Ira e Mitezza

Le risposte alle domande sono a cura del teologo Mons. Costantino Di Bruno, Assistente Centrale del Movimento Apostolico.

Il tema di questa sera è la mitezza e l’ira. Vi parlerò brevemente della mitezza, attraverso due personaggi storici della Bibbia: uno è Isacco e l’altro è Davide.
Isacco viveva nella terra di Canaan e abitava in terra straniera. Scavava dei pozzi, ma gli abitanti di quella terra andavano e lo scacciavano via. Poi scavava ancora e quelli andavano e s’impossessavano del pozzo da lui scavato, e, ancora, se egli ne scavava altri venivano a molestarlo rivendicando la proprietà. E lui ne scavava altri. Questa era la sua vita. Ma dice la Scrittura che il Signore lo benedisse, e da ricco che era divenne ricchissimo per questa sua mitezza (cfr Gen 26,12ss). Ora, cos’è la mitezza? La calma, la pazienza, la serenità in tutte le avversità della vita. Quello che Gesù chiama “non rispondere al malvagio facendo il male”. Per cui nella mitezza il male si vince sempre con il bene.
Davide, era perseguitato da Saul. Per ben due volte avrebbe potuto ucciderlo e non lo fece. Però, andò errando sempre di luogo in luogo, sottraendosi a Saul, perché non voleva fare del male al consacrato del Signore. Un giorno il figlio di Davide, Assalonne, gli si rivoltò contro e gli scatenò una guerra civile (cfr 2Sam 15,1ss.) perché il figlio voleva uccidere il padre. Fuggendo da Gerusalemme gli venne incontro un giorno un certo Simei, che lo malediceva (cfr 16,5ss). Il capo del suo esercito disse a Davide se avesse voluto che lui intervenisse per ucciderlo. E Davide rispose: “lascia stare. Se ci maledice è perché il Signore gli comanda di maledire, di mettermi alla prova. Perché il Signore vuole mettermi alla prova, vuole vedere se sono capace di sopportare ogni male pur di far trionfare il bene”.
Pensate adesso a Cristo sulla croce e capirete cos’è la mitezza. Lui al male sommo che noi gli abbiamo procurato, rispose con il sommo bene, pregando anche per carnefici e crocifissori: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno!”. La mitezza è una risposta immediata al male con il bene più grande. Uno ti fa un male grande e voi rispondete facendo un bene grande. Come Cristo. L’ira cos’è? Il non controllo dei nostri gesti e dei nostri atti. Per cui dinanzi a una cosa che noi pensiamo non sia buona rispondiamo in modo violento perdendo il controllo di noi stessi. Per san Paolo nell’ira si può cadere. Ma in essa ci sono due accorgimenti santi da assumere necessariamente. Il primo, nell’ira, non bisogna peccare (la nuova traduzione CEI rende così la frase paolina: “Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira”, Ef 4,26). E il secondo, non permettere che il sole tramonti sulla nostra ira. Cioè, non possiamo avere un’ira che covi per sempre in noi. Altrimenti non è più ira, ma odio. La sera allora dobbiamo chiudere i conti, fare pace, tornare nella nostra quiete spirituale. Una cosa che va detta subito è questa. L’ira non governata vi può portare a fare azioni di cui non conoscete lo sviluppo e che possono portare ripercussioni che potranno durare per tutta una vita, anche penali. Nell’ira si può uccidere una persona. Ecco perché occorre avere sempre il governo di atti, gesti, parole. Un cristiano deve sapersi governare. Ora approfondiamo questi temi.

