Sulla misericordia dal 13-10-2013 al 29-12-2013
Pienezza della Legge è la carità
Da oggi ci è stato chiesto di iniziare una pagina sulla misericordia di Dio e dell’uomo. Su questo argomento si desidera avere una luce sicura, certa. È questa la verità centrale della nostra fede e su di essa errori, falsità, eresie, approssimazioni non sono consentiti. Procederemo con schemi semplici, lineari, con poche verità alla volta. Camminando settimana per settimana di verità in verità, aggiungendo principi a principi, alla fine il quadro risulterà completo e la misericordia di Dio e dell’uomo brillerà di una luce nova.
Prima verità: Non c’è nessuna misericordia fuori dell’osservanza dei Comandamenti. L’osservanza della Legge del Signore è il fondamento solido per ogni misericordia.
Sacrificare il frutto dell’ingiustizia è un’offerta da scherno e i doni dei malvagi non sono graditi. L’Altissimo non gradisce le offerte degli empi né perdona i peccati secondo il numero delle vittime. Sacrifica un figlio davanti al proprio padre chi offre un sacrificio con i beni dei poveri. Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri, colui che glielo toglie è un sanguinario. Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio (Sir 34,21-27).
Questa brano, tratto dal Libro del Siracide, illumina più di ogni altra argomentazione teologica la prima verità annunciata. Come Dio ha iniziato dai Comandamenti per rivelare ad ogni uomo la radice, il principio, la base, il fondamento di ogni amore vero, così deve essere per la Chiesa.
Seconda verità: Non c’è amore vero verso l’uomo se non vi è amore vero verso Dio. L’amore vero verso l’uomo rivela l’amore vero verso il nostro Dio. Questo amore vero è racchiuso nella Legge dell’Alleanza.
Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,1-17).
Terza verità: La trasgressione di un solo comandamento della Legge si rende trasgressori di tutta la Legge. Un solo comandamento non osservato, ci rende ingiusti dinanzi a Dio. Nell’ingiustizia non c’è vero amore. Urge rientrare nella giustizia perfetta dell’osservanza di tutta la Legge. Un uomo non può essere calunniatore degli innocenti e poi farsi corifeo delle opere di misericordia corporali.
Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità. E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne (Rm 13,8-14).
L’altro va amato nella verità del suo corpo, del suo spirito, della sua missione, di tutto il suo essere. L’uomo è unità indissolubile. Non si può amare un uomo e odiarne un altro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci il vero amore.
13 Ottobre 2013
Trasgressione conseguenze colpa perdono pena.
Dopo aver dato alcune piccole, semplice regole che dettano la verità della misericordia dell’uomo verso l’uomo, è giusto che percorrendo in lungo e largo la Scrittura Santa diamo sulla misericordia tutta la verità che scaturisce dalla Parola del Signore. Senza la Parola, fuori di essa, ciò che noi pensiamo sia misericordia non lo è, oppure viene vissuto in modo non santo. Fin da subito diciamo che la misericordia inizia dal perdono. Non c’è misericordia senza vero perdono. Aggiungiamo anche che il perdono di per sé non cancella la pena dovuta alla trasgressione fatta dei comandamenti del Signore. La colpa si perdona. La pena dovuta alla trasgressione si espia. Leggiamo il primo atto della misericordia di Dio e capiremo.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì. Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita (Gen 3,1-24).
Chi ha letto con somma attenzione il testo, ha potuto notare che il Signore perdona il peccato, ma anche dona la giusta pena all’uomo e alla donna. È una pena che non è donata ad Adamo e ad Eva in quanto persone singola, ma all’uno e all’altra come intera umanità, essendo essi i capostipiti della nostra umanità. Ogni peccato produce delle conseguenze che il perdono non abolisce. Le conseguenze non entrano nella legge della misericordia. Esse vanno subite come giusta pena per i nostri peccati. La pena spesso va ben oltre la persona che ha commesso la colpa. Si estende all’umanità intera. Questa verità della giusta pena oggi è poco considerata ed è un grande errore. Nessuno pecca per se stesso. Pecchiamo tutti per l’umanità. Un semplice gesto inconsiderato produce morte. Oggi tutto il mondo piange la morte di circa 500 persone per del fuoco accesso su una barca. Questa barca è però il frutto di altri molteplici peccati. Queste morti sono il risultato di una catena di peccati che nessuno vuole considerare nella loro origine. Al teologo la missione di annunziare la verità. A chi ascolta il dovere di eliminare ogni peccato, ogni trasgressione, ogni imprudenza nelle sue azioni.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci questa legge santa.
20 Ottobre 2013
Sono forse io il custode di mio fratello?
