IV DOMENICA DI QUARESIMA
L’antifona d’ingresso invita la Chiesa, raffigurata da Gerusalemme, e quanti amano la Chiesa, perché sono suoi figli, a riunirsi per la celebrazione di una grande festa. Si deve esultare dinanzi al Signore per la fine di ogni sofferenza, pianto, disperazione, dolore: “Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.
Perché si deve manifestare questa grande gioia? Perché la nostra schiavitù è finita. Per Cristo Gesù, per la sua vittoria sul peccato e sulla morte, l’uomo non è più schiavo né del peccato e né di Satana. Dove c’è disperazione non c’è Cristo. Dove non c’è Cristo c’è disperazione. Non c’è Cristo là dove non si lotta contro il peccato per eliminarlo dal proprio corpo. Crede in Cristo chi vince il peccato nelle sue membra.
La preghiera di Colletta ci annunzia che il Padre oggi e sempre opera la nostra redenzione per mezzo del Figlio suo e la opera in modo mirabile. Redimere è riscattare, togliere dalla schiavitù, condurre nella libertà, sciogliere le catene che rendono l’uomo prigioniero del peccato e di Satana. All’azione di Dio in Cristo, per lo Spirito Santo, deve corrispondere un generoso impegno dell’uomo, un fretta con fede viva perché realmente, nel corpo, nell’anima e nello spirito, si viva da uomini liberi. Camminare verso la Pasqua questo significa: collaborare con Dio, nella sua grazia, al compimento della nostra totale liberazione dal male.
La Prima Lettura ci rivela che è Dio, il Signore, che presiede e governa la storia della salvezza e della redenzione. La storia dell’uomo è di liberazione se è tutta, dall’inizio alla fine, governata dal pensiero di Dio e sgorga dalla sua divina volontà. Neanche i profeti devono lasciarsi tentare dalla storia che è dinanzi ai loro occhi: “Quando fu entrato, Samuele vide Eliàb e disse: “Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!”. Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Se il profeta, l’uomo di Dio, il presbitero, il cristiano si lascia tentare dai suoi occhi, non c’è storia né di salvezza né di redenzione.
Chi vuole collaborare con Dio per la salvezza tutto deve vedere con gli occhi del Signore e per questo deve chiedere sempre a Dio i suoi occhi: “Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”. Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi”. Vedere uomini e cose con gli occhi di Dio: è la grazia che ognuno di noi deve chiedere al Signore.
Il Salmo responsoriale ci mostra il Salmista che vede la sua vita con gli occhi del suo Signore: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca. Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni”. Vedere se stessi con i propri occhi e vedersi con gli occhi di Dio cambia radicalmente la nostra vita. Dalla disperazione la conduciamo nella speranza, dagli affanni la portiamo nella pace.
La Seconda Lettura ci annunzia che noi, che crediamo in Cristo Gesù, siamo luce nel Signore. Non siamo più nelle tenebre. Se siamo luce, dobbiamo comportarci come figli della luce: “Ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore”. Se siamo figli della luce, non possiamo partecipare alle opere delle tenebre. Esse vanno condannate apertamente.
È nella non condanna il fallimento dei figli della luce. Molti si dicono cristiani, ma approvano le opere della tenebre. Dichiarano che queste opere piacciono loro, agendo da veri falsi profeti e falsi testimoni di Gesù Signore. Il cristiano è luce e non può avere lui né apprezzamento, né comunione con le tenebre. Anzi lui deve operare perché vengano distrutte le opere delle tenebre e al loro posto sorgano le opere della luce.
Urge svegliarsi, uscire da questa confusione veritativa e morale: “Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà”. Urge che il cristiano si svegli da questo torpore di falsità e menzogna, inganno e illusione. O lui si riappropria di tutta la luce di Cristo per farla risplendere con grande splendore, o lui giustificherà il mondo in ogni suo peccato. Solo il cristiano è luce in Cristo. Nessun altro uomo è luce.
L’acclamazione al Vangelo ci dice qual è la verità che ogni cristiano deve gridare al mondo: “Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me, avrà la luce della vita”. Se il cristiano non grida la verità di Gesù, il mondo rimane nelle sue tenebre. Nessuno gli darà gli occhi della verità, della luce, della giustizia, della santità. Nessuno gli darà la luce per vedere il vero Dio, il suo Salvatore potente, il suo Redentore.
Il Vangelo ci presenta un uomo cieco fin dalla nascita, figura e immagine dell’umanità. Gesù si accosta a lui e lo prepara perché possa riacquistare la vista: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”, che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Ora la luce del mondo è la Chiesa, vero sacramento della luce di Dio, in Cristo Gesù, per opera dello Spirito Santo. Essa è mandata per dare la luce agli occhi dello spirito di ogni uomo.
Il mondo ama restare mondo, preferisce rimanere nella sua cecità. Poiché è Cristo il datore della luce, esso vuole negare lo stesso miracolo. Se la luce non stata data, non solo Cristo è un impostore, anche colui che dice di essere guarito lo è. Ora tutta la responsabilità della verità di Cristo poggia sulle spalle del cieco guarito. Questi con fermezza e grande forza attesta la sua condizione di prima e di dopo. Prima era cieco. Ora ci vede. Nessuno potrà dire che la storia non sia così. È la sua vita.
Oggi è qui che il cristiano si inceppa. Non riesce dinanzi al mondo ad attestare la verità di Cristo dalla quale è la sua verità di luce. È un triste segno. È il segno che il cristiano è tornato ad essere tenebra. Dalle tenebre pensa ed agisce da tenebra e non da luce.
La preghiera sulle offerte chiede al Signore che “ci aiuti a celebrare il sacrificio con fede sincera e a offrirlo degnamento per la salvezza del mondo”.
Nell’antifona alla comunione il cieco nato rende la sua testimonianza a Cristo Gesù: “Il Signore ha spalmato un po’ di fango sui miei occhi: sono andato, mi sono lavato, ho acquistato la vista, ho creduto in Dio”. Dalla testimonianza Gesù è glorificato.
Nella preghiera dopo la comunione chiediamo a Dio “che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”, che faccia “risplendere su di noi la luce del tuo volto”. Solo vedendo Lui in pienezza di luce “i nostri pensieri saranno sempre conformi alla sua sapienza e possiamo amarlo con cuore sincero”. Il cristiano è un liberato dalle tenebre mandato nel mondo per liberare dalle tenebre.