Intervento di S.E. Mons. Mauro Piacenza al terzo convegno
S.Ecc.Rev.ma Mons. MAURO PIACENZA
Arcivescovo titolare di Vittoriana
Segretario della Congregazione per il Clero
L’UNICA FEDE E CARITÀ DELLA CHIESA
CI FA SERVI DELLA VERA SPERANZA
Eccellenza,
Cari Fratelli nel Sacerdozio,
Stimati convenuti tutti,
sono lieto di poter intervenire a questo Convegno Nazionale del Movimento Apostolico, con un contributo sulla “speranza cristiana”, la quale è intessuta di Fede e di Carità, nella triade delle virtù teologali, che la Sacra Scrittura e la Tradizione ci hanno consegnato.
Lo stesso Magistero del Santo Padre Benedetto XVI si è orientato, nelle prime due Encicliche, esattamente in questa direzione: partendo dalla “Deus caritas est” e giungendo alla “Spe salvi”, in un ideale itinerario che conduce l’intera Chiesa di Cristo alla riscoperta limpida delle propne fondamenta, basandosi imprescindibilmente sull’unica insostituibile “pietra angolare” (Cf. Sal 118,22-23), che è Cristo Signore.
I due testi pontifici costituiranno, pertanto, l’ossatura e lo “sfondo teologico” di questo contributo, nel quale mi prefiggo, tuttavia, di porre lo sguardo anche sulla . situazione culturale ed ecclesiale contemporanea, per scorgervi luci ed ombre ed individuare possibili percorsi.
1. Sguardo filosofico ed analisi storica
Se guardiamo con realismo . alla situazione culturale, sociale, politica ed economica del nostro tempo, scorgiamo immediatamente come, quell’ ottimismo, carico di speranza, tipico del secolo passato, risulti praticamente dissolto. Esso, in realtà, era eco remota di un certo positivismo filosofico-scientista di matrice ottocentesca, ed eco prossima dell’ entusiasmo dell’umanità, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, per lo “scampato pericolo”. Il grande sviluppo economico dell’Occidente e l’inimmaginabile progresso tecnologico dei decenni seguenti, hanno favorito e sostenuto, pur nelle difficoltà legate alla divisione del mondo in due “aree geo-politiche”, la crescita di una speranza tutta umana, troppo spesso dimentica di Dio e, per. conseguenza, destinata ad infrangersi contro l’esperienza del limite.
Se dal punto di vista strettamente filosofico, nessun serio pensatore sostiene, ormai, il mito positivistico del progresso, dobbiamo dolorosamente constatare come, a quel mito, si sia, di fatto, sostituito un “pensiero debole”, rinunciatario di fronte alle questioni fondamentali dell’ esistenza ed incapace dì dare all’uomo quelle risposte che il suo cuore e la sua intelligenza desiderano ed anelano, come irrinunciabili traguardi di un vivere che sia autenticamente umano. La traduzione, più immediatamente visibile, di una tale impostazione di “pensiero debole” è costituita da quell’assenza di certezze, e per conseguenza di speranza, che prende il nome di relativismo. Come coraggiosamente denunciato dall’allora Card. Ratzinger, nell’Omelia della Santa Messa pro eligendo Romano Pontifice: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. 1
Affermava, ancora, l’eligendo Pontefice, in quell’occasione: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero … La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al ,libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’ agnosticismo al sincretismo e così via”.2
“La piccola barca del pensiero di molti cristiani … ”
Quanta verità ed amarezza in una costatazione di tal genere!
Se è “fisiologico”, quasi scontato, che il mondo si opponga, con tutte le proprie forze, a Cristo ed alla Sua Chiesa, suscita, invece, particolare amarezza e sconcerto il vedere come, perfino tra i cristiani, non manchino coloro che si lasciano “trasportare da ogni vento di dottrina” (Cf. Ef 4,14), con tutte le conseguenze, personali e comunitarie, di un tale atteggiamento.