D. Vorrei sapere se ira e rabbia sono la stessa cosa. E poi vorrei comprendere meglio l’espressione l’ira di Dio.

R. L’ira di Dio è la volontà del Signore di manifestare la sua somma giustizia. Dio che si adira è un modo umano di dire, perché Dio non perde mai il controllo di se stesso. Il Signore si adira perché vuole che la sua giustizia trionfi, la sua giustizia governi il mondo. Il Signore nel profeta Isaia dice questa frase: «quando io sono adirato che voglio usare la giustizia tu nasconditi così io non ti vedo l’ira mi passa e io uso la misericordia e non più la giustizia» (cfr 26,20). E questo è sublime in Dio. Questo, umanamente parlando, succede. E anche Dio ti invita a nasconderti perché c’è un momento in cui la giustizia deve trionfare; però poi e giusto che la misericordia anche trionfi. La rabbia e l’ira in un certo qual modo si equivalgono. Noi usiamo molte volte la rabbia per l’ira e l’ira per la rabbia. Però è opportuno usare sempre l’ira perché la rabbia è più animalesca, non è del cristiano la rabbia. Dio non si arrabbia mai. L’ira nella sua accezione ultima è questo desiderio di somma giustizia, questo desiderio di verità assoluta, di un comportamento corretto da parte dell’altro. Quindi, in sé, potrebbe anche essere un desiderio buono, ma dobbiamo sempre dominarla, governarla. Perché non dobbiamo fare gesti inconsulti. Tu puoi avere anche un momento d’ira forte, ma devi stare attento a che non ti sfugga di mano, perché potresti combinare cose cattive. E voi vedete, basta guardare la storia giudiziaria per capire quante persone vengono anche compromesse fisicamente in modo grave, per un atto d’ira non governata, non dominata, non posta in degli argini santi. Gesù nel tempio, non si adirò contro i venditori di pecore, buoi, colombe? L’ira fu santa. C’è la santa ira. Però non trascese. Nell’ira, non peccate. Possiamo noi governare l’ira? La possiamo governare se per noi l’ira diventa un desiderio di giustizia. Se diventa una reazione, allora non si governa. Dio ha sempre l’ira come desiderio di giustizia, per cui la governa sempre. Non trascende mai il Signore. Anche Gesù la vive così: un sommo desiderio di giustizia, ma sempre governata. Ricordo ancora Paolo: “nell’ira non peccate”.

D. Come si controllano le parole che si dicono e come si placa una lite?

R. Se tu vuoi controllare te stesso devi chiedere al Signore la virtù della sapienza, perché il governo dell’uomo è un dono dello Spirito Santo e questo dono ha un nome: la sapienza. La sapienza si divide in quattro virtù: la prudenza; la fortezza; la giustizia e la temperanza. Un uomo prudente è colui che in ogni suo gesto pone l’attenzione perché quanto vive possa portare tutto il bene; e non fa nulla perché un male possa capitare a lui per via di un gesto mal posto, una parola mal detta, un sentimento espresso in modo non corretto. La prudenza ti dà il governo anche della tua parola, perché l’ira tante volte esplode con una parola e l’ira può arrivare anche alla bestemmia, nel qual caso si cade nel peccato mortale. Se tu chiedi al Signore che ti doni la virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza tu governerai sempre i tuoi gesti. Però, qui occorre quella preghiera costante, continua, ininterrotta, perché ti servono queste quattro virtù per governare la tua vita. Tant’è vero che queste virtù si chiamano cardinali perché sono i quattro cardini del nostro cammino spirituale: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.

