Commento teologico alla prima lettura – Luglio 2017
1 LUGLIO
C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?
Gen 18,1-15; Sal Lc 1,46-55; Mt 8,5-17.
Il Signore visita Abramo. Viene per creare nel suo cuore e in quello di Sara la vera speranza. Lui lo ha deciso. Dalla loro carne nascerà un figlio. Sara avrà un bambino. Non in un futuro lontano, ma entro l’anno. Le parole del Signore sono esatte: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. È profezia di Dio che si compie subito. Oggi, in questo tempo. Sara è incredula. Vede la sua carne ormai in disfacimento. Si sente un albero secco, senza più vitalità. Potrà lei generare e partorire a quell’età? A novant’anni può una donna dare alla luce un bambino?
Il Signore le risponde affermando la sua eterna e divina onnipotenza: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?”. Chi è il Signore? l’Onnipotente. Onnipotente non è un titolo, un nome. È la stessa essenza di Dio. Lui realmente può tutto. Nulla gli è impossibile. La sua onnipotenza è per creazione. Le cose non sono e Lui le chiama all’esistenza. Sono vecchie e Lui le dona giovinezza. Sono senza vita e Lui le ricolma di ogni vita. C’è cosa più avvizzita della polvere del suolo? Eppure da quella polvere il Signore ha fatto l’uomo? Prima che Lui ponesse mano alla creazione di ogni essere, visibile e invisibile, nulla esisteva. Per la sua onnipotenza tutto esiste.
In questa verità è tutta la storia della creazione e della salvezza. Tutto è dall’onnipotenza del Signore. Se il Signore non fosse onnipotente, nulla avverrebbe e nulla accadrebbe. Non nascerebbe mai sulla terra alcuna speranza. Mai si vedrebbe una luce. Il male ci terrebbe nel suo carcere. La storia precipiterebbe verso la sua distruzione. La terra sarebbe solo un luogo di morte. Invece l’onnipotenza del Signore crea speranza, dona luce, verità, splendore, bellezza, liberazione, vita. Sara è senza vita e il Signore la fa divenire madre. Solo Lui è capace di rendere giovane chi è già vecchio. Solo per Lui la vita retrocede di settant’anni, e i novanta divengono venti.
Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia”? C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma egli disse: «Sì, hai proprio riso».
La speranza dell’uomo è il frutto della fede nella più pura verità del suo Creatore e Signore. La verità del nostro Dio è la sua unicità. Solo Lui è il Signore. Solo Lui il Creatore. Solo Lui l’Onnipotente. Solo Lui ha la storia degli uomini nelle sue mani. Solo Lui ha una parola che si compie. Solo Lui può annunciare un futuro per noi, perché solo Lui lo potrà realizzare secondo il suo pensiero eterno. Questa unicità appartiene solo al Dio di Abramo, che è il Padre di Gesù Cristo. Altri dèi non esistono perché sono il frutto della mente dell’uomo. Sara non dovrà credere nella Parola ascoltata. Dio le ha fatto una promessa unilaterale ed essa si compirà. Non c’è condizione. Avverrà.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di purissima fede in Dio.
2 LUGLIO – XIII DOMENICA T.O. A
Che cosa si può fare per lei?
2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88,2-3.16-19; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42.
Una donna di Sunem vuole onorare il profeta Eliseo. Per lei è un uomo di Dio, un santo. Uno che porta la parola e la santità di Dio sulla terra. Santità e parola sono una cosa sola, perché è la parola che ci rivela la santità di Dio ed è compiendo la parola che si diviene santi come Dio è santo. Questo legame tra parola e santità, santità e vita, vita e obbedienza alla parola della santità, è manifestato dallo stesso Dio.
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Ognuno di voi rispetti sua madre e suo padre; osservate i miei sabati. Io sono il Signore, vostro Dio. Non rivolgetevi agli idoli, e non fatevi divinità di metallo fuso. Io sono il Signore, vostro Dio. Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, vostro Dio. Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo. Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo. Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore. Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso il potente: giudicherai il tuo prossimo con giustizia.
Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore. Non profanare tua figlia prostituendola, perché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di infamie. Osserverete i miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono il Signore. Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio. Non commetterete ingiustizia nei giudizi, nelle misure di lunghezza, nei pesi o nelle misure di capacità. Avrete bilance giuste, pesi giusti, efa giusta, hin giusto. Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”» (Cfr. Lev 19,1-37)-.
Parola e santità mai potranno essere disgiunte, separate, perché la santità è l’agire di Dio e la Parola ci dice come agire per imitare il Signore, per essere a sua immagine e somiglianza. L’uomo deve essere santo come Dio è santo. La Parola detta le regole della sua santità. Le parole sono proferite dai profeti. Sono essi che danno ad ogni uomo le regole perché l’uomo possa essere ad immagine del suo Creatore e Signore.
Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era un’illustre donna, che lo trattenne a mangiare. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Ella disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare». Un giorno che passò di lì, si ritirò nella stanza superiore e si coricò. Eliseo replicò: «Che cosa si può fare per lei?». Giezi disse: «Purtroppo lei non ha un figlio e suo marito è vecchio». Eliseo disse: «Chiamala!». La chiamò; ella si fermò sulla porta. Allora disse: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio fra le tue braccia».
La donna fa del bene al profeta: gli prepara una camera, un letto, una lampada perché passando da Sunem si possa riposare. Il profeta fa del bene alla donna. Le promette un figlio con parole circostanziate: “L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio fra le tue braccia”. Sembra di ascoltare la stessa parola proferita da Dio a Sara: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Eliseo è vero profeta del Dio vivente perché dice la stessa parola. Solo chi è da Dio può dire le parole di Dio. Ora la donna sa che lei diverrà madre. Lei ha fatto del bene al profeta di Dio. L’uomo di Dio, il santo, ha fatto a lei, nel nome del suo Dio, un bene ancora più grande. Nessuno potrà mai domani proclamarsi debitore presso Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci operatori di bene sempre.
3 LUGLIO
Sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti
Ef 2,19-22; Sal 116,1-2; Gv 20,24-29.
Fondamento invisibile eterno di tutto l’edificio di Dio che è la Chiesa è Cristo Signore. È Lui la pietra sulla quale la casa di Dio si regge. È Cristo che le dona stabilità e unità.
Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. legge infatti nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso. Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo (1Pt 2,4-8).
Immediatamente sopra Cristo, quale pietra e fondamento visibile di tutta la Chiesa è posto Pietro. Dov’è Pietro, là è la vera Chiesa di Gesù Signore. Cristo Gesù non riconosce come sue vere Chiese quelle costruite su di Lui, ma non su Pietro.
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo (Mt 16,13-20).
In Cristo, sopra Pietro, vi sono diversità di ministeri e di carismi: apostoli, profeti, evangelisti, maestri, dottori. Molti sono i carismi, molti i ministeri, una è la Chiesa, uno è il fondamento invisibile, Cristo, uno il fondamento visibile: Pietro. Su Cristo e su Pietro regna una moltitudine di altri fondamenti, tutti di grazia e di verità.
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?(1Cor 12,27-31). Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità (Ef 4,11-16).
Il fondamento apostolico è essenza della Chiesa. Essa è infatti una, santa, cattolica, apostolica. Gli apostoli trovano la loro unità in Pietro, con Pietro, in obbedienza gerarchica a Pietro. Senza Pietro, fuori di Lui, non c’è unità nella fede, nella verità, nella carità. La Chiesa non è solo apostolica, è una, santa, cattolica, apostolica. L’unità è data dall’unico fondamento visibile che è Pietro. In Pietro ogni altro deve dare unità.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Gesù non ha chiamato solo Pietro, ha chiamato Pietro e i Dodici. Ad essi ha consegnato i suoi poteri di grazia, verità, santità. I Dodici non possono vivere il loro ministero in autonomia da Pietro. Su Pietro si fonda la Chiesa, su Pietro essa va sempre fondata. Pietro è necessario agli Apostoli, ma anche gli Apostoli sono necessari a Pietro. Né Pietro senza gli Apostoli, né gli Apostoli senza Pietro. Questa vicendevole necessità solo nello Spirito Santo si comprende e solo in Lui si vive secondo verità, giustizia, santità. Fuori dello Spirito, regnano divisioni e separazioni.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera Chiesa di Cristo.
4 LUGLIO
Guardò indietro e divenne una statua di sale
Gen 19,15-29; Sal 25,2-3.9-12; Mt 8,23-27.
Quando il Signore chiama per uscire, Lui vuole che non si guardi più indietro. Muore il mondo che è stato. Inizia con Lui un futuro sempre nuovo governato dall’ultima sua Parola. Anche le parole ascoltate prima vanno lasciate al passato. Ieri è ieri. Oggi è oggi. Questa regola anche Gesù la ricorda a quanti vogliono andare dietro di Lui.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,57-62).
Il giovane ricco si perde perché si volta indietro, vede i suoi molti beni. Guardando indietro non vede i beni eterni che Dio ha già predisposto per lui. Anche lui diviene una statua di sale. I Dodici invece guardano in avanti. Possono compiere le opere di Dio.
Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Costui disse: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!». Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide così triste, disse: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». Quelli che ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Lc 18,18-30).
La moglie di Lot è esempio che deve rimanere nella memoria di ogni uomo chiamato a fare le opere di Dio. Costui è chiamato a guardare sempre avanti, mai indietro. Il suo Dio è sempre avanti a sé, mai dietro. Voltarsi indietro è non cercare più il Signore.
Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città». Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città. Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: «Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!». Ma Lot gli disse: «No, mio signore! Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato grande bontà verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Ecco quella città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? – e così la mia vita sarà salva». Gli rispose: «Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato. 22Presto, fuggi là, perché io non posso far nulla finché tu non vi sia arrivato». Perciò quella città si chiamò Soar. Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
La moglie di Lot è un monito perenne per ogni uomo chiamato a seguire il Signore, ad obbedire ai suoi comandi, a camminare per le sue vie. Voltarsi indietro è sempre tentazione potente. Per questa tentazione moltissimi si perdono. La salvezza è avanti.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni passato.
5 LUGLIO
Scaccia questa schiava e suo figlio
Gen 21,5.8-20; Sal 33,7-8.10-13; Mt 8,28-34.
