggi nelle menti e nei cuori una grande confusione. Non si sa più chi è il vero Dio e chi è il falso Dio. Il vero Dio è confuso con i falsi dèi e i falsi dèi sono confusi con il vero Dio. Non vi sono più neanche i veri profeti che facciano la differenza tra il vero Dio, i falsi dèi e quanti non sono Dio, anche se ad essi viene dato il nome di Dio. Oggi è come se il vero Dio e i falsi dèi fossero stati messi in un grande frullatore. Il risultato di questa falsità mescolata con la verità è il nuovo Dio da adorare. È quel Dio unico, mirabile impasto dei moderni alchimisti cristiani, la cui identità è facilmente definibile: il vero Dio è stato privato della sua verità. AI non dèi e ai falsi dèi e agli dèi a metà è stato dato statuto di verità. Questo è il frutto dei nostri moderni alchimisti cristiani e cattolici.

Io sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo». Poiché così dice il Signore, che ha creato i cieli, egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l’ha resa stabile, non l’ha creata vuota, ma l’ha plasmata perché fosse abitata: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo e chi l’ha raccontato fin da allora? Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri. Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la giustizia, una parola che non torna indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua». Si dirà: «Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!». Verso di lui verranno, coperti di vergogna, quanti ardevano d’ira contro di lui. Dal Signore otterrà giustizia e gloria tutta la stirpe d’Israele.

Dio manda i veri profeti sulla nostra terra per separare la sua verità dalla falsità di ogni altro dio adorato dall’uomo, che è pura invenzione, puro frutto di mente umana. Se al vero Dio non si dona verità, la falsità diviene la sola legge della vita. Da un Dio falso mai nascerà verità. Oggi la verità del vero Dio è Cristo Signore. Mancano però i veri profeti che dicano al mondo intero la sua verità separandola dalla falsità di quanti mai potranno salvare l’uomo. Solo in Cristo ha stabilito che si trovino giustizia e potenza di salvezza, redenzione, giustificazione. Il cristiano è vero se grida la verità di Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri della verità di Cristo.

 

15 DICEMBRE (Is 54,1-10)

Tuo sposo è il tuo creatore

I profeti sono i creatori della vera speranza. Qual è la speranza vera creata dai profeti nel popolo del Signore? Israele è sposa adultera, fedifraga, ribelle, ostinata nel seguire i suoi amanti. L’amore di Dio per essa è più forte, divinamente forte. Mai Dio si stanca, mai viene meno, nell’amore per la sua sposa. Il Signore metterà in atto tutta la sua divina sapienza e intelligenza, perché la sua sposa possa ritornare nella fedeltà. Osea, molto prima di Isaia, annunzia a Israele questa eterna volontà di Dio di riconquistare la sua sposa. La sposa è sua e mai l’abbandonerà agli idoli. Sempre andrà a cercarla. La cercherà, la troverà, la condurrà nel deserto, parlerà al suo cuore, la rinnoverà.

Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. E avverrà che invece di dire loro: “Voi non siete popolo mio”, si dirà loro: “Siete figli del Dio vivente”. I figli di Giuda e i figli d’Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dalla terra, perché grande sarà il giorno di Izreèl! Dite ai vostri fratelli: “Popolo mio”, e alle vostre sorelle: “Amata”. Accusate vostra madre, accusatela, perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito! La loro madre, infatti, si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna, perché ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal e non saranno più chiamati per nome. In quel tempo farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio”» (Cfr. Os 2,1-25).

Quello del Signore è un amore eterno, che mai verrà meno per l’uomo. Dio è lo sposo fedelissimo. L’uomo può anche tradirlo, rinnegarlo, Lui resterà il Fedele.

Esulta, o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore. Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti, poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza possederà le nazioni, popolerà le città un tempo deserte. Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia.

Dio ha sposato l’umanità in Cristo Gesù. In Lui essa è divenuta parte di sé. Lui l’ha resa partecipe della sua divina natura. In Cristo la sua sposa è stata fedelissima, purissima, si è conservata casta, vergine per il suo Dio. La sua fedeltà è stata a prova di morte in Croce. In Cristo, ogni altro uomo, è chiamato a divenire sposa di Cristo, per essere sposa del Padre nello Spirito Santo. Chi non si lascia fare sposa di Cristo, mai potrà divenire sposa del Padre. È nell’umanità di Cristo che ogni sposalizio con Dio potrà essere celebrato, vissuto. Se la Chiesa non dona Cristo, è sposa infedele di Lui.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vere spose di Cristo.

 

16 DICEMBRE (Is 56,1-3a.6-8)

Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati

Dio non è solo il Dio di Israele. È il Dio di ogni uomo perché di ogni uomo Lui è il Creatore, il Signore, la vita, la benedizione, la pace, la giustizia, la luce, la santità. Non solo il popolo di Dio viene radunato dal Signore per essere condotto nella sua casa di preghiera, nel suo santo tempio, nella casa del suo cuore, ma ogni altro uomo il Signore vuole cercare per condurlo nella sua casa, per aprirgli le porte del suo cuore. Questa verità Cristo Gesù non solo la fa interamente sua, la consegna anche ai suoi Apostoli, mandandoli in tutto il mondo perché cerchino tutte le pecore del Padre.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,7-18).

Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,46-48).

La Chiesa non ha il mandato di stipulare accordi diplomatici di rispetto reciproco con le altre religioni. La Chiesa deve dare alle altre religioni la sua verità eterna che è Cristo Signore. Il rispetto è dato a tutti dalla stessa Parola di Gesù. Ama i tuoi nemici. Prega per i tuoi persecutori. Se il tuo avversario ti chiede la tunica, tu dagli il mantello. Se ti costringe a portare una croce, tu portane due. Se ti percuote, dagli l’altra guancia. Questo è il rispetto per gli altri: vivere ogni cosa con somma mitezza. Al rispetto che nasce dal Vangelo, si deve aggiungere il dono del Vangelo. Io ti dono Cristo e il suo Vangelo. Tu apri il cuore di Cristo e della tua vera umanità. Se non vuoi accogliere la tua vera umanità, domani e oggi sarai tu responsabile dinanzi a Dio. Io sono innocente.

Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi». Beato l’uomo che così agisce e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male. Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: «Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati».

Cristo viene per radunare tutti i figli dispersi del Padre. Sono figli dispersi sia il popolo di Israele che tutte le Genti. In Lui, con Lui, per Lui, nella sua verità e grazia, quanti si lasciano trovare dovranno essere presentati al Padre. La missione di Cristo è ora della Chiesa. Nella Chiesa, per essa, con essa, ogni uomo dovrà essere dato al suo Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci missionari veri di Cristo.

 

17 DICEMBRE (Gen 49,2.8-10)

A cui è dovuta l’obbedienza dei popoli

Cristo è la benedizione di Dio per tutti i popoli. Cristo però da Abramo, fino all’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova, dovrà essere portato dall’uomo. È l’uomo che porta all’uomo la benedizione del suo Signore. Ad Abramo succede Isacco. Ad Isacco non succede Esaù. Questi si rende indegno. La madre lo esclude dalla successione. Al suo posto, con inganno, fa benedire da Isacco il suo secondo genito.

I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe. Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura (Gen 25,27-34).

A Giacobbe non succede Ruben. Egli si è reso reo di peccato di incesto. Neanche Simeone o Levi gli succedono. Anche loro sono ritenuti indegni dal Padre. Hanno agito con inganno e disonestà grande verso il popolo di Camor che abitava in Sichem.