D. Qual è la causa dell’ira ?

R. La causa dell’ira, molte volte, è una stanchezza fisica. Quando tu sei stanco fisicamente sei più propensa a perdere la sapienza ed entrare in un’ira inconsulta. L’altra causa è il non governo di noi stessi. Ritenere, erroneamente, che noi non dobbiamo governare noi stessi. Mentre, è obbligo per un uomo o una donna governare se stessi. Perché è obbligo che appartiene all’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, governare la sua vita. I nostri sentimenti, le nostre passioni, le nostre emozioni debbono essere sempre sotto il controllo del nostro spirito e per questo occorre questa sapienza che è dono dello Spirito Santo. Come occorre anche che noi ci conosciamo. Tu sai che se sei stanca fisicamente, non hai più il governo dei tuoi pensieri, delle tue azioni e puoi esplodere. Cosa puoi fare in questi momenti? Devi cercare quell’equilibrio fisico necessario per poter governare la tua mente e il tuo cuore. D’altronde è abitudine dire: mens sana in corpore sano. Corpo e anima non sono disgiunti e non si può avere un’anima santa e un corpo non santo. Non si può stressare il corpo, e poi pretendere che obbedisca all’anima, perché non ce la fa. Bisogna avere quella somma saggezza di equilibrare bene le forze. Noi ci dobbiamo convincere che non possiamo fare quello che vogliamo, sempre con il nostro corpo. Non lo possiamo usare come noi vogliamo, perché il corpo ha le sue leggi e queste leggi vanno osservate. Il giusto riposo, il giusto nutrimento, l’equilibrio tra lavoro e riposo. Il Signore ha stabilito per l’uomo un equilibrio formidabile: gli ha fatto il giorno e la notte. Gli ha fatto la settimana con sei giorni e con il settimo. Questa è tutta una legge di equilibrio. Per cui il giorno lavori e la notte ti riposi. Allora puoi governare te stesso. Sei giorni lavori e la domenica è del Signore la vivi in modo diverso, senza affanno, e allora puoi governare te stesso. Ma se questo non lo fai, perché vivi disordinatamente, non hai più il governo della tua anima e neanche il governo del tuo corpo, perché corpo, anima e spirito lavorano sempre in una sintonia mirabile. Una vita disordinata porta al non governo di sé, mentre una vita ben ordinata porta al governo di sé. Perché? Perché già l’ordine è governo.

D. Con l’ira si può uccidere spiritualmente una persona?

R. Il principio che vi ho dato all’inizio, richiamandovi San Paolo, suona così: “Nell’ira non peccate” (“Adiratevi, ma non peccate”, Ef 4,26). Quando hai un momento d’ira, tu sei capace di controllare le tue parole? Se non sei capace di controllare le tue parole cosa avviene? Tutto il tuo mondo interiore esplode fuori e puoi dire cose offensive sull’altro, puoi dire anche parole pesanti, gravi sull’altro, che uccidono l’altro nella sua sensibilità, nel suo cuore, nei suoi desideri, nei suoi pensieri. C’è una massima che dice così: “il silenzio è sempre d’oro”. Nessuno si è mai pentito di non aver parlato, mentre sovente ci pentiamo per aver detto delle parole. Se noi non abbiamo il governo della parola, nell’ira possiamo far uscire una lava di male sull’altro, che è un nostro pensiero, un nostro desiderio ma che poi fa male, molto male. Bisogna stare attenti a far si che anche se io ho un momento d’ira, quello che è nel mio intimo non esca fuori, perché l’altro non deve conoscere il tuo cuore né la tua anima. Ti appartengono. Tu puoi avere anche un pensiero; ma l’altro non lo deve conoscere, perché un pensiero può venire a chiunque. La tua coscienza la devi tenere nascosta, segreta. Poi, le relazioni devono essere fatte con amore, con sincerità, in pace. Siamo tutti imperfetti; tu non trovi una persona che in questo mondo possa ritenersi perfetta, siamo tutti in divenire, siamo tutti chiamati ad andare oltre. Se tu vuoi dire una parola cattiva verso una persona ne potrai dire tante; ma a che giova? A niente. Ma nell’ira diciamo delle parole che poi non si possono più raccogliere, e ci distruggono e distruggono le relazioni. Questo dobbiamo impedire che avvenga. Per cui nell’ira si può anche uccidere spiritualmente una persona, e tante volte, per uno scatto d’ira si rompono delle relazioni giuste e sante e poi si creano anche delle inimicizie: “Tu mi hai detto questo! Tu mi hai accusato di questo! Tu pensi che io sia questo!”. Così l’amicizia muore. Sovente, non si riesce più a recuperarla.