Ogni azione dell’uomo produce un frutto nella storia. Crea qualcosa nel cuore dell’uomo. Chi vuole camminare con il Signore, progredire con Lui, deve avere anche la forza di liberarsi dai frutti da lui prodotti senza la Parola del Signore, contro di essa. Ismaele non è stato generato e dato alla luce per volontà di Dio o per sua promessa. È stato concepito per suggerimento di Sara, accolto e fatto suo da Abramo, perché desideroso di avere in figlio, impaziente di attendere che il tempo di Dio si compisse. Il frutto della stoltezza, dell’insipienza, del desiderio dell’uomo non può ostacolare il progetto di salvezza del Signore e per questo ci si deve liberare.
Questo episodio deve portarci ad una profonda riflessione e meditazione: ci sono nell’uomo desideri legittimi. Essi possono essere perseguiti prima di conoscere il Signore, prima di aver consegnato a Lui la nostra vita. Una volta che la vita è stata data a Lui, anche i desideri vanno tutti consegnati a Lui, nessun desiderio più ci appartiene, neanche quelli della natura. Si è di Dio nel corpo, nell’anima, nello spirito, nella volontà, nei desideri, nelle aspirazioni, nel presente, nel futuro. Nulla più dovrà essere da noi. Quando si vende una pecora, la pecora non è più di colui che l’ha venduta. Appartiene al nuovo proprietario. Così è per noi, quando ci doniamo al Signore. Non ci apparteniamo più. Siamo interamente di Colui al quale ci siamo dati.
Abramo si è dato al Signore. Ancora però non è tutto del Signore. C’è un desiderio che appartiene a lui e questo desiderio è di aver un figlio a qualsiasi costo. Poiché Dio ritarda nel darglielo, lui si fa la sua strada. Ma la strada dell’uomo non è quella di Dio. Dio viene, realizza il suo pensiero, dona il figlio ad Abramo. Abramo ora deve liberarsi del suo passato. Esso intralcia il cammino della storia della salvezza. Anche questa obbedienza è necessaria per chi vuole camminare con il suo Dio. Chi non vuole queste conseguenze amare, deve porre ogni attenzione perché sempre rimanga nella volontà di Dio, anche se i tempi sembrano lunghissimi, eterni. Dio prova la nostra fede in Lui.
Abramo aveva cento anni quando gli nacque il figlio Isacco. Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che lei aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». La cosa sembrò un gran male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: «Non sembri male ai tuoi occhi questo, riguardo al fanciullo e alla tua schiava: ascolta la voce di Sara in tutto quello che ti dice, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché è tua discendenza».
Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione». Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto.
Certi comandi provocano sofferenza. Ma essi vanno ascoltati. Ad essi va data la più pronta e immediata obbedienza. Sapendo questo, tutti possiamo liberarci dai desideri e attendere che la volontà di Dio si compia per noi, perché certamente si compirà. Abramo può essere imperfetto nei desideri, ma è perfettissimo nell’obbedienza. Lui ascolta il comando del Signore e si libera definitivamente del suo passato. Esso non sarà più presente nella sua vita. Isacco e solo lui è l’erede della promessa.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni desiderio.
6 LUGLIO
Offrilo in olocausto su di un monte
Gen 22,1-19; Sal 114,1-6.8-9; Mt 9,1-8.
In questo comando è racchiuso tutto il mistero della salvezza. È necessario allora chiedersi: qual è il significato di questo comando che il Signore dona ad Abramo? Esso è uno solo: Dio vuole essere riconosciuto come il solo Signore, il solo Creatore, il solo Onnipotente, il solo Dio, la sola Speranza dall’uomo. Il Signore vuole che si consideri la storia come inutilità. Essa è utile, ma inutile allo stesso tempo. Essa è utile quando diviene inutile. Ed è inutile quando noi la pensiamo utile. Isacco è inutile alla salvezza. Dal momento che Abramo lo considera inutile, lui diverrà utile. Se però Abramo lo considera utile e lo risparmia, sia Abramo che Isacco sono inutili a Dio, con loro mai potrà realizzare il suo mistero di salvezza. Si considerano utili, invece sono inutili.
Ad Abramo Dio chiede di considerare inutile tutta la sua vita. Il passato, il presente, il futuro. Gli chiede di considerare inutili tutte le sue promesse. Valevano per ieri. Non valgono per oggi. Oggi vale il loro sacrificio, il loro olocausto sul monte. Chiede il Signore ad Abramo di sacrificare Isacco, gli chiede di sacrificare la sua speranza, le sue attese, le promesse ricevute, le alleanze giurate, ogni altra parola ricevuta da Dio. Il Signore con Lui vuole iniziare in un modo nuovo. Lui è l’Onnipotente, il Signore, il Creatore. Come gli ha creato Isacco, può creargli ogni altro figlio. Ma è il Signore che decide su quali vie quanti si sono affidati a Lui dovranno camminare. Essi devono essere sempre pronti a lasciare tutti e iniziare come se oggi fosse il primo giorno.
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere». L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
Il Signore chiede ad Abramo di sacrificare il suo spirito, il suo cuore, le sue speranze di ieri. Oggi il Signore ha scritto un nuovo progetto per lui. L’uomo sempre vive legato al suo passato anche se di altissima santità. Dio irrompe nella sua vita e chiede di spezzare i legami con esso. C’è un futuro che incombe e lo si deve realizzare. Abramo è questa immediata obbedienza. Lui è sempre pronto a tagliare ogni legame con il suo passato per incamminarsi nella nuova volontà di Dio. Il Signore gli ha chiesto di tagliare con Ismaele e lui ha subito obbedito. Gli ha chiesto di tagliare con Isacco e la sua obbedienza è stata immediata. Dio vuole Abramo solo e sempre dalla sua volontà.
Vergne Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla volontà di Dio oggi.
7 LUGLIO
Una moglie per mio figlio Isacco
Gen 23,1-4.19; 24,1-8.62-67; Sal 105,1-5; Mt 9,9-13.
Abramo è seriamente preoccupato. Sa che nella discendenza di Isacco il Signore dovrà benedire tutte le nazioni della terra. Ma Isacco è solo. In questo istante Abramo è come Dio. Questi vede l’uomo solo. Sa che la solitudine non è bene per lui. Decide di fargli un aiuto a lui corrispondente. Gli crea la donna, traendola dal suo costato.
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Cfr. Gen 2,18-23).
Anche Abramo vuole “creare” per Isacco una donna dal suo stesso “costato”, cioè dalla sua parentela, dalla sua stessa fede. Per questo lo manda nel suo paese d’origine. Da quella terra dovrà trarre una sposa per il figlio suo. Stessa carne, stessa fede, stessa missione, stessa vita. Carne dalla mia carne, ma anche fede dalla mia fede. Quando si è carne non dalla propria carne e fede dalla non propria fede, i figli non si nutrono di una sola fede. Crescono male. Si nutrono di fede e di anti-fede, di verità e falsità, alla fine l’anti-fede e la falsità prevalgono sulla fede e sulla verità. Non c’è più cammino con Dio, secondo Dio. Neanche la missione potrà essere portata a realizzazione.
Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat‑Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. Poi Abramo si staccò dalla salma e parlò agli Ittiti: «Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via il morto e seppellirlo». Poi Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nella terra di Canaan. Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto.
Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco». Gli disse il servo: «Se la donna non mi vuol seguire in questa terra, dovrò forse ricondurre tuo figlio alla terra da cui tu sei uscito?». Gli rispose Abramo: «Guàrdati dal ricondurre là mio figlio! Il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che mi ha preso dalla casa di mio padre e dalla mia terra natia, che mi ha parlato e mi ha giurato: “Alla tua discendenza darò questa terra”, egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, perché tu possa prendere di là una moglie per mio figlio. Se la donna non vorrà seguirti, allora sarai libero dal giuramento a me fatto; ma non devi ricondurre là mio figlio».
Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai‑Roì; abitava infatti nella regione del Negheb. Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». Il servo rispose: «È il mio padrone». Allora ella prese il velo e si coprì. Il servo raccontò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.
È di vitale necessità che lo sposalizio avvenga tra carne dalla stessa carne e fede dalla tessa fede. C’è una missione da compiere e mai la si potrà realizzare se padre e madre sono di fede differente. Se già i genitori camminano su due vie, opposte, diverse, contrapposte, se già il genitore di vera fede ha abbandonato lui la sua fede per sposare la non fede, per unirsi a ciò che non è sua carne, si potrà sperare che il figlio segua la retta fede? Essa è già stata abbandonata da chi la possedeva, potrà mai donarla a chi la deve acquisire? La sposalizio nella stessa fede nel vero Dio non deve essere una imposizione esteriore, ma una esigenza del cuore e dello spirito.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci questa verità.
8 LUGLIO
Chi ti benedice sia benedetto!
Gen 27,1-5.15-29; Sal 134,1-6; Mt 9,14-17.
Esaù ha interrotto il cammino nella fede di Abramo. A lui nulla interessa né della fede, né delle promesse e neanche di primogenitura. Lui è uomo pragmatico. Vive di donne, di caccia, di godimenti immediati. Attendere qualcosa che gli venga da Dio neanche gli passa per la mente. È il tipico uomo senza alcun riferimento alla trascendenza, al soprannaturale, a tutto ciò che va oltre il visibile e il momento presente. Può un uomo senza Dio curare gli interessi di Dio? Può un uomo senza futuro pensare al futuro dell’umanità? È contro la sua stessa natura. Per lui esiste solo ciò che tocca.
La madre Rebecca vede il disastro morale. Non se la sente di affidare a lui la trasmissione della benedizione di Abramo. Il padre mai lo dovrà benedire. La benedizione è giusto che passi al figlio minore. Con lui di certo avrà un futuro. Lui è uomo di obbedienza, ascolto, riverenza verso la madre. Sa che non ci si deve distaccare dai comandi dell’Onnipotente e lui non se ne distacca. Sa che a Dio si deve sempre obbedire e lui obbedisce. È per questo motivo che Rebecca priva il maggiore della benedizione del padre con inganno. Non si tratta di motivi morali, ma di fede. Sono ragioni soprannaturali, di alta trascendenza. La fede va portata dalla fede, la verità dalla verità, la giustizia dalla giustizia, Dio da chi crede in Lui e obbedisce alla sua Parola. Un uomo senza fede mai potrà portare Dio agli altri. Non lo darà neanche ai propri figli. Non lo possiede lui, neanche lo potrà trasmettere.
Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: «Figlio mio». Gli rispose: «Eccomi». Riprese: «Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, va’ in campagna e caccia per me della selvaggina. Poi preparami un piatto di mio gusto e portamelo; io lo mangerò affinché possa benedirti prima di morire». Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. Rebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. Così egli venne dal padre e disse: «Padre mio». Rispose: «Eccomi; chi sei tu, figlio mio?». Giacobbe rispose al padre: «Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Àlzati, dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica». Isacco disse al figlio: «Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!». Rispose: «Il Signore tuo Dio me l’ha fatta capitare davanti».
Ma Isacco gli disse: «Avvicìnati e lascia che ti tocchi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no». Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù». Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Allora disse: «Servimi, perché possa mangiare della selvaggina di mio figlio, e ti benedica». Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: «Avvicìnati e baciami, figlio mio!». Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse: «Ecco, l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada dal cielo, terre grasse, frumento e mosto in abbondanza. Popoli ti servano e genti si prostrino davanti a te. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!».
L’inganno non va giustificato. Questa decisione spettava al padre. Ma il padre era troppo debole per privare il suo figlio amato, il suo prediletto, della benedizione di Abramo. La madre interviene energicamente. La sua coscienza le dice che questa è la sola soluzione possibile. È talmente radicata in questo convincimento che è pronta a prendere su di sé la maledizione del padre, nel caso in cui si fosse scoperto l’inganno. Non possiamo noi giudicare con la verità evangelica in più elaborata da venti secoli di ulteriori riflessioni teologiche. La coscienza vive in una storia ed è in quella storia che essa si forma. Rebecca vede il bene supremo. Lo realizza secondo la verità di allora.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, guidateci al bene più grande.
9 LUGLIO – XIV DOMENICA T.O. A
È giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino
Zc 9,9-10; Sal 144,1-2.8-11.13-14; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30.
La profezia di Zaccaria sul re che viene rivestito di umiltà, che cavalca un asino, fa parte di un oracolo nel quale il Signore pronuncia il suo giudizio sulle nazioni. Il Dio di Israele si rivela come il Dio di tutta la terra. Nessuno può sottrarsi al suo giusto giudizio. In questa visione di universalità si inserisce la visione del re, che viene per far sparire i carri da guerra. La sua giustizia e la sua vittoria non sarà frutto di sangue versato. Lui non sarà re di sangue e di morte come gli altri re, ma di vita eterna.
Oracolo. «La parola del Signore è sulla terra di Adrac e si posa su Damasco, poiché al Signore appartiene la perla di Aram e tutte le tribù d’Israele, e anche Camat sua confinante e Tiro e Sidone, ricche di sapienza. Tiro si è costruita una fortezza e vi ha accumulato argento come polvere e oro come fango delle strade. Ecco, il Signore se ne impossesserà, sprofonderà nel mare le sue mura ed essa sarà divorata dal fuoco. Àscalon vedrà e ne sarà spaventata, Gaza sarà in grandi dolori, e così pure Ekron, perché svanirà la sua fiducia; scomparirà il re da Gaza e Àscalon rimarrà disabitata. Bastardi dimoreranno ad Asdod, abbatterò l’orgoglio del Filisteo. Toglierò il sangue dalla sua bocca e i suoi abomini dai suoi denti. Diventerà anche lui un resto per il nostro Dio, sarà come una famiglia in Giuda ed Ekron sarà simile al Gebuseo. Mi porrò come sentinella per la mia casa contro chi va e chi viene, non vi passerà più l’oppressore, perché ora io stesso sorveglio con i miei occhi.
Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra. Quanto a te, per il sangue dell’alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal pozzo senz’acqua. Ritornate alla cittadella, prigionieri della speranza! Ve l’annuncio oggi stesso: vi ripagherò due volte. Tendo Giuda come mio arco, faccio di Èfraim la mia arma; ecciterò i tuoi figli, Sion, contro i tuoi figli, Iavan, ti renderò come spada di un eroe. Allora il Signore comparirà contro di loro, come fulmine guizzeranno le sue frecce; il Signore darà fiato al corno e marcerà fra i turbini che vengono dal mezzogiorno. Il Signore degli eserciti li proteggerà: divoreranno e calpesteranno le pietre della fionda, berranno il loro sangue come vino, ne saranno pieni come bacini, come i corni dell’altare. Il Signore, loro Dio, in quel giorno li salverà, come gregge del suo popolo; come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra. Che ricchezza, che felicità! Il grano darà forza ai giovani e il vino nuovo alle fanciulle (Zc 9,1-17).
In questa profezia vi sono due verità, due opere. C’è l’opera del Dio Onnipotente il quale è impegnato nel giudizio sulle nazioni. C’è l’opera del re, umile, il quale non viene per combattere le guerre. Queste appartengono al suo Dio e ai suoi Angeli Santi. Il re mite e umile viene per insegnare agli uomini come si ama il Signore, come lo si serve, qual è la via della vera giustizia e della verità. Il carro da guerra sparirà perché lui non combatterà nessuna guerra. Sparirà perché quanti si lasceranno ammaestrare da Lui, vivranno la sua stessa vita. Insegneranno agli uomini come si vive di verità e giustizia, vivendo con obbedienza perfetta ogni insegnamento ricevuto dal loro re.
Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra.
Noi sappiamo che Gesù Signore non si è lasciato tentare né dal pane, né dalla gloria, né dal potere. Lui sapeva nello Spirito Santo ciò che è opera del Padre e ciò che è sua opera. Chi legge il Vangelo vede che tutto è operato dal Padre. Lui ha una sola missione da realizzare. Donare la legge dell’amore, vivere tutta la legge dell’amore fino alla morte di Croce. Ogni altra cosa è del Padre e Lui la lascia nelle mani del Padre. Se noi evitassimo la tentazione e non cadessimo nella confusione dei due poteri, di ciò che deve fare il Padre e di ciò che deve fare il cristiano in Cristo, nello Spirito Santo, di certo faremmo risplendere la luce di Cristo con splendore altamente divino.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri nella missione.
10 LUGLIO
Il Signore sarà il mio Dio
Gen 28,10-22a; Sal 90,1-4.14-15ab; Mt 9,18-26.
Giacobbe accoglie il consiglio e lascia la casa paterna. Esaù potrebbe anche ucciderlo in un impeto di ira non controllato. Il fratello gli ha sottratto e primogenitura e benedizione. Si mette in cammino per recarsi dallo zio Labano in terra di Carran. Durante la notte il Signore gli manifesta la sua presenza, servendosi di un sogno. Lui vede una scala che dal cielo raggiungeva la terra e su di essa salivano e scendevano gli Angeli di Dio. Davanti vi era il Signore. Lui è lì per rassicurare il suo servo: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco”. Il Dio Onnipotente e Signore gli conferma tutte le parole precedentemente proferite ad Abramo e a Isacco. Ora è lui, Giacobbe, il portatore della benedizione e della speranza. Non solo. Il Signore andrà con lui in terra di Carran e in quella terra lo proteggerà, lo custodirà. Da quella terra lo farà ritornare. Così il Dio di Abramo si rivela essere non il Dio di un luogo, come per tutti gli altri dèi, ma come il Dio di ogni terra e di ogni luogo. Tutte le terre sono sue ed in ogni terra Lui è il solo ed unico Signore. Il Dio di Abramo compirà con Giacobbe tutte queste buone parole. Nessuna di esse cadrà a vuoto.
In questa notte, con questo sogno o apparizione, il Signore conferma e ratifica la decisione della madre e la benedizione del padre. La madre lo aveva designato come il portatore della benedizione e il padre gliel’aveva trasmessa, anche se chiesta e ottenuta con inganno. Questo significa che l’uomo non è ininfluente nella storia della salvezza. Lui è attore primario. Per lui Dio può continuare a benedire e per lui non potrà più benedire. Per lui potrà venire la vita sulla terra e per lui il canale della grazia potrà essere ostruito. Dio fa sua l’energica decisione di Rebecca. Essa non ha agito per il male. Non ha ingannato per favoritismi. Lo ha fatto per il più grande bene dell’umanità, lasciandosi guidare da una verità che per lei era purissima volontà di Dio. In Rebecca il fine non giustifica i mezzi. È il fine supremo che necessariamente dovrà essere raggiunto e non vi è altro mezzo se non l’inganno. Per la sua coscienza non si tratta di inganno, di menzogna, di ingiustizia, di cattiveria, ma del bene più grande.
Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto».
Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio ».
Giacobbe da parte sua accoglie le parole del Dio che si è manifestato a Lui come il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e si impegna con un voto. Accetto, Signore, e accolgo nel cuore quanto mi hai detto. Se tu sarai fedele alla tua parola, la manterrai, sarai veramente con me, allora tu sarai il mio Dio. Non conoscerò altri dèi. Tu hai scelto me come tuo servo, io scelgo te come mio Dio. Giacobbe non pone la fede come via della storia, ma la storia come via della fede. La sua fede dipenderà dalla verità della storia. Anche questo è un procedimento legittimo. La storia sempre attesta la verità di Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera fede in Dio.
11 LUGLIO
Se tu accoglierai le mie parole
Pr 2,1-9; Sal 33,2-11; Mt 19,27-29.
Nella Scrittura Santa l’obbligo di educare i figli a camminare nella legge del Signore, nella sua divina volontà, nella sua Legge viene direttamente da Dio. Possono sorgere all’interno del popolo del Signore altri formatori – re, sacerdoti, profeti. Saggi, scribi, maestri, dottori – ma quest’obbligo rimane per sempre. Esso mai verrà meno.
Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». (Gen 18,16-21).
Quest’obbligo il padre lo dovrà esercitare prima di tutto vivendo lui ogni prescrizione del Signore e poi illuminando il figlio precetto per precetto e norma per norma. Anche questa è diposizione del Signore che risale alle origini della storia del popolo di Dio.
Allora il Signore disse a Mosè: «Va’ dal faraone, perché io ho indurito il cuore suo e dei suoi ministri, per compiere questi miei segni in mezzo a loro, e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio come mi sono preso gioco degli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro: così saprete che io sono il Signore!» (Es 10,1-2). In quel giorno tu spiegherai a tuo figlio: “È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall’Egitto”. Sarà per te segno sulla tua mano e memoriale fra i tuoi occhi, affinché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Infatti il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Osserverai questo rito nella sua ricorrenza di anno in anno. Quando il Signore ti avrà fatto entrare nella terra del Cananeo, come ha giurato a te e ai tuoi padri, e te l’avrà data in possesso, tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del tuo bestiame, se di sesso maschile, lo consacrerai al Signore. Riscatterai ogni primo parto dell’asino mediante un capo di bestiame minuto e, se non lo vorrai riscattare, gli spaccherai la nuca. Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi discendenti. Quando tuo figlio un domani ti chiederà: “Che significa ciò?”, tu gli risponderai: “Con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile. Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nella terra d’Egitto: i primogeniti degli uomini e i primogeniti del bestiame. Per questo io sacrifico al Signore ogni primo parto di sesso maschile e riscatto ogni primogenito dei miei discendenti”. Questo sarà un segno sulla tua mano, sarà un pendaglio fra i tuoi occhi, poiché con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto» (Es. 14,8-16).