Ma il terzo giorno, quand’essi erano sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero le loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: «Voi mi avete rovinato, rendendomi odioso agli abitanti della regione, ai Cananei e ai Perizziti. Io ho solo pochi uomini; se essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa». Risposero: «Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?» (Cfr. Gen 34,1-31). Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre! Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza! Bollente come l’acqua, tu non avrai preminenza, perché sei salito sul talamo di tuo padre, hai profanato così il mio giaciglio. Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore, perché nella loro ira hanno ucciso gli uomini e nella loro passione hanno mutilato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele (Gen 49,2-7).

Il Messia, il Re, il portatore della benedizione di Dio, sulla nostra terra, nascerà da Giuda. Sarà per volontà di Giacobbe, a causa dell’indegnità, di quanti lo precedevano, che da questo momento la Tribù di Giuda darà alla luce la benedizione per tutto il suo popolo e anche per tutte le genti. Per questo il Messia sarà detto “Il Leone della Tribù di Giuda”. Giuda è detto dal padre: “Un giovane leone”. Il leone è forza, determinazione, coraggio, fierezza, potenza irresistibile. Il Messia che verrà sarà il trionfatore sul peccato e sulla morte. Porterà la vera vita sulla nostra terra.

Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre! Giuda, ti loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli.

Al Leone della Tribù di Giuda che verrà per portare la benedizione di Dio sulla nostra terra, appartiene l’obbedienza dei popoli. Tutti i popoli dinanzi a Lui si dovranno prostrare per dargli l’obbedienza della fede nella sua Parola. Dall’obbedienza è la vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera obbedienza.

 

18 DICEMBRE– IV Domenica di Avvento – (Is 7,10-14)

Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio

La fede avanza da impossibile ad impossibile sempre nuovo. Essa non è porre l’uomo dinanzi alla medesima, identica impossibilità. È invece situarlo di fronte ad una molteplice impossibilità che è sempre possibile per il Signore. Può il Signore far concepire una donna sterile? Può liberare il popolo dalla mano pesante del Faraone? Può aprire il Mare perché passi il suo popolo? Può far scaturire l’acqua dalla roccia? Può far piovere il pane dal cielo? Può una vergine divenire madre rimanendo vergine in eterno? La fede del popolo di Dio è tutta in questo impossibile per il Signore.

C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio (Gen 18, 14). Giuda rispose: “Non è impossibile che molti cadano in mano a pochi e non c’è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi (1Mac 3, 18). Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te (Gb 42, 2). Ah, Signore Dio, tu hai fatto il cielo e la terra con grande potenza e con braccio forte; nulla ti è impossibile (Ger 32, 17). Ecco, io sono il Signore Dio di ogni essere vivente; qualcosa è forse impossibile per me? (Ger 32, 27). Dice il Signore degli eserciti: “Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?” – dice il Signore degli eserciti (Zc 8, 6). Ed egli rispose: “Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile (Mt 17, 20). E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19, 26). Nulla è impossibile a Dio (Lc 1, 37). Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano (Eb 11, 6).

Acaz, empio e idolatra re di Giuda, sta portando il suo popolo alla rovina. Pensa che l’alleanza con l’Egitto lo possa salvare dalla catastrofe. Il profeta chiede invece che metta tutta la sua fiducia nel Signore suo Dio, per il quale nulla è impossibile. Anche se tutti gli eserciti della terra fossero sotto le mura di Gerusalemme, Lui, il Signore, li dissolverebbe in un istante. Gli basta solo pensare il loro annientamento e in un solo istante si disperderebbero come pula al vento, senza lasciare neanche il ricordo. Perché Acaz si convinca dell’aiuto potente del suo Dio, vuole che sia lui stesso a chiedere un segno. Lo può chiedere nel cielo, sulla terra, sotto terra. Il Signore è pronto ad esaudire ogni sua richiesta. Cosa risponde l’empio re? Che lui non tenterà il Signore. Ma non si tenta il Signore quando è Lui che vuole che tu chieda per dare stabilità e sicurezza alla tua fede in Lui. Chiedere su richiesta esplicita di Dio non è mai tentazione. È tentazione quando si impegna l’autorità di Dio senza la sua volontà. Poiché Acaz non chiede, è il Signore che gli dona un segno mai dato prima e che mai più potrà dare a nessun altro uomo: Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio.

Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Perché questo segno mai più potrà essere donato né sulla terra e né nel cielo? Perché Chi nascerà dalla Vergine sarà il Figlio Eterno del Padre, il Figlio che si farà uomo e che verrà a porre la sua tenda in mezzo a noi, per ricolmarci di grazia e verità. Il Figlio di Gesù, quello, l’unico da Lui generato nell’eternità, nascerà dalla Vergine per opera dello Spirito Santo. La Vergine rimarrà sempre Vergine e diverrà Madre. La Madre sarà sempre Madre e rimarrà Vergine. Questa impossibilità è unica e irripetibile. Mentre tutte le altre impossibilità possono divenire possibili, questa impossibilità è divenuta possibilità ma sarà in eterno unica, la sola. Non ci sarà mai più una seconda Donna che sarà Vergine e Madre. La Madre di Dio è solo Lei, la Vergine Madre di Nazaret. Maria è l’Impossibile divenuto possibile che mai più sarà possibile. È la sua verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di purissima vera fede.

 

19 DICEMBRE (Gdc 13,2-7.24-25a)

Il fanciullo sarà un nazireo di Dio fin dal seno materno

È il Signore l’autore della salvezza del suo popolo. Lui sceglie coloro che nel suo nome, con la sua forza, nel suo Spirito, devono compiere l’opera che lui comanda per il bene del suo popolo, ma anche detta le modalità di vita perché lui possa operare. Se queste modalità non vengono osservate, la persona non è più strumento di Dio. Viene abbandonata a se stessa. Dio non può essere con essa. Non ha rispettato le sue condizioni. La tentazione non vuole che noi ci separiamo dal ministero affidatoci, ma che ci distacchiamo dalle modalità indicateci. Sono esse la vitalità del ministero. Nazireo è chi si consacra al Signore per tutta la vita o per un tempo determinato e si impegna ad osservare obblighi specifici. Sansone è nazireo per tutta la vita.

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla agli Israeliti dicendo loro: “Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti, non berrà aceto di vino né aceto di bevanda inebriante, non berrà liquori tratti dall’uva e non mangerà uva, né fresca né secca. Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vite, dai chicchi acerbi alle vinacce. Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è votato al Signore, sarà sacro: lascerà crescere liberamente la capigliatura del suo capo. Per tutto il tempo in cui rimane votato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si renderà impuro per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è sacro al Signore (Num 6,1-8).

Sansone svela il suo segreto a Dalila e questa lo tradisce presso i figli del suo popolo. Viene fatto prigioniero, privato degli occhi, condannato a girare la macina. Modalità non rispettate per debolezza verso le donne! Perdita della sua forza! Schiavo degli uomini!

Ora, poiché lei lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato da morire e le aprì tutto il cuore e le disse: «Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque». Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il suo cuore, mandò a chiamare i prìncipi dei Filistei e fece dir loro: «Venite, questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il suo cuore». Allora i prìncipi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro. Ella lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo e gli fece radere le sette trecce del capo; cominciò così a indebolirlo e la sua forza si ritirò da lui. Allora lei gli gridò: «Sansone, i Filistei ti sono addosso!». Egli, svegliatosi dal sonno, pensò: «Ne uscirò come ogni altra volta e mi svincolerò». Ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui. I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con una doppia catena di bronzo. Egli dovette girare la macina nella prigione (Cfr. Gdc 16,1-31).

