Intervento di S.Em. Card. Angelo Scola al primo convegno
Intervento di S. Eminenza Card. ANGELO SCOLA, Patriarca di Venezia, alla terza giornata del primo Convegno Nazionale del Movimento Apostolico Sul tema: Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo: Spirito, Verità, Comunione, Testimonianza cristiana
Palasport “Gallo” – Loc. Corvo
Venerdì 12 maggio, ore 16.00
“Speranza del mondo”. Speranza è avventura,“ad ventura” a ciò che sta accadendo e ci colpisce e trascina con sé. Per sperare, ha detto il grande Felì, bisogna essere lieti e per essere lieti bisogna avere avuto un grande dono, questo dono l’abbiamo avuto in Cristo Gesù, vincitore del male e della morte attraverso la sua croce nella sua Risurrezione. Questo, come è stato detto molto bene, ci rende nonostante le nostre fragilità e il nostro peccato, testimoni luminosi della speranza. La Trinità ha scelto in Cristo Gesù i suoi figli, figli nel Figlio, costituendo nel Sacramento Marianamente assunto, la comunità della Chiesa, attraverso la quale Gesù viene in ogni circostanza, in ogni rapporto, all’incontro del nostro fratello uomo. Grazie quindi di avermi dato la possibilità di partecipare a questo evento di speranza, a questa bella avventura, grazie al Movimento Apostolico, all’Arcivescovo, ai Confratelli Vescovi qui presenti, a tutte le Autorità Civili e Militari e a tutti i Sacerdoti, perché la storia è costruita dall’incontro della libertà di Dio con la libertà di ciascuno di noi ed è costruita nella circostanza concreta che ha sempre, quindi, il carattere di un sacramento, di un segno visibile, luminoso come il vostro “logo” indica molto bene, perché questo incontro sia reale.
Ho intitolato il primo passo del nostro cammino:“Vangelo e voglia di vita”. Riscopro, scrive in una poesia una giovane ragazza di Venezia, in occasione dell’assemblea ecclesiale dello scorso anno in San Marco, “Riscopro con la fede la perduta voglia di vita”. Queste parole ci permettono di individuare sinteticamente due elementi dell’esperienza comune ad ogni uomo, mi riferisco al desiderio e alla libertà.
Il desiderio spalanca l’io all’infinito. Ci sono le stelle nell’etimologia della parola desiderio.Mentre la libertà ti offre l’energia per perseguire quanto desidera. Ebbene, la vita, la vita di ognuno di noi qui, ma la vita di ogni uomo in questo momento, non sarebbe vita senza questo desiderio di infinito e senza questa libera energia di perseguirlo. Per questa ragione la perdita della voglia di vivere indica sempre uno smarrimento del desiderio ed un infiacchirsi della libertà. Non mi pare un caso che desiderio e libertà, in una parola voglia di vivere, perché voglia di vivere implica questi due elementi, rappresentano le parole più diffuse, i valori di gran lunga più in voga oggi. Potremmo dire usando un’espressione difficile ancora discussa, ma abbastanza efficace, che desiderio e libertà caratterizzano l’uomo del dopo la caduta dei muri, l’uomo che viene chiamato postmoderno e noi tutti siamo uomini e donne del nostro tempo, siamo in questo senso dei postmoderni. Se questo rilievo che desiderio e libertà è del tutto comprensibile, trovo invece molto sorprendente la coincidenza che ora vi esprimo.