Oggi quale speranza si ha di poter osservare quest’obbligo dal momento che molte famiglie sono distrutte da padri e madri e i genitori non osservano più i comandamenti del Signore? Mancando l’esempio, l’insegnamento è vuoto e neanche si dona. Al massimo si potrà dare qualche indicazione di ordine naturale, manca ogni riferimento alla trascendenza e al soprannaturale, al Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo.
Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, se appunto invocherai l’intelligenza e rivolgerai la tua voce alla prudenza, se la ricercherai come l’argento e per averla scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio, perché il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca escono scienza e prudenza. Egli riserva ai giusti il successo, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine, vegliando sui sentieri della giustizia e proteggendo le vie dei suoi fedeli. Allora comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene.
Per educare ai precetti del Signore, alla Legge, alla sapienza che viene dall’Alto occorre vivere nei precetti, nella Legge, nella sapienza. È l’obbligo del padre che diviene obbligo del figlio. Un padre senza Dio educherà con il suo comportamento anche il figlio ad essere senza Dio. Da un padre idolatra il figlio imparerà l’idolatria e da uno che pratica la superstizione anche il figlio conoscerà questa piaga distruttrice della verità dell’uomo. Urge iniziare dal padre. Ma il padre deve iniziare da Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci tutti iniziare dal Signore.
12 LUGLIO
Gli si prostrarono davanti con la faccia a terra
Gen 41,55-57; 42,5-7a.17-24a; Sal 32,2-3.10-11.18-19; Mt 10,1-7.
Le vie di Dio sono così misteriose e profonde da lasciare senza parole quando esse si realizzano. Giuseppe era odiato dai fratelli a causa dell’amore speciale che il padre nutriva su di lui e anche a motivo dei suoi sogni. Pensavano che si ritenesse persona superiore non solo ai suoi fratelli, ma anche al padre e alla madre.
Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i suoi fratelli. Essendo ancora giovane, stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. Ora Giuseppe riferì al padre di chiacchiere maligne su di loro. Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente. Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancora di più. Disse dunque loro: «Ascoltate il sogno che ho fatto. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni si posero attorno e si prostrarono davanti al mio». Gli dissero i suoi fratelli: «Vuoi forse regnare su di noi o ci vuoi dominare?». Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole. Egli fece ancora un altro sogno e lo narrò ai fratelli e disse: «Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me». Lo narrò dunque al padre e ai fratelli. Ma il padre lo rimproverò e gli disse: «Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io, tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?». I suoi fratelli perciò divennero invidiosi di lui, mentre il padre tenne per sé la cosa (Gen 37,2-11).
La stessa verità viene confermata da Giuditta. Le vie di Dio sono un mistero nel quale nessun occhio umano potrà mai fissare lo sguardo. Sono infinitamente oltre la mente.
Vennero da lei ed ella disse loro: «Ascoltatemi, capi dei cittadini di Betùlia. Non è un discorso giusto quello che oggi avete tenuto al popolo, e quel giuramento che avete pronunciato e interposto tra voi e Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il Signore non verrà in vostro aiuto. Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini? 13Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni? (Gdt 8,11-14).
Dove sono oggi i fratelli di Giuseppe: prostrati davanti a lui con la faccia a terra. Sogno mandato da Dio, sogno realizzato, sogno divenuto storia. Dio è l’Onnipotente. L’uomo con i suoi peccati non potrà mai impedire la realizzazione del disegno del Signore. La colpevole e malvagia cattiveria dell’uomo gli dona compimento. È il mistero!
Poi anche tutta la terra d’Egitto cominciò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli Egiziani: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà». La carestia imperversava su tutta la terra. Allora Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e lo vendette agli Egiziani. La carestia si aggravava in Egitto, ma da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra. Arrivarono dunque i figli d’Israele per acquistare il grano, in mezzo ad altri che pure erano venuti, perché nella terra di Canaan c’era la carestia. Giuseppe aveva autorità su quella terra e vendeva il grano a tutta la sua popolazione. Perciò i fratelli di Giuseppe vennero da lui e gli si prostrarono davanti con la faccia a terra. Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l’estraneo verso di loro. E li tenne in carcere per tre giorni. Il terzo giorno Giuseppe disse loro: «Fate questo e avrete salva la vita; io temo Dio! Se voi siete sinceri, uno di voi fratelli resti prigioniero nel vostro carcere e voi andate a portare il grano per la fame delle vostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello più giovane. Così le vostre parole si dimostreranno vere e non morirete». Essi annuirono. Si dissero allora l’un l’altro: «Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto con quale angoscia ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpiti quest’angoscia». Ruben prese a dir loro: «Non vi avevo detto io: “Non peccate contro il ragazzo”? Ma non mi avete dato ascolto. Ecco, ora ci viene domandato conto del suo sangue». Non si accorgevano che Giuseppe li capiva, dato che tra lui e loro vi era l’interprete. Allora egli andò in disparte e pianse.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di perfetta visione di fede.
13 LUGLIO
Prima di voi per conservarvi in vita
Gen 44,18-21.23b-29; 45,1-5; Sal 104,16-21; Mt 10,7-15.
È questa la grandezza dell’uomo di Dio. Non vede la storia dal peccato degli uomini. La vede invece dalla sua realizzazione. Non la vede dalla croce di ieri, la vede dalla gloria di Dio e vede la croce di ieri come via necessaria per giungere alla gloria di oggi. Questa verità la vive in modo altissimo Cristo Signore. Lui lascia ogni giudizio al Padre. Vede la sua gloria eterna che la sua croce ha prodotto assieme al frutto di salvezza per l’intera umanità e chiede ai suoi discepoli che annunzino questa gloria e questo frutto anche i suoi crocifissori, offrendo loro il perdono, nella conversione, per il perdono dei peccati. Sarebbe un vero guaio se l’uomo di Dio vedesse il suo presente dal suo passato e non il suo passato dal suo presente. Gesù vede anche dalla croce la sua gloriosa risurrezione e chiede al Padre il perdono per i suoi carnefici.
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte (Lc 23,33-34). Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,44-49).
Giuseppe si rivela ai fratelli e ancor prima che essi potessero pensare ad una sua qualche reazione di male, li rassicura: “Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita”. Sono veramente grandi gli uomini di Dio: sempre vedono il passato dal presente e vedono il presente come dono d’amore anche per coloro che hanno fatto loro il male.
Allora Giuda gli si fece innanzi e disse: «Perdona, mio signore, sia permesso al tuo servo di far sentire una parola agli orecchi del mio signore; non si accenda la tua ira contro il tuo servo, perché uno come te è pari al faraone! Il mio signore aveva interrogato i suoi servi: “Avete ancora un padre o un fratello?”. “Conducetelo qui da me, perché possa vederlo con i miei occhi”. Noi avevamo risposto al mio signore: “Il giovinetto non può abbandonare suo padre: se lascerà suo padre, questi ne morirà”. Ma tu avevi ingiunto ai tuoi servi: “Se il vostro fratello minore non verrà qui con voi, non potrete più venire alla mia presenza”. Fatto ritorno dal tuo servo, mio padre, gli riferimmo le parole del mio signore. E nostro padre disse: “Tornate ad acquistare per noi un po’ di viveri”. E noi rispondemmo: “Non possiamo ritornare laggiù: solo se verrà con noi il nostro fratello minore, andremo; non saremmo ammessi alla presenza di quell’uomo senza avere con noi il nostro fratello minore”. Allora il tuo servo, mio padre, ci disse: “Voi sapete che due figli mi aveva procreato mia moglie. Uno partì da me e dissi: certo è stato sbranato! Da allora non l’ho più visto. Se ora mi porterete via anche questo e gli capitasse una disgrazia, voi fareste scendere con dolore la mia canizie negli inferi”. Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!». Così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. E proruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: «Io sono Giuseppe! È ancora vivo mio padre?». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché sconvolti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: «Avvicinatevi a me!». Si avvicinarono e disse loro: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita.
È giusto che ogni uomo di Dio coltivi nel suo cuore e nella sua mente questa purissima visione di fede. La nostra vita è un dono a Dio perché Dio per mezzo di essa salvi altri, anche il mondo intero. Le vie sono spesso di dolore, grande sofferenza. Per Giuseppe la via fu la vendita, la schiavitù, la prigione. Lui tutto visse per amore, con amore, facendo sempre il bene, anche quando gli facevano il male. Vera figura di Cristo Gesù!
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera visione di fede.
14 LUGLIO
Io certo ti farò tornare
Gen 46,1-7.28-30; Sal 36,3-4.18-19.27-28.39-40; Mt 10,16-23.
La vita di Giacobbe si fonda su una certezza: la presenza di Dio nella sua vita, che è presenza che lo rassicura in ogni suo passo. Dal giorno della nascita fino al momento della morte Dio è come se avesse li preso sulle sue spalle e lo avesse portato da un luogo ad un altro. Questo però non gli ha risparmiato né dolore e né sofferenza. Chi cammina con Dio sempre dovrà attraversare la valle oscura della croce fisica e spirituale. Sempre dovrà passare per campi seminati a rovi. Il Signore è stato non solo il suo Pastore ma anche il suo Maestro che gli ha insegnato come si lotta. Ecco come la Genesi parla dell’inizio e della fine di Giacobbe. Vita sempre nelle mani di Dio!
Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: «Se è così, che cosa mi sta accadendo?». Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù. Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero (Gen 25,22-26). E così benedisse Giuseppe: «Il Dio, alla cui presenza hanno camminato i miei padri, Abramo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino ad oggi, l’angelo che mi ha liberato da ogni male, benedica questi ragazzi! Sia ricordato in essi il mio nome e il nome dei miei padri, Abramo e Isacco, e si moltiplichino in gran numero in mezzo alla terra!» (Gen 48,14-16).
Il momento di rottura che segna il pieno cambiamento di Giacobbe si compie nella notte del combattimento. È in questa notte che Lui divenne vero uomo di Dio, pronto ad affrontare ogni sofferenza e a vincerla con la fede nel suo Dio. La sofferenza è la sua vita. Lui realmente passò da una sofferenza ad un’altra, ma in ogni cosa fu vincitore.
Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». 28Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico (Gen 32,23-33).
Ora è il Signore che chiede a Giacobbe di abbandonare la terra di Canaan e di trasferirsi in Egitto. Questa discesa domani gli servirà per manifestare a tutti i popoli la grandezza della sua gloria. Lui dovrà rivelarsi come il Dio sopra ogni altro dio.
Israele dunque levò le tende con quanto possedeva e arrivò a Bersabea, dove offrì sacrifici al Dio di suo padre Isacco. Dio disse a Israele in una visione nella notte: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare. Giuseppe ti chiuderà gli occhi con le sue mani». Giacobbe partì da Bersabea e i figli d’Israele fecero salire il loro padre Giacobbe, i loro bambini e le loro donne sui carri che il faraone aveva mandato per trasportarlo. Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti. Egli condusse con sé in Egitto i suoi figli e i nipoti, le sue figlie e le nipoti, tutti i suoi discendenti. Egli aveva mandato Giuda davanti a sé da Giuseppe, perché questi desse istruzioni in Gosen prima del suo arrivo. Arrivarono quindi alla terra di Gosen. Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì incontro a Israele, suo padre, in Gosen. Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e pianse a lungo, stretto al suo collo. Israele disse a Giuseppe: «Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo».
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci camminare con Dio.
15 LUGLIO
Tengo io forse il posto di Dio?
Gen 49,29-33; 50,15-26a; Sal 104,1-4.6-7; Mt 10,24-33.
Giuseppe rivela ai suoi fratelli la più alta e profonda verità che riguarda il nostro Dio e Signore. Il nostro Dio è il solo Giudice dell’universo. A nessun uomo è consentito prendere il suo posto per giudicare quanto avviene sulla nostra terra. A tutti i suoi servi Dio chiede una sola cosa: vivere la storia anche di croce come voluta, pensata, stabilita da Lui. Questa visione di fede riguarda i suoi servi fedeli. Gli altri invece, quanti sono costruttori di croce, devono sapere che per ogni loro azione dovranno rendere a lui conto. Ma Lui è il Dio della misericordia e del perdono, è il Dio lento all’ira che attende che i fautori di male si convertano e tornino nella verità e nella giustizia con cuore pentito. Senza questa duplice relazione con il Signore nulla si comprende del nostro Dio. La vittima si fa giudice e il carnefice si giustifica da se stesso di ogni male da lui compiuto, anzi lo trasforma in bene, in verità, in opera di amore.
Giuseppe rassicura ancora una volta i suoi fratelli. Lui non è loro giudice. Dio lo ha costituito loro benefattore. Questa la missione che Dio gli ha affidato e ad essa vorrà rimanere fedele per tutti i giorni della sua vita. Il bene che ha fatto loro quando il padre era presente è lo stesso bene che farà ora che il padre è assente. Come prima obbediva al suo Dio, così oggi obbedisce al suo Dio. Lui non è dalla storia. Lui è da Dio. Un uomo di Dio mai potrà essere dalla storia. Cade nella tentazione di farsi giudice e carnefice. Se invece rimane da Dio, diviene un suo strumento di grazia, misericordia, pietà, compassione, aiuto molteplice. Ora lui, Giuseppe, deve solo pensare al loro bene e al bene di tutto l’Egitto. Non ha ricevuto altri ordini dal suo Dio. Lui non vede la storia dal passato di peccato degli uomini, la vede dal presente di gloria che Dio ha preparato per lui. Questa verità tutti dovrebbero viverla.
Poi diede loro quest’ordine: «Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l’Ittita, nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nella terra di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l’Ittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso è stata acquistata dagli Ittiti». Quando Giacobbe ebbe finito di dare quest’ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò, e fu riunito ai suoi antenati.
Ma i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: «Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?». Allora mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre prima di morire ha dato quest’ordine: “Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male!”. Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!». Giuseppe pianse quando gli si parlò così. E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Eccoci tuoi schiavi!». Ma Giuseppe disse loro: «Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore.
Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto; egli visse centodieci anni. Così Giuseppe vide i figli di Èfraim fino alla terza generazione e anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poi Giuseppe disse ai fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare ai figli d’Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa». Giuseppe morì all’età di centodieci anni-
È di vitale importanza avere sempre una visione di purissima fede sulla nostra vita. Noi non siamo dalla storia, dal male, dalla croce, dalla malvagità degli altri. Siamo dalla volontà di Dio. Siamo servi del Signore. Le vie attraverso le quali passa il nostro servizio sono di croce e di sofferenza. Ma sono vie necessarie. Noi dobbiamo solo pensare al servizio e come realizzarlo nel migliore dei modi. Il resto è del Signore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci per un servizio santo.
16 LUGLIO – XV DOMENICA T.O. A
Senza aver operato ciò che desidero
Is 55,10-11; Sal 64,10-14; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23.
La Parola del Signore è data. Essa si compie. All’uomo la responsabilità di accoglierla o di rifiutarla. Se l’uomo l’accoglie essa produce secondo la verità dell’accoglienza. Se invece l’uomo non l’accoglie, essa produce, ma questa volta secondo la verità della non accoglienza. Nella prima Parola data da Dio all’uomo non vi è alcuna minaccia di morte. Essa è data senza aggiungere alcuna sentenza di non bene o di morte.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno (Gen 1,26-31).
Nella seconda Parola data da Dio all’uomo, vi è indicata la via della vita e quella della morte. All’uomo è consegnata in mano la sua storia futura. Vuole vivere? Deve percorrere la via della vita. Vuole morire? È sufficiente che prenda la via della morte.
Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen 2,16-17).
Da questo istante tutta la Parola di Dio è data all’uomo come via della vita. Lui è già nella morte. Accoglie la Parola di Dio entra nella vita. Non l’accoglie rimane nella morte. Questa verità è annunziata da Paolo nella Lettera ai Romani.
Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (Rm 5,1-21).
Si accoglie Cristo, Parola di purissima vita, si ritorna in vita, si cresce di vita in vita. Si rifiuta Cristo, si rimane nella morte, perché si è già nella morte. Si è nella morte a causa di Adamo che per la sua disobbedienza l’accolse nel suo corpo.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
Il cristiano non crede più in questa verità ed essa più non annunzia con grave danno.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la fede nella Parola.
17 LUGLIO
Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà
Es 1,8-14.22; Sal 123,1-8; Mt 10,34-11,1.
La politica, quella vera, è servizio di amore alla vita. È questa la politica di Dio: servizio alla vita. La verità della sua azione politica la scopriamo tutta sulla Croce. Il Figlio Eterno del Padre si lascia crocifiggere perché nel suo sangue il Padre stipuli con le sue creature una divina alleanza di vita, contro ogni morte. A questo è chiamato un buon re, un re saggio, accorto, prudente, intelligente: dare vita piena a tutto il suo popolo. Di un re di morte nessuno ha bisogno. Di re che legiferano l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, la regolamentazione della nascite e mille altre leggi di distruzione non solo della vita dei loro sudditi, ma del mondo intero, non si ha proprio bisogno. Eppure i re di oggi sono tutti contro la vita. Oggi in modo particolare certi re sono dichiaratamente ostili non solo alla vita, ma vogliono distruggere la stessa sorgente della vita che è la natura umana. È questa la legge che impone il gender come vera modalità di morte.
Dinanzi a così gravi misfatti contro la vita, dobbiamo confessare che la Parola di Dio è verissima. Con il primo peccato l’uomo è entrato nella morte e dalla morte altro non può produrre che morte. Sono operatori di morte non solo i re, ma anche i sudditi. Spesso sono i sudditi che spingono i re a leggi di morte e spesso sono i re che scrivono per i sudditi decreti di sterminio. Il faraone vede il popolo degli Ebrei come una vera minaccia in mezzo agli Egiziani. Decide di sterminarlo impedendo la procreazione. A quei tempi non vi erano i mezzi scientifici di oggi. Uccidendo tutti i maschi, avrebbe lasciato un popolo di donne che ben presto sarebbe sparito dalla faccia della terra. Le levatrici non obbediscono al suo scellerato comando e il faraone ne prende uno ancora più crudele. I bambini appena nati dovevano essere sottratti alle madri e gettati nel Nilo. Così non vi era alcuna possibilità che il suo decreto non venisse osservato.
Questi sono i nomi dei figli d’Israele entrati in Egitto; essi vi giunsero insieme a Giacobbe, ognuno con la sua famiglia: Ruben, Simeone, Levi e Giuda, Ìssacar, Zàbulon e Beniamino, Dan e Nèftali, Gad e Aser. Tutte le persone discendenti da Giacobbe erano settanta. Giuseppe si trovava già in Egitto. Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. I figli d’Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto forti, e il paese ne fu pieno. Allora sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. Resero loro amara la vita mediante una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: «Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere». Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!». Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza. Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina».
Re di vita o re di morte? È questa la scelta che ogni re deve fare. Se lui sceglie di essere re di vita, riceverà da Dio una benedizione eterna. Ma se fa questa scelta, dovrà impedire, quando la via della morte passa per la decisione, che prosegua. Se necessario, dovrà scegliere di non essere lui re, anziché da re di vita divenire re di morte. Questo vale anche per ogni altro anello intermedio. Ognuno deve decidere se vuole essere strumento di vita o strumento di morte. Le levatrici, anello nel decreto di morte del re, decidono di essere levatrici di vita e Dio le benedice. Oggi questa responsabilità è come scomparsa. Ognuno gioca a scrivere decreti di morte come se lui non fosse anello di questa catena infernale. Altri fanno una diabolica distinzione: quando sono nella sala delle leggi sono pagani, quando sono nella sala di Dio, sono cristiani. Questa distinzione rivela il caos morale nel quale il loro cuore vive.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sempre re e anelli di vita.
18 LUGLIO
Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi?
Es 2,1-15; Sal 68,3.14.30-34; Mt 11,20-24.
Di questo episodio di dolore di Mosè la Lettera agli Ebrei ci offre una visione che è vera rivelazione nello Spirito Santo. Si comprende che questa luce dello Spirito del Signore va ben oltre la Lettera del testo dell’Esodo. Essa entra non nel cuore di Mosè, ma nelle sue profondità più abissali, dove nessun occhio può entrare, neanche il proprio, quello della persona. Vi sono ragioni e motivazioni che solo Dio conosce.
Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del peccato. Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa. Per fede, egli lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; infatti rimase saldo, come se vedesse l’invisibile (Eb 11,24-27).
Questa rivelazione ci dice che lo Spirito Santo agisce così in profondità in un cuore, che lo stesso cuore non conosce le motivazioni dello Spirito. San Paolo applica questa legge dello Spirito alla preghiera. Lo Spirito prega in noi con gemiti inesprimibili. Neanche noi sappiamo cosa è bene per noi. Solo lo Spirito sa e prega in noi.
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio (Rm 8,26-27).
Mosè lascia l’Egitto perché lo Spirito del Signore lo spinge. Lui non conosce il suo futuro. Lo Spirito lo conosce e lo prepara per quel giorno, quando dovrà ritornare per prendere in mano le sorti del suo popolo. Oggi Dio non lo ha chiamato e senza Dio non si redime un popolo. Dio è il solo Redentore e solo con Lui si porta salvezza.
Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. La sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto.
Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «È un bambino degli Ebrei». La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?». «Va’», rispose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè, dicendo: «Io l’ho tratto dalle acque!».
Un giorno Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’Egiziano e lo sotterrò nella sabbia. Il giorno dopo uscì di nuovo e vide due Ebrei che litigavano; disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». Il faraone sentì parlare di questo fatto e fece cercare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè fuggì lontano dal faraone e si fermò nel territorio di Madian e sedette presso un pozzo.
La Lettera agli Ebrei ci rivela che la scienza dello Spirito Santo prende in mano una vita e la conduce tappa dopo tappa. Prima Mosè è nascosto. Poi affidato al Fiume. Poi alla figlia del Faraone. Ora viene consegnato ad un sacerdote, del quale diviene genero. Ma chi guida Mosè è sempre lo Spirito Santo e la sua scienza eterna. Noi non vediamo questa scienza e sapienza invisibile. Quando Lui la rivela, tutto diviene chiaro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, guidateci nello Spirito Santo.
19 LUGLIO
Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!
Es 3,1-6.9-12; Sal 102,1-4.6-7; Mt 11,25-27.
La Scrittura Santa ci mostra che per ogni uomo il Signore si mostra con una sua particolare modalità, che è sempre irripetibile. Altra è la manifestazione di Dio ad Abramo, altra quella fatta a Mosè, a Samuele, a Davide, a Isaia, a Geremia, a Ezechiele, ad ogni altro profeta da Lui scelto e chiamato per compiere la sua opera. Dio è imprevedibile e irripetibile. Altra ad esempio è la chiamata di Pietro e altra quella di Saulo sulla via di Damasco. Questo vale anche per tutti i Santi dopo di Cristo.
La vocazione di Mosè inizia con una visione particolare. Un roveto arde e non si consuma. È evidente che non ci si trova dinanzi ad un fatto naturale. Il fuoco arde e consuma. Un roveto sotto le fiamme si consuma in un attimo. Invece qui è come se il roveto fosse di ferro, di acciaio. Il fuoco arde, ma il roveto rimane intatto, come fosse ferro. Ecco allora la domanda di Mosè: Perché il roveto arde e non si consuma? Voglio andare a vedere più da vicino. Mentre si avvicina il Signore lo chiama.
Prima il Signore gli ordina di fermarsi. Poi gli chiede di togliersi i sandali, perché il luogo da lui calpestato è un luogo santo. È luogo santo perché dimora di Dio. Poi Dio si manifesta nella sua verità. Chi gli sta parlando non è un Dio sconosciuto, ma è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei suoi padri. Ma se è il Dio dei suoi padri, Mosè deve sapere che questo Dio ha fatto una promessa: “Io scenderò e vi libererò”. Allora tutta la storia di sofferenza va letta con altri occhi, altri pensieri, altra luce. Questa storia è permessa da Lui, perché il popolo si ricordi di Lui, riprenda la fede in Lui, così che Lui possa scendere in Egitto per liberare il suo popolo.
Il Signore ha udito il grido del suo popolo. Per operare la liberazione ha bisogno di uno che si ponga a capo di esso. Il Dio di Abramo ha scelto proprio lui, Mosè, perché si ponga a capo del suo popolo e lo conduca fuori dall’Egitto. Questa è la missione che lui dovrà compiere. Mosè tutto si sarebbe potuto attendere dalla vita, mai però che un giorno sarebbe dovuto ritornare in Egitto, mandato da Dio, per liberare il suo popolo. Ma se lui avesse meditato a sufficienza su di essa, avrebbe potuto pensare qualcosa. Dio non l’ha salvato per nulla. Di certo non l’ha salvato perché lui divenisse pastore di pecore. La riflessione, la meditazione sul passato illumina il presente, anche se non del tutto. Però si scopre che c’è un mistero che si compie in noi, senza di noi.
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».
A noi non è chiesta subito la comprensione né del passato e neanche del presente. È chiesta l’obbedienza al comando che si riceve. È nell’obbedienza che diviene storia che tutto alla fine si comprende. Il mistero della vocazione diviene luce man mano che viene sviluppato nella nostra obbedienza. Possiamo paragonare la nostra vocazione ad una vecchia pellicola di celluloide delle vecchie macchine fotografiche. La pellicola conteneva l’immagine, era portatrice di una storia. Ma quando la storia scritta in essa appariva? Si poneva nell’acido dello sviluppo e a poco a poco tutto si schiariva.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci l’obbedienza a Dio.
20 LUGLIO
Io sono colui che sono!
Es 3,13-20; Sal 104,1.5.8-9.24-27; Mt 11,28-30.
Su questa autorivelazione di Dio a Mosè: “Io sono colui che sono – ego sum qui sum – ‘Egè e„mi Ð ên: – si sono scritti fiumi di parole. Qual è il suo vero significato secondo la Scrittura Santa, liberato da ogni riflessione attinta dalla filosofia di altri popoli, che se pur utile, anzi necessaria, nulla aggiunge alle profondità che sono nella Parola rivelata? Comprendiamo quanto il Signore dice a Mosè – Io sono colui che sono – se leggiamo la prima pagina della Genesi. In essa vediamo che ogni “essere” è da Dio. È da Lui e per Lui, dalla sua volontà. Nella sua volontà deve rimanere se vuole conservarsi in vita, altrimenti incorre in un processo di morte e di distruzione di se stesso.
Dio non è da nessuno. Non si è fatto da se stesso. Non è stato fatto da altri. Lui è l’essere eterno, divino, immutabile. Dona l’essere, ma non lo riceve. Dona la vita, ma non la riceve. Crea, ma non è creato. Esiste in sé e per sé. Vive, ma non conosce il divenire. Se vi fosse in Lui il divenire, sarebbe dal divenire qualcosa che prima non era. Il divenire in Dio lo conosce solo il Suo Figlio Unigenito. Lui diviene, si fa carne. Nulla cambia nella sua natura divina. Tutto invece si modifica nella sua Persona divina. Essa si fa carne, passa attraverso la Croce, muore come vero uomo sulla croce, come vero uomo risorge. Lui che è Colui che è, per obbedienza al Padre, per compiere la redenzione dell’umanità, diviene ciò che non è, rimanendo ciò che è.
Questo Dio che è Colui che è, che è l’Onnipotente, il Signore, dal quale tutto è, ma che non è da nessuno, manda Mosè a liberare il suo popolo. Nel nome di Dio è la verità della missione di Mosè. Se lui fosse mandato da uno che è dagli altri, allora Mosè dovrebbe temere. La missione potrebbe riuscire e non riuscire. Chi lo manda è anche il Signore di colui presso il quale lui è mandato, cioè del faraone. Anche il faraone deve imparare come si obbedisce all’unico Signore, al solo Onnipotente, al solo Dio che è. Tutti gli altri dèi sono stati fatti dall’uomo, sono opere delle loro mani o dei loro pensieri. Come l’uomo li innalza così l’uomo li distrugge. Dio, il Dio di Abramo, non è stato fatto da Abramo. È invece Dio che ha fatto Abramo, che lo ha costituito padre di molti popoli. Questa differenza colta, Mosè può recarsi dal faraone. Lo manda Colui che è, il solo che è, perché gli altri, tutti gli altri o non sono, o sono da colui che li ha fatti.
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. Va’! Riunisci gli anziani d’Israele e di’ loro: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, mi è apparso per dirmi: Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto. E ho detto: Vi farò salire dalla umiliazione dell’Egitto verso la terra del Cananeo, dell’Ittita, dell’Amorreo, del Perizzita, dell’Eveo e del Gebuseo, verso una terra dove scorrono latte e miele”. Essi ascolteranno la tua voce, e tu e gli anziani d’Israele andrete dal re d’Egitto e gli direte: “Il Signore, Dio degli Ebrei, si è presentato a noi. Ci sia permesso di andare nel deserto, a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio”. Io so che il re d’Egitto non vi permetterà di partire, se non con l’intervento di una mano forte. Stenderò dunque la mano e colpirò l’Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso, dopo di che egli vi lascerà andare.
Chiarifichiamo ancora una ulteriore verità. Mosè non deve liberare il suo popolo. Deve solo recarsi dal faraone a recare una parola da parte del suo Dio. Chi libererà il popolo è il Signore. Lui però ha bisogno di un interlocutore presso il faraone. Lui, Dio, vuole parlare, dialogare con il re d’Egitto attraverso Mosè. Questa è la missione. Ogni altra cosa è il Signore che la compie, perché è Lui che è sceso per dare libertà ai figli di Israele. Questa chiarificazione serve anche per la Chiesa. Essa è mandata per portare una ambasciata al mondo. Dice il Signore: lasciati riconciliare. Il resto appartiene a Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci comprendere la Parola.
21 LUGLIO
È la Pasqua del Signore!
Es 11,10-12,14; Sal 115,12-13.15-18; Mt 12,1-8.
La prima Pasqua del Signore è quella fatta al tempo di Abramo, passando in mezzo agli animali divisi come fiamma di fuoco, bruciandoli e promettendo al suo fedele servo il dono della terra per la sua discendenza. Passaggio divino, promessa divina!
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice. Alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo». Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate (Gen 15,12-18).