D. Come si diventa miti e cosa vuol dire “Beati i miti, perché erediteranno la terra”?

R. La mitezza è una virtù particolare, perché è legata alla giustizia. Mitezza e giustizia camminano insieme. Nell’AT, non è la mitezza che ti dona il possesso della terra, te lo dona la giustizia. La giustizia è il rimanere sempre nella volontà di Dio. Tu rimani nella volontà di Dio! Il Signore ti protegge, ti benedice, ti custodisce, ti salva, ti risuscita, ti risana. Considera Cristo. Cristo Gesù rimase giusto sulla croce, perché non commise peccato. Rimanendo giusto, Lui morì. Ma per quanto il Signore lo ha lasciato nella tomba? Per circa quarant’ore. Dopo il Signore lo ha risuscitato, gli ha dato una vita immortale, gli ha dato un corpo spirituale, per cui Cristo oggi supera quegli angusti confini che aveva nel suo corpo di carne ed è corpo universale, corpo glorioso, corpo di luce. Pensa che il frutto della giustizia di Cristo è l’eucaristia. Cristo può essere con il suo corpo in tutte le ostie consacrate di questo mondo, grazie alla risurrezione, grazie al dono di un corpo spirituale. Per cui il Corpo di Cristo non si moltiplica; è, per tutti, sempre, lo stesso identico corpo. Questo è il frutto della giustizia, perché Cristo rimase nella volontà di Dio. Se tu rimani nella volontà di Dio, possiederai la terra, tu regnerai per sempre, anche se apparentemente tu vivi un momento di non governo della terra, perché gli altri ti stanno governando. Lasciamo Cristo e passiamo un altro esempio: Giuseppe fu prima venduto dai suoi fratelli per invidia e poi fu messo in carcere da Potifar per calunnia perché la moglie lo accusò di seduzione (cfr Gen 37.39ss). Lui rimase nella giustizia perfetta, non venne mai meno, e il Signore lo fece viceré in Egitto, quasi un Faraone, perché tutto l’Egitto era nelle sue mani, perché il Faraone lo affidò a lui. Questo, per la sua giustizia, per la sua mitezza, perché non rispose mai al male con il male. E quando i fratelli, morto il padre, dissero a Giuseppe di non vendicarsi su di loro, Giuseppe rispose loro che lui non si poteva vendicare perché era stato il Signore a servirsi di loro per mandarlo avanti a preparare un futuro buono per tutti (cfr 50,15-21). Che visione di fede che aveva quest’uomo! Lui venduto, carcerato, rimase nella sua giustizia e cosa pensa? Pensa che il Signore ha fatto tutto questo per il bene più grande del suo popolo. Non è poco. È grande questo. Ecco perché bisogna che noi restiamo sempre nella giustizia, non facendo mai il male a nessuno. Qualsiasi cosa ti capita. Perché Dio, poi, ti ridona ciò che l’altro ti toglie. Non so se ricordate il profeta Abacuc, che è un profeta formidabile, grande. Abacuc è il profeta che si lamenta con Dio perché le cose andavano male (1,1ss). E lo accusa di essere uno spettatore, mentre il giusto soccombe. Pensate a Cristo, sulla croce immerso tra i tormenti, tutto quel mondo che vende Cristo e lo tratta come uno straccio, anzi peggio di uno straccio. E il Padre cosa fa dal cielo: sembra uno spettatore. Ma il Padre non è uno spettatore! È uno che guarda la tua giustizia: “Vediamo costui quanto è capace di essere giusto”. Una volta che il Padre dei cieli ha provato la tua giustizia, interviene e ti risuscita a vita nuova. Ecco perché Abacuc dice: “Soccombe colui che non ha l’animo retto mentre il giusto vivrà per la sua fede” (2,4). Ecco la beatitudine: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”. Il Signore cosa ti chiede? Tu rimani sempre nella tua giustizia. Sempre! Poi il resto lo farò io. Sempre! Ecco perché noi non possiamo avere paura del male, perché il male serve a provare la nostra giustizia. Dobbiamo temere di fare il male, ma non di subirlo. Fare il male lo dobbiamo temere, perché qualora lo facessimo Dio non ci può dare più la terra. Però, se rimango nella sua giustizia, rimango nella sua verità, rimango nell’osservanza dei suoi comandamenti, non faccio il male a nessuno, il Signore interverrà nella mia vita e mi darà la sua ricompensa, nel tempo e nell’eternità. Questo è il principio santo dell’azione del Signore.