Gesù, a più riprese, nel Vangelo fa esplicitamente leva proprio sul desiderio di infinito e sulla libertà come sui due fattori chiave per proporre agli uomini il Regno, cioè la sua persona, l’annuncio,“se vuoi” puoi essere felice, puoi essere compiuto (Mt19,21),“sarete liberi” ma liberi davvero (Gv 8,36), quindi contrariamente a quanto viene spesso affermato con non poca superficialità possiamo dire che l’annuncio cristiano lungi dall’essere inattuale, si trova oggi più che mai sulla stessa lunghezza d’onda della domanda che l’uomo postmoderno si porta nel cuore e questo lo ripeto, non solo perché desiderio e libertà sono costitutivi del cuore dell’uomo come tale e quindi dell’uomo di ogni tempo, ma proprio perché il modo radicale e diretto con cui Gesù parla di desiderio di infinito cioè di felicità e di vera libertà, questo modo diretto incontra la radicalità con cui questa doppia domanda, questa doppia istanza è percepita in modo particolare oggi da uomini e donne di tutte le età. Cosa mi dà alla fine voglia di vivere? E’ come se ogni nostro fratello ogni nostra sorella, lo sappia o meno, si portasse nel cuore questa domanda, perché ne vale la pena e io chi sono? Qualcuno mi ama alla fine, mi ama fino al punto da assicurarmi che questa voglia di vita non si fermerà. non si infrangerà di fronte al nulla, neppure di fronte al dolore, alla sofferenza, alla morte?
Sono domande esplose nella vita personale sociale di noi tutti con una forza del tutto inedita, mettendo in moto una ricerca spasmodica di felicità e testando energie di libertà prima impensate.Evidentemente, non sono ingenuo, questo impone subito una questione che ha un peso determinante.Quale desiderio, quale libertà possono assicurare l’autentica voglia di vivere? O per ridirlo nei termini di Gesù: a quali condizioni l’uomo si compie, realizza il desiderio di infinito e può così essere libero davvero?L’evento di Cristo può realmente ancora oggi intercettare queste domande costitutive, così come si formulano nel cuore dell’uomo affascinante,confuso, dell’uomo postmoderno? Bene, questo è il terreno su cui la Chiesa vuole interrogarsi a Verona, ma su cui da sempre la Chiesa si interroga,fuori di interrogarsi, questo è più o meno su cui noi cristiani siamo chiamati come uomini a misurarci costantemente in ogni ambiente del male, dell’esistenza. Quindi appare subito da questo dato che l’essere cristiani richiede una assunzione piena dell’umano, “neanche un capello del vostro capo” ha detto Gesù, niente resta fuori, niente dell’umano resta fuori dall’orizzonte cristiano. Come potrebbe non essere così se lo stesso Figlio di Dio “non ha considerato quel tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio,ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana umiliòse stesso”? La logica, l’esperienza profonda nel cristiano è la logica, l’esperienza profonda dell’incarnazione, ciò che è assunto da Gesù, e tutto è assunto, è salvato.
“Colui che non ha conosciuto il peccato, Dio lo trattò persino da peccato”, dice Paolo nella seconda ai Corinzi a nostro favore. Allora i cristiani solidali con i loro fratelli, gli uomini, sono chiamati ad incarnare uno stile di vita il cui desiderio traspaia nella loro piena verità, quella che si è compiuta in Gesù Cristo morto e risorto, uomo tra gli uomini. Gesù si mosse a tutto campo chiamando i suoi interlocutori con mitezza, ma con precisione al paragone con la sua persona e invitandoli alla sua sequela. Come dice Apocalisse, egli è il testimone fedele dell’incandescente amore del Padre per ogni uomo e non ha temuto pianto e sforzi per manifestare nella sua umanità glorificata, la gloria riservata a tutti gli uomini, lievito che silenziosamente fermenta la pasta o lampada posta sopra il moggio, secondo le 1.000 sfumature che la libertà implica. Il cristiano oggi più che mai non può sottrarsi al compito di questa testimonianza ad un tempo personale e comunitario e voi siete qui convenuti per assumere, fino in fondo, questo compito nel cuore del grande tronco della Chiesa.
