Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri
27 AGOSTO (Mt 25,14-30)
Nella parabola dei talenti, Gesù ci rivela che la vita dell’uomo, che è già dono di Dio, viene dal Signore ricolmata di molteplici altri doni, tutti da portare a fruttificazione. Il nostro Creatore vuole che noi tutti siamo strumenti della sua grazia, verità, luce, misericordia, giustizia, pietà, compassione. È come se Dio si fosse messo nelle nostre mani perché noi manifestiamo, riveliamo di Lui tutta la ricchezza e la potenza del suo amore che salva, redime, arricchisce l’intera creazione e non solo l’umanità.
Urge prendere coscienza che Dio vuole amare, salvare, redimere l’uomo attraverso l’uomo. Cristo Gesù è il modello di ogni vera fruttificazione. Sul Golgota Lui è visibilmente vero albero di vita, perché fatto con il legno della croce una cosa sola. La croce è il legno secco, infruttuoso della nostra umanità. Lui si è innestato alla croce, a questa vecchia radice quasi secca, per darle tutta la vitalità divina e umana che è in Lui. Anche noi dobbiamo innestarci sul legno ormai senza vita dell’umanità, per dare in Lui, con Lui, per Lui, nuova energia di vita, nuova linfa di speranza.
Vi è un uomo, che pur essendo stato costituito dal suo Signore, Creatore, Dio, linfa di vera vita per l’umanità esausta, arsa dal vento del peccato e consumata dalla morte, si rifiuta di essere vita. Lui è cosciente di questa sua omissione. Conserva nella terra il talento ricevuto in modo da donarlo intatto così come gli è stato messo nelle mani. Non lo mette a frutto perché non vuole rischiare. Ma la vita dell’uomo è tutta un rischio. Se però si vive nell’obbedienza al Signore, sempre Lui ci dona quella sapienza quotidiana perché il nostro rischio necessario, anzi indispensabile, fruttifichi bene. Se invece la si vive nella stoltezza, cioè senza il Signore e fuori di ogni obbedienza, il rischio mai potrà essere illuminato dalla divina sapienza. Abbiamo deciso di non ascoltare il Signore.
Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Quando verrà il giorno del rendimento dei conti, Dio ci chiederà ragione della nostra amministrazione. Presso di Lui non vi sono scuse. Lui non solo dona il talento, vi aggiunge anche ogni sapienza e intelligenza perché il rischio produca molto frutto. Il dono di Dio va sempre messo a rischio con ogni altro dono di Dio. Quest’uomo invece non ha Dio come suo dono di vita. In fondo è senza Dio, vive da se stesso e per se stesso. La sua è una vita chiusa nella sua intelligenza. L’intelligenza dell’uomo, non illuminata dalla saggezza divina, è più che fitta tenebra. Infatti avendo questo vissuto nelle tenebre della sua intelligenza viene scaraventato nelle tenebre eterne.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sapienti nel nostro Dio.