Chi è il nostro Dio? È Colui che sempre educa alla vera misericordia. Qual è la prima educazione che Dio dona all’uomo perché viva sempre la più alta, perfetta, quasi divina misericordia? È il dono della sua verità. Qual è la prima verità dell’uomo? Essa è semplice da annunziare: l’uomo non è uno schiavo della sua concupiscenza, un governato dalla sua invidia, un posseduto dalla sua superbia, un carcerato nella sua bramosia. Lui è stato creato signore dal suo Dio e poiché signore è obbligato a dominare ogni fonte e radice del male, siano esse interiori o esteriori, provenienti dal suo cuore o da una tentazione esterna.
Caino non domina prima di tutto la sua avidità per le cose di questo mondo. Non riesce neanche a liberarsi da un frutto della terra, dono di Dio, per farne un sacrificio al suo Creatore e Benefattore. A Lui offre lo scarto. Ciò che non gli serve. Quanto è da ridare alla terra perché ne faccia ottimo concime. A Dio va data sempre la parte migliore di noi e delle nostre cose. Si pensi che oggi non si dona a Dio neanche ciò che è suo, cioè il settimo giorno, figuriamo se riusciamo a donargli ciò che è nostro. A Lui va dato lo scarto del nostro tempo, della nostra vita, di ciò che abbiamo e possediamo. Ciò che non serve a noi lo diamo a Lui. Cosa diamo a Lui che viene a noi vestito da povero, misero, piccolo, assetato, affamato? Ciò che a noi non serve. Non gli diamo la cosa più bella che possediamo. Il vestito più nuovo che abbiamo. Le scarpe più comode che indossiamo. Gli diamo invece ciò che a noi non va più sia perché passato di moda, sia perché ormai logoro e non più indossabile. La carità di convenienza la facciamo a Natale e poi per un anno intero ci dimentichiamo. Dio invece ci chiede la parte migliore, il meglio del meglio, il perfetto del perfetto, la cosa più cara, la più costosa, più bella.
Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo. Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden (Gen 4,1-16).
Dio educa ogni uomo perché si faccia custode del fratello. Custodire vuol dire proteggere, salvare, curare, nutrire, aiutare, sostenere, confortare, incoraggiare, invitare al bene più grande, offrirgli la verità che lo redime, condurlo al suo Signore, dargli la vera fede, liberarlo dalla morte, da ogni disperazione, mettere una siepe attorno a lui perché gli altri non gli facciano alcun male, dopo che lui ha fatto il male uccidendo il proprio fratello. L’educazione di Dio è ben diversa dalla nostra. Vi è una sola educazione possibile: alla verità, all’amore, alla pace, al perdono, alla condivisione, al governo di sé, alla non violenza dinanzi ad ogni violenza, alla vittoria dl bene sempre sopra ogni male. Educare è la più grande opera di misericordia del nostro Dio e di conseguenza anche dell’uomo verso l’uomo. Educare vuol dire formare l’uomo secondo la stessa visione di Dio. Noi invece educhiamo gli uomini secondo le nostre visioni. Il peccatore educa al peccato. Il malvagio alla malvagità. Il violento alla violenza. Il vendicativo alla vendetta. L’empio all’empietà. Lo stolto alla stoltezza. Il disonesto alla disonestà. Pochi educano al bene secondo Dio e alla verità divina. L’annunzio del Vangelo è la più grande opera di misericordia. Con il Vangelo si dona all’uomo la sua verità, la sua vera vita, gli si dona il tempo e l’eternità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci operatori della vera misericordia.
27 Ottobre 2013
Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei
Proviamo a chiedere ai discepoli di Gesù, singolarmente ad ognuno: “Per te qual è la più grande opera di misericordia in favore del mondo intero?”. Le risposte sarebbero infinite. Andrebbero da quelle più semplici a quelle più complesse. Da quelle più evidenti a quelle meno evidenti. Tutti ne avrebbero una da proporre come risolutrice di tutti i mali che sono nel mondo. È sufficiente studiare certe teologie moderne, meno moderne, recenti e meno recenti, per sentirne delle belle. Vi sarebbero anche coloro capaci di proporre la rivoluzione sociale come grande, impegnativa opera di misericordia. Si libera il povero dal potere del ricco, il debole dal potere del tiranno e così anche la rivoluzione francese sarebbe vera opera di misericordia.
Nessuno pensa, nessuno vuole, nessuno immagina che l’opera più grande della misericordia, la più potente, quella capace di salvare e redimere il mondo intero è una sola: conservare la propria vita nella più grande giustizia, nel perfetto compimento della volontà di Dio. La più grande opera di misericordia è la nostra piena, quotidiana, giornaliera, attimo per attimo obbedienza ad ogni desiderio, comando, legge, statuto, regola che Dio chiede di osservare. Per l’obbedienza di uno vengono salvati i molti. Per la fedeltà di uno viene redento il mondo. Per il cuore puro di un solo uomo verso il suo Dio e Signore la terra viene posta in sicurezza di redenzione e di salvezza. Dio salva il genere umano per un solo giusto, per Noè.