È come se, inspiegabilmente, si fossero lasciati travolgere da quel “prurito di udire qualcosa” di paolina memoria. Afferma l’Apostolo delle genti, nella Seconda Lettera a Timoteo: “Verrà un tempo, infatti, in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, si. circonderanno di maestri, secondo le proprie voglie e storneranno l’udito dalla verità, per volgersi alle favole” (2Tim 4, 3-4).
Quali conseguenze ha creato, e crea tutt’oggi, un tale atteggiamento!
Soprattutto e specialmente in ordine al vero bene del popolo santo di Dio!
Talvolta, in ambito teologico, non si è più in grado di distinguere adeguatamente tra le opinioni del singolo studioso e la dottrina rivelata da Dio stesso; il Sacro Magistero è ridotto a “mera opinione teologica”, equivalente, o addirittura inferiore, alle altre; si è giunti perfino a non distinguere chiaramente tra ciò che appartiene al patrimonio di fede cattolica, e quanto, invece, è proprio di altre confessioni cristiane o, addirittura, di altre tradizioni religiose, anche non rivelate!
“Per il prurito di udire qualcosa”, spesso, in ambito esegetico, si è completamente trascurato sia il valore storico del testo, sia il primo ed essenziale livello letterario, imprescindibile per un’autentica comprensione del dato rivelato nelle Sacre Scritture. In tal modo, si rischia di ridurre le Sacre Scritture a mito, a “testo spirituale”, senza un’ autentica portata realista. Il prezioso libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, corregge decisamente questa prospettiva, proponendo l’esegesi canonica, come criterio adeguato per la comprensione globale del dato rivelato.
Anche l’ambito della Sacra Liturgia non è esente dai “venti di dottrina” e dal “prurito di udire qualcosa”. La cosiddetta “creatività liturgica”, non disgiunta da un’errata comprensione di che cosa significhi davvero “actuosa participatio”, ha portato a celebrazioni a dir poco “soggettive”, nelle quali non è quasi riconoscibile il Canone della Santa Messa.
Al contrario nella più grande fedeltà ai riti, nella bellezza e dignità dei paramenti sacri, nel canto e nella musica, nel contegno e nel raccoglimento del Sacerdote è necessario poter percepire che la Liturgia è essenzialmente “adorazione”,
ed il vero protagonista di ogni azione autenticamente liturgica, e degna di questo nome, non è l’uomo, ma Gesù Cristo Signore.
Un tale “disorientamento”, non è solo liturgico, ma anche educativo, come se tutti i modelli potessero essere equivalenti, e disciplinare, come se le norme della Chiesa fossero irrilevanti e si potesse, senza grave danno per la salute dell’anima, disattenderle in modo stabile.
E’ necessario vedere con chiarezza i problemi e saper chiamare con il proprio nome ciascun fenomeno; questa è la premessa di ogni autentica azione e programmazione missionaria e il presupposto umano di ogni possibile efficacia.
Cari fratelli, viviamo m un momento storico non semplice. Il numero dei sacerdoti, in non pochi Paesi, diminuisce, come pure quello dei consacrati e degli stessi fedeli che abitualmente frequentano la Santa Messa domenicale. L’indice delle confessioni e del rispetto del precetto festivo è un’importante “ecografia del corpo ecclesiale”. Il resto sono parole!
La cultura dominante è profondamente anti-cristiana e non perde occasione per sferrare attacchi, d’inaudita violenza mediatica, alla Chiesa, soprattutto in quella componente particolarmente visibile che è il Clero, con l’intento, nemmeno troppo celato, di de-leggittimarne, agli occhi dell’opinione pubblica e, soprattutto, delle nuove generazioni che si affacciano alla fede, l’esistenza stessa.
Segno inequivocabile di un tale atteggiamento ostile è “l’assordante silenzio” che, generalmente,circonda tutte le persecuzioni anti-cristiane; è come se fosse “legittimo” perseguitare i cristiani; come se, dietro un così inspiegabile silenzio, ci fosse l’idea che “in fondo meritano. di morire perché hanno fatto del male nella storia” .