D. Da dove comincia il cammino di ascesi spirituale per acquisire la mitezza? E poi: a volte gli scatti d’ira possono essere dettati da disfunzioni o sbalzi ormonali (ci sono sentenze in cui è attestata un’attenuazione della colpa per tentati omicidi o omicidi). Questo per quanto riguarda l’aspetto penale! Dal punto di vista morale ci può essere un’attenuazione della colpa?

R. Quando noi parliamo del governo che l’uomo deve avere su se stesso, asseriamo la necessità che l’uomo si conosca. Tu puoi avere uno scatto d’ira inconsulto: una volta! Ma avutolo, tu ti puoi interrogare da che cosa è venuto fuori. Perché l’uomo è obbligato a conoscere se stesso, conoscere le sue reazioni, conoscere i suoi sentimenti, conoscere il modo di rapportarti che tu hai con l’altro. Questo è importante. Perché se questo avviene una prima volta, allora, puoi ritenere: “è avvenuto ora, non mi conoscevo sotto questo aspetto”. Ma se tu sai che è un tuo modo di essere, devi prendere provvedimenti. L’uomo è obbligato a ricorrere anche alla medicina, per curare il suo corpo. Questo è obbligo per tutti. Per cui se tu non lo sai non pecchi, ma se lo sai pecchi. Ti faccio un esempio tratto dalla Scrittura. Dice la Scrittura che se tu hai un bue capriccioso, che usa le corna e tu non lo sapevi, in quel caso non sei responsabile di quello che il bue ha fatto; ma se hai un bue che sai che può far male ad una persona e tu non lo tieni a bada, allora sei responsabile. Sapevi e non hai fatto nulla. Come il caso dell’ubriaco che si mette alla guida. Tu sai che se ti ubriachi, non hai più il governo di te stesso. E tu non puoi dire io non lo sapevo. Tu lo devi sapere necessariamente, perché alcune cose bisogna saperle, perché sono scienza di se stessi. La formazione a questo serve, indicare all’uomo quali sono i frutti delle sue azioni. Ciò che producono le azioni dell’uomo. Anche queste cose sono da insegnare per formare bene l’uomo. In questo caso tu hai un’attenuazione o anche una responsabilità, qualora tu non hai fatto tutto ciò che era in tuo potere fare perché non avvenisse un incidente. Nella Scrittura la correzione è obbligo! Noi oggi non correggiamo più, lasciando che tutto vada come vada. L’obbligo scaturisce dal fatto che se tu non correggi la persona che sai agire in modo sbagliato, diventi anche tu responsabile delle sue colpe. Noi abbiamo anche una responsabilità diretta sulle azioni del nostro fratello. Ecco perché è importante lasciarsi aiutare dalla scienza per poter governare noi stessi, attraverso quegli aiuti che la scienza ci può dare. Scienza psicologica, scienza psichiatrica, medica e tutte le altre scienze che ci possono aiutare a governare noi stessi, perché dice la Scrittura che ci sono casi in cui la guarigione il Signore l’ha messa nelle mani dei medici, e noi ci dobbiamo lasciare aiutare (cfr Sir 38,1-15). Per cui, c’è un moto non conosciuto e un moto conosciuto. Ed in questo secondo caso, la seconda volta non è come la prima. Dobbiamo stare molto attenti, perché noi siamo responsabili di tutte le azioni che facciamo. Poi che la responsabilità è più piccola o più grande, minore o maggiore, questo lo stabilisce Dio e la tua coscienza. Noi non possiamo intervenire, non sappiamo cosa abbia mosso il cuore dentro per fare quella determinata cosa. Importante è che voi conosciate questa responsabilità che noi abbiamo nel governo, ante-factum, di noi stessi.