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo –, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Questa è la discendenza di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra.
Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e, a un cubito più sopra, la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli, secondo la loro specie, del bestiame, secondo la propria specie, e di tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie, due di ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro». Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece (Gen 6,1-22).
Tutte le opere di misericordia altro non sono che purissima obbedienza al Signore. L’obbedienza a Dio pertanto le racchiude tutte, perché essa fa della nostra vita una perenne opera di misericordia, perché nell’obbedienza essa è operatrice di solo bene, non solo per noi, ma per il mondo intero. Si badi bene. Non sono però le nostre opere che salvano il mondo. Il mondo è salvato da Dio per la nostra giustizia, la nostra fedeltà, il nostro amore per Lui. Noi amiamo Lui, obbediamo a Lui, siamo fedeli a Lui. Per questo amore, questa obbedienza, questa fedeltà il Signore salva il mondo, lo redime, lo incammina sulla via della verità e della giustizia. Per noi il Signore salva gli altri. Per la nostra fedeltà. Questa verità va annunziata, predicata, spiegata. Ogni cuore deve conoscerla. La salvezza degli altri non è dalle nostre piccole opere. È invece dal nostro amore per il Signore. Per il mio amore, il mio sacrificio, la mia fedeltà, la mia obbedienza, il Signore porta la sua pace sulla nostra terra. Fa pensare.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, mettete questa verità nel nostro cuore.
03 Novembre 2013
Facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra
La vita dell’uomo sulla terra trova la sua verità, se è perennemente perfetta obbedienza al suo Signore e Dio. Ci sono delle obbedienze date da Dio all’uomo che oggi sono scomparse, perché abolite, cancellate, distrutte come patrimonio perenne per la nostra vita. Una di queste obbedienze vuole che la terra sia data all’uomo, non ad un uomo particolare. Anche se l’uomo si è costruito il diritto alla proprietà privata, questo diritto mai potrà cancellare il diritto universale dell’uomo ad avere una proprietà. L’altra obbedienza perenne, mai cancellabile, è quella della mobilità dell’uomo. Egli deve potersi muovere, dirigere, calpestare ogni angolo della terra. Anche in questa seconda obbedienza naturale, legge divina e legge umana non possono essere in contrasto. La legge umana mai deve annullare l’obbedienza dell’uomo ad una legge eterna, alla legge che il Signore ha stabilito per lui.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno (Gen 1,26-31).
Qual è allora la prima misericordia dell’uomo verso l’uomo? Mettere ogni uomo nella condizione reale di poter vivere l’obbedienza alla Legge perenne del suo Dio e Signore. L’obbedienza a Dio viene prima dell’obbedienza all’uomo e la Legge divina precede qualsiasi legge dell’uomo. È sempre quest’ultima che si deve accordare con la prima, mai la prima con la seconda. Quando questo non avviene, quando l’uomo diviene superbo e arrogante, il Signore scende dal Cielo e mette in movimento, in obbedienza l’uomo, attraverso percorsi storici creati dallo stesso uomo e che mettono in questione tutte le sue leggi, i suoi statuti, le sue decisioni, la sua volontà. È quanto avviene con la costruzione della Torre di Babele. L’uomo non vuole obbedire alla legge perenne del suo Signore? La costruzione della stessa torre, della stessa civiltà lo pone in crisi, lo rimette in movimento, lo costringe a non obbedire alla legge iniqua che lui sé donato.
Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra (Gen 11,1-9).
Il racconto della Torre di Babele va letto con vera sapienza nello Spirito Santo. Esso chiude il capitolo della storia universale che è raccontata nella prima parte della Genesi. Dio ha creato l’uomo con una sua precisa volontà. La volontà dell’uomo si scontra con la volontà del suo Creatore. Il Signore non tollerare questo. Scende sulla terra. Vede. Interviene. Mette la storia nuovamente in movimento. Gli uomini sono costretti dalla storia ad obbedire alla loro vera legge, a quella scritta nel loro cuore dal loro Creatore e Signore. Osserviamo bene la realtà quotidiana. Forse che il Signore ogni giorno non ci spinge attraverso la storia a cancellare tutte le nostre leggi, le nostre decisioni, i nostri diritti? Spesso il Signore non ci obbliga a modificare tutto l’assetto dato alla nostra vita attraverso una storia che ci tormenta dal di dentro? Allora non sarebbe più giusto iniziare da noi stessi a praticare l’obbedienza alla legge perenne che è stata scritta per noi? Ma tutta la storia è così. Basta saperla leggere. Ogni giorno tutte le nostre leggi di ieri sono sconquassate dalla storia, perché leggi contro la divina volontà, contro il suo statuto eterno, contro il comandamento originario che il Signore ha dato ad ogni uomo perché lo osservi per tutti i giorni della sua vita. Sarebbe sufficiente possedere occhi di Spirito Santo per convincerci della signoria della storia su ogni uomo. Basta solo guardare, vedere.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci occhi di Spirito Santo.