Allora la straordinaria coincidenza tra annuncio cristiano e anelito dell’uomo di oggi, desiderio di libertà vive però oggi dentro un grande travaglio. Del tutto estranei ad ogni realismo ingenuo, come cristiani, siamo ben consapevoli di quanti sentieri interrotti percorrono il desiderio e la libertà dell’uomo postmoderno, non c’è aspetto della stessa esperienza elementare dell’uomo legata al suo essere uno, di animae di corpo, di uomo e di donna, di individuo e di comunità, non c’è aspetto che non appaia oggi come terremotato.Non si deve infatti misconoscere che le nuove grandi istanze a cui mi sono riferito sono oggi spesso in balia della fragilità, della confusione, della contraddittorietà. L’epoca postmoderna appare così come un’epoca di travaglio, forti e violente sono le contrazioni e le doglie, ma restano attraversate dalla prospettiva gioiosa del parto, per questo siamo pieni di speranza e non parliamo di crisi, ma di travaglio.
Secondo passo, descriviamo un po’ il travaglio di questo parto, di questa società in transizione verso una nuova forma. Sostenuti da questa lettura evangelica volgiamo lo sguardo alla vita della Chiesa, delle chiese in Italia. Qualche volta ho paragonato le nostre chiese italiane ad un braccio, come il braccio, ogni Chiesa italiana è una, ma nel braccio a ben vedere si distinguono tre parte, il braccio vero e proprio, l’avambraccio e la mano, così il braccio vero e proprio delle chiese italiane sembra rimandare ai non pochi battezzati un po’ smemorati del loro battesimo, esiste poi un avambraccio che fa pensare all’insieme dei praticanti della domenica e infine una mano costituita da coloro che sono coinvolti, impegnati come voi.
Come non auspicare che come avviene nel nostro corpo la capacità prensile della mano rimetta in moto l’azione dell’avambraccio e del braccio? Voi qui siete parte di questa mano delle nostre chiese italiane e non solo italiane. Ma come può accadere questo, come può avvenire questa testimonianza? Anzitutto, riconoscendo i segni della speranza che lo spirito rende presenti tra noi. Il primo e più importante è l’esistenza di un soggetto comunitario ecclesiale capillarmente diffuso nelle nostre terre, in cui uomini e donne di ogni età, cercano di vivere liberamente per come possono la sequela di Cristo, perché hanno aderito alla sua promessa di felicità e toccano con mano la crescita della loro libertà, dentro questa sequela. Questo il primo segno. Il secondo segno consiste nel fatto che molti membri delle nostre Parrocchie e di tutte le nostre aggregazioni di fedeli, operando ogni giorno in tutti gli ambienti dell’umana esistenza: università, scuola, lavoro, quartiere, fabbrica, rischiano la loro testimonianza condividendo spontaneamente con tutti i fratelli uomini, questo anelito al compimento del desiderio dell’io e della libertà.
Per la grazia di Dio che passa attraverso le circostanze e i rapporti quotidiani l’anelito dell’uomo postmoderno a compimento incontra cristiani espressione di Cristo presente e vivo, cristiani che tentano una risposta a questo anelito di compimento e di libertà. Con naturalezza i cristiani vivono il comune travaglio della nostra epoca, non hanno soluzioni preconfezionate per i problemi opinabili, ne patiscono le contraddizioni, le confusione, gli smarrimenti perché sono uomini come tutti gli altri, ma sono sorretti da una speranza fondata e cercano di accompagnare positivamente il processo di questo difficile parto senza avere la pretesa di fissarne loro modalità e tempi che sono ultimamente nelle mani del disegno misterioso del Padre. Così le scottanti questioni che caratterizzano il nostro presente, pensiamo tra gli altri alla questione dell’amore, della vita, dell’ambiente, alla crisi demografica, allo smarrimento del senso del vivere per cui si è incrinato un po’ dovunque un equilibrato rapporto tra gli effetti, lavori e riposo, pensiamo al dramma dell’ordine giusto da costruire soprattutto nel sud del pianeta, tutte queste scottanti questioni interroganole nostre comunità fin nel modo di celebrare l’Eucarestia, diporsi all’ascolto della Parola di Dio, di approfondire con la catechesi la visione cristiana la vita, di praticare una gratuita condivisione dei bisogni a partire dai più clamorosi, di farsi carico in modo reale dei più acuti problemi geopolitici legati all’oppressione, all’ingiustizia, alla guerra, al terrorismo, penso al travaglio della legalità delle vostre terre. Comunità cristiane incarnate perché costituite da uomini che come tutti gli uomini di oggi sanno bene che questo desiderio di felicità e di libertà non possono di fatto trovare soddisfazioni in termini individualistici e privatistici, ma solo attraverso vie comunitarie e solidali di attuazione.