Quando Sansone ritorna ad essere l’uomo pieno dello Spirito del Signore? Quando ritorna nelle modalità stabilite da Dio. Torna ad essere nazireo, torna in lui lo Spirito.

C’era allora un uomo di Sorea, della tribù dei Daniti, chiamato Manòach; sua moglie era sterile e non aveva avuto figli. L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: «Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guàrdati dal bere vino o bevanda inebriante e non mangiare nulla d’impuro. Poiché, ecco, tu concepirai e partorirai un figlio sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio fin dal seno materno; egli comincerà a salvare Israele dalle mani dei Filistei». La donna andò a dire al marito: «Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio, un aspetto maestoso. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: “Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d’impuro, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte”». E la donna partorì un figlio che chiamò Sansone. Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse. Lo spirito del Signore cominciò ad agire su di lui.

Con Sansone Dio si manifesta sempre come l’Onnipotente che si crea i suoi servi dalla sterilità, cioè dalla non possibilità umana. Ma si rivela anche come Colui che detta all’uomo le condizioni perché il suo Spirito possa agire efficacemente.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci comprendere le vie di Dio.

 

20 DICEMBRE (Is 7,10-14)

Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore

Tentare il Signore è cercare una via di salvezza, verità, giustizia, pace, fuori e contro la via che Lui stesso ha indicato nella sua Parola. Ogni qualvolta l’uomo cerca la sua salvezza, la sua vita, la sua giustizia fuori della Parola, lui tenta il suo Signore. Lo mette alla prova. Lo tenta perché crede che la sua Parola non sia vera e ne vuole cercare un’altra. L’uomo è dall’ascolto del suo Dio. La tentazione vuole che sia da altri, altre parole, altre alleanze, altri dèi, altre vie. Dio non vuole che lo si tenti, che lo si metta alla prova. Vuole che l’uomo sempre ascolti la sua Parola e su di essa cammini.

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guàrdati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. Temerai il Signore, tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome.

Non seguirete altri dèi, divinità dei popoli che vi staranno attorno, perché il Signore, tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; altrimenti l’ira del Signore, tuo Dio, si accenderà contro di te e ti farà scomparire dalla faccia della terra. Non tenterete il Signore, vostro Dio, come lo tentaste a Massa. Osserverete diligentemente i comandi del Signore, vostro Dio, le istruzioni e le leggi che ti ha date. Farai ciò che è giusto e buono agli occhi del Signore, perché tu sia felice ed entri in possesso della buona terra che il Signore giurò ai tuoi padri di darti, dopo che egli avrà scacciato tutti i tuoi nemici davanti a te, come il Signore ha promesso (Dt 6,4-19).

Tentare il Signore è facile. È sufficiente cercare la vita fuori della sua Parola, della sua voce, della sua obbedienza, fuori anche delle modalità da lui stabilite. Oggi è questa la tentazione che più devasta il popolo di Dio. Si vuole la salvezza, la redenzione, ma ignorando totalmente la Parola. Si vuole una religione senza Parola, fondata sul sentimento, sul capriccio, sulla falsità e menzogna, sulla volontà degli uomini. Acaz è invitato da Dio perché chieda una prova della sua onnipotenza, sapienza, verità, fedeltà. Il re risponde che mai lui la chiederà. Non vuole tentare il suo Dio. Questa è suprema stoltezza. Può l’uomo tentare il suo Dio quando è Lui che vuole rassicurare i suoi figli? Il segno Dio vuole darlo per liberare il re dalla sua infinita stoltezza e insipienza. Lo dona per amore del suo popolo che vuole salvare.

Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

I segni di Dio, ogni segno, compresa la carità, la misericordia, la pietà, la compassione, i miracoli, servono a Dio solo per creare la fede in Lui, nella verità della sua Parola. Il Signore vuole aiutare Acaz perché ritrovi la purezza della fede, perché solo da essa verrà la salvezza del suo popolo. Se lui invece persevererà nella non fede, per lui e per il suo popolo vi sarà la distruzione, la devastazione, la fame, la peste la spada, l’esilio.

Una donna che diviene Madre del Figlio dell’Altissimo per opera dello Spirito Santo, il Figlio dell’Altissimo che si fa uomo, per opera dello Spirito, nel seno verginale della Donna, è il segno dei segni di Dio. Il segno non è un racconto, una parabola, un’allegoria. Esso è storia, evento, fatto reale. Realmente Maria è Vergine e Madre di Dio. Realmente Gesù è il Figlio Eterno dell’Altissimo che si è fatto uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di fede vera, pura, santa.

 

21 DICEMBRE (Ct 2,8-14)

Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!

La sposa del Cantico dei cantici è ancora esitante. Lo sposo bussa alla sua porta e lei tentenna. Non apre. Lo Sposo scompare. Poi va alla sua ricerca e non lo trova.

Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore. Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore. Un rumore! La voce del mio amato che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, mio tutto; perché il mio capo è madido di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne». «Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo? Mi sono lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?». L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura e le mie viscere fremettero per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amato e le mie mani stillavano mirra; fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora all’amato mio, ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città; mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! (Cfr. Ct 5,1-16).

Il Salmo ci presenta Gesù che non tentenna, non esita. Fin da subito si consegna al suo Signore e Dio, al quale offre se stesso per il compimento della sua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore. Beato l’uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore e non si volge verso chi segue gli idoli né verso chi segue la menzogna. Quante meraviglie hai fatto, tu, Signore, mio Dio, quanti progetti in nostro favore: nessuno a te si può paragonare! Se li voglio annunciare e proclamare, sono troppi per essere contati. Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo». Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai. Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore, la tua verità e la tua salvezza ho proclamato. Non ho celato il tuo amore e la tua fedeltà alla grande assemblea ( Cfr. Sal 40 (39) 1-18).

La Vergine Maria, Vergine Perfetta, non appena sente la voce del suo Dio che la chiama, subito si consegna a Lui, dichiarandosi non Sposa, ma serva. Lei è la serva nelle mani del suo Dio. Lui comanda e Lei obbedisce. Lui chiede e Lei si abbandona.

Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. L’amato mio somiglia a una gazzella o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate. Ora l’amato mio prende a dirmi: «Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono profumo. Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole».

Ciò che uccide la nostra missione oltre alle modifiche delle modalità stabilite da Dio, spesso sono anche i nostri ritardi. La sposa del Cantico dei Cantici esitò per qualche istante, si lasciò prendere dai suoi pensieri, non trovò più lo sposo quando aprì la porta. Noi spesso perdiamo giorni, mesi, anni prima di deciderci a dare la nostra risposta al Signore. Quando la diamo, potrebbe essere troppo tardi. Siamo fuori tempo. Non siamo più idonei per il ministero. Il Signore ci vuole tutti ad immagine di Gesù e della Madre sua, dall’obbedienza immediata, dal dono istantaneo, dalla volontà tutta data a Lui. Ci vuole dal cuore vergine per essere tutto a suo servizio. Spesso però il cuore è diviso e il Signore di esso non si può servire. Vorremmo essere suoi e del mondo. Non siamo suoi. Siamo del mondo. Non possiamo compiere la sua opera.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ora e sempre del Signore.

 

22 DICEMBRE (1Sam 1,24-28)

Anch’io lascio che il Signore lo richieda

Anna vive in una indicibile sofferenza. È sterile. Non ha figli. In più è disprezzata dalla sua rivale. Del marito non ne parliamo. Elkanà pensa di poter completare ciò che manca ad Anna. Non sa che la donna è per vocazione sposa e madre insieme.