10 Novembre 2013
E in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra
Dio è misericordia eterna, infinita, divina. Vuole però che sia l’uomo lo strumento di ogni sua opera di misericordia in favore delle sue creature. Da sé l’uomo può fare ben poco, quasi niente, per operare misericordia verso i suoi fratelli. La sua povertà spirituale è congenita. Lui è nella morte come tutti i suoi fratelli. Può dare un tozzo di pane, qualche altra cosa per il corpo, potrebbe anche dare qualche sollievo al suo spirito, ma nulla può per la sua anima. Questa è nella morte. Tutta la sua natura è nella morte. L’uomo necessita di una grande opera di misericordia: la sua risurrezione spirituale. Necessità che qualcuno gli apra nuovamente le porte del Paradiso, chiuse a causa del peccato delle origini.
Dio vuole dargli questa sua misericordia. Vuole risuscitare la sua anima. Vuole darsi tutto nuovamente all’uomo. Per questo occorre però un uomo che si faccia strumento, divenga via, voglia donarsi totalmente a Lui per la realizzazione di questo fine. Per avere quest’uomo il Signore parte da lontano, da molto lontano. Chiama Abramo. Lo costituisce fonte della sua benedizione, che egli avrebbe dato ad ogni uomo di questo mondo, tramite la sua discendenza.
Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei. Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb. Venne una carestia nella terra e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava su quella terra. Quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sarài: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: “Costei è sua moglie”, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. Di’, dunque, che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva grazie a te». Quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente. La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone. A causa di lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli. Ma il Signore colpì il faraone e la sua casa con grandi calamità, per il fatto di Sarài, moglie di Abram. Allora il faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? Perché hai detto: “È mia sorella”, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vattene!». Poi il faraone diede disposizioni su di lui ad alcuni uomini, che lo allontanarono insieme con la moglie e tutti i suoi averi (Gen 12,1-20).
Pur non comprendendo a pieno le parole che il Signore gli rivolge – e chi mai sarà all’altezza di una tale comprensione al momento dell’ascolto? – Abramo obbedisce, lascia la sua terra, inizia il suo pellegrinaggio, cammina seguendo la parola del Signore che di volta in volta risuona al suo orecchio e penetra nel suo cuore. Se noi non ci convinciamo che la nostra misericordia, quella proveniente dalla nostra natura, è solo epidermica, periferica, accidentale, momentanea, non sostanziale, non essenziale, non eterna, non divina, non risolutrice dei veri problemi che affliggo l’uomo, ci precludiamo ogni via della vera misericordia e lasciamo l’uomo nella sua miseria costitutiva, naturale. Se invece ci convinciamo che siamo chiamati ad essere i portatori nel mondo della vera misericordia che è quella del Signore, e ci disponiamo ad una obbedienza perfetta, perché solo nell’obbedienza, la misericordia divina attraverso noi raggiunge i nostri fratelli, allora noi possiamo incidere profondamento nella salvezza dell’uomo. Oggi la nostra società ha deciso di non camminare più con il Signore. Quale misericordia potrà essa dare ai suoi figli? Nessuna. Forse riuscirà a dar loro un pezzo di pane in più, ma sottratto con inganno, furberia e ladroneggio ad altra suoi figli. È questa la misericordia della nostra civiltà. Toglie il necessario ad alcuni per darlo a chi è già nell’abbondanza, a chi è dedito alla cura dei suoi vizi.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci strumenti della vera misericordia.
17 Novembre 2013
Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?
La misericordia ha sempre origine nel cuore del Padre. Lì è la sede di ogni intervento di Dio in favore dell’uomo. Anche quando è l’uomo che si muove verso un altro uomo, la mozione parte sempre dal cuore del Padre. Se per un istante il cuore di Dio si chiudesse, l’uomo diverrebbe verso l’altro uomo una pietra, un sasso, un macigno. Diverrebbe di ferro, di bronzo, di ghisa.
Questa verità oggi è dimenticata anche dagli uomini di Chiesa, che hanno abbandonato la preghiera come invocazione al Padre perché voglia oggi e sempre muovere il cuore dei suoi figli, rivestendoli di grande misericordia, compassione, pietà, spirito rivolto alla ricerca del bene più grande per ogni suo fratello. È questa la vera nostra grande povertà ecclesiale: l’avere escluso Dio come sorgente di misericordia e di pietà. Il pensare che il nostro cuore, senza la mozione dello Spirito del Signore, sia sufficiente a creare una umanità nella quale regna e trionfa fa la carità, l’amore, la compassione, la pietà, il soccorso degli uni verso gli altri.