Terzo passo, Gesù Cristo vivo, qui ed ora è la nostra speranza.Noi cristiani come dice la lettera ai Romani siamo lieti nella speranza, non immotivatamente, ma a ragion veduta, dal momento che i segni di questa speranza sono ben individuati li, nella nostra storia personale e comunitaria, realisticamente incarnata in quella di tutta la famiglia umana. Tuttavia i segni tangibili di questa speranza, ne ho prima richiamati due, che con nota positivamente, il cristiano della nostra epoca resterebbero preda dell’ideologia se le nostre libertà personali non fossero ogni giorno di nuovo aperte al desiderio di infinito. In una parola i segni di speranza restano inefficaci, diventano vivi solo se rincontrano e permangono nella Speranza cioè in Gesù Cristo risorto. È in lui che la nostra speranza è la speranza del mondo, come dice la prima lettera a Timoteo. Del resto,se per sperare bisogna essere lieti, ciò è possibile solo se ogni giorno la nostra libertà è sorpresa dal dono inestimabile che ci rende tali. Gesù Cristo risorto nel suo vero corpo che vive oggi nella chiesa eucaristica è caparra della nostra personale risurrezione. Lui vive nella Trinità nel suo vero corpo eucaristicamente offerto a tutti noi nel quotidiano e questo è l’anticipo della nostra resurrezione nel nostro vero corpo.
L’inaudito annuncio di Pasqua che la memoria eucaristica rende quotidianamente presente in tutta la storia, non è una favola, non è mito, che soddisfino in un impossibile frustrato anelito di immortalità, ma è un fatto presente ed incontrabile come voi testimoniate. Gli amici, uomini e donne che Gesù aveva raccolto intorno a sé lungo i tre anni della sua pubblica missione tra i quali la stessa sua madre, non erano un gruppo occasionale di seguaci di un’efficace Rabbi itinerante che sarebbe venuto, un gruppo che sarebbe venuto meno col suo venir meno, ma solo il nucleo costitutivo di quella comunità ecclesiale che la croce e la resurrezione di Gesù hanno costituito in una nuova e imperitura parentela e che il Battesimo, l’ Eucarestia con gli altri Sacramenti, continuano a rendere vivamente presente alla nostra libertà lungo la storia degli uomini e dei popoli. Gesù e i suoi, Cristo e la Chiesa non sono più disgiungibili, costituiscono un unico, un’unità, il popolo dei credenti che fa della Chiesa la forma bella del mondo quando per la potenza dello Spirito che si manifesta attraverso i Sacramenti, la libertà degli uomini incontra la Chiesa, dando vita alle mille forme di comunità soprattutto alle Parrocchie, ma anche alle tante forme aggregative, di cui l’altro ieri ne ho parlato con i due confratelli. Allora Gesù concretamente viene all’incontro di uomini e donne e ripropone con forza il suo invito: se vuoi essere compiuto, se vuole realizzare il tuo desiderio, vieni e seguimi e sarai libero davvero perché “dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” e noi cristiani sappiamo bene come dice Matteo 28 che “Egli sarà con noi fino alla fine del mondo”.