Quanta approssimazione, quanti luoghi comuni, quanti libri di testo, adottati nelle scuole, sostengono, nemmeno troppo silenziosamente, una tale posizione! Le persecuzioni e gli omicidi di cristiani avvenuti di recente in India, sono il segno del “silenzio complice” della cultura dominante. Immaginiamo solo che cosa sarebbe accaduto se fossero stati UCCISI degli appartenenti ad altre tradizioni culturali o religiose!
2. Cristo vera speranza
Se guardassimo attentamente le odierne circostanze, con occhi solo umani, potremmo essere tentati dallo scoramento e perfino dalla disperazione.
“Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo”. 3
Se la speranza è un atteggiamento umano universale, e, conseguentemente, senza speranza non è possibile vivere un’ esistenza autenticamente umana, per noi cristiani la speranza ha un nome: Gesù di Nazareth, Signore e Cristo.
In questo senso, è ricco di fecondi esiti il titolo che avete voluto dare a questo intervento, che si conclude con l’espressione: ” … servi della vera speranza”, cioè servi del Signore!
Per noi la speranza non è “sciocco ottimismo”, non è un’idea, un’illusione, una congettura umana, magari anche intelligente, derivante dalla constatazione degli elementi presenti. La speranza cristiana è una Persona, è l’incontro “con un avvenimento [ … ] che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. 4 Solo l’incontro autentico con Cristo Risorto, attraverso quello con i testimoni di Cristo e con la Chiesa che vive oggi nella storia, è garanzia di speranza per l’uomo di ogni tempo.
Scrive il Santo Padre nell’Enciclica Spe salvi: “L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. [ … ] Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà; il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere”. 5
E’ la speranza, infatti, che ha ‘raggiunto e raggiunge l’uomo! L’umanità è stata raggiunta da una speranza inimmaginabile, anche se profondamente anelata e .
desiderata: il Dio “nascosto nei secoli” si è manifestato a noi; “il mistero [ … ] nascosto ai secoli eterni e alle generazioni passate, ora è svelato ai suoi santi” (Cf. Col 1,26). Questa è la radice profonda ed insostituibile di ogni speranza cristiana
autentica!
La grande speranza è Cristo Signore, l’Infinito Mistero che si è fatto carne, si è reso – per così dire – accessibile a noi uomini.
3. Speranza e comunione
La speranza è particolarmente legata alla comunione, con Dio e con i fratelli.
Uno degli aspetti esistenzialmente più rilevanti, ed immediatamente percepibili, dell’ opera di Salvezza del Signore, è rappresentato dalla vittoria sul peccato, che si declina, anche, come vittoria sulla solitudine dell’uomo.
“Chi crede non è mai solo, né nella vita né nella morte”! 6 Dio si è fatto uomo anche per vincere definitivamente la solitudine nella quale l’uomo stesso, a causa del proprio peccato, si è auto-confinato.
L’esperienza della vera comunione alimenta, allora, la speranza e questa, a sua volta, nutre la comunione. Una comunione che non può, né deve mai, ridursi a mera alleanza, o addirittura “connivenza” di affinità psico-elettive.
Pur riconoscendo la radice storica e biblica del mistero della predilezione, proprio del Dio cristiano, la comunione che il Signore ha portato nel mondo, come esperienza della Sua salvezza, è più profonda, totalizzante e radicale, di qualunque esperienza umana, anche se necessariamente in essa si manifesta e documenta,
La comunione, come radice della speranza, è necessariamente comunione ecclesiale: quella coscienza di appartenere ad una storia, ad un popolo, a quella che il Papa Paolo VI, di venerata. memoria, chiamava: “un’etnia sui generis”, La consapevolezza di questa comunione, che vince la solitudine in modo definitivo ed apre alla speranza autentica, si documenta nella piena ed appassionata condivisione dei contenuti dottrinali della fede cattolica, nella coscienza di appartenere ad una Tradizione vivente, da custodire e trasmettere fedelmente, nell’esperienza dei Santi
che, nella storia, sono stati veri “fari di speranza”, unitamente a quell’anelito personale alla santità di vita, che un vero cristiano non può non provare.