Abramo è amico di Dio. Il Signore gli rivela il suo piano di giustizia verso la città di Sodoma. Glielo rivela per muovere il suo cuore alla misericordia, alla compassione, alla pietà. Glielo rivela perché vuole manifestare al mondo che la sua giustizia è sempre pronta a trasformarsi in misericordia, non a grandi condizioni, bensì a piccolissime condizioni. Basta pochi giusti per salvare il mondo intero. Basta un solo Giusto, Cristo Signore, per redime l’umanità.
Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione (Gen 18,22-33).
In Abramo vi è lo scontro tra la misericordia di Dio e quella dell’uomo. Dio è pronto a scendere ad ogni richiesta dell’uomo. È disposto, pronto ad accogliere le richieste dell’amico. L’amico però non ha la forza, il coraggio di osare fino in fondo. Ad un certo momento si ferma nella richiesta, nel porre le condizioni. Pensa sia giunto al limite. Ma c’è un limite nella misericordia di Dio verso l’uomo? L’unico limite è l’ostinazione dell’uomo che si chiude ad ogni esigenza di conversione e di ritorno al suo Dio. Abolito questo limite, Dio non conosce altri limiti e sempre concede la grazia, sempre dona il suo perdono, sempre è pronto a riconciliarsi con l’uomo. Anzi è Lui stesso che ha mandato il suo Figlio Unigenito perché espiasse per noi. Molti figli della Chiesa oggi vivono senza più preghiera e senza più richiesta di perdono per i loro fratelli, senza più missione evangelizzatrice. Altri suoi figli vivono senza più la nozione di giustizia e di giusto giudizio di Dio. Dio è la misericordia e il perdono sempre. Nonostante tutto. Verso tutti, pentiti, non pentiti, convertiti, non convertiti, santi e peccatori, giusti e disonesti, buoni e delinquenti, martiri e assassini. Tali pensieri rivelano una cosa sola: questi uomini non conoscono Dio, non sono amici di Dio, parlano dalla vanità della loro mente e dalla durezza del loro cuore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di perfetta misericordia.
24 Novembre 2013
Lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace
Vi sono eventi nella Sacra Scrittura che ci rivelano come si è ben lontani dalla verità sulla misericordia che il Signore vuole che gli uomini vivano sulla terra. Una prima regola per vivere secondo divina verità la misericordia vuole che il bene per l’uno non sia mai un male per un altro. Vuole soprattutto che il bene per alcuni non sia il frutto di un male diretto arrecato ad altri. Nessun bene sarà veramente bene se esso dovesse produrre un male a qualsiasi altra persona. Il bene per essere bene, deve essere bene universale, per tutti, nessuno dovrà mai subire un qualche danno, mai. Questa regola mai va disattesa. Va sempre ricordata.
Certo non è opera di misericordia secondo Dio, non è verità celeste, salvare degli uomini esponendo le proprie figlie al massacro di uomini corrotti, concupiscenti, lascivi, impuri, che vivono per dare sfogo ad ogni loro desiderio della carne, senza alcun limiti nel male, senza neanche l’ombra di un qualche rispetto per la dignità della persona umana. Nessun valore sacro, neanche il valore dell’ospitalità, deve sentirsi esente dalla legge morale che sempre va osservata. Chi viola un solo diritto dell’uomo e di Dio si pone fuori della legge della misericordia. Ancora è ben lontano dal conoscere la verità dell’uomo e della sua alta dignità.
I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada». Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere pani azzimi e così mangiarono.
Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono attorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». Lot uscì verso di loro sulla soglia e, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, disse: «No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». Ma quelli risposero: «Tìrati via! Quest’individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!». E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si fecero avanti per sfondare la porta. Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero la porta; colpirono di cecità gli uomini che erano all’ingresso della casa, dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli». Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!». Ai suoi generi sembrò che egli volesse scherzare (Gen 19,1-14).