Venne il giorno in cui Elkanà offrì il sacrificio. Ora egli soleva dare alla moglie Peninnà e a tutti i figli e le figlie di lei le loro parti. Ad Anna invece dava una parte speciale, poiché egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo. La sua rivale per giunta l’affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione, perché il Signore aveva reso sterile il suo grembo. Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare. Elkanà, suo marito, le diceva: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» (1Sam 1,4-8).

Anna sa però che la fecondità è dono di Dio. Ma sa anche che il frutto del suo seno è di Dio. Lei chiede un figlio, ma solo per essere perfettamente donna, donna come Dio ha stabilito fin dall’eternità. Vuole essere madre per poter anche lei dare a Dio qualcosa di sé. Il Signore le dona un figlio. Lei lo darà al Signore. Lui farà lei donna. Lei farà Dio padre di un altro figlio che sarà tutto suo. Lei a Lui lo vuole consacrare. Questa donna porta nel cuore una verità di certo posta in essa dallo Spirito Santo. La maternità non è concepire per se stessi, ma per il Signore, per continuare la sua opera di creazione. Si concepisce anche per continuare l’opera della sua salvezza. Il Signore è il Signore della madre e del figlio. Tutto in lei è dalla purissima fede.

Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo». Mentre ella prolungava la preghiera davanti al Signore, Eli stava osservando la sua bocca. Anna pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra, ma la voce non si udiva; perciò Eli la ritenne ubriaca. Le disse Eli: «Fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!». Anna rispose: «No, mio signore; io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Non considerare la tua schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia». Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». Ella replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via, mangiò e il suo volto non fu più come prima (1Sam 1,9-18).

Il Signore esaudisce la preghiera di Anna. Benedice e rende fecondo il suo seno. Lei concepisce e dona alla luce un figlio. Secondo la promessa, non appena fu svezzato, fu subito presentato al Signore perché si dedicasse al servizio del tempio. Questa donna trasforma il dono ricevuto in dono offerto. Lei sa che ogni cosa che il Signore dona rimane sempre sua proprietà. Il cuore di Anna è ricolmato da Dio con una doppia gioia: la gioia di essere madre e la gioia di aver donato a Dio un figlio. C’è qualcosa di più grande che dare a Dio il frutto del proprio seno, del proprio cuore, della propria vita? Ora la gioia di Anna è completa. Nulla le manca. La sua femminilità è perfetta.

Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

La donna è dono. Dono di Dio all’uomo. Ma anche dono di se stessa a Dio. È la gioia!

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dono per il nostro Dio.

 

23 DICEMBRE (Ml 3,1-4.23-24)

Ecco, io invierò il profeta Elia

Elia è il combattente per abbattere, sradicare l’idolatria. Se noi pensiamo che idolatria sia solo l’adorazione di un oggetto inanimato al quale diamo il nome di Dio, siamo in grande errore. Idolatria è ogni azione dell’uomo, ogni suo pensiero, filosofia, anche teologia e antropologia, che non sia obbedienza alla Parola di Dio, santamente compresa nella luce dello Spirito Santo. Elia, profeta potente nella fede, stabile e sicuro nell’ascolto della Parola di Dio, fermo nella preghiera, sfida i profeti di Baal e li vince.

Elia disse ai profeti di Baal: «Sceglietevi il giovenco e fate voi per primi, perché voi siete più numerosi. Invocate il nome del vostro dio, ma senza appiccare il fuoco». Quelli presero il giovenco che spettava loro, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: «Baal, rispondici!». Ma non vi fu voce, né chi rispondesse. Quelli continuavano a saltellare da una parte all’altra intorno all’altare che avevano eretto. Venuto mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà». Gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agirono da profeti fino al momento dell’offerta del sacrificio, ma non vi fu né voce né risposta né un segno d’attenzione.

Elia disse a tutto il popolo: «Avvicinatevi a me!». Tutto il popolo si avvicinò a lui e riparò l’altare del Signore che era stato demolito. Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore: «Israele sarà il tuo nome». Con le pietre eresse un altare nel nome del Signore; scavò intorno all’altare un canaletto, della capacità di circa due sea di seme. Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: «Riempite quattro anfore d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!». Ed essi lo fecero. Egli disse: «Fatelo di nuovo!». Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: «Fatelo per la terza volta!». Lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua. Al momento dell’offerta del sacrificio si avvicinò il profeta Elia e disse: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!». Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutto il popolo cadde con la faccia a terra e disse: «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!». Elia disse loro: «Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!». Li afferrarono. Elia li fece scendere al torrente Kison, ove li ammazzò (1Re 19, 25-40).

Oggi l’idolatria più pericolosa, perché è invisibile, è la costruzione dell’uomo sul pensiero dell’uomo, spesso fatto passare come pensiero di Dio. Questa idolatria, sovente fondata anche sulla falsa profezia, sta distruggendo l’uomo. Occorrono persone risolute, forti, ferme che sappiano gridare al mondo la purissima Parola di Cristo Signore, nella quale solamente è la salvezza dell’uomo.

Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani. Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio.

Ogni epoca, ogni tempo ha bisogno di un Elia che prepari la via al Signore. Senza la fermezza del vero profeta il popolo va alla deriva. Le istituzioni spesso falliscono, si incancreniscono nella vanità sia del culto che della speculazione teologica e filosofica. Il vero profeta invece viene con la freschezza della voce e della Parola di Dio, converte i cuori, apre le menti ad accogliere la Parola, genera vera conversione e ritorno al Signore. Quando scompariranno i veri profeti, anche la vera fede scomparirà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, mandate sempre veri profeti.

 

24 DICEMBRE (2Sam 7,1-5.8b-12.14.16)

Il tuo trono sarà reso stabile per sempre

L’annunzio che Natan fa a Davide da parte del Signore mette in crisi tutta la storia, che è fondata sul passaggio di un regno da un re ad un altro re e da una dinastia ad un’altra. Infatti tutti i regni della terra sono come la statua del sogno di Nabucodònosor.

Allora Daniele si recò da Ariòc, al quale il re aveva affidato l’incarico di uccidere i saggi di Babilonia, si presentò e gli disse: «Non uccidere i saggi di Babilonia, ma conducimi dal re e io gli rivelerò la spiegazione del sogno». Ariòc condusse in fretta Daniele alla presenza del re e gli disse: «Ho trovato un uomo fra i Giudei deportati, il quale farà conoscere al re la spiegazione del sogno». Il re disse allora a Daniele, chiamato Baltassàr: «Puoi tu davvero farmi conoscere il sogno che ho fatto e la sua spiegazione?». Daniele, davanti al re, rispose: «Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi né da indovini, né da maghi né da astrologi; ma c’è un Dio nel cielo che svela i misteri ed egli ha fatto conoscere al re Nabucodònosor quello che avverrà alla fine dei giorni. Ecco dunque qual era il tuo sogno e le visioni che sono passate per la tua mente, mentre dormivi nel tuo letto. O re, i pensieri che ti sono venuti mentre eri a letto riguardano il futuro; colui che svela i misteri ha voluto farti conoscere ciò che dovrà avvenire.

Se a me è stato svelato questo mistero, non è perché io possieda una sapienza superiore a tutti i viventi, ma perché ne sia data la spiegazione al re e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore. Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d’uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via senza lasciare traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta la terra (Dn 2,24-35).

Tutti i re della terra si frantumano, tutte le civiltà scompaiono, tutte le forme di governo sono inefficienti, insufficienti. Nulla di ciò che produce la terra, dura. Tutto perisce. A Davide viene invece annunziato che il suo regno sarà eterno. È Parola di Dio.

Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra.

Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

Sarà possibile questo? La Parola di Dio non si compie mai secondo i pensieri degli uomini. Si realizza invece secondo il pensiero eterno del Padre. Qual è questo pensiero eterno? Lui farà nascere da Davide il suo Vero Eterno, il suo Figlio Eterno, il suo Unigenito, e a Lui darà il suo regno. Essendo il Re eterno e immortale, eterno e immortale sarà anche il suo regno. Altra cosa che il Re eterno e immortale farà, sarà quella di allargare i confini del regno di Davide perché abbracci tutti i popoli e le nazioni. Farà questo non con la spada, ma con la Parola e la conversione ad essa.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero regno del Re eterno.

 

25 DICEMBRE – NATALE DEL SIGNORE – (Is 9,1-3.5-6)

Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio

Che il Bambino è nato per noi, per essere dato a noi, lo rivela Gesù a Nicodemo, nel Vangelo secondo Giovanni. Non solo ci dice che è nato per noi per essere dato a noi, ma anche le modalità del dono: innalzato sulla croce e posto al centro dell’umanità.

Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,13-21).

Anche San Paolo attesta la verità del dono nella Lettera ai Romani. Anzi lui parte da questo dono per attestare che in esso tutto il Signore ci ha donato e ci dona.

Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione (Rm 5, 1-11).

Nato per noi per essere dato per noi, per essere dato a noi. Tutto il Vangelo di Giovanni è incentrato sul dono: Dono del pane della vita, della luce, della risurrezione, dell’acqua zampillante, dello Spirito Santo. Cristo, vita eterna del Padre, nello Spirito Santo, che è anche un suo Dono, si dona a noi perché noi diveniamo vita eterna.

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Questo Bambino che nasce per noi, ci è dato perché donandoci Lui, in Lui attingiamo la grazia e la verità. La verità trasforma il nostro corpo di carne in corpo di spirito, ci fa esseri spirituali in Lui. La grazia, che è Lui stesso, la sua stessa vita, trasforma la nostra vita in sua vita. Tutto questo sarà possibile per il dono dello Spirito Santo che Lui farà sgorgare dal suo corpo trafitto, dato per noi, sulla croce. Cristo Gesù è il Dono del Padre perché in Lui tutti ci facciamo dono al Padre. Se Lui non è accolto come nostro vero dono, se non ci lasciamo fare una cosa sola con Lui, mai noi possiamo divenire purissimo dono per il nostro Dio. È questa la nostra verità: siamo dono di Dio per farci interamente dono a Dio. Ma questo è possibile solo nel Dono che è Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci Dono a Dio nel Dono.

 

26 DICEMBRE (At 6,8-10;7,54-60)

Signore, non imputare loro questo peccato

Gli Atti degli Apostoli iniziano con la narrazione di due persone che muoiono. La prima racconta la morte dell’empio. La seconda descrive la morte del giusto. La prima si sofferma sulla morte dei figli del diavolo. La seconda elogia la morte dei figli di Dio. Giuda muore la morte di quanti hanno odiato la loro vita. Stefano invece vive la morte di quanti hanno fatto della loro vita una testimonianza a Gesù Signore.

In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il numero delle persone radunate era di circa centoventi – e disse: «Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue” (At 1,15-19).

Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore (Mt 27,3-10).

Dolce, ricca di pace, piena di perdono, stracolma di speranza è la morte di Stefano. Lui muore per amore del suo popolo. Lo vorrebbe tutto di Cristo Gesù. Nella pienezza della salvezza. Invece lo vede chiuso, ottenebrato, ostinato, prigioniero di una conoscenza di Dio che uccide Dio nel suo eterno dinamismo di amore e di verità, schiavo di una luce così tenue che avendo accecato i suoi occhi gli impedisce di vedere il sole divino della giustizia, della verità, della grazia, disceso sulla terra. Veramente Cristo è in Lui più che fuoco. Lui è più che un vulcano pieno di potentissima luce di verità cristica che deve esplodere. Lui la fa uscire tutta dal suo cuore e per questo viene lapidato. Ma lui sa che la sua vita è di Cristo e Cristo può servirsi di essa secondo la sua volontà. Lui è di Cristo e muore come Cristo, da vero figlio di Dio.

Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.

Oggi per gli uomini, e anche per i cristiani, tutte le morti sono uguali. Per Cristo Gesù non ogni morte è uguale ad un’altra morte. Per Lui c’è la morte del giusto e quella dell’empio, quella del santo e quella del peccatore, quella del martire e quella del confessore della fede, quella del tiepido nel suo amore e nella verità e quella di colui che è fervente e pieno di zelo per il Vangelo. C’è la morte del profeta e degli uccisori dei profeti e dei giusti. Ognuno è chiamato a preparare la sua morte. Muore la morte di Cristo chi sceglie Cristo e vive di Lui, in Lui, con Lui, per Lui. Gli altri moriranno ognuno la propria morte. Non possono però dire che muoiono la morte di Cristo Signore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci morire la morte di Gesù.

 

27 DICEMBRE (1Gv 1,1-4)

Quello che abbiamo veduto con i nostri occhi

Udire, vedere, toccare, contemplare: l’annunzio non è solo comunicazione di una verità astratta su Cristo Gesù. Esso è comunicazione di una vita impregnata di Lui. l’Apostolo Giovanni è il solo che ha appoggiato il capo sul cuore del suo Maestro. Ha toccato il suo cuore. Ha sentito il suo amore. Può dire al mondo che lui parla per contatto fisico.

Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota (Gv 13,21-26).

È il solo dei discepoli che è presso la croce di Gesù. Riceve il testamento del Maestro, ma anche vede il suo costato mentre viene trafitto e il sangue e l’acqua che sgorgano da esso. Vede Gesù come l’Agnello della Pasqua, come il Nuovo tempio di Dio.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,31-27).

Giovanni ha assistito a tutti i miracoli fatti da Gesù. Li scrive perché anche noi, insieme con lui possiamo credere che Gesù è il Figlio di Dio e così avere la vita nel suo nome.

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31).

Pietro è sulla stessa linea di Giovanni. Anche lui fonda la sua fede in Cristo non su un testo della Scrittura Antica, ma perché sul monte ha visto la gloria del Maestro.

Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio (1Pt 1,16-21).

Gesù mette in comunione con il Padre nello Spirito Santo. Giovanni comunica il vero Cristo al mondo perché ogni uomo sia in comunione con lui e di conseguenza con Gesù Signore. A Cristo Gesù si giunge attraverso la fede degli Apostoli.

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

È l’Apostolo la via visibile, storica, attraverso la quale si perviene alla fede in Cristo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci via di vera fede.

 

28 DICEMBRE (1Gv 1,5-2,2)

Siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità

Comprendiamo quanto San Giovanni dice sulla necessità di camminare nella luce per non essere trovati bugiardi dinanzi al mondo e alla storia, lasciandoci aiutare da San Paolo e in modo particolare dalla sua Lettera ai Galati e da quella ai Romani. In quella ai Galati lui distingue le opere della carne dai frutti dello spirito. Sono bugiardi e ingannatori di se stessi e del mondo quanti si dicono cristiani e camminano nella carne.

Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri (Gal 5,16-26).

Nella Lettera ai Romani ci rivela dettagliatamente quali sono le opere delle tenebre e che oscurano la luce di Gesù Signore. Chi è discepolo di Gesù non fa queste cose. Chi fa queste cose non è discepolo di Gesù, perché non cammina secondo lo Spirito.

Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa (Rm 1,24-32).

Per l’Apostolo Giovanni Cristo è Luce, è la Luce Eterna Incarnata. Chi è cristiano diviene anche lui luce in Cristo, non può camminare nelle tenebre. Se cammina nelle tenebre inganna se stesso, mentisce al mondo, ad ogni uomo. Non si tratta di fare qualcosa, ma di essere luce. La luce dona luce. Le tenebre donano tenebre.

Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Come le tenebre non possono dare luce, così la luce non può dare tenebre. La morale per il cristiano non è una legge, è la sua luce che espande e diffonde luce. Cristo non è un moralista come tutti coloro che indicano vie di bene agli uomini. Lui è il Creatore. È Colui che in Lui ci crea come luce, cambiando la nostra natura di tenebre in luce. Per questa ragione non si può essere tenebre mentre si è luce. Il cristiano è luce.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera luce in Cristo Gesù.

 

29 DICEMBRE (1Gv 2,3-11 )

Deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato

San Giovanni è l’Apostolo che nel suo Vangelo sostituisce, nell’Ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, con la Lavanda dei piedi. Quanto Gesù ha fatto in quella notte deve essere vero stile di vita di ogni suo discepolo. Gesù ha lavato i piedi e anche gli apostoli dovranno lavarsi piedi gli uni gli altri. Gesù è morto per loro ed anche loro dovranno morire l’uno per l’altro. Gesù ha lavato il peccato del mondo con il suo sangue e anche i discepoli dovranno lavare i peccati con il loro sangue unito al suo. Gesù ha versato lo Spirito Santo dal suo costato squarciato e anche loro dovranno dal loro cuore squarciato dall’amore versare sul mondo lo Spirito Santo.

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Cfr. Gv 13,1-35).

È questa l’Eucaristia che ogni discepolo di Gesù deve celebrare attimo per attimo: farsi purissima carità verso ogni uomo. Dal suo farsi carità, nascerà la fede in molti cuori. Se Cristo si è fatto carità dalla croce, vi potrà mai essere un solo suo discepolo che non si faccia carità dalla croce? Se non si fa carità, inganna se stesso. L’amore di Cristo non è in lui. Se il cristiano odia non è cristiano. Se non muore per l’altro non è discepolo di Cristo. Si è discepoli di Cristo nel dono della vita. Così Cristo Gesù ha amato, così anche ogni suo discepolo dovrà amare. Non dalle verità che professiamo che il mondo ci riconoscerà discepoli del Crocifisso, se siamo crocifissi sulla croce dell’amore come Lui. Cristo è verità che ci fa verità e la sua verità è purissimo amore. È nella sua luce chi ama, è nelle tenebre chi odia e compie ogni altra sorta di male.

Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato. Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio. Il comandamento antico è la Parola che avete udito. Eppure vi scrivo un comandamento nuovo, e ciò è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera. Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. Scrivo a voi, figlioli, perché vi sono stati perdonati i peccati in virtù del suo nome.

L’Apostolo Giovanni dona una regola infallibile per sapere in ogni momento se siamo discepoli di Gesù, figli della luce, è discepoli di Satana, figli delle tenebre. Basta che ci osserviamo in ogni nostra relazione con i fratelli. Se amiamo come Lui ogni uomo siamo suoi discepoli. Se odiamo o commettiamo il male ai fratelli non siamo suoi discepoli. Non amiamo come Lui. Come Lui non diamo la vita. Come Lui non ci lasciamo inchiodare sulla croce dell’amore. Come Lui non ci chiniamo dinanzi all’uomo per ricolmarlo di tutto il suo amore versato nei nostri cuori. Non siamo alberi di luce, ma di tenebre. Ora il discepolo di Gesù è solo albero di luce, verità, amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri discepoli di Gesù.

 

30 DICEMBRE (Sir 3,2-6.12-14)

Chi onora il padre espia i peccati

L’onore verso i genitori è parte integrante, essenza dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo. Un figlio di Israele che disonora il padre e la madre si pone fuori non da una legge semplicemente morale, di giustizia, ma esce dall’alleanza con il suo Signore. Tradisce il patto sigillato con il sangue. Offende gravissimamente il suo Dio. L’amore verso i genitori non è un semplice dovere di giustizia. Esso è vero obbligo contratto presso il Signore. L’alleanza non è tra i genitori e i figli, ma tra i figli di Israele e il loro Dio. Questo particolare spesso lo si dimentica e si pensa che tutto si risolva in un rapporto o relazione tra uomini. Nulla è relazione tra uomini. Tutto invece è relazione con Dio.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà (Es 20,12).

Messo in luce questo dettaglio che ci rivela che l’amore verso il padre e la madre è un obbligo contratto presso Dio ed è per sempre. Il Libro sia del Siracide che dei Proverbi come anche quello di Tobia si prodigano in ogni modo non solo ad insegnare il Quarto Comandamento della Legge in ogni suo aspetto, lo rendono anche amabile a motivo di tutti i benefici che da esso derivano. Già il testo del Decalogo dice saranno lunghi sulla terra i giorni di chi onora il padre e la madre. Chi ama il padre e la madre: accumula tesori, avrà domani gioia dai propri figli, la sua preghiera sarà sempre esaudita, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la sua casa. Sapere tutti questi benefici che fruttifica l’onore per i genitori, deve necessariamente spingere tutti a gareggiare nell’amore, per avere benefici più grandi degli altri. Ascoltando tutte queste buone promesse, si deve solo gareggiare nell’amore. Lo zelo dovrebbe essere centuplicato.

Purtroppo la nostra società atea e scristianizzata è totalmente fuori di questa visione di fede. Già fin dalla più tenera infanzia, si brama essere liberi, autonomi, indipendenti. Non si vuole avere nessuna relazione di ascolto e di obbedienza. Si desidera vivere da se stessi, incamminandosi verso esperienze che uccidono o deturpano per sempre la vita. Onorare il padre e la madre è anche ascoltare i loro insegnamenti di sapienza e di saggezza, perché loro sono voce del Signore nella famiglia. Ma per questo occorrerebbe una visione di purissima fede, che purtroppo manca. Senza fede mai vi potrà essere morale. Senza morale non c’è vita. Onorare il padre e la madre produce una ricchezza così grande impossibile da trovare con altre vie e per altri mezzi.

Il Signore infatti ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati, chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

È evidente che ogni Parola di Dio mai potrà essere vissuta senza una forte crescita quotidiana nella fede. Più si cresce nella fede, più si vede la grazia, la misericordia, la benedizione contenuta nella Parola, più aumenta l’amore per una obbedienza perfetta. La fede genera l’amore, l’amore produce obbedienza, l’obbedienza a Dio ci spinge a vivere ogni sua Parola come se fosse la nostra stessa volontà o il nostro desiderio. Oggi si lavora poco sulla fede. Si vuole una morale puramente antropologica, sociale. Questa morale mai potrà sorreggere l’uomo. È una morale senza alcun fondamento soprannaturale. È una norma immanente allo stesso uomo. Ma se l’uomo già per immanenza è peccato, trasgressione, natura corrotta, si potrà mai pensare che possa osservare una norma della sua stessa natura? La fede non solo ci eleva fino all’autore della norma che è il Signore, ci dice anche che in Cristo il Signore ci crea nuovi, per il suo Santo Spirito e noi da essere spirituali possiamo osservare la sua volontà. Legge divina per esseri divinizzati, legge spirituale per persone spiritualizzate. È verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci esseri nuovi in Cristo.

