Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà
30 AGOSTO (Mt 24,42-51)
La nostra veglia, in attesa del Signore, non deve essere di paura, timore, terrore, per il giudizio che ci sovrasta. Dovrebbe essere invece una veglia di amore, gioia, contentezza, attesa dell’amata verso l’Amato, della sposa per il suo Sposo. Concepita in questi termini, la veglia si riveste di una verità nuova, di una luce diversa.
Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore. Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore. Un rumore! La voce del mio amato che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, mio tutto; perché il mio capo è madido di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne». «Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo? Mi sono lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?». L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura e le mie viscere fremettero per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amato e le mie mani stillavano mirra; fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora all’amato mio, ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città; mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro, tu che sei bellissima tra le donne? Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro, perché così ci scongiuri? L’amato mio è bianco e vermiglio, riconoscibile fra una miriade. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli sono grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi sono come colombe su ruscelli d’acqua; i suoi denti si bagnano nel latte, si posano sui bordi. Le sue guance sono come aiuole di balsamo dove crescono piante aromatiche, le sue labbra sono gigli che stillano fluida mirra. Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo ventre è tutto d’avorio, tempestato di zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri. Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è l’amato mio, questo l’amico mio, o figlie di Gerusalemme. (Ct 5,1-6).
L’anima cristiana è la sposa. Cristo Gesù è lo Sposo. La sposa deve attende nella gioia e nell’esultanza l’arrivo del suo Sposo per celebrare con Lui le nozze eterne. La nostra mai potrà essere la veglia di chi teme il giudizio di Dio, o peggio ha paura di esso. Mancherebbe questa veglia della sua verità. Senza verità non c’è veglia. Senza verità non c’è vera speranza. Se la speranza è inesistente, anche la veglia è inesistente.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti.
Se non vogliamo vegliare per grandissimo amore, Gesù ci chiede di vegliare almeno per la salvezza della nostra anima. Non possiamo noi finire nella perdizione eterna. Dall’inferno nessuno mai verrà fuori. La pena è così indicibile e lunga che al suo confronto tutte le sofferenze del tempo sono un niente, una vera nullità. Godere nel peccato anche per tutta la vita non vale neanche se l’inferno fosse di un solo istante. Un solo istante di inferno per tutta una vita di peccato sarebbe già grande stoltezza ed insipienza. Figuriamoci un istante di peccato per una eterna di sofferenza! Questa scelta è vera stoltezza ed insipienza. Se non vogliamo vegliare per grande amore verso Cristo Gesù, almeno vegliamo per amore della nostra stessa vita. È un amore impuro, imperfetto, tuttavia ci salva, ci redime, ci aiuta a raggiungere il gaudio eterno nel Paradiso di Dio. Evitare l’inferno deve essere scopo e fine della nostra vita.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci saggi ed intelligenti.