Lot non è uomo evangelico, neanche potrebbe esserlo. Mancano ancora lunghi secoli prima che si giunga a vedere l’uomo nella sua altissima dignità di essere così amato da Dio, da morire lui stesso per la salvezza della sua creatura. Ecco qual è allora la vera misericordia: è quella che dona dignità ad ogni uomo. Dio dona dignità a Caino. Nessuno lo potrà toccare. Dona dignità ai suoi carnefici. Per essi implora perdono. Dona dignità a Paolo, il persecutore, chiamandolo a divenire suo discepolo. Dona dignità ad un pubblicano. Ne fa un suo Apostolo. È questa la prima misericordia: dare dignità ad ogni uomo, chiunque esso sia. Chi toglie la dignità anche ad una sola persona, mai potrà dire di essere misericordioso. Non osserva la legge divina ed eterna della misericordia. Non la conosce. Non la vive. Non la osserva. Oggi l’uomo è calpestato, vilipeso, distrutto nella sua dignità. Non si è misericordiosi quando si maltratta, si ingiuria, si offende, si insulta, ci si vendica, si approfitta di una ragazza assetata di soldi facendo uso del suo giovane corpo. Infiniti oggi sono i modi che tradiscono la nostra non conoscenza della legge della misericordia. Ogni violazione della dignità della persona, anche ad avere un buon nome, è carenza di misericordia. Il Signore ci chiede di essere perfetti in ogni cosa come Lui è perfetto. Ci invita ad essere misericordiosi come Lui è misericordioso. Vuole che lo imitiamo morendo noi n croce per i nostri nemici, pregando ininterrottamente per essi.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la legge della misericordia.
01 Dicembre 2013
Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua
A volte la pace esige grandi sacrifici ad un uomo. È il prezzo che sempre si deve pagare dal momento che viviamo nel regime del peccato e non della grazia. Viviamo in terra di esilio e non nel Paradiso. Sulla terra non c’è pace familiare, sociale, ecclesiale, economica, civile, senza altissimi sacrifici, rinunce, privazioni. Spesso si richiede, sempre per la pace, una pazienza infinita per sopportare ogni angheria, ogni sopruso, ogni cattiveria, ogni malignità. Anche Abramo, per dare pace al cuore di Sara, è costretto ad allontanare dalla sua casa Ismaele e la sua serva Agar. Abramo apprende quanto vera è l’espressione: pro bono pacis.
Niente è più utile all’uomo della pace e tutto deve esser fatto per conservarla. Per la pace familiare, sociale, politica ognuno deve essere pronto anche a morire in croce. Se è chiamato anche alla morte di croce, deve essere disposto ad ogni altra rinuncia, anche a quella di scomparire della vita familiare e sociale, se questo allontanamento è necessario per conservare i cuori nella pace, nella serenità, nella tranquillità. Anche San Paolo dovette abbandonare la comunità di Gerusalemme perché questa ritornasse nella sua pace, specie con quelli di fuori.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. Abramo circoncise suo figlio Isacco quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abramo aveva cento anni quando gli nacque il figlio Isacco. Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!». Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!». Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che lei aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». La cosa sembrò un gran male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: «Non sembri male ai tuoi occhi questo, riguardo al fanciullo e alla tua schiava: ascolta la voce di Sara in tutto quello che ti dice, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché è tua discendenza».
Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione». Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto (Gen 21,1-21).
Cristo Gesù per dare pace all’umanità prese il peccato del mondo e o espiò nel suo corpo sulla croce. Ma sempre per i costruttori di pace e per quelli che sono vittime della pace, il Signore interviene per dare loro piena salvezza. Gesù, Costruttore dalla croce della nostra pace, fu avvolto dalla gloria della risurrezione. Diede alla croce un corpo di carne. Il Signore gliene dona uno tutto spirituale, incorruttibile, immortale. Ismaele e Agar, vittime della pace, sono immediatamente soccorse, protette, benedette dal Signore, il quale garantisce loro un futuro eccellente. Farà di Ismaele una grande nazione. Lui sarà il capo di un grande popolo. Dove l’uomo è costretto dagli eventi ad essere vittima della pace, sacrificio per la pace dei fratelli, il Signore interviene, scende lui stesso in campo, prende in mano la storia e le dona una luce nuova. L’uomo per la pace ha sacrificato la sua misericordia. Dio mai sacrifica la misericordia per la pace. Sempre interviene, supplisce, dona ciò che l’altro ha perso, ma in una misura sovrabbondante, quasi infinita. Ciò che l’uomo toglie, Dio lo aggiunge con misura sproporzionata. O riportiamo la nostra vita in questa dimensione soprannaturale, oppure non vi sarà un buon futuro per nessuno, perché vivremo sempre in un atteggiamento di guerra perpetua. La pace esige la mia morte. Nella mia morte il Signore mi ridona la vita. La pace richiede la mia scomparsa. Il Signore mi dona gloria mille volte di più. Questa è fede.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci a morire per la pace.
08 Dicembre 2013
Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra
Nel mondo cattolico dei nostri giorni regna una grande confusione sulle opere di misericordia. La confusione è generata dall’emancipazione del cristiano dalla volontà del suo Dio e Signore. È generata anche dalla perdita di verità del ministero di ciascuno e della totale assenza di conoscenza delle regole che governano l’esercizio delle opere di misericordia.
