Accidia e solerzia
Le risposte alle domande sono a cura del teologo Mons. Costantino Di Bruno, Assistente Centrale del Movimento Apostolico.
Cos’è l’accidia? Quando noi studiavamo, l’immagine che veniva a noi presentata dell’accidia, era quella di una rana nello stagno, che sta nell’acqua putrida, e ci sta bene; non si scompone, non ha reazioni: gracida e vive la giornata. E per lei la vita finisce lì. Non si scompone, non ha aspirazioni, non ha sentimenti, non ha reazioni. Cos’è allora l’accidia? È la passività piena dinanzi al bene da fare. È come se fossimo spiritualmente morti. Siamo insensibili. Se voi leggete il Vangelo, troverete quelle parole di Cristo che dicono così: “voi siete come quei bambini sulla piazza, che dicono ai passanti: «Vi abbiamo suonato un lamento e non avete voi pianto, vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato»”. Non vi sentite coinvolti in niente. C’è questa passività che vi consuma. La passività spirituale è brutta, perché l’uomo è fatto di cuore, di sentimenti, di fuoco, dentro. Ecco, l’accidia è un fuoco spento che non si riaccende più. È come quel legno consumato un poco dal fuoco; poi si spegne il fuoco, per un poco fumiga e poi basta. Non da più segni di vita. Quando si cade in questo peccato dell’accidia, tutti i doveri, tutte le obbligazioni, tutto ciò che è responsabilità, è rimandato a domani: lo facciamo un altro giorno. Oggi viviamo così, perché viviamo “bene”.
La solerzia invece è il contrario. La solerzia ci dice che abbiamo cuore dentro, abbiamo dei sentimenti, abbiamo una volontà, una responsabilità. Vogliamo cambiare la storia. Vogliamo cambiare qualcosa nel nostro mondo. Allora uno s’impegna, si adopera. Mette la sua buona volontà, il suo cuore, la sua intelligenza, la sua forza, mette tutto se stesso perché sa che da questa sua operosità può nascere un mondo nuovo. Possiamo fare qualcosa di bene per noi e per gli altri, possiamo cambiare la storia.
Cristo cosa vuole da noi? Non ci vuole passivi, morti, senza passioni. Dobbiamo avere passioni forti. Se conoscete l’esame di coscienza, nell’Apocalisse, che lo Spirito Santo fa ad una delle Chiese dell’Asia Minore: poiché tu non sei ne freddo e ne caldo io ti vomito dalla mia bocca, non mi servi. Ecco l’accidia. Se la persona è fredda può essere guarita. Però l’uomo in sé è chiamato a fare qualcosa di santo, è chiamato per vocazione a imitare Dio, perché noi siamo a sua immagine. Ora imitare Dio significa essere operativi, perché Dio è operativo, non ha ozio, non ha tempi morti. Tutta la vita di Dio è pienezza di amore.
D. Ci sono vari tipi di accidia?
R. Il problema non è se ci sono vari tipi di accidia. L’accidia si manifesta in molti modi. Per esempio si manifesta nel non avere amore verso lo studio, per cui tu studi perché costretto, obbligato, ma a te non interessa niente delle materie. Non hai reazione ne in bene ne in male. Cioè il tuo cuore non è in quello che tu stai facendo e non fai quello che devi fare, perché il tuo cuore non c’è. Mentre noi dobbiamo sempre mettere il cuore in quello che facciamo. Ora, mettere il cuore vuol dire mettere passione, mettere il fuoco, mettere ardore. Dio chi è? È un fuoco divoratore; è un fuoco che anche si adira; perché non è passività, è vita, e la vita ha reazioni. Quando tu non hai reazioni significa che sei senza questa passione che ti muove e noi dobbiamo avere questa grande passione nel cuore. Senza passione la vita non serve, si sciupa. Quando noi eravamo piccoli, creavano in noi gli ideali: l’ideale del grande missionario, l’ideale del grande santo, l’ideale d’imitare questo o quell’altro grande personaggio, l’ideale di fare quella cosa o quell’altra cosa. Allora uno si sentiva animato, si sentiva spronato, tu sentivi nel cuore una passione per qualche cosa. Oggi le passioni non ci sono più. Tranne quelle verso il male. Ma verso il bene le passioni è come se non ci fossero. Per esempio tu devi fare una bella studiata, ma senza passione come fai a studiare? Lo studio ti deve formare, ti deve sconvolgere dentro, ti deve ricreare nuovo nella conoscenza, nella mente, nel cuore, nello spirito, nei sentimenti, nei pensieri. Come fai se non hai questa passione? Se io non avessi la passione quando ti sto per parlare, starei qui come un morto. L’accidia è morte spirituale, tu vivi come se non vivessi. Una vita così noi non la possiamo vivere. A noi non si addice questo perché noi essendo ad immagine di Dio siamo chiamati ad essere creatori perenni della storia. Io devo creare qualcosa oggi, devo pensare qualcosa oggi, devo fare qualcosa oggi, perché Dio mi interpella per te. Quindi l’accidia si manifesta in mille modi.