Quando ci riuniamo per celebrare l’Eucarestia dovremmo, come raccomanda Paolo ai cristiani di Corinto, compiere questo gesto con grande consapevolezza del mistero che esso racchiude. Cristo nostra speranza farebbe ardere allora il nostro cuore sempre come avvenne per i due lungo la strada di Emmaus, come per loro nello spezzare del pane ritroveremo l’intensa luce della Parola di Dio, lo riconosceremo presente tra noi capaci di far risplendere agli occhi della fede il suo volto sfolgorante di bellezza a tal punto che come le donne, come Zaccheo, come decine e decine di generazioni cristiane, con fretta e con gioia ci porremmo in movimento per comunicarloa tutti.
L’Eucarestia costituisce il progressivo approfondirsi del nostro rapporto con il Signore e con i fratelli. La regolare partecipazione a questo gesto è resa necessaria, nella sua provvidenziale ripetizione,dal nostro limite che ci impedisce di recepire in un colpo solo il mistero assoluto e singolare della morte e della resurrezione di Gesù. L’Eucarestia si rivela veramente come il momento principale e decisivo di tutta l’esistenza.Grazie a questo momento prende lentamente nel cristiano la forma eucaristica della vita, come diceva il servo di Dio Giovanni Paolo II. I seguaci di Gesù avendo in comune Cristo stesso che li assimila a sé, tendono a mettere in comune tutti di loro stessi in libertà. Per quanto son capaci non solo tendono a condividere i beni materiali e spirituali, ma la loro stessa esistenza, poiché non vivono più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro, uomini e donne. Siamo quindi noi cristiani amati da Dio, come dice Colossesi, santi ed eletti di sentimenti, di misericordie, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza, uomini che giungono fino alla singolare esperienza che può realmente convincere la libertà e il desiderio dell’uomo postmoderno.
Questa esperienza è fondata su due pilastri portanti che come le due colonne d’Ercole trattengono tutta l’umana esperienza. Due affermazioni a prima vista sconvolgenti. La prima è Corinti 2,6-10, “nel dolore lieti”. Chi può scrivere una frase così vertiginosa: nel dolore lieti? Ecco la prima colonna della nostra esperienza umana e la seconda Luca 7, non meno paradossale: “amate i vostri nemici”. Nel dolore lieti e amate i vostri nemici. Ditemi se c’è qualcosa dell’umano che non sia abbracciato da queste due grandi colonne d’Ercole. Qui è racchiuso il paradosso insuperabile personale e comunitario dell’esperienza cristiana che realizza compiutamente l’umano perché nulla resta fuori da queste due grandi pilastri. Comunità formate da uomini siffatti sono l’esito gratuito, pieno di grazia, della comunione il cui dono i cristiani non cessano di invocare dallo Spirito con la preghiera comunitaria e personale, con i Sacramenti, con le offerte di tutta la loro vita perché, come linfa vitale, essa investa tutte le circostanze, tutti i rapporti, rendendoli capaci di amore di gratuita condivisione, di dono di sé, di giudizio, di fede, di avere lo stesso pensiero di Cristo, di universale apertura a tutte le dimensioni del mondo.
Le comunità cristiane si sentono chiamati oggi più che mai dall’urgenza di felicità e di libertà dei nostri fratelli a divenire sempre più luoghi di comunione effettiva, ambiti di vita ben individuabili come voi sperimentate nelle vostre comunità, così che chiunque possa incontrarvi Gesù. La domanda di luoghi visibili fisicamente incontrabili,la domanda di una comunione fisicamente documentata altro non è che il prolungamento della domanda di familiarità, di amicizia, di fraternità, che è la conseguenza imponente di ogni vero incontro tra persone. Quando Andrea e Giovanni sulla riva del giordano, lasciato il Battista, si mettono sulle tracce di Gesù, sono sorpresi dal fatto che Gesù si volta di scatto e a bruciapelo fa questa domanda:“Cosa cercate?E loro: “Maestro dove abiti?”, sono l’emblema di ognuno di noi, cerchiamo una familiarità con colui che ci ha amato per primo, con colui il cui incontro ha mobilitato il desiderio di pienezza e ha aperto le prospettive di una libertà vera e il maestro cosa risponde: “Venite e vedrete”.