Leggiamo questa frase della Scrittura Santa e troveremo il principio che consentirà di offrire una parola chiara, sapiente, intelligente, inequivocabile sulle opere di misericordia: “Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”. La misericordia non è opera dell’uomo. È opera di Dio, solo sua opera. La misericordia è riportare un uomo, una donna, nella benedizione di Dio, sotto la sua Signoria. L’uomo in quest’opera è solo strumento, Attore della benedizione è solo il Signore, nessun altro .
Allo strumento è chiesta una cosa sola: porsi sempre in ascolto, disponendosi ad una obbedienza totale, generale, senza alcuna deroga, interpretazione, pensiero umano in essa. Si ascolta, si obbedisce, si compie solo l’opera che il Signore chiede. Questo, solo questo l’uomo deve fare. Se l’uomo mette l’opera richiesta, per sua obbedienza, Dio vi mette tutta la sua misericordia di salvezza, redenzione, provvidenza, vita eterna, elevazione.
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere». L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea (Gen 22,1-19).
L’obbedienza dell’uomo deve essere al proprio ministero, al proprio carisma, alla parola attuale del Signore, alla propria vocazione, alla propria missione. Se uno solo di questi elementi non viene osservato, fallisce il compimento della volontà di Dio, viene meno l’obbedienza. L’uomo si trasforma lui in soggetto di misericordia. Ma lui mai deve trasformarsi in soggetto di misericordia. Lui deve rimanere sempre strumento nelle mani del suo Dio e Signore.
Se diviene lui, l’uomo, soggetto autonomo di misericordia, opera per le cose della terra, non certo per la vera salvezza dell’uomo. Abramo obbedisce al Signore. Compie la sua volontà. Quale frutto di misericordia produce? Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce. Il mondo intero viene benedetto con una benedizione di salvezza e di redenzione per un atto di obbedienza. Gesù non ci salva dall’alto della croce? Non ci salva per questa purissima obbedienza al Padre suo? Le tentazioni di Satana non miravano forse ad allontanarlo dall’obbedienza alla volontà del Padre, per farsi lui soggetto autonomo di misericordia? Farsi soggetti autonomi di misericordia, porsi fuori della volontà di Dio, smettere di essere suoi strumenti di misericordia, è potentissima tentazione. Oggi è questa la tentazione più invisibile per un presbitero. Chi cade, rovina il mondo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci a rimanere strumenti.
15 Dicembre 2013
Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?
Ogni vocazione che il Signore suscita nel cuore dell’uomo è sempre finalizzata alla manifestazione della sua più grande misericordia, pietà, compassione. È sempre orientata alla realizzazione tra gli uomini della sua benedizione, nella quale è la vita, la salvezza, la redenzione, la giustificazione, l’elevazione ad un’altissima dignità. Vi è una vocazione umana, scritta nelle fibre dell’essere di ciascuno, che è vocazione all’osservanza della Parola del Signore. Con questa naturale, primaria, originaria vocazione, noi siamo chiamati a trasmettere vita sulla terra. Si tratta però sempre di una vita naturale, mai soprannaturale, dal momento che questa è stata perduta per sempre. Non è più in potere dell’uomo dare vita soprannaturale.
Chi commette il peccato, esce anche da questa misericordia terrena, di aiuto allo spirito e al corpo dell’uomo, perché possa vivere una vita decentemente umana, anche se mai potrà dirsi perfettamente umana, a causa della dimensione divina che le manca. Questa dimensione divina può essere donata solo se l’uomo, oltre che vivere la prima vocazione, accetta di viverne una seconda, tutta ordinata, finalizzata, orientata al dono dello stesso Dio ai cuori. Dio si mette nelle mani dell’uomo perché sia l’uomo a donarlo ad ogni altro suo fratelli. Se l’uomo rifiuta questa seconda vocazione, mai lui potrà dirsi persona dalla perfetta misericordia. Forse riuscirà a vivere in qualche modo la prima vocazione e le prime opere di misericordia, mai però potrà vivere la perfetta misericordia, perché si è posto fuori del circuito di essa. Un brano della Scrittura Sacra dell’Antico Testamento ci aiuterà a comprendere.
Questa è la discendenza di Isacco, figlio di Abramo. Abramo aveva generato Isacco. Isacco aveva quarant’anni quando si prese in moglie Rebecca, figlia di Betuèl l’Arameo, da Paddan‑Aram, e sorella di Làbano, l’Arameo. Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: «Se è così, che cosa mi sta accadendo?». Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù. Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero. I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe. Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura (Gen 25,19-34).