Questa che il Signore compirà in Egitto è la seconda Pasqua del Signore. Questa volta non passerà come fiamma di fuoco, ma come Angelo sterminatore. Passerà per uccidere tutti i primogeniti che si trovano in Egitto, dal primogenito del faraone a quell’ultimo suo servo e anche degli animali. Se i figli d’Israele vorranno essere conosciuti come appartenenti al Signore e risparmiati, dovranno uccidere un agnello, sgozzandolo, raccogliere il sangue in un catino e ungere con esso gli stipiti e l’architrave di ogni casa nella quale essi abitano. Così il Signore vedrà il sangue e passerà oltre. Farà la distinzione tra chi è suo e chi non è suo. Il rito dell’agnello è funzionale. Il sangue è segno di identificazione, distinzione, appartenenza. Noi siamo del Signore. L’Angelo sterminatore “salterà”, non entrerà in quelle case.
Mosè e Aronne avevano fatto tutti quei prodigi davanti al faraone; ma il Signore aveva reso ostinato il cuore del faraone, il quale non lasciò partire gli Israeliti dalla sua terra. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne.
Quando il Signore passa, sempre fa la distinzione tra chi è suo e chi non gli appartiene. Questo avviene anche con il profeta Ezechiele. Rimangono in vita coloro che portano il tau sulla fronte come segno di riconoscimento. Si compie anche nell’Apocalisse. Quanti hanno il sigillo “del nostro Dio” sulla fronte vivranno. Quanti sono sprovvisti, periranno. Oggi è questa distinzione che è stata abolita, non certo da Dio, ma dall’uomo. Oggi si vuole un livellamento ontologico, veritativo, morale, etico, eterno. Si vuole un uomo senza alcuna distinzione di bene e di male, di verità e di falsità, di natura e di religione. Neanche più si vuole un Dio differente. Ogni Dio è uguale all’altro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da tanta stoltezza.
22 LUGLIO
Avete visto l’amore dell’anima mia?
Ct 3,1-4a; oppure: 2 Cor 5,14-17; Sal 62,2.4-5.7-9; Gv 20,1-2.11-18.
Possiamo comprendere il Cantico dei Cantici, che è il poema dell’ininterrotta ricerca dello sposo da parte della sposa, se ci lasceremo aiutare dal cuore di Paolo. Paolo ha visto il Signore Crocifisso nella sua gloria. Questa visione lo ha accecato. Lo Sposo ha cercato la sua sposa, folgorandola. Paolo si è innamorato follemente di Cristo Signore. Questo suo amore è sempre incompiuto, sempre agli inizi, sempre poco. Lui si paragona da un corridore che avanza velocemente verso un traguardo che non è fisso, ma mobile. Più Paolo avanza verso Cristo e più Cristo si allontana, creando nel cuore di Paolo un desiderio ancora più forte, più intenso, più vivo per il suo Sposo eterno.
Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore. Scrivere a voi le stesse cose, a me non pesa e a voi dà sicurezza. Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare! I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3,1-21).
La sposa cerca il suo sposo. Quando pensa di averlo raggiunto, subito scompare. Nasce nel suo cuore un desiderio ancora più grande. Lo vuole raggiungere. Chiede. Domanda. Investiga. La ricerca dello sposo è senza alcuna sosta, alcuna tregua. Non per nulla il Cantico dei Cantici finisce senza la celebrazione dello sposalizio. Questo potrà avvenire solo nell’eternità. Ora è tempo di cercare, cercare, cercare, senza mai stancarsi, mai arrendersi, mai venire meno, mai smettere. Lo Sposo è avanti a noi.
Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: «Avete visto l’amore dell’anima mia?». Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore dell’anima mia.
Dio è l’Eterno. Il suo amore è infinito. La sua bellezza supera quella dell’intero universo. Quando la sposa pensa di aver afferrato qualcosa del suo Dio, è solo un minuscolo grammo in relazione all’eternità e alla maestà divina. Anche la conoscenza di Dio mai si potrà conquistare. Il suo mistero è oltre ogni mente. La ricerca continua.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a cercare sempre.
23 LUGLIO – XVI DOMENICA T.O. A
Dopo i peccati, tu concedi il pentimento
Sap 12,13.16-19; Sal 85,5-6.9-10.15; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43.
Non è l’uomo che cerca il pentimento. È Dio che glielo offre. È il Signore che manda i suoi messaggeri, araldi, profeti, ambasciatori per invitare l’uomo a lasciarsi perdonare. Il perdono però avviene nel pentimento e nella conversione, lasciando la via del male.
O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri (Is 55,1-9).
Questa stessa logica è del Nuovo Testamento. È Dio che manda e invia i suoi messaggeri in tutto il mondo, presso ogni uomo, per chiamare tutti perché si lascino riconciliare con Lui. Questa verità è annunziata da Paolo con sublime verità.
L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio (2Cor 5,14-21).
L’agire di Dio, Cristo Gesù vuole che sia di ogni suo discepolo. Non deve attendere che l’offensore venga da lui. È lui, l’offeso, che deve andare dall’offensore.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! (Mt 5,23-26).
Dio in Cristo Gesù non solo offre all’uomo la possibilità del pentimento, nella conversione. Espia anche le sue colpe, redime la sua pena. La Croce di Cristo è il frutto dell’assunzione sulle sue spalle di tutti i peccati del mondo. Li assume e li espia.
Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.
Tutto questo mondo di verità divina, eterna, soprannaturale dal cristiano di oggi è stato spazzato via peggio che uragano distruttore, devastatore. Oggi il cristiano predica il perdono senza alcun pentimento, senza volontà di conversione. Tutti sono detti salvati.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni stoltezza.
24 LUGLIO
Stendi la mano sul mare e dividilo
Es 14,5-18; Sal Es 15,1-6; Mt 12,38-42.
Il Signore, in un crescendo di segni, si è mostrato al faraone come il Dio Onnipotente, il Dio sopra ogni altro Dio, il Dio sopra ogni re della terra. Con l’ultima piaga si è anche rivelato come il Signore sulla morte e della vita. Possiamo attestare che “l’Evangelizzazione” del re d’Egitto è stata perfetta. Dio non si è risparmiato in nulla. Tutto ciò che doveva essere manifestato per convincere il faraone sulla verità del Dio d’Israele è stato posto in essere. Con quali risultati? Con la stolta e insana decisione di andare con i suoi carri e cavalieri e riportare il popolo di Dio in Egitto. Il faraone sfida il Signore. È come se gli dicesse: “Tu non sei l’Onnipotente. L’onnipotente sono io e te lo dimostro, il mio esercito può tutto, non vi sono potenze dinanzi ad esso”. Guai a sfidare il Signore. Nessuno lo potrà vincere. Lui è l’Invincibile Eterno, perché è il solo Dio Onnipotente, al quale tutta la creazione obbedisce. Nulla è a Lui impossibile.
In verità ancora neanche il suo popolo sa quanto è onnipotente il suo Dio. Non lo sa perché al primo pericolo, alla prima difficoltà, subito intona il suo lamento contro la liberazione avvenuta. Senza fede piena non si può camminare verso la vera libertà. I pericoli sono molti. Le insidie infinite. Solo con una fede che ogni giorno si affina sulla verità di Dio è possibile andare avanti. Questa valeva per i figli d’Israele, vale anche per ogni discepolo di Gesù Signore. Solo chi crede in Dio secondo verità piena può compiere il suo percorso fino al raggiungimento della patria eterna. Non appena si cade dalla fede, subito si interrompe il viaggio. Si ritorna indietro. Si abbandona il cammino. Manchiamo della purissima verità del nostro Signore.
Quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio?». Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. Prese seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d’Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare; tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito erano presso Pi‑Achiròt, davanti a Baal‑Sefòn.
Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli». Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».
Ora il Signore deve mostrare quanto è grande la sua onnipotenza non solo al faraone e ai figli d’Israele, ma a tutto il mondo, in modo che tutte le genti inizino a temerlo, a sapere che solo Lui è il Signore del cielo e della terra. Ora Dio si rivela come il vero Creatore della fede in Lui presso il suo popolo e le nazioni. Il faraone sperimenterà dove lo ha portato la sua cecità e stoltezza: a finire sommerso dalle acque del Mar Rosso. Questo significa che la storia dal momento in cui il Signore ha deciso di scendere a liberare il suo popolo è rimasta sempre incollata saldamente nelle sue mani. L’ordine di posizionarsi in un luogo senza alcuna possibilità umana di salvezza è stato dato da Lui proprio per questo: per attestare fin dove può giungere la sua onnipotenza. Ora Israele sa chi è il suo Dio. Ma questa fede basterà domani?
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ogni giorno di fede pura.
25 LUGLIO
Veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù
2 Cor 4,7-15; Sal 125,1-6; Mt 20,20-28.
San Paolo ha una visione di purissima fede sugli Apostoli del Signore. Essi sono, più di ogni altro i testimoni della sua morte e della sua risurrezione. Da questa luce spesso lui parla sia della sua sofferenza che della gloria con la quale Cristo Gesù lo rivestirà.
Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi (1Cor 4,8-13).
Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione, che ci è capitata in Asia, ci abbia colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, tanto che disperavamo perfino della nostra vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, e per la speranza che abbiamo in lui ancora ci libererà, grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi. Così, per il favore divino ottenutoci da molte persone, saranno molti a rendere grazie per noi (2Cor 1,8-11). Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto! (2Cor 6,3-10).
Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? (2Cor 11,24-29).
San Paolo attinge ogni forza per vivere nella sua carne la morte di Cristo dalla contemplazione del Cristo Crocifisso, che è anche il solo “oggetto” della sua predicazione. Lui parla del Crocifisso da crocifisso, a testimone della sua morte.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.
Per Paolo uno è Cristo, Crocifisso e Risorto. Uno deve essere il suo apostolo: Crocifisso con Lui in Lui per risorgere con Lui in Lui. È dalla croce, sulla croce, che si giunge alla gloria della risurrezione. Questa verità è la sua fede e la sua vita.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci una cosa sola con Cristo.
26 LUGLIO
Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi
Es 16,1-5.9-15; Sal 77,18-19.23-28; Mt 13,1-9.
Il Signore continua a manifestare fin dove può giungere la sua onnipotenza. In Egitto aveva compiuto ben dieci segni. Ma sono segni per gli Egiziani. Toccano la loro storia e le loro credenze. Presso il Mar Rosso aveva parlato di sé al mondo intero. Ma anche questo grandissimo prodigio a nulla serve in un deserto infuocato. Aveva sanato anche l’acqua, ma l’acqua c’era. Non l’aveva creata. Il deserto è terra senza carne, senza pane, senza acqua. Può il Signore trarre pane dalla sabbia, acqua dall’aridità, carne senza la presenza di alcun animale? Il popolo evidentemente ha un concetto limitato dell’onnipotenza del suo Dio. Se il suo Dio è Onnipotente – così si è rivelato ad Abramo – è onnipotente in ogni cosa e non vi sono cose che lui non possa risolvere.