Di fondamentale importanza è pure, come radice di ogni speranza, la comunione, direi anzi l’unità formidabile, reale, effettiva ed affettiva, in pensieri, parole ed opere, con il Sommo Pontefice. L’unità con il “bianco Padre” è il vero segreto della speranza e dell’ efficacia di ogni “movimento apostolico”!
Nel recente viaggio In Francia, a Parigi ed a Lourdes, del Santo Padre Benedetto XVI, i mass-media hanno tentato di dare alcune spiegazioni “plausibili”, per giustificare il grande concorso di popolo intorno alla persona del Papa. Qualche giornale ha scritto che i Francesi avevano bisogno di ascoltare un “grande teologo, un intellettuale del nostro tempo”, qualcun altro che sono rimasti affascinati dal dibattito sulla “nuova laicità”, tanto discussa in quel Paese; in realtà – ben lo sappiamo – questi non sono che aspetti assolutamente parziali, seppur presenti, nella comprensione del fenomeno che si è poderosamente verificato.
Il popolo, quello vero, autentico, non ferito e mortificato dagli intellettualismi riduzionistici della fede, vuole “vedere il Papa”, videre Petrum! E non in quanto teologo o intellettuale, ma proprio in quanto Vescovo di Roma, e pertanto Vicario di Cristo in terra Sua presenza Visibile a capo della Chiesa.
Una “unità formidabile” con il Papa si percepisce e documenta laddove appare con evidenza quell’unità e continuità storica, teologica, dottrinale ed esistenziale di tutto il Corpo ecclesiale.
Non ci sono “fratture” nel Corpo di Cristo, non c’è frattura nella storia della Chiesa, in nessuna epoca, nemmeno tra quello che viene definito da alcuni, in modo davvero infelice, il “pre” e “post” Concilio Vaticano Il.
La Chiesa è una, come una è la storia di Dio tra gli uomini di cui Essa è veicolo e presenza, senza soluzione di continuità 7.. La Chiesa è “sempre” la Chiesa di “sempre”; sempre antica e sempre nuova, perché sempre con le vele gonfie del soffio dello Spirito.
Da Gesù Cristo Signore, agli Apostoli, dai loro Successori, fino a noi oggi, qui riuniti per questo convegno, dobbiamo riconoscere che non c’è, né potrebbe esserci, alcuna frattura o discontinuità. Siamo una cosa sola, un corpo unico, e ciò è fonte di speranza e garanzia di fecondità missionaria.
Quest’unità e continuità, luogo ed ambito in cui vive e si alimenta la speranza, non disgiuntamente dalla fede e dalla carità, è il presupposto necessario di ogni azione apostolica e missionaria. Laddove non c’è una chiara consapevolezza di fede, dove quello con Cristo non è un “avvenimento che dà alla vita un nuovo orizzonte”, dove la comunione è infranta o indebolita, dove prevale il giudizio soggettivo, su quello del corpo ecclesiale, allora non potrà esserci autentico spirito missionario.
4. Speranza e missione
In questo senso, nella circolarità tra comunione e speranza, emerge con chiarezza come quest’ultima sia il vero “carburante per la missione”.
Se non avremo in noi la “grande speranza”, quella che supera e dilata ogni, anche legittima, speranza umana, se non avremo in noi l’unica “speranza adeguata al cuore dell’uomo”, il quale ha “una sete infinita di Infinito”, se non avremo in noi quel tesoro inestimabile, trovato il quale si vende ogni altra cosa (Cf. Mt 13,44), incuranti dei beni penultimi e con lo sguardo fisso all’Unico Vero Bene, che è Dio stesso, allora la nostra missionari età potrà essere solo un “bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (l Cor 13,1). Disboschiamo e andiamo all’Unico necessario!
La speranza ha una radice soprannaturale, che raggiunge le menti ed i cuori “degli uomini, laddove essi vivono, per un puro dono di Grazia: Dio, misteriosamente, si affida alla nostra libertà per raggiungere tutti i fratelli, in quell’anelito missionario che fiorisce nella giusta creatività ed operosità di chi ha incontrato il Signore e desidera che tutti partecipino di un tale incontro.