D. La solerzia si costruisce su altre qualità e virtù? E come facciamo noi a diventare solerti?
R. La solerzia ha bisogno di alcune cose molto semplici. Hai bisogno della conoscenza: tu devi sapere a che cosa sei chiamato; hai bisogno della scienza, hai bisogno dell’intelligenza, hai bisogno dello sviluppo mentale. Perché hai bisogno che la mente venga sviluppata. Hai bisogno di crescere in sapienza, in grazia, in santità. Se non sviluppi la mente pur potendolo fare, come fai ad essere solerte nelle cose? Ti manca lo strumento per essere solerte. Se io vado in campagna per lavorare la terra e non so nemmeno come si maneggia la zappa, posso mettere tutta la solerzia che voglio, ma la terra resterà sempre incolta. Mi manca la scienza, mi manca l’arte, mi manca la virtù che devo apprendere. Oggi si sbaglia perché si pensa che senza la scienza, senza la conoscenza, senza lo sviluppo dell’intelligenza quando è tempo, dopo possiamo fare le cose bene. Ma non si possono fare le cose bene, dopo, perché manca la preparazione remota, mi manca lo strumento che mi deve aiutare in quel momento particolare. Se io vengo qui a farti un intrattenimento, e tu mi fai la domanda: io posso anche aver studiato oggi, ma se io non ho la scienza pregressa, quando ti parlo, ti posso dire una nozione, ma come faccio a darti la pienezza della verità? Mi manca il contenuto, non ce l’ho. L’errore che si fà oggi, specialmente, nella gioventù, è che non si pensa che tutto ciò che si fa oggi ti serve per domani. Perché è oggi che costruisci te stesso in modo che domani possa lavorare bene, possa operare bene, possa svolgere il tuo ministero bene. Ecco perché la preparazione remota va fatta bene. Ma tu puoi pensare: questo non serve! Ti servirà domani! Perché ti sviluppa la mente, ti apre l’intelligenza, ti mette in movimento il cuore, ti fa pensare, ti fa riflettere, ti fa ragionare, ti fa discernere, ti fa comprendere. Lo studio remoto prepara la tua mente e il tuo cuore ad essere abile di fare le cose che tu devi fare oggi. Ecco perché alla solerzia bisogna aggiungere tutte quelle virtù che le consentono di camminare bene, perché senza equilibrio non si può camminare. Le virtù donano forza alla solerzia. Per esempio, la capacità al sacrificio, l’abitudine alla rinuncia e alla mortificazione serve proprio a questo, ad usare bene il tuo corpo quando ti si chiede uno sforzo in più. E’ come l’atleta. Quanto dura una gara? Una gara di cento metri, durano nove secondi, ma per arrivare a quei nove secondi quanto lavoro stà dietro? Molte volti ci sono, anni e anni di esercizio, di ginnastica, di preparazione, di studio. A noi a volte manca questa preparazione remota, e mancando questo substrato, quando dobbiamo fare i cento metri, li facciamo in nove ore anziché in nove secondi, perché non ci siamo preparati bene.
D. Nel commento al Vangelo, circa la parabola dei talenti, ho letto che il Paradiso non è un frutto, ma un dono di grazia. Qual è il rapporto tra il mettere in pratica i nostri talenti e l’eternità?