 

31 DICEMBRE (1Gv 2,18-21)

Da questo conosciamo che è l’ultima ora

La Chiesa delle origini, nelle primissime ore della sua storia, pensava che il giorno della Parusia fosse imminente. Gesù sarebbe venuto presto per giudicare il mondo.

È proprio della giustizia di Dio ricambiare con afflizioni coloro che vi affliggono e a voi, che siete afflitti, dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Essi saranno castigati con una rovina eterna, lontano dal volto del Signore e dalla sua gloriosa potenza. In quel giorno, egli verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile da tutti quelli che avranno creduto, perché è stata accolta la nostra testimonianza in mezzo a voi (2Ts 1,3-10).

La venuta di Gesù sarebbe stata annunziata da un’altra venuta: quella dell’anticristo. Si comprenderà bene che la profezia di Dio, e tutta la rivelazione è profezia, non si potrà mai leggere secondo il cuore dell’uomo, ma solo nello Spirito Santo. I segni della venuta del nemico di Cristo Gesù sono incomprensibili per qualsiasi mente umana.

Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità (2Ts 2,1-12).

San Pietro supera il pensiero sull’imminente fine del mondo. Apre ad una visione di purissima fede. Il Signore tarda la sua venuta perché attende che l’uomo si converta. Non viene per magnanimità, amore, grande desiderio di salvezza per l’umanità.

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta. Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia. La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza (2Pt 3,8-16).

L’Apostolo Giovanni vede nella defezione di molti cristiani il segno che l’anticristo è venuto e per questo parla di ultima ora. Il cristiano per lui è chi rimane sempre cristiani, lasciandosi muovere e guidare dallo Spirito di Dio. Il vero cristiano mai si dimetterà.

Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità.

Quando un cristiano si dimette da Cristo, diviene un anticristo, si fa uomo di tenebra. Mai potrà lavorare per Lui, lavorerà contro di Lui. La sua vita non è più luce divina.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di luce perenne.

CONCLUSIONE

Tutta la morale biblica è di trascendenza. Essa non è mai relazione uomo-donna, uomo-uomo, donna-donna, genitori-figli, figli-genitori, umanità-creato, tempo-eternità. La morale biblica non conosce alcuna immanenza, mai la potrà conoscere. Morale è tutta e sempre trascendenza perché prima ancora che io mi metta in relazione con qualsiasi altro essere creato, vi è una relazione fondamentale che governa ogni cosa. Questa relazione ha un solo nome: Dio, il Creatore, il Signore. È Lui che dice il mio essere creandolo ed è Lui che dice le modalità di esso, mostrandomele.

Leggiamo le primissime modalità indicate da Dio, prima che l’uomo distruggesse se stesso e dopo che si è distrutto, e sapremo che mai potrà esistere una morale di puro immanentismo. Essa è sempre, prima e dopo il peccato, morale di sola trascendenza.

Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno (Gen 1,26-31).

Come è evidente dal testo sacro, è Dio che crea l’uomo a sua immagine. È Lui che lo crea maschio e femmina. È Lui che li benedice perché siano fecondi. È Lui che dona il comando di riempire la terra e di soggiogarla. È Lui che ordina di dominare sui pesci del mare e sugli uccelli dell’aria e su ogni essere che striscia sulla terra. Infine è anche Lui che stabilisce quale dovrà essere il cibo di cui nutrirsi. Non vi è alcuna morale di immanenza. Ogni agire dell’uomo e della donna è determinato dal Signore, dal Creatore, dal Dio che ha fatto l’uomo. Essere ed agire, vita e sue modalità vengono dall’Alto. Mai esse potranno venire dal basso, dal cuore dell’uomo, dalla terra.

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando.

Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate.

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».

E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta».

Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna (Gen 2,1-25).

Dio crea l’uomo, lo costituisce signore della terra. Lo pone sopra ogni altro essere da lui creato. Lo colloca in un giardino di vita. Gli dona però un ordine ben preciso: se vuole rimanere in vita, deve astenersi dal mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Se non obbedirà a questo comando divino, sarà prigioniero della morte. Non vi sarà più vita per lui. “Se ne mangi, muori”. Se ne mangi, rimarrai per sempre nella morte. Non c’è alcuna possibilità che tu possa rimanere in vita.

Dio vede l’uomo che è ontologicamente solo. Da lui, dal suo essere, gli crea un aiuto a lui simile, corrispondente. Forma la donna e gliela dona all’uomo come sua vera vita. Nella donna l’uomo diviene se stesso, diviene uomo che dona la vita. Dalla sua vita Dio ha tratto la vita che è fuori di lui perché con essa e per essa manifestasse tutta la potenza della vita che è in lui. È come se la donna fosse la vita esteriore e della vita interiore che Dio ha posto nell’uomo. La donna pertanto è la sua stessa vita.

È come se Dio nell’uomo avesse voluto “creare” il suo stesso mistero. Dal Padre è stato generato il Figlio che è la sua vita. È la vita che è in Lui, ma che è di fronte a Lui. È la vita di fronte a Lui nella quale Lui sempre vive. Questo mistero trinitario, divino, eterno, Dio va voluto che fosse anche vivente ed operante nell’uomo, dal quale trae per creazione, non per generazione la donna, e la consegna all’uomo, perché l’uomo veda la sua vita fuori di lui, compia in lei la sua vita. La donna diviene così colei che dona vita all’uomo dal quale ha ricevuto la vita. Questo mistero è semplicemente divino, difficile penetrare con lo sguardo in esso. Solo la luce dello Spirito Santo ci può aiutare in qualche modo. L’uomo deve però chiedere allo Spirito del Signore che lo aiuti. La donna è vita dalla vita dell’uomo, è vita che dona la vita all’uomo, è vita che fa sì che l’uomo sia vita. Così come avviene tra il Padre e il Figlio nell’eternità beata.

Ma nella creazione di Dio entra un terzo soggetto oscuro, invidioso, superbo, nemico dell’uomo, perché nemico di Dio. Questo soggetto in un primo tempo è definito il serpente. Noi sappiamo che il suo nome è Satana, Diavolo, Demonio.

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».

Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».

Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà».

All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!».

L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì.

Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita (Gen 3,1-24).

Dalla moralità di trascendenza si passa all’immoralità di immanenza. La moralità di trascendenza è una sola. Vivere secondo la verità della natura dataci da Dio, ascoltando senza alcuna interruzione la sua voce. Quando l’uomo non ascolta la voce del suo Dio, si incammina in un processo di morte irreversibile.

Dall’immoralità di immanenza mai potrà tornare alla moralità della trascendenza senza l’aiuto del suo Signore. Ed è quanto il Signore promette al serpente, quando viene per dargli la giusta punizione a causa dell’inganno compiuto ai danni della donna e dell’uomo. “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la sua stirpe e la tua stirpe. Questa ti schiaccerà il capo e tu la insidierai al calcagno”.

Che l’uomo sia entrato nella morte lo attesta il testo sacro attraverso molteplici segni: l’uomo e la donna provano vergogna, si nascondono dal Signore, non si riconoscono più come vita l’uno dell’altra, tutto diviene una fatica, anche il dono della vita, la terra non produce più i suoi frutti. L’uomo deve estrarli versando su di essa il suo sudore.

L’immoralità di immanenza si manifesta subito con Caino. Per invidia lui uccide il fratello. Perde la pace. Con lui inizia la diffusione e la moltiplicazione dell’immoralità.

Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.

Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».

Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.

Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoc, dal nome del figlio. A Enoc nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl e Metusaèl generò Lamec. Lamec si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Silla. Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Silla a sua volta partorì Tubal-Kain, il fabbro, padre di quanti lavorano il bronzo e il ferro. La sorella di Tubal-Kain fu Naamà.

Lamec disse alle mogli: «Ada e Silla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette».

Adamo di nuovo conobbe sua moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. «Perché – disse – Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso».

Anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. A quel tempo si cominciò a invocare il nome del Signore (Gen 4,1-26).

Anche con Caino il Signore viene per manifestargli la vera moralità di trascendenza. Lui è chiamato a dominare la sua concupiscenza, bramosia, invidia. A lui il Signore chiede di non credere nella vendetta. Chi crede nella vendetta prima o poi la userà come strumento ordinario per farsi giustizia da sé. Caino deve essere lasciato in vita. Solo il Signore è il giudice dell’uomo.

La storia è fatta di questi puntuali interventi di Dio tutti finalizzati a mostrare all’uomo quale è la sua verità, che è sempre duplice: verità verso il suo Signore, verità verso ogni creatura, nessuna esclusa. Tutto e sempre è dalla divina verità. L’uomo sarà perfettamente, veramente uomo, quando vivrà ad immagine del suo Signore, quando trasformerà la verità della sua natura in vita.

Quando il Signore volle stringere un’alleanza di vita con il suo popolo, il patto fu sancito sulle Dieci Parole, o Decalogo, che è la legge fondamentale, iniziale, primaria che definisce le due verità: quella verso Dio e quella verso l’uomo.

Senza questa Legge primaria, iniziale, mai vi potrà essere vita della persona e mai vita del popolo. Quando Dio non è Dio per l’uomo, neanche l’uomo è uomo per l’uomo e neanche le cose. Tutto si vivrà nella più grande confusione.

Dio pronunciò tutte queste parole:

«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:

Non avrai altri dèi di fronte a me.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.

Non ucciderai.

Non commetterai adulterio.

Non ruberai.

Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!». Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio.

Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non farete dèi d’argento e dèi d’oro accanto a me: non ne farete per voi! Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. Se tu farai per me un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché, usando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità” (Es 20,1-26).

Qual è il principio primo, fondamentale, essenziale del Decalogo? Esso è questo: Io sono il Signore che ti ha liberato dalla schiavitù d’Egitto. Poiché io ti ho liberato tu sei mio. Mi appartieni per riscatto, per legge di liberazione. Poiché sei mio, poiché io sono la tua vita, se vuoi essere sempre mio, da me sempre liberato, da me sempre conservato in vita, devi camminare nella mia volontà.

Qual è la volontà di Dio? Che l’uomo rispetti le due verità: verità verso Dio e verità verso l’uomo. La verità verso Dio esige che l’uomo non riconosca nessun’altra parola come sua legge. Non vi sono altri dèi che possano salvarlo, liberarlo, mantenerlo in vita. La verità verso l’uomo esige che ogni relazione tra uomo e uomo sia vissuta dalla volontà di Dio, dalla verità di Dio, mai dall’uomo.

Questa verità verso Dio esige anche che ogni rapporto dell’uomo con le cose sia un rapporto, una relazione secondo la volontà di Dio.

Quando ogni relazione si vive dalla verità di Dio, manifestata, rivelata, comunicata, abbiamo la morale di trascendenza, che nell’obbedienza è sempre morale di vita. Quando invece l’uomo vive dal suo cuore, dai suoi sentimenti, dalla sua bramosia e concupiscenza abbiamo una morale di immanenza che è sempre immoralità di morte.

Ma il Signore fa un altro passaggio con i profeti. Dio non è il Dio che ha liberato Israele dall’Egitto e quindi gli appartiene come popolo redento, conquistato, liberato. Dio è il Creatore unico del cielo e della terra. È il solo Signore. È la sola verità dell’uomo e delle cose. Per cui il Comandamento della Legge antica o il Decalogo dovrà essere così modificato: “Io sono il Signore che ti ha creato, non avrai altro Dio all’infuori che me”. Poiché il Signore è il Dio che ha creato ogni uomo, questo comandamento vale per ogni uomo e non solo per Israele.

Poiché l’uomo creato da Dio deve essere però ricomposto, rinnovato, ricreato, e poiché colui che lo può ricomporre è solo uno, il primo comandamento non può essere se non questo: “Io sono il Signore che ti ricompone, non avrai altri ricreatori, rinnovatori, redentori, salvatori dinanzi a me”. Io sono il solo, l’unico. Altri non ne esistono.

Cosa è allora la Prima Lettura di ogni Santa Messa? È la presentazione del cammino di Dio nella storia dell’umanità che ci rivela sia la condizione storica dell’uomo sia l’opera profusa dal Signore per illuminarlo con la pienezza della sua verità.

Anche la Prima Lettura del Nuovo Testamento è questo cammino di verità in verità, di sapienza in sapienza. Da un lato vi è l’uomo che sempre viene attratto verso la falsità, dall’altro vi è la Chiesa, con i suoi Apostoli e Ministri della Parola che vogliono portare l’uomo nella pienezza della luce del suo Signore e Dio che è Cristo Gesù.

Gli Apostoli e gli Agiografi (Luca per gli Atti e l’Autore della Lettera agli Ebrei), svolgono quest’opera di infinita pazienza per la conduzione dell’uomo nella verità e per il suo permanere in essa. Passare dal Vangelo di Dio ad un altro Vangelo è sempre possibile. Ma anche c’è un mondo sempre da evangelizzare. Il Vangelo è sempre da annunziare, sempre da ricordare, sempre da dire.

Sempre all’uomo Cristo deve essere annunziato, predicato, detto. Un giorno senza il dono di Cristo e le tenebre nuovamente ritornano nel cuore dell’uomo. Sia il Nuovo Testamento che l’Antico ci rivelano questo infinito ed universale combattimento delle tenebre contro la luce. Ciò che la luce strappa alle tenebre, le tenebre sempre lo vogliono riconquistare. Possiamo riassumere questo combattimento che è iniziato nel Giardino dell’Eden con una rivelazione che ci dona Gesù Signore.

Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. E, venuto, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione malvagia» (Mt 12,43-45).

Il ministro della Parola, durante la celebrazione della Santa Messa, è Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Giuda, che partendo da ciò che le tenebre hanno oscurato di Cristo nella comunità, cercano con la loro Parola di strapparlo al principe di questo mondo e ridarlo nuovamente al suo Signore, al suo Redentore, al suo Salvatore.

Il ministro della Parola deve sapere che non appena lui sarà riuscito ad illuminare qualche cuore, subito verranno sette spiriti ancora peggiori per riconquistarlo e ricondurlo nelle tenebre di prima. Questo combattimento durerà fino all’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. Il ministro lavora per il cielo. Il principe delle tenebre e i suoi satelliti lavorano per l’inferno. Un ministro della Parola che diviene ministro delle tenebre e satellite di Satana compie un’opera infernale perfetta.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, che sei sempre stata Vergine per il tuo Dio, cioè mai toccata dal male nell’anima e nello spirito, dal corpo consegnato a Dio per un uso secondo la sua volontà, aiutaci a lavorare per liberare ogni anima dalle tenebre per condurla nella vita eterna e nella gioia del Paradiso.

Angeli, Santi, non ci lasciate soli in questa opera di salvezza. Senza il dono di Cristo e della sua verità non ci sarà mai alcuna salvezza. La via che conduce al cielo si svuota. Quella che porta all’inferno si riempie. Non permettete che questo accada.

Mons. Costantino Di Bruno