La missione è caratteristica costitutiva della stessa Chiesa, “La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre” (A. G. n.2).8
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, sull’ onda dell’ ininterrotta tradizione, è quanto mai esplicito, nell’affermare la missionarietà intrinseca della Chiesa. La Chiesa non esiste da sé e per se stessa: essa è il prolungamento nel tempo e nello spazio della presenza di Cristo e’ della sua missione salvifica. La missionarietà, dal punto di vista teologico, è compresa in ciascuna delle note della Chiesa ed è particolarmente rappresentata sia dalla cattolicità sia dall’ apostolicità.
L’essere “Movimento Apostolico” e vivere la speranza cristiana, significa concepirsi come partecipi di questa “missionari età” della Chiesa stessa.
Come adempiere fedelmente al compito dell’ essere apostoli, testimoni fedeli del Signore, annunciatori della Parola ed amministratori umili e certi della Grazia, se non attraverso la missione, intesa come vero e proprio fattore costitutivo dell’ essere Chiesa?
La missione, sempre, deve essere in comunione con i Vescovi, i quali sono in comunione con il Santo Padre; deve essere fondata dottrinalmente, per poter, di fronte a chiunque, “rendere ragione della speranza” che è in noi (Cf. 1Pt 3,15); la missione non può mai essere un “portare se stessi”, ma un offrire, in umile certezza, . quella speranza che ci è stata donata. Noi siamo solo veicoli, nella lieta esperienza,
che diviene certezza, che “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Proprio perché Siamo portatori di una speranza che non proviene da noi, possiamo trovare accoglienza nel cuore degli uomini del nostro tempo.
Le profezie infondate di chi, negli anni 70 vedeva il dissolvimento della religione, come elemento superato dalla razionalità e dal progresso, si sono infrante, e s’infrangono, contro la realtà che vede, invece, un crescente bisogno religioso, espresso dai nostri fratelli uomini. Tale bisogno, purtroppo, non sempre prende la giusta direzione, volgendosi non di- rado a chi non può realmente rispondervi. Nel contempo non sempre incontra cristiani “testimoni di speranza” , in grado di comunicare, anche attraverso un’accoglienza calorosa ed umanamente rilevante, la speranza incontrata.
Dobbiamo saper cogliere i veri “segni dei tempi” quelli che oggi ci indica lo Spirito: giovani che cercano maestri di preghiera e padri spirituali.. vocazioni che desiderano la radicalità evangelica, che comprendono molto bene la differenza tra il “pensare secondo Cristo” ed il “pensare secondo il mondo”. Sono questi i segni che oggi dobbiamo imparare a leggere. E dobbiamo rispondere adeguatamente! Com’è rischioso fermarsi ai “segni dei tempi” del passato, credendo, ad esempio, che la spinta alla secolarizzazione, che si è avuta nell’epoca immediatamente post-conciliare, e che il Concilio Vaticano II certamente non ha indicato, sia ancora una possibile strada. Seguire un tale pensiero sarebbe come gettarsi in braccio alla nemesi.
Noi non abbiamo speranza nelle strutture, le quali, tra l’altro, sono deboli sotto ogni profilo, e neppure semplicemente negli uomini, nelle loro doti ed energie. Quante delusioni se si confida nell’uomo!
Noi speriamo nella Provvidenza, speriamo nella Grazia, speriamo perché vogliamo tuffarci nella realtà della comunione dei Santi. In questa comunione si radica la missione; comunione che si alimenta quotidianamente con un profondo spirito di orazione, con un’autentica pietà eucaristica, che vede nella compagnia del Dio-con-noi, presente nell’Eucaristia, nell’adorazione e nel culto pubblico del Santissimo Sacramento, un suo momento privilegiato ed irrinunciabile.