R. Il paradiso non è solo un frutto. È un dono, però, condizionato. Tutto il vangelo è condizionato: Beati i poveri in spirito; di essi è il regno dei cieli. Beati i misericordiosi; otterranno misericordia. Beati i puri di cuori; vedranno Dio. Beati gli operatori di pace; saranno chiamati figli di Dio. Vedi: c’è la condizione. Tu vuoi essere aiutato? Aiuta. Tu produci un frutto, il Signore a questo frutto aggiunge il suo bene. Se tu non metti la tua opera, Dio non mette la sua. Tu vuoi che il Signore ti doni l’intelligenza, la sapienza: allora studia! Lo studio è lo strumento attraverso cui il Signore ti dona l’intelligenza, scienza, sapienza, dottrina, conoscenza. Tu vuoi che la terra produca i suoi frutti? Devi lavorare. Tu vuoi, domani, produrre buoni frutti attraverso il tuo ministero, la tua missione? Ti devi preparare! Se non ti prepari non puoi produrre frutti! Tutto, nella nostra vita, è condizionato, a un piccolo sacrificio che noi dobbiamo fare. Il sacrificio è essenziale nella nostra vita! Se tu vuoi produrre ti devi sacrificare. Vuoi fare un’opera buona? Devi rinunciare a qualcosa! E allora puoi fare un’opera buona, ma se tu non rinunci, non farai mai un’opera buona. Il Paradiso entra nella stessa logica: è un dono di Dio perché tu non puoi mai guadagnarti il paradiso, con nessuna opera! Però il Signore te lo dona se tu compi un’opera buona: ero ammalato e mi hai visitato; ero nudo e mi hai vestito; ero forestiero e mi hai accolto. Tu hai aiutato me, hai servito me, e io servo te. Questo ragionamento si è smarrito oggi e a tutti i livelli. Se noi togliamo la parte che spetta a noi, non c’è la parte che spetta a Dio. Su che cosa Dio mette la sua sapienza, se tu non metti la buona volontà nello studio? Non ti dona la scienza infusa il Signore. Quella te la produci. E così il paradiso. Il Signore ti dona il paradiso se tu metti a frutto il tuo talento per amare. Il Capitolo 25 di Matteo è il capitolo dell’opera dell’uomo. Tu vuoi entrare nella sala del banchetto? Porta la lampada con l’olio; però l’olio devi andare a comprarlo altrimenti non puoi entrare nella sala del banchetto. E rimani fuori. Tu ricevi dieci talenti, cinque talenti o un talento. Vuoi entrare nella gioia del padrone? Mettili a frutto! Tu li metti a frutto, entri nella gioia del tuo padrone. Tu vuoi andare in paradiso? Fai le opere di carità, sia corporali che spirituali! Ama, e il Signore ti accoglierà nel suo regno. Ecco perché, il paradiso è un dono condizionato. Però è un dono, perché nessuna nostra opera può meritarci il paradiso. Perché il paradiso è un’eternità, e tutto ciò che tu fai è limitato nel tempo. E il tempo non può produrre l’eternità, però la tua opera buona, fa sì che il Signore te lo doni come regalo eterno. E allora conviene, essere buoni. Conviene perché così il Signore mette la sua grazia, la sua benignità, la sua misericordia, la sua pace. Mette tutto!
D. Tornando all’accidia, questa può comportare la possibilità di non percepire i propri doni e talenti ricevuti dalla Provvidenza?
R. L’accidia è morte spirituale. Un morto non si può risuscitare da sé. Ogni morto ha bisogno di essere risuscitato. Allora noi abbiamo coloro che possono risuscitarci. Per esempio un amico, un’amica; può fare questa grande opera di risurrezione. Ti faccio ancora un esempio. Il Movimento Apostolico che cos’è? A che serve? Ci ha mai pensato? Il Signore ha visto questo mondo accidioso, insensibile alla verità, insensibile alla grazia, insensibile alla giustizia, insensibile all’amore, e ha chiamato noi, per che cosa? Risvegliate questo mondo! Cristo cos’è venuto a fare? A risvegliare questo mondo! Giovanni il Battista che faceva? Risvegliava questo mondo! L’Ispiratrice: cosa fa ogni lunedì? Risveglia noi, morti. Ci risveglia. Poi, dopo, moriamo un’altra volta, ma almeno per mezza giornata siamo risvegliati. Comprendiamo che, dobbiamo fare qualcosa, che non stiamo tanto bene spiritualmente. Però, ci risveglia. Ma se ognuno di noi diventasse persona che risveglia i suoi amici, i suoi conoscenti, quelli che incontra, quelli con cui lavora, e molte volte, basterebbe una sola parola e l’altro si potrebbe risvegliare. D’altronde Gesù quando incontrava i morti, diceva una sola parola: “Lazzaro vieni fuori”! Non è che faceva un discorso così grande, così lungo. E quello veniva fuori. Oppure: “giovinetto dico a te risorgi”, e quello risorgeva. Oppure: “Il tuo peccato è perdonato! Va e non peccare più”. Gesù diceva poche parole, ma erano parole di Spirito Santo e lo Spirito Santo operava la risurrezione. A noi cosa costa dire una parola a un amico? Per svegliarlo; per farlo risorgere, per metterlo in una condizione di presa di coscienza: “vedi figliolo che quello che tu stai facendo non è una cosa santa, non è una cosa bella; stai rovinando la tua vita, svegliati”. La risurrezione che cos’è? Svegliarsi dalla morte. Svegliati figliolo. San Paolo cosa dice: “è tempo di svegliarvi dal sonno”. Anche al tempo di San Paolo c’era l’accidia. Tanto è vero che lui nella lettera ai Romani è un poco pesantuccio: “svegliatevi dal sonno, svegliatevi, il giorno ormai è apparso, non state a dormire”. Ecco l’accidia. Il sole si alza e tu stai nel letto. Invece bisogna alzarsi, perché bisogna precedere il sorgere del sole.