Esaù è il primogenito di Isacco. È il portatore della benedizione divina. È Lui il prescelto perché attraverso la sua discendenza tutte le nazioni della terra vengano benedette dal Signore, vengano cioè riportate nel suo perdono, nella sua pace, nella sua liberazione, nella sua salvezza soprannaturale. Quest’uomo si distacca persino dalla sua vocazione primaria. Esce dalla legge del suo Dio e Signore, sposa donne pagane. Il suo cuore è assai lontano dal suo Dio, dalla sua missione, dalla sua vocazione soprannaturale. Lo attesta il fatto che non vive neanche la vocazione naturale. Un giorno ha fame. Chiede un piatto di lenticchie a suo fratello. Questi ne approfitta per ottenere in cambio la sua primogeniture ed egli subito gliela cede, all’istante, senza neanche pensarvi su per quale secondo. Così agendo, Esaù di taglia fuori della vera, perfetta, santa misericordia di Dio verso il mondo intero.
Una vocazione soprannaturale non accolta, ci impedisce di essere operatori della vera misericordia. Non possiamo più amare secondo divina ed eterna verità. Possiamo amare secondo la terra, ma non secondo il Cielo, secondo Dio. È come se il Signore ci desse la possibilità di irrigare un deserto e far rifiorire in esso la vita, e noi ci presentiamo all’appuntamento con questa terra desolata con due sole gocce d’acqua. È il fallimento di ogni attesa. Avremmo potuto far rinascere la vita e invece siamo solo spettatori di aridità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di vera misericordia.
22 Dicembre 2013
Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio!
Per permettere al Signore che possa operare sul mondo con tutta la potenza della sua misericordia occorre tutta la nostra audacia, fermezza di cuore di mente, risolutezza di spirito, grande libertà interiore, disponibilità a rinunciare anche agli affetti più nobili. Il Signore ci chiede anche la prontezza a sacrificare la nostra vita per portare a compimento il suo mistero di salvezza. Il suo principio è sempre uno, lo stesso: dobbiamo morire noi perché viva Lui in eterno. Solo vivendo Lui in eterno attraverso la nostra morte, noi saremmo assunti nel suo amore eterno e nella sua gloria infinita. Diventeremo eterni come Lui è eterno.
Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: «Figlio mio». Gli rispose: «Eccomi». Riprese: «Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, va’ in campagna e caccia per me della selvaggina. Poi preparami un piatto di mio gusto e portamelo; io lo mangerò affinché possa benedirti prima di morire». Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. Rebecca disse al figlio Giacobbe: «Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: “Portami della selvaggina e preparami un piatto, lo mangerò e poi ti benedirò alla presenza del Signore prima di morire”. Ora, figlio mio, da’ retta a quel che ti ordino. Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io preparerò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre, che ne mangerà, perché ti benedica prima di morire». Rispose Giacobbe a Rebecca, sua madre: «Sai bene che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi toccherà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione». Ma sua madre gli disse: «Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu dammi retta e va’ a prendermi i capretti». Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. Rebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato.
Così egli venne dal padre e disse: «Padre mio». Rispose: «Eccomi; chi sei tu, figlio mio?». Giacobbe rispose al padre: «Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Àlzati, dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica». Isacco disse al figlio: «Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!». Rispose: «Il Signore tuo Dio me l’ha fatta capitare davanti». Ma Isacco gli disse: «Avvicìnati e lascia che ti tocchi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no». Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù». Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Allora disse: «Servimi, perché possa mangiare della selvaggina di mio figlio, e ti benedica». Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: «Avvicìnati e baciami, figlio mio!». Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse: «Ecco, l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada dal cielo, terre grasse, frumento e mosto in abbondanza. Popoli ti servano e genti si prostrino davanti a te. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!» (Gen 27,1-29).
Rebecca è donna forte, audace, intelligente. Ha nel cuore una cosa sola: dare perennità alla benedizione data da Dio ad Abramo. Sa che la via è una sola: sostituire nella benedizione del padre Isacco Esaù con Giacobbe. Questa operazione avrebbe potuto comportare anche una maledizione da parte di Isacco, una volta scoperto l’inganno. Lei è disponibile a prendere su di sé la maledizione dell’uomo pur di dare perennità nella storia alla benedizione di Dio. È una scelta. È la scelta di chi è ricco di tanto amore per il suo Signore da decidere per la propria morte, la propria esclusione temporanea dalla vita, pur di dare pienezza di vita al mistero della salvezza che Dio vuole realizzare per gli uomini servendosi degli uomini. È la scelta della morte per la vita. In fondo è stata anche questa la scelta di Cristo Gesù. Lui scelse di essere dichiarato dalla Legge maledizione, per essere Dio, attraverso di Lui, benedizione per ogni uomo. È questa la via di chi ama così tanto la vita dei suoi fratelli da esporre per loro la propria vita alla morte. È per questa scelta radicale che la benedizione del Signore giunge ad ogni uomo. Senza la nostra morte, mai ci sarà vita vera nel mondo. Nella nostra morte è la vera vita.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci a morire per la vita, sempre.
29 Dicembre 2013