Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha

Giovanni il Battista è saggio, perché mosso dallo Spirito del Signore. Dall’intelligenza di Dio indica ad ogni uomo la via della vera e reale conversione. Tu, folla, mi chiedi cosa fare per attestare la tua conversione? Inizia dalla carità, dall’amore, dalla misericordia reale, concreta, materiale. Uno di voi ha due tuniche? Ne dia una a chi non ne ha. Uno di voi ha di che mangiare? Condivida il suo cibo con chi ne è privo. È la misericordia spicciola, povera, fatta di piccole attenzioni verso il prossimo bisognoso che attesta la nostra reale conversione.

Se non viviamo questa carità piccola, povera, spicciola, concreta, la nostra conversione è solo di facciata. Siamo anche noi “razza di vipere, che pensiamo di sfuggire all’ira imminente, non facendo frutti degni della conversione”. La conversione prima che alla verità è alla carità ed è alla verità se è alla carità. Dove non vi è conversione alla carità, mai si potrà dire di essere convertiti alla verità. La verità di Cristo è la sua carità che si fa olocausto di amore sull’altare della croce. Chi vuole vedere la verità di Dio sempre deve tenere fisso lo sguardo sul Crocifisso.

Mai la carità dovrà essere esclusa dal cammino della conversione. La misericordia è il sigillo più puro, più vero che ne attesta la verità. Anche Gesù, nel giudizio finale, non ci chiederà quale mistero di Dio abbiamo approfondito. Se abbiamo letto la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino o se abbiamo meditato per intero la Sacra Scrittura. Ci dirà una sola cosa: “Avete avuto misericordia. Non avete avuto misericordia. Mi avete assistito. Non mi avete assistito”. Le scuse non salvano. Salva solo la misericordia spicciola, piccola povera.

Ma vi è un’altra carità, un’altra opera di misericordia che nessuno mai considera o mette in luce. È quella che Giovanni il Battista indica come via da seguire ai pubblicani: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. È la misericordia della giusta tassazione. Sono responsabili di questa misericordia tutti coloro che gestiscono la cosa pubblica. Ogni tassa ingiusta è un furto. Non solo è privazione del sangue di chi lavora. A volte è anche uccisione di chi è obbligato a pagare tasse esose, a motivo dei vizi, della corruzione, della cattiva gestione del denaro pubblico, di quella cattiva mentalità che considera la cosa pubblica come propria.

Sappia ogni responsabile dell’amministrazione dello Stato, a qualsiasi livello o grado, che domani dovrà rendere conto anche di un solo centesimo sperperato, usato in modo inadeguato, scialacquato, anche per omessa vigilanza o per conferimento di fiducia ai suoi subalterni. La giustizia non si fa per leggi umane, ma per legge divina. La legge umana è una vera miniera di ingiustizia. Dio non ci giudicherà secondo queste leggi, ma secondo la sua. Per ogni vizio dello Stato e della sua corrotta amministrazione ognuno dovrà rendere conto oggi e nel giorno del giudizio eterno, appena si lascia questo mondo e si entra nell’eternità.

Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,7-14).

Terza via per attestare la propria conversione è quella suggerita ai soldati: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. Questa misericordia esige due virtù speciali: il pieno governo di sé e la temperanza. Con il pieno governo di sé, ci si attiene sempre alla legge della guerra. Mai questa legge dovrà essere usata con le persone civili, mai verso di esse si dovrà compiere un solo atto di ingiustizia, prepotenza, arroganza. Dal momento che un soldato nemico depone le armi, entra nella legge della pace e non più della guerra. Tutto ciò che gli viene fatto di male è ingiustizia, assenza di misericordia.

Con la temperanza ci si serve delle cose per quello che esse sono necessarie alla nostra vita. Di ogni altra cosa si può fare a meno. Possiamo accontentarci della nostra paga. Se invece siamo consumati dall’intemperanza e dal vizio, la paga non è mai sufficiente. Dov’è l’ingiustizia? Ogni soldo in più che si chiede diviene una tassazione in più, una vessazione in più verso miseri e deboli. A volte una sola nostra richiesta innesca un processo infinito di ingiustizia. Attestiamo la nostra non conversione e la nostra non misericordia. Dovremmo riflettere.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a vivere questa carità semplice.