Ognuno di noi, ogni cristiano deve poter dire in ogni momento, ad ogni uomo, ad ogni donna che incontra dovunque, sul tranvai, a scuola, all’università, in fabbrica, nel quartiere, deve poter rivolgere questo invito in semplicità e concretezza:“Vieni e vedi”. Per questo ogni Parrocchia, ogni comunità cristiana, deve continuamente rigenerarsi come luogo accogliente di questa comunione fisicamente documentata. Solo vivendo una simile comunione, Parrocchia e Aggregazioni, diventano comunità aperte senza confini, dischiuse al mondo, sono di per se stesse missionarie, la misura non è un doverismo,ma l’esplosione gratuita per la gratitudine dell’incontro fatto e della possibilità di permanere in questo incontro con tanti fratelli. Quanti appartengono e vivono quotidianamente una comunione siffatta sono rigenerati degli affetti in famiglie che si sentono parte della grande dimora ecclesiale ritrovano in ogni momento energie di edificazione che li rendono segni credibili, testimoni autentici della presenza salvifica di Cristo in tutti gli ambienti dell’umana esistenza. Nascono così spazi vitali in cui si esprimono comunità virtuose alimentate da uomini il cui stile di vita, come diceva Paolo, è quello di esistere in Cristo. Quante volte torna questa formula, e insiste l’apostolo:“sia che mangiate, sia che beviate, esaminate ogni cosa che ritenete ciò che è buono poiché tutto, tutto è vostro ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. Come in queste comunità ecclesiali la vita di comunione può continuamente rinnovarsi così da mantenere loro il carattere permanente di un avvenimento che riveste il cuore degli uomini perché spalanchi il loro desiderio di infinito e liberi per davvero la loro libertà. Bisogna che l’incontro eucaristico con Cristo tenda ad investire tutte le circostanze e tutti i rapporti che costituiscono la trama della nostra esistenza di battezzati. Bisogna, lo ripeto, che la vita di ognuno di noi assuma una forma eucaristica. La forma eucaristica dell’esistenza cristiana altro non è che la conseguenza dell’incarnazione redentiva del Figlio di Dio che ci raggiunge e ci investe nel Sacramento qui ed ora, in questo momento come in ogni momento. Il dono totale di se che Gesù Cristo ha compiuto sul Golgota si attua per opera dello Spirito nell’ Eucarestia, nei Sacramenti offerti alla nostra libertà di uomini credenti. Portare l’ Eucarestia nella vita cristiana significa per il cristiano sposare fino in fondo questa logica, questa sostanziale esperienza di sacramento e di incarnazione. In concreto questo si traduce nell’aderire, è la terza volta che lo dico, ma insisto perché è quello, è ciò che normalmente non accettiamo, nell’aderire a tutte le circostanze e a tutti rapporti che sono come la trama attraverso la quale il disegno del Padre si dispiega sulla mia persona, trama sacramentale attraverso la quale la vita come vocazione si attua momento dopo momento. L’offerta eucaristica del pane e del vino frutti della terra e del lavoro dell’uomo compiuta affinché la potenza dello Spirito li trasformi nel corpo donato e nel sangue versato di Cristo e allo stesso tempo sorgente e culmine dell’offerta viva che il cristiano fa di se, quella che San Paolo con la formula geniale in Romani 12 chiama il culto ragionevole, latreia, il dono totale della propria vita come ci ha testimoniato Giovanni Paolo II. Essa implica il dono di sé al Padre e nel Padre ai fratelli in tutto, in tutti gli istanti della nostra esistenza e questo dono è possibile se sgorga da un cuore amante che non dimentica la manifestazione di Cristo risorto e vivo quale consistenza ultima di tutta quanta la realtà.