D. Se i vizi si possono sconfiggere con la grazia di Dio e con la nostra volontà, come facciamo a diventare uomini di buona volontà per volere impegnarci ad acquisire le virtù?

R. Possiamo risolvere il problema in un modo assai semplice. Tu devi avere nel tuo cuore due principi di azione. Il primo principio è quello di trascenderti sempre. Io dico: “Così come sono, non piaccio al Signore”. Per cui mi debbo trascendere, devo andare oltre, perché tutto il tempo che Dio ci dona sulla terra è per compiere il nostro cammino di perfezione e conversione. Abbiamo tutti questa verità nel cuore? Abbiamo questo desiderio di crescita? Se non l’abbiamo mettiamola nel cuore. Io devo crescere. Questo era il principio di Cristo Gesù. Gesù cresceva ogni giorno in età, sapienza e grazia. Cresceva nel suo corpo, cresceva nel suo spirito, cresceva nella sua anima. E’ possibile che io che voglio imitare Cristo non abbia questo desiderio di crescita nel mio cuore. Bisogna che lo abbia. Per questo ogni giorno mi devo vedere imperfetto. Non sono ancora giunto a perfezione! E questo desiderio deve andare fino all’ultimo istante della nostra vita. L’altra sera in una catechesi riportai quanto San Francesco disse alla sera della vita quando ormai era moribondo: “Iniziamo oggi perché finora non abbiamo fatto niente”. Da dove nasceva in lui questa coscienza, questo desiderio. Dalla perfezione assoluta di Dio. Lui contemplava Dio, vedeva la sua santità somma e si vedeva mancante, sempre. Ma noi siamo mancanti sempre. Quando Isaia stava nel tempio e vide la santità di Dio, la gloria del Cielo disse: “Sono un impuro, sono un peccatore”. La stessa cosa disse Pietro, quando vide la santità di Cristo che gli diceva di gettare la rete dalla parte destra e avrebbe trovato: “Allontanati da me che sono un peccatore”. Abbiamo noi questo desiderio di crescita nel cuore? Se lo abbiamo poi entriamo nella quotidianità della crescita, che avviene togliendo prima ciò che è grave. Si comincia dal togliere i peccati mortali, e quindi si deve iniziare dall’osservanza dei comandamenti. Cominciamo da li. Poi si passa ai peccati veniali: parole, opere ed omissioni; piccole parole, piccole opere, piccole omissioni. Poi si passa ad una crescita perfetta nella volontà di Dio, per cui tu non hai più bisogno di liberarti dal peccato, hai bisogno di compiere ogni giorno tutta la volontà di Dio al sommo della sua potenzialità. Questo lo puoi fare lasciandoti aiutare dalla preghiera. Tutto ciò che tu vuoi essere lo devi chiedere a Dio ogni giorno nella preghiera. “Signore, mi manca questo. Mi manca quest’altra cosa. Tu mi aiuterai ed io realizzerò”. Allora tu devi avere una vita di preghiera ininterrotta. Non che tu debba stare a pregare dalla mattina alla sera. Questa non è preghiera ininterrotta. Bensì ogni momento della tua vita tu devi avere lo spirito nel cielo per chiedere al Signore cosa ti manca in quel momento: “Signore adesso mi manca una virtù, adesso mi manca un pensiero, una decisione, un poco di buona volontà, un poco di energia, un poco di mitezza, oggi sono privo e attingo da te”. Questa relazione soprannaturale è necessaria alla nostra vita, altrimenti cadiamo. Il cristiano è colui che ha il cuore fisso eternamente in Cristo, nel Padre dei cieli, nello Spirito Santo, nella Vergine Maria, e chiede ogni cosa per raggiungere una perfezione buona e anche santa.