D. Ritornando ai talenti: in cosa consiste la crescita in un talento?
R. Il talento va messo a frutto. Tu hai per esempio il talento della scienza. Se tu lo metti a frutto, con la tua scienza puoi scoprire un principio che può salvare l’umanità. Se il Signore ha disposto che la salvezza dell’umanità passi attraverso te, tu cosa devi fare? Lo devi fare questo, perché se tu sviluppi la tua scienza trovi un principio che salva l’umanità intera. Ti faccio un esempio. Tutte le grandi malattie, perché sono state debellate? Perché ci sono state delle persone che si sono attivate, hanno sviluppato i loro talenti. Hanno creduto e hanno trovato. Molte volte con una piccola invenzione tu doni all’umanità una esistenza nuova. Dice il Qoelet che molte volte noi queste cose le facciamo per invidia. Per invidia dell’altro cerchiamo di essere superiori inventando. Noi cristiani dovremmo farlo per amore. Ma per amore non lo facciamo. Diceva Gesù che i figli delle tenebre per le loro cose non sono accidiosi. Mentre noi, che siamo i figli della luce, a volte siamo dormienti. E ti pare giusto questo? Non è giusto! Se io so che uno di voi ha delle belle qualità, mi dispiace se vedo che queste qualità vengono tenute nascoste, vengono sotterrate, non messe a frutto. Se uno ha una bella intelligenza perché non metterla a frutto? Non è una cosa bella questa. Quella verità che uno porta dentro potrebbe sconvolgere l’umanità. È possibile che noi cristiani siamo così indifferenti? Non possiamo. L’indifferenza non appartiene al cristiano. Al cristiano appartiene l’impegno. Quando il Signore dona il comandamento ai figli d’Israele così suona il comandamento in sé: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutti i sentimenti, con tutta la forza”; però c’è pure la mente. Cioè, come tu, per te stesso, cerchi le cose più belle, perché per il Signore viviamo in una mortificante ripetizione di cose? Per te stesso tu cerchi il più bello per viverlo. Per il Signore, questa mente si ferma, si arresta, non và più avanti. Solo per il Signore non abbiamo più intelligenza a pensare cose belle? Dobbiamo pure pensare cose belle per il Signore. Per il Movimento dobbiamo pensare cose belle. Per peccare l’intelligenza l’abbiamo, la sfruttiamo, ma quando si tratta di fare il bene l’intelligenza si arresta. Ti pare giusto questo? Questa non è una cosa giusta. Dobbiamo sviluppare l’intelligenza, la sapienza, la conoscenza per servire bene il Signore, per amarlo. Io ogni giorno chiedo al Signore qualcosa di nuovo, perché so che devo mettere l’intelligenza, nel fare le sue cose. E questa intelligenza va messa. E’ possibile che quando arriviamo a Dio ci blocchiamo; è come se la mente si eclissasse, morisse. Poi quando usciamo da ciò che riguarda Dio, riprendiamo le nostre facoltà. Questo non va. Dobbiamo noi credere fermissimamente che può cambiare il mondo attraverso il nostro impegno.