L’ultimo passo. Le dimensioni di questa esperienza di testimonianza, di verità, di comunione. Anzitutto l’urgenza della carità, amando e lavorando in Cristo e per Cristo senza temere sacrificio e dovere, il desiderio e la libertà trovano la via sicura del compimento. Una comunità di uomini si fa e spontaneamente condotta a condividere quella forma primitiva del desiderio che si chiama bisogno. La chiara preferenza di Gesù per i poveri per gli ultimi, non solo non esclude nessuno dall’amore ma disegna concretamente l’orizzonte adeguato dell’amore verso tutti, la prima e più elementare condizione perché le nostre comunità siano avvenimento vitale in cui il popolo di Dio è continuamente rigenerato e quindi la pratica della carità. Infatti la carità genera un popolo.
E’ necessario che ogni Comunità Cristiana si faccia carico di una stabile e organica educazione di ogni suo membro alla gratuità. In concreto, una Comunità Cristiana che intenda vivere a partire dall’Eucaristia proporrà indistintamente a tutti i suoi membri di dedicare una porzione del proprio tempo a condividere con gesti umili il bisogno degli ultimi. Comunque si configuri, le forme saranno tante quanto la fantasia di gruppi e di persone saprà formulare sotto l’impulso dello Spirito. L’importante che ci si decida a donare una porzione concreta del proprio tempo come espressione del dono di sé con l’unica preoccupazione di educarci all’amore dell’altro per l’altro, in nome dell’amore con cui il Padre mi ama in Cristo Gesù assicurandomi la diuturna compagnia della Comunità Cristiana, prima dimensione della comunità testimoniante è l’educazione gratuita.
La seconda, educarsi al pensiero di Cristo. Una Comunità Cristiana può dire “vieni e vedi” a chiunque, esprimendo la comunione anche come permanente educazione alla fede, intesa come criterio con cui affrontare tutta la realtà. L’abbiamo già detto, esaminate ogni cosa dice Paolo nella prima ai Tessalonicesi, tenete il valore, tenete ciò che è buono. Non può essere questo un dato automatico della vita del cristiano. Il cristiano è chiamato ad affrontare tutto il reale a partire da quello che Paoloin Corinzi 1, chiama il pensiero di Cristo. Tutte le contraddizioni dell’uomo postmoderno che investono l’ambito dell’amore, della vita, degli affetti, del lavoro e della giustizia, hanno bisogno di questa educazione organica al pensiero di Cristo e per farlo bisogna abbeverarsi in modo sistematico alle sorgenti di tale pensiero, come voi fate assecondando il carisma della vostra Ispiratrice e Fondatrice, ripreso nello Statuto che dice “il ricordo e l’annuncio del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo” si annuncia a chi non lo conosce, si ricorda a chi lo ha incontrato accompagnandolo con la nostra testimonianza di vita. Solo così diventerà possibile maturare un giudizio di comunione sugli aspetti salienti della vita della comunità e fatte le debite distinzioni su tutti i nodi più rilevanti della società civile, praticando nelle nostre comunità il decisivo principio di ispirazione Agostiniana, sempre uniti i cristiani sulle cose necessarie, liberi in quelle opinabili ma, in tutte testimoni dell’amore di Cristo della carità.