D. Che rapporto c’è tra correzione e mitezza?

R. La mitezza è la virtù attraverso la quale tu rispondi sempre al male con il bene. Quello che asseriva San Paolo e che voi trovate in Rm 12: “vincete sempre con il male il bene”. La correzione appartiene alla virtù della carità. La carità è un aiuto spirituale o materiale che tu doni al tuo fratello, perché lui possa vivere bene dinanzi a Dio, dinanzi a se stesso, dinanzi agli uomini. La correzione fraterna ti aiuta o aiuta l’altro a trovare la via della pace perché trova la via della grazia dinanzi a Dio e agli uomini. La correzione fraterna bisogna farla sempre con amore, con carità, con delicatezza, mai con asprezza. L’asprezza non ci appartiene. Mentre un poco di pazienza, un poco di solerzia, un poco di carità ci aiuta a vivere un momento santo con i nostri fratelli, anche in una relazione difficile; perché non tutti accolgono la correzione fraterna. Però, se uno di noi è di buona volontà, può dire all’altro: ”Aiutami a trovare i miei difetti, a vedere ciò che io non vedo, così mi correggo e divento più buono verso di te e verso gli altri”. Anticamente nell’ascetica queste cose venivano consigliate: la correzione reciproca, aiutarci a scoprire i difetti, a scovarli. Ma non dovrebbe essere l’altro a dirci i difetti, ma dovremmo essere noi a chiederli. Questo nell’amicizia si può fare. Nel cammino insieme si può anche fare. Ma senza dirle in Chiesa. Queste sono cose private e certamente non si dicono pubblicamente. Ma noi dobbiamo aiutarci gli uni gli altri. Nell’amore ci si aiuta e ci si sostiene. Nell’amore, l’altro si lascia dire certe cose, perché si ama e vuole essere amato da Dio in modo forte, vero e santo.

D. A volte per un carattere impulsivo si viene considerati iracondi. Come fare perché l’altro non percepisca che noi non abbiamo ira nei suoi confronti, ma è solo il nostro carattere impulsivo?

R. Il problema non è mai dell’altro. Il problema è nostro, che dobbiamo sempre governare i nostri gesti. L’altro non deve pensare. Siamo noi che dobbiamo farlo non pensare. Siamo noi che dobbiamo aiutarlo ad avere un buon concetto di noi. Questo sarebbe bello. Ognuno di noi dovrebbe aiutare l’altro a pensare bene, non a pensare male. A volte, invece, noi aiutiamo l’altro a pensare male di noi, non bene. E questo non dobbiamo farlo. Noi siamo obbligati a governare i nostri atti, la nostra vita, i sentimenti, le parole, in modo che l’altro possa pensare bene: “Questo è un bravo ragazzo. Questa è una brava figliola”. La cura appartiene a noi, e non agli altri. Siamo obbligati a curare la nostra immagine, sempre! Questo è obbligo di ogni uomo, ogni donna, ogni ragazzo: curare la propria immagine. Come si cura l’immagine esteriore, attraverso l’abbellimento di se stessi, così và curata l’immagine spirituale. È un dovere. Come si va dal parrucchiere per donare un’immagine stupenda della tua capigliatura, così bisogna che si vada dal “parrucchiere spirituale” perché venga abbellita la tua anima, il tuo spirito; così che tu possa camminare bene. L’altro guardandoci deve avere una buona stima di noi. Curare la propria stima non è peccato, anzi è un obbligo. Questa si chiama, con termine tecnico: irreprensibilità. E bisogna esserlo davanti a Dio e agli uomini. San Pietro lo raccomandava ai cristiani di curare la propria stima al cospetto dei pagani. San Paolo addirittura raccomandava che, quando bisognava fare un vescovo, questi doveva godere della stima presso quelli che sono di fuori: non chiunque può diventare vescovo. Perché la cura della stima è necessaria per la credibilità della Chiesa. Non è possibile che uno non curi la sua stima e pensi di poter fare quello che vuole. Un prete deve curare anche lui la sua stima, perché dev’essere incisivo presso tutti, quelli di fuori e quelli di dentro, e nessuno deve parlare male. Questo è un obbligo per noi, per voi, per tutti.