Quante anime autenticamente cristiane si offrono ogni giorno a Dio, offrono i propri dolori, le proprie sofferenze, offrono se stesse come vittime, per la salvezza del mondo. L’offerta delle lacrime di tante madri cristiane, il Santo Rosario recitato da mani segnate dagli anni, con corone consumate dalla preghiera, l’umiliazione e la sofferenza accolta e portata, con straordinaria dignità evangelica, costituiscono un’ enorme ricchezza sommersa, nascosta, che non appare, ma che contribuisce in modo determinante al cammino della Chiesa.
Sono anche queste anime nascoste e preziosissime la ragione della nostra cristiana speranza!
Noi speriamo nella forza dei cristiani perseguitati nel mondo; perché ci sono, anche se troppo spesso non si ricordano! Ci sono!
5. Speranza e libertà
Carissimi amici, come ci ha ricordato il Santo Padre, nell’Enciclica Spe Salvi: “la situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che ad essa appartengono” ,9 per questo il cuore umano ha continuamente bisogno di essere educato; per questo ad ogni generazione è sempre di nuovo necessario annunciare la grande speranza che è Cristo, perché la libertà è sempre nuova, come nuovo è l’uomo, ferito dal peccato delle origini.
“Se questa libertà – continua il Papa -, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse [ … ] tolta [agli uomini], il mondo, in fin dei conti non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono. Così, pur essendo necessario un continuo impegno per il miglioramento del mondo, il mondo migliore di domani non può essere il contenuto proprio e sufficiente della nostra speranza”. 10
La speranza di un “mondo migliore”, che ha un suo fondamento umanamente . condivisibile e desiderabile, non può mai sostituire la “grande speranza” del Regno di Dio, il quale è già presente nel. mondo attraverso la Chiesa e che si compirà, nella Gloria, cioè in un modo da tutti riconoscibile, nell’ultimo giorno, al ritorno di Cristo.
Siate testimoni di questo Regno, di questa speranza! Siatelo con gioia e convinzione, con umiltà e fervore, con autentica pietà cristiana e generosità di servizio, in obbedienza ai Sacri Pastori e fedele ascolto quotidiano del magistero del Santo Padre.
La Chiesa vi guarda con occhi materni, riconoscendo sempre il bene e sempre attendendo frutti buoni da alberi buoni (Cf. Lc 6,43).
Si deve camminare avanti, e, come insegna san Paolo, “indossate l’armatura di Dio per resistere nel giorno malvagio e, dopo aver tutto predisposto, tenete saldamente il campo. State saldi, dunque, avendo già ai fianchi la cintura della verità, indosso la corazza della giustizia e calzati i piedi con la prontezza che dà il vangelo della pace; in ogni occasione imbracciando lo scudo della fede, col quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; 11 prendete l’ elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.” (Ef 5, 13-17).
La Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, e certamente di ogni movimento autenticamente apostolico, vi guidi e protegga tutti.
Nel recente pellegrinaggio a Lourdes, il Santo Padre Benedetto XVI, citando il sommo Poeta Dante Alighieri, ha definito Maria “di speranza fontana vivace!”
Sia questo il vostro orizzonte, la sorgente viva della speranza di ogni giorno, la dolcezza di ogni risveglio.
Andiamo anche noi incontro alla Grande speranza che è Cristo Signore, e andiamoci con Colei che è la Stella della nuova evangelizzazione, con Maria Santissima, “di speranza fontana vivace”!
1 Cf.: http://www.vatic~n.va/gpIIldocuments/homily-pro-eligendo-pontifice _ 20050418 _it.html 2 Ibidem. 3Ibidem. 4 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, n. 1. 5 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Spe salvi, n. 30.11 Dante, Par. XXXIII, 12. 6 J. RA TZINGER, Omelia, S. Messa esequiale del Sommo Pontefice Giovanni Paolo Il. 7 Cf. BENEDETTO XVI, discordo alla Curia Romana, 22 dicembre 2005. 8 Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Ad Gentes nn. 5.6.9.10; Lumen Gentium nn. 8.13.17.23; Christus Dominus n. 6 9 Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe Salvi, n. 30. 10 Ibidem. 11 Dante, Par. XXXIII, 12