D. Può essere considerata accidia il non leggere le sacre scritture, il non formarsi ed interrogarsi su questioni di fede?
R. L’accidia, è questa grande insensibilità. Tu puoi anche non leggere la Scrittura, perché potresti essere come quel funzionario regio che leggeva ma non capiva. Però, se tu hai a cuore la conoscenza delle cose di Dio, e ce l’hai a cuore con santità e con gioia; anche se non riesci a leggere la scrittura, puoi però informarti, puoi partecipare a una conferenza, a un dibattito, a una catechesi, a un dialogo e puoi chiedere ai tuoi amici: “senti, ma il tuo Dio com’è?”; “parlami del tuo Dio”; “voglio sentire qualcosa di bello; mi racconti qualcosa; chi è il tuo Dio; parlamene; dammelo, perché lo voglio conoscere”. È possibile che nessuno dica all’altro: “parlami del tuo Dio”! Ecco, questa è l’accidia. L’accidia è questa insensibilità dinanzi al nostro Dio. Io non penso che qualcuno di voi non possa dare una parola sul suo Dio. Oppure dire: “fratello adesso ti presento io il mio Dio. Tu mi hai parlato tu del tuo, fino ad ora; adesso ti presento io il mio Dio e vedrai che è diverso dal tuo. Poi tu scegli. Fai quello che vuoi. Però lascia che io ti parli del mio”. Il confronto arricchisce. Una delle povertà che abbiamo oggi, sai qual è? È la chiusura nel nostro limite; abbiamo il nostro Dio e ci basta. Non lo metti a confronto. Io vorrei che uno venisse qui a parlare del suo Dio; poi gli parlerei io del mio. Poi lo metteremmo a confronto e sceglieremmo. Se il suo è migliore scelgo il suo. Però se il mio è migliore tu scegli il mio. Possiamo noi mettere a confronto il nostro Dio. Anche come Movimento Apostolico, tra di noi. “Ma tu che Dio hai? Come lo pensi? Come lo vedi? Come lo giudichi? Come lo immagini? Come te lo dipingi? Parlamene del tuo Dio”. Fate la prova tra di voi e dipingete il vostro Dio a un altro, a un fratello. Però, poi fate che l’altro vi dipinga il suo Dio, e scoprirete cose stupende. Vi accorgerete che c’è tanto da apprendere, da dare, da crescere. Ecco, questo bisogna farlo. Ci dobbiamo noi interessare. Quando Maria Maddalena andò al sepolcro, appena vide che il sepolcro era manomesso, perché era ribaltato – e lei non sapeva della risurrezione di Cristo -, subito andò da Giovanni e da Pietro, e li informò. Loro andarono al sepolcro, videro e se ne andarono. Maria Maddalena è rimasta e quando vide l’ortolano, che era lì nel giardino, disse: “Ma senti. Mi puoi parlare tu di questo Cristo. L’hai visto? Sai dov’è? L’hai preso tu? Dimmi qualcosa, perché io poi vado a cercarlo. Però tu qualcosa me la devi dire”. Poi Gesù la chiamò: “Maria”, e lei si accorse che era Cristo, lo riconobbe, e poi successe quello che successe. La nostra cara Maria non si fermò alla tomba vuota. Doveva cercare Cristo, aveva questo desiderio. La Scrittura può anche essere una tomba vuota, dove io non ci capisco niente, ma il desiderio di Cristo deve rimanere, perché è il desiderio di Cristo che colma la mia sete. Questa sera provate a parlare del vostro Cristo tra di voi, e scoprireste cose molte belle. A volte avete paura dell’altro, avete paura di parlare della vostra fede, paura di comunicarvi qualcosa che è nel vostro cuore. Questo non è possibile. Dobbiamo liberarci di questa paura. Ecco la solerzia: nella ricerca, nel desiderare, nel volere, nel decidere.
D. Nella parabola dei talenti c’è scritto che “a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Volevo sapere cosa significa.