E infine, la terza dimensione di una comunità che testimonia fino ai confini della terra. E’ naturale che l’invito:“vieni a vedere” la dimora della comunità cristiana, sia rivolto da noi tendenzialmente a tutti, a cominciare da coloro con il quale il Padre ci chiama ad investire porzioni imponenti del nostro tempo, inostri compagni di scuola, di lavoro, di quartiere. Dopo i nostri familiari sono da annoverare tra questi tutte queste persone ma con costoro allacciamo rapporti tendenzialmente stabili o di notevole respiro, condividiamo giudizi, opinioni, competenze riguardanti gli aspetti quotidiani ed elementari dell’esistenza per giungere fino alle questioni scottanti attinenti alla vita sociale civile e politica. E’ in questi ambienti dell’umana esistenza che incontriamo il nostro fratello uomo, nessuno sentiamo come lontano da Cristo. Come può la nostra appartenenza alla comunità nutrire però continuamente il nostro desiderio di infinito e liberare la nostra libertà se non genera una gratitudine così potente che attraverso la nostra vita e attraverso la parola esplicita tenda a comunicarsi veramente a tutti dentro tutti gli ambienti dell’esistenza degli uomini? Come la condivisione gratuita ed elementare del bisogno degli ultimi ci educa ad amare tutto il prossimo più prossimo, così in quest’ottica il sostegno della missione della Chiesa “ad gentes” deve essere concepito dalle nostre Parrocchie e dalle nostre Aggregazioni come strumento per l’educazione e permanente alla dimensione missionaria che ogni cristiano è chiamato a vivere in prima persona. Ecco perché è un segno dello Spirito che la vostra esperienza si stia aprendo in Africa, in Germania, in Svizzera, anche fuori dai confini dell’Italia. Allora amici carissimi. concludiamo dicendoci questo: siamo un edificio di pietre vive che ha come “testata d’angolo la pietra scartata dai costruttori”, un luogo dove essere liberi davvero e in cui il desiderio di felicità e di compimento cresca con il passare degli anni non diminuisca, cresca con il passare degli anni per attuarsi col passaggio alla vita eterna dell’abbraccio definitivo del Padre.
Questa è la vocazione propria della Chiesa in ogni compagine che vive al suo interno come voi, come ha detto Mons. Costantino, dovete stare radicati sul terreno solido della Chiesa Santa di Dio. Voglia di vivere quindi, voglia di libertà, desiderio di felicità non sono sogni di uomini permanentemente adolescenti, sono l’esperienza di uomini maturi, di giovani spalancati alla pienezza, di gente che si sposa, che genera figli, che si consacra a Dio nella verginità nel santo celibato, che lavora, che contribuisce all’edificazione della società civile, che partecipa alla vita buona della cosa pubblica, che quando ha la vocazione anche al buon governo della medesima. Per questa ragione amiamo la vita e ci impegniamo fortemente in ambito educativo, siamo uomini che genera figli, educano figli, intendono assicurare ad ogni anziano una vecchiaia dignitosa e una morte personale. Siamo uomini convinti che Dio garantisce la dignità assoluta di ogni singolo dal concepimento alla morte naturale. Questi sono i cristiani, uomini con questo stile di vita, uomini lieti nella speranza, liberi dal risultato perché seguono Cristo,avendo compreso che il segreto per compiere il desiderio di felicità sta nell’abbracciare anche la Croce, nel dolore lieti. Ritornate su queste due affermazioni sconvolgenti ma alla fine le uniche definitivamente pacificanti di fronte al mistero del male della morte, nel dolore, nel dolore lieti, amate i vostri nemici, uomini liberi dall’esito, liberi davvero, lieti nella speranza perché seguono Cristo avendo compreso che il segreto per compiere il desiderio di felicità sta anche quando è richiesto nell’abbracciare la Croce come condizione, come passaggio verso la risurrezione, verso la pienezza come è stato per Gesù colui che ci ha amati per primo.
I Cristiani in forza della loro speranza, che non è solo nella certezza della vita eterna, vivono lieti perché sanno che questa speranza è già percepibile nel centuplo quaggiù, avrete la vita eterna e il centuplo quaggiù e che cos’è il ritrovarsi insieme nella sua gioia come voi fate oggi in questo primo convegno se non il segno del centuplo quaggiù. Questa è la ragione unica del nostro vivere, del nostro seguire Cristo. Noi cristiani ci autoesponiamo per testimoniare in prima persona la più semplice e la più consolante delle verità. Chiunque ama e noi ci sentiamo amati da Cristo, chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.“Deus caritas est”.
Grazie