D. A volte, nel dire con fermezza la verità si può suscitare l’ira altrui. Come fare in questi casi?

R. Quando si parla, bisogna che tu conosca chi è l’altro dinanzi a te. La verità và detta sempre con prudenza, con saggezza, con temperanza, con fortezza. Ora le quattro virtù vanno sempre insieme. Se tu hai dinanzi a te una lucertola, la puoi prendere con le mani perché sai che non ti può fare nulla, è un animale innocuo quello che sta dinanzi a te. Ma se ti trovi davanti ad un cobra, devi stare attento a come lo prendi, perché ti può fare male. Quando tu parli con l’altro lo devi conoscere. Devi conoscere le sue reazioni, i suoi sentimenti, le sue emotività. Tutto di lui devi conoscere. Se l’altro non lo conosci, parla in modo saggio, prudente, accorto, e puoi dire le cose anche in modo indiretto, perché non conosci le sue reazioni. Molte volte è preferibile non parlare che rompere un cuore, rompere una mente, rompere uno spirito, rompere anche una relazione. A volte bisogna tacere, fare silenzio, far finta di non aver visto. Questa si chiama prudenza, saggezza, accortezza, perché tu non sai chi è l’altro e non sai cosa potrebbe fare. Allora dobbiamo essere sempre saggi. Gesù, nel Vangelo, non sempre disse la verità. Però, non disse mai una falsità. Non sempre disse la verità, perché non la poteva dire, non poteva parlare, lasciava e se ne andava altrove. Non poteva parlare. Perché se avesse parlato lo avrebbero lapidato all’istante. Nel vangelo trovi che Gesù a volte risponde per enigma, non secondo pienezza di verità, perché l’ascoltatore non era capace di recepire. Nella sua passione c’è una frase che ricorre: “Gesù taceva”, non parlava, perché? Perché in quel contesto non si poteva parlare. Noi dobbiamo aver questa scienza, ed è qui la sapienza di Dio, per sapere quando possiamo dire una cosa e quando invece non possiamo, quando è giusto che si dica e quando è giusto che si taccia. Però devi conoscere sempre la situazione storica nella quale tu vivi. Questo è importante perché noi cresciamo anche tra noi. Infatti, io non posso dire quello che voglio, anche se è vero, ma debbo avere quella prudenza per conoscere i tempi e i momenti per dire quella cosa. Anche Gesù ai suoi apostoli disse: “Vorrei dirvi tante cose, però, non siete capaci di portarne il peso oggi. Poi, domani verrà lo Spirito Santo e dirà a voi le cose”. Ma lo Spirito Santo ha una storia infinita, fino alla fine dei tempi. Per cui oggi alla Chiesa dice una cosa, domani ne dice un’altra. Voi che frequentate la Spiritualità del Movimento Apostolico, l’Ispiratrice come vi parla, vi dice forse la verità? Vi esorta, vi consiglia qualcosa, vi sprona, vi sostiene, ma siete voi capaci di sopportare la verità? No. Bisogna avere tempo, pazienza, carità, misericordia, pietà, compassione. Si spera e si và avanti. Questo è il cammino che noi dobbiamo fare. Perché molte volte la verità non aiuta a vivere, mentre la carità lo fa sempre. Il cristiano parla sempre con la carità. Perché nella carità c’è sempre una verità che traspare, e che tu quasi intravedi e te ne puoi innamorare. Gesù dalla croce non parlò con la verità, ma con la sua carità e salvò il mondo.

Indicazioni fornite da Mons. Costantino Di Bruno per la preparazione dell’incontro:

– 1 Samuele cc. 18 – 27
– 2 Samuele cc. 15 – 19
– Libro dei Proverbi c. 15
– Vangelo secondo Matteo c. 5; c. 11; cc. 26 – 27