R. Se tu metti la tua scienza, alla scienza Dio aggiunge scienza e alla sapienza Dio aggiunge sapienza. Se tu fai morire la scienza che è in te e la sapienza che è in te; perdi tutto perché tu sai che un dono non sviluppato muore dentro di te. Diventa asfittico, non serve. E’ come un bambino nel grembo della madre che muore prima di venire alla luce. Mancano le condizioni del suo sviluppo. Allora noi dobbiamo capire questo: se il Signore ti ha dato l’intelligenza e tu la sfrutti, tu vedrai che questa intelligenza è come se si moltiplicasse dentro di te. Basta un nulla, per intravedere cose per le quali prima impegnavi un anno. Dopo invece tu leggi, intravedi, e comprendi la realtà, ti apri al mistero; in un istante. Perché? Perché il frutto che tu hai sviluppato dentro di te ha aumentato le sue potenzialità. Se prima potevi dieci, adesso puoi mille. Se tu invece non sviluppi la tua scienza, la tua intelligenza, la tua sapienza, cosa accade? Accade che la tua mente si atrofizza e poi non vedi nemmeno le cose ordinarie, le più elementari. Non le comprendi più perché ti sfuggono. Mentre tu adesso, grazie alla tua scienza, se vedi un teorema matematico, appena lo guardi sai già la soluzione; se tu non sviluppi questo dono, passato un anno, che cosa vedrai? Solo dei segni che non ti dicono più nulla, perché non hai sviluppato il tuo dono. Il dono va sviluppato ogni giorno sino alla fine. Non bisogna mai arrestarsi. Ogni giorno bisogna aggiungere qualcosa. Anche la fede va sviluppata, la carità va sviluppata, la speranza va sviluppata, per crescere.
D. Come comprendere se il sentimento di “stanchezza” che a volte avvertiamo è legato ad un particolare momento della nostra vita o se è la pigrizia che sta prendendo il sopravvento?
R. L’accidia essendo vizio è abitudine. Cos’è la virtù? Habitus faciendae bonum. La virtù è l’abito di fare il bene. Habitus significa con naturalezza. Tu, per natura, fai il bene. Mentre il vizio invece Habitus faciendae malum. Cioè è quella naturalezza nel fare il male. Il male lo fai quasi per natura, perché quella è la tua natura. Tu puoi avere un momento di stanchezza; questo momento di stanchezza si supera con il santo riposo. Quando Dio ha creato noi, ci ha creato bene; e ci ha dato il giorno e la notte. Il giorno per svilupparci e la notte per riposarci dallo sviluppo e vivere in un modo diverso la nostra vita. Noi abbiamo bisogno di quel santo riposo, necessario per poter lavorare il giorno dopo. Dopo sei giorni, il Signore ti ha aggiunto il tempo della luce perché tu ti possa riposare, ti ha aggiunto il settimo giorno, ventiquattro ore, dove tu il lavoro lo lasci stare perché ti devi riposare. Ora, se noi questo non lo facciamo, è chiaro che la stanchezza ti prende, l’esaurimento ti consuma, perché tu non puoi dare al tuo corpo ciò che è più di quello che lui può ricevere. Se tu carichi sopra un asino cinquanta chili, per un pezzo di strada giusta, l’asino te li porta bene. Se tu carichi cento chili, l’asino comincia a soffrire; ma se metti duecento chili non te li porta, perché non ce la fa. Il nostro corpo và calibrato bene. Ognuno di noi deve sapere che il corpo non può tollerare tutto quello stress cui ogni giorno lo sottoponiamo. Il corpo non tollera il disordine. Se tu la notte la fai giorno e il giorno lo fai notte il corpo non tollera questo. Tu devi avere quell’equilibrio santo per non arrivare a questo stato di stanchezza, che può essere il frutto non di una volontà, ma di un’abitudine malsana nel vivere la tua relazione con il corpo, nel chiedere ciò che il corpo non ti può dare.
D. I peccati contro lo Spirito Santo hanno a che vedere in qualche modo, con l’accidia?
R. I peccati contro lo Spirito Santo potrebbero rientrare nell’ambito dell’accidia se diventano peccati contro lo Spirito Santo. Ti faccio un esempio: il paradiso è frutto anche del tuo impegno. Se invece tu pensi, credi, ti convinci, che il paradiso ti è dovuto ed entri nella presunzione di salvarti senza alcun merito (“io posso fare quello che voglio, tanto mi salvo lo stesso”), è questo pensiero che ratifica l’accidia. E’ anche questo pensiero che ti fa entrare nel peccato contro lo Spirito Santo, perché tu ometti gli strumenti della verità e della grazia per entrare in paradiso. Oppure: combattere la verità conosciuta, impugnarla; o avere invidia della grazia altrui, o alla fine non pentirsi dei propri peccati. Sono questi atti specifici che sono peccato contro lo Spirito Santo. I vizi capitali non sono in sé peccati contro lo Spirito Santo. Diventano peccati contro lo Spirito Santo quando tu li ratifichi come via per il cielo. Se l’invidia la ratifichi per distruggere la grazia di Dio negli altri, allora in questo caso è un peccato contro lo Spirito Santo.
