VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA
La liturgia di questa notte di veglia è unica nel suo genere. Essa inizia con il porre Cristo Gesù nella notte buia come unica e sola luce del mondo. Alla sua luce tutti attingono la luce. Si attinge la luce alla luce che è Cristo, si dona luce ai fratelli. Luce dalla luce, verità dalla verità, grazia dalla grazia, vita dalla vita. Chi non attinge in Cristo rimane nelle tenebre e nella morte. Chi dona, ma non attinge in Cristo, dona tenebre e non luce, dona morte e non vita, dona falsità e mai verità.
Posto Cristo come unica Luce della Chiesa e del mondo, il popolo di Dio ascolta per conoscere come la storia, frutto della Parola onnipotente del suo Signore, è giunta a produrre questa luce mirabile. In verità questa luce non è solo frutto della storia. È anche frutto della storia perché dono del Padre alla storia, facendola divenire, da Luce eterna, Luce incarnata, Luce nella nostra storia, Luce nel nostro corpo e nel nostro sangue. È questo il sublime mistero dell’Incarnazione del Figlio Unigenito del Padre.
La preghiera di colletta ci ricorda che tutto è dal Padre. È Lui che “illumina questa santissima notte con la gloria della risurrezione di Cristo Signore”. È Lui che vuole, decide, stabilisce con decreto eterno che “Gesù sia la sola, l’unica Luce per illuminare il mondo”. È sempre Lui, il Padre, che deve “ravvivare nella sua famiglia lo spirito di adozione, perché tutti i suoi figli, rinnovati nel corpo e nell’anima, siano sempre fedeli al suo servizio”. Nell’eternità e nel tempo, nel cielo e sulla terra, in Cristo Gesù e nella sua Chiesa tutto è dal Padre. Tutto è dal Padre perché tutto ritorni nel Padre.
Qual è il servizio al quale il cristiano deve sempre rimanere fedele? Esso è uno solo: “Lasciarsi fare dal Padre suo servo sofferente per l’espiazione del peccato del mondo”. Il cristiano in Cristo è costituito dal Padre agnello di redenzione e di salvezza. L’agnello redime e libera dalla morte solo morendo in Cristo e donando tutto di sé al Padre. La prima morte che il cristiano deve compiere è al peccato, al vizio. La seconda morte è alla sua volontà. Come Cristo, deve farsi obbediente fino alla morte.
La Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani ci ricorda proprio questa verità. Non può manifestare al mondo la risurrezione di Cristo Signore chi non vive quotidianamente la sua morte al peccato, al vizio, alla sua volontà, per lasciarsi interamente muovere dallo Spirito Santo. Più l’uomo muore a se stesse e più risuscita in Cristo Signore. Meno muore e meno risuscita. Per essere luce si deve morire alle tenebre. Non possiamo noi coltivare le tenebre nel nostro corpo e poi mostrare la luce con le nostre parole.
“Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione”.
“l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”.
Queste parole non possono oggi essere dimenticate dal discepolo di Gesù. Il mistero è uno: di morte al peccato, al vizio, alla nostra volontà. Di risurrezione nella libertà dal peccato, dal vizio, per l’assunzione della divina volontà e per una obbedienza perfetta ad essa. Se non si compie la morte neanche la vita si compirà. Se non moriamo alle tenebre mai potremo risorgere alla luce. Il mistero è uno. Si muore per risorgere. Se non si muore non si risorge. Se non si è luce è segno che siamo ancora tenebre.
Il Salmo responsoriale è un grido alla misericordia del Signore. Cristo Gesù è il dono del suo amore, l’opera della sua misericordia, il frutto della sua eterna carità: “Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Dica Israele: “Il suo amore è per sempre”. La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze. Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi”.
Ma Dio ha forse esaurito tutto il suo amore in Cristo Gesù? È forse finita la sua misericordia? La misericordia e l’amore del Signore sono come il sole. Il sole brilla nel deserto, ma non produce alcun frutto. Brilla e lo rende sempre più deserto. Manca la terra. Quando la terra dona al sole alberi e acqua, il sole produce ogni frutto per l’uomo. Cristo Gesù è stato per il Padre suo acqua e albero. Il Padre ha versato in Lui tutta la sua eterna misericordia e l’albero ha prodotto ogni frutto di vita eterna.
Ora, in Cristo, per Cristo, con Cristo, è il cristiano che deve essere albero e acqua per il Padre celeste. Il cristiano si unisce intimamente a Cristo, diviene una cosa sola con Lui, il Padre manda il potentissimo sole della sua misericordia, che è lo Spirito Santo, e l’albero di Cristo, in Cristo, che è il cristiano produce ogni frutto di grazia, verità, luce, giustizia, santità. Se il cristiano si separa da Cristo, diviene albero secco. Il Padre dei cieli nulla potrà produrre per lui e il mondo rimane senza alcun frutto di vita.
Il Vangelo secondo Matteo ci rivela con divina chiarezza che la fede nella risurrezione nasce dall’annunzio degli Angeli alle donne. Un sepolcro vuoto non attesta che Gesù è risorto. Lo conferma Maria di Magdala. Lei vede il sepolcro vuoto e pensa ad un trafugamento del corpo del Signore. La fede nasce sempre dall’annunzio. È chi annunzia che deve rendersi credibile. Chi annunzia alle donne la risurrezione sono gli Angeli del Signore. Essi sono credibili, perché la Storia Sacra ci rivela che molte volte il Signore si è servito di essi per comunicare agli uomini le sue opere.
“L’angelo disse alle donne: Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”. La domanda che ognuno di noi deve porsi è questa: sono io credibile quando annunzio la risurrezione del Signore? L’annunzio, fondandola sulla mia credibilità di vero risorto in Lui? Gesù risorto si annunzia da risorti in Lui, da avvolti della sua luce. Il peccato è tenebra e ci fa tenebra.
La preghiera sulle offerte chiede a Dio che doni ai discepoli di Gesù, al suo popolo, per il mistero della risurrezione di Gesù, la forza per giungere alla vita eterna. Il cristiano con la luce di Gesù vede la via, con la sua forza giunge alla vita eterna.
L’antifona alla comunione ci ricorda che Gesù, nostra Pasqua, è stato immolato che la festa va celebrata con purezza e verità. Gesù è luce, la Pasqua si celebra nella luce.
La preghiera dopo la comunione fa memoria del comandamento nuovo, di quell’amore sino alla fine che deve consumare il discepolo di Gesù: “Infondi in noi, o Padre, lo Spirito della tua carità, perché nutriti con i sacramenti pasquali viviamo concordi nel vincolo del tuo amore”. Come Cristo ha dato a noi tutto l’amore del Padre, così il discepolo deve dare tutto l’amore di Gesù ai discepoli, perché il mondo creda. L’amore è la luce della verità. Senza l’amore la verità è tenebra, mai diviene luce.