D. Quando siamo accidiosi verso i fratelli?
R. L’accidia non è verso i fratelli. Verso i fratelli và il frutto della tua accidia. L’accidia è un fatto della tua vita: se senti tu la passione o non la senti; se senti la responsabilità o non la senti; se senti il desiderio o non lo senti. Questa è l’accidia. L’accidia è insensibilità allo sviluppo di te stesso. E’ come un albero secco. Nel momento in cui tu divieni un albero secco non produci più frutti di vita eterna, né per te e né per gli altri. L’accidia fa si che tu sia infruttuoso, e quindi se tu sei infruttuoso compi sempre un’opera di omissione verso i fratelli. Il dono il Signore te lo ha dato per arricchire gli altri. Ti faccio un esempio. Il Signore ha dato a me il dono della teologia. Io lo devo sviluppare. Sviluppandolo, i frutti del mio lavoro li dono a te. Tu te ne servi, se vuoi, secondo i tuoi bisogni. Però il frutto lo dono a te. Se io questo dono non lo sviluppo, l’omissione è mia, però privo te di che cosa? Del dono che avrebbe potuto darti la vita e quindi io sono responsabile anche della tua vita eterna. Una mia parola avrebbe potuto salvarti, e poiché io quella parola non l’ho detta, non ti salvi la vita. Se io per esempio la Domenica devo ammaestrare il popolo, e il Sabato sera mi vado ad ubriacare, il giorno dopo, quando vado a predicare dico parole strane. Tutto quel popolo a cui vado a predicare, anziché nutrirsi di verità si nutre di stoltezza, non si salva. Ma la colpa di chi è? Mia, perché ho omesso di fare le cose secondo verità, secondo giustizia: ecco l’accidia. Non ho avuto la sensibilità di prepararmi bene perché una parola può salvare il mondo. L’accidia incide nel rapporto con gli altri per via della privazione di un bene che io gli devo dare, ma che non faccio fruttificare. Io sono insensibile a questo bene che il Signore mi ha dato. Noi non siamo solamente responsabili di noi stessi, noi abbiamo il mondo nelle nostre mani. Il Signore ha messo tutto l’universo creato nelle nostre mani e questo mondo dobbiamo portarlo noi alla sua perfezione.
D. La troppa solerzia può diventare un peccato?
R. La solerzia è peccato quando tu dovessi mancare alla giustizia. Se tu, per esempio, per dedicarti ad alcune cose che ami, trascuri la giustizia. Qual è la tua giustizia? La tua giustizia viene dai compiti, dalle mansioni particolari che tu devi assolvere sempre. Se tu sei un professore di scuola, tu per giustizia ti devi dedicare alla scuola. In tutte quelle ore che per contratto tu devi stare a scuola, lo devi fare. Io prete, ho un dovere di giustizia verso di te: ascoltare la confessione; predicare; pregare per te; celebrare la S. Messa. Quindi ho degli obblighi di giustizia che devo assolvere. Assolti questi obblighi posso dedicarmi a ciò che io amo di più, che è lo studio della teologia. Ma non posso dedicarmi solo allo studio della teologia avendo degli obblighi precisi, presi nella comunità cristiana. Perché io sono parroco e il parroco ha degli obblighi precisi da assolvere, che non può tralasciare, perché ama altre cose. Altrimenti deve dimettersi da parroco e dedicarsi ad altre cose. Allora bisogna essere equilibrati, giusti, santi. Io posso anche sprofondare nello studio della Scrittura ventiquattro ore al giorno. Però sarei omissivo nella giustizia e commetterei peccato dinanzi al Signore. Ti faccio un altro esempio: io devo istruire te. Io sono preposto alla formazione nel Movimento Apostolico. Ebbene quando tu hai bisogno di me io debbo essere a tua disposizione. Per cui questa ora che devo dare a voi, la devo dare per giustizia, e se non la dono, io commetto peccato di omissione. Sono responsabile dinanzi a Dio. L’equilibrio è fondamentale nella nostra vita, perché senza equilibrio ci perdiamo. Noi camminiamo senza obbedienza al Signore. La giustizia è obbedienza a Dio. Io mai posso lasciare di obbedire al Signore, per servire Dio, perché studiando la teologia io servirei il Signore. Io il lunedì devo stare in mezzo a voi. Perché? Perché devo ascoltare ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa. Debbo ascoltarlo perché debbo anche interpretarlo, se è necessario. Ed è giusto questo. E così dicasi per tutti gli altri giorni in cui devo stare in mezzo a voi. E lo devo fare. Poi, il resto lo facciamo, in altri tempi. Però la giustizia va osservata sempre, perché la giustizia è anche solerzia e obbedienza a Dio. Essere giusti è ciò che il Signore vuole. Poi il resto viene dopo. Per cui questo equilibrio bisogna che noi lo viviamo. E qui purtroppo molte volte pecchiamo. Perché non tutto ciò che noi amiamo è santo agli occhi del Signore.
D. Se c’è un’opera che si potrebbe fare, perché considerata in se stessa, è santa, però non è il meglio per noi, come facciamo a capire cosa dobbiamo fare?
R. Il problema e il primo discernimento che devi fare nella tua vita è se trattasi di un’opera di giustizia o di un’opera di carità. Se è un’opera di giustizia la devi fare perché sei obbligato a farla, e la devi fare nel modo migliore. Se è opera di carità hai tu il discernimento e la libertà di decidere come farla e quando farla. Questa libertà ti è data da Dio. Tu vedi, tu scegli, tu preghi e il Signore ti dona il Santo discernimento. Nella carità hai la libertà di poter operare secondo il tuo cuore, mosso dallo Spirito Santo. Ti faccio un esempio. Quando Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro, prese quella libra di olio profumato e andò ad ungere i piedi di Cristo, Giuda disse che era un’opera sprecata. Si poteva vendere quell’unguento e darlo ai poveri; si sarebbe guadagnato trecento denari. Invece avendoli buttati per terra si è fatto uno sciupio. Cristo interviene e dice: “No! Non ha fatto uno sciupio. Ha fatto un segno profetico”. La carità non la possa giudicare io, perché la carità la giudica il tuo cuore e lo Spirito Santo che te la fa vedere. Io non posso giudicare la tua carità. Però tu preghi lo Spirito Santo e lo Spirito Santo ti indicherà la via giusta per operare il bene. Quando tu ti metti in preghiera e chiedi al Signore che ti illumini, il Signore ti illuminerà. Così saprai sempre qual è l’opera attuale più bella che tu debba o possa fare.
D. Come si cade nell’accidia e come si fa a venirne fuori una volta caduti? Si può recuperare il tempo perduto?
R. Il tempo perso generalmente è difficile che si possa recuperare, specialmente se è assai. Tu perdi un anno, due anni, tre anni, quattro anni. Come fai a recuperare questi quattro anni sciupati nell’ozio. Li puoi però redimere, pentendoti e riprendendo il cammino. Però poi, con un poco di sacrificio, qualcosa la recuperi sempre. Anche perchè c’è la benedizione di Dio. E tu con la benedizione di Dio puoi anche recuperare qualcosa. Però quattro o cinque anni sono pesanti. È un tempo che pesa.
Per uscire dall’accidia abbiamo bisogno di essere risvegliati, abbiamo bisogno di essere aiutati, sostenuti, abbiamo bisogno di persone amiche che ci sostengano in questa resurrezione. Ora, vi ho detto prima che molte volte noi non ci aiutiamo fra di noi. Se tu vedi una persona ammalata di accidia, non la curi, non la fai uscire. Dobbiamo sostenerci. L’unico modo per poter uscire dall’accidia è sostenerci. Se non c’è un fratello che ti aiuta, tu non uscirai mai. L’uomo è necessario all’uomo nella nostra vita di verità, di santità, di giustizia, di pace. Noi siamo necessari agli altri. Questa verità, mettetela nel cuore perché da questa verità può nascere un modo nuovo di relazionarsi. Siamo tutti necessari gli uni agli altri.
Indicazioni fornite da Mons. Costantino Di Bruno per la preparazione dell’incontro:
– Capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo
– Antico Testamento: Il Profeta Aggeo (indifferenza per il tempio del Signore).