Il Signore appena entrati nel deserto dona ben tre grandi segni della sua capacità. Il pane non lo trae dalla terra. Questa onnipotenza non avrebbe suscitato alcuna fede. Lo fa piovere dal cielo per ben quaranta anni. Anche la carne fa piovere dal cielo, cambiando il corso del vento e facendo cadere a terra in un raggio di chilometri tante di quelle quaglie che sarebbero state sufficienti per sfamare mezzo mondo e per diversi giorni. L’acqua la fa scaturire dalla dura roccia. Da un sasso mai potrà sgorgare l’acqua. Con il Signore l’acqua sgorga dalla pietra. Ma bastano questi segni perché il popolo creda nel suo Dio, si fidi di Lui, cammini ascoltando la sua voce? Questi segni potentissimi servono fino alla prossima difficoltà, poi si ricomincia con le solite lamentele, mormorazioni, volontà di ritornare in Egitto, perdita della fede e della fiducia.
Levarono le tende da Elìm e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elìm e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dalla terra d’Egitto. Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno».
Mosè disse ad Aronne: «Da’ questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: “Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”». Ora, mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco, la gloria del Signore si manifestò attraverso la nube. Il Signore disse a Mosè: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”». La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo.
Il Libro della Sapienza, parlando della manna, dona una notizia che merita di essere ricordata. La manna solo esteriormente era manna. Essa si adattava al gusto di chi la mangiava. È come se essa fosse un miracolo perenne del Signore. Così grande è la divina onnipotenza. Dona il pane dal cielo ed anche il gusto è dato di volta in volta.
Hai sfamato il tuo popolo con il cibo degli angeli, dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i figli, si adattava al gusto di chi ne mangiava, si trasformava in ciò che ognuno desiderava. La creazione infatti, obbedendo a te che l’hai fatta, si irrigidisce per punire gli ingiusti e si addolcisce a favore di quelli che confidano in te. Per questo anche allora, adattandosi a tutto, era al servizio del tuo dono che nutre tutti, secondo il desiderio di chi ti pregava, perché i tuoi figli, che hai amato, o Signore, imparassero che non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te (Sap 16,20-26).
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci avanzare di fede in fede.
27 LUGLIO
Credano per sempre anche a te
Es 19,1-2.9-11.16-20b; Sal Dn 3,52-56; Mt 13,10-17.
La missione di Mosè non è per nulla facile. Quando il Signore agisce con potenza, la fede in Mosè viene vivificata. Quando invece nasce qualche difficoltà, la fede si perde, giungendo fino alla mormorazione e al rinnegamento della stessa opera della salvezza.
Gli scribi degli Israeliti, usciti dalla presenza del faraone, quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, dissero loro: «Il Signore guardi a voi e giudichi, perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!» (Es 5,19-21). Gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? 2Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli» (Es 14,10-14).
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo (Es 14,16-31). Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo furono chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: «Che cosa berremo?». Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. Disse: «Se tu darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!» (Es 15,23-26). Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Es 16,2).
La fede in Mosè è indispensabile. È questo il lavoro che il Signore dovrà compiere: far sì che il suo popolo creda in Mosè, creda cioè in ogni parola che esce dalla sua bocca. Senza questa fede non c’è cammino, perché Dio parla per mezzo del suo mediatore. È stato anche questo il dramma di Gesù: la non fede nella sua origine da Dio. Eppure tutte le sue opere attestavano che Lui era da Dio. Anche per i ministri della Chiesa vale lo stesso principio. Il popolo deve credere che essi sono da Dio non solo nella celebrazione dei sacramenti, ma anche nelle parole da essi proferite. Ogni giorno essi devono chiedere al Signore che crei presso il popolo la fede nella loro origine da Dio. Ma anche i ministri devono impegnarsi perché nulla in loro sia da loro, ma tutto da Dio.
Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te». Mosè riferì al Signore le parole del popolo. Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce. Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè.
Il mediatore è tutto nell’opera della salvezza. Come urge l’opera di accreditamento da parte del Signore, così anche urge l’accreditamento da parte del mediatore. Egli è obbligato ad essere dalla perfetta obbedienza a Dio e dalla piena santità di Cristo, perché è obbligato a mostrare al mondo e la verità di Dio e la santità di Cristo Gesù.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate i mediatori degni di fede.
28 LUGLIO
Non avrai altri dèi di fronte a me
Es 20,1-17; Sal 18,8-11; Mt 13,18-23.
“Non avrai altri dèi di fronte a me”, se tradotto, diviene molto più comprensibile: “Non avrai altra parola di fronte a me”. Domani e oggi stesso ti incontrerai con una parola di finissima filosofia, aggiornatissima scienza, elaborate antropologie, sofisticate religioni, pensieri di altissimo livello. Possono tutte queste cose essere anche più che eccellenti, più che perfette, più che aggiornate, possono essere anche “sante”, purché non contraddicano, non annullino, non mettano da parte, non eludano la mia parola. “Non avrai altra parola che ti guida fuori della mia”. Fuori della mia parola non c’è scienza, non c’è filosofia, non esiste antropologia né psicologia, non vi sono religioni né tradizioni umane, non si trova alcun pensiero della terra che possano dare vera salvezza. La verità dell’uomo è in queste parole. In queste parole è la sua vita, la sua benedizione, il suo progresso, la sua vera realizzazione. L’uomo diviene uomo in queste parole. Esce da esse, diviene non uomo, si fa disumano.
Queste dieci Parole di Dio sono il Nuovo Giardino dell’Eden. L’uomo rimane in esso vive, cresce, prospera, progredisce, sperimenta la potenza di vita che da Dio discende su di lui. Esce da questo giardino, entra in un inferno. La terra sotto di lui diviene di fuoco e dal cielo sulla sua testa è come se piovesse fuoco e zolfo. Si applica per esso quanto il Libro della Sapienza dice del territorio di Sodoma e Gomorra, giardino della terra di Canaan ridotto dal peccato dell’uomo un deserto di morte senza alcuna vita.
Mentre perivano gli empi, ella liberò un giusto che fuggiva il fuoco caduto sulle cinque città. A testimonianza di quella malvagità esiste ancora una terra desolata, fumante, alberi che producono frutti immaturi e, a memoria di un’anima incredula, s’innalza una colonna di sale. Essi infatti, incuranti della sapienza, non solo subirono il danno di non conoscere il bene, ma lasciarono anche ai viventi un ricordo di insipienza, perché nelle cose in cui sbagliarono non potessero rimanere nascosti (Sap 10,6-8).
Dio ha costruito il Nuovo Guardino di vita per l’uomo. All’uomo ora spetta decidere se abitare in esso o fuori di esso. In esso è la vita, fuori è la morte. La scelta va fatta ogni istante, perché ogni istante si è tentati ad uscire da esso. Fuori non vi è alcuna vita.
Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Fuori di questo Nuovo Giardino dell’Eden non vi è alcuna vita. Valeva per ieri, vale per oggi, valeva per Israele, vale per ogni uomo. Oggi i molti scienziati, i molti creatori di un ordine nuovo, i numerosi formatori e cultori del Dio unico, filosofi, antropologi, economisti, psicologi, romanzieri, scrittori e gente di pensiero e di spettacolo, tutti propongono un’altra parola. Vi è un esercito agguerrito contro la parola di Dio. Ma il Signore anche oggi ripete: “Non avrai altra parola fuori della mia”. Fuori è morte.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla Parola di Dio.
29 LUGLIO
Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio
1 Gv 4,7-16; Sal 33,2-11; Gv 11,19-27; oppure: Lc 10,38-42.
Ogni parola della Scrittura, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, se presa isolatamente, si trasforma in una mortale eresia. Questa affermazione di Giovanni: “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio”, non va portata fuori né dal suo Vangelo né da questa sua Prima Lettera. Sono il Vangelo e la Lettera l’ambiente vitale della sua verità. Altrimenti dobbiamo affermare che Cristo non serve all’uomo per amare. Mentre è in Cristo che Dio ci genera ed è in Cristo che possiamo amare, ed è anche in Lui che possiamo conoscere Dio, prestando a Lui il culto in spirito e verità.
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito». (Gv 3,1-8).
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4).
Cosa allora vuole insegnare o rivelare l’Apostolo Giovanni con questa sua affermazione: “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio”? Nel cristianesimo vi è un pericolo mortale: la separazione della fede in Dio dalla vita secondo Dio. La generazione sacramentale non produce alcun frutto di vita eterna se non viene trasformata in generazione operativa. Se siamo divenuti figli di Dio dobbiamo vivere come veri figli di Dio. Se diciamo di conoscere Dio, dobbiamo trasportare la conoscenza di Lui nella nostra natura e trasformare la nostra natura ad immagine perfetta della sua. L’Apostolo Giovanni parla ai discepoli di Gesù e li ammonisce perché non si illudano che basti una fede pensata per essere salvati. La fede pensata non basta e neanche la fede creduta è sufficiente. Tutti necessitano della fede operata.
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.
Quando possiamo parlare di fede operata? Quando possiamo dire di essere generati da Dio? Quando possiamo affermare di conoscere Dio? Quando trasformiamo la sua verità, la sua luce, la sua parola, la sua giustizia in amore. La generazione sacramentale ci rende partecipi della natura di amore di Dio. Diveniamo capaci di amare, di camminare mossi dallo Spirito Santo e non più schiavi della carne. Questo però non basta. Ora è necessario che il discepolo di Gesù trasformi la verità in carità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri discepoli di Gesù.
30 LUGLIO – XVII DOMENICA T.O. A
Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda
1 Re 3,5.7-12; Sal 118,57.72.76-77.127-130; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52.
Salomone ha ereditato il regno del padre Davide. Una notte gli appare il Signore e gli rivolge una specifica, particolare domanda: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. Lui non pensa alla sua persona, ma ai suoi sudditi. Vuole governarli secondo giustizia perfetta e chiede al Signore un cuore saggio, intelligente, amorevole, amante della verità, perfetto nel discernimento del bene e del male. Il Libro della Sapienza “elabora” questo momento, ci rivela l’intimo convincimento di Salomone e anche la preghiera da lui innalzata al Signore perché fosse rivestito di sapienza dall’Alto.
«Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, e con la tua sapienza hai formato l’uomo perché dominasse sulle creature che tu hai fatto, e governasse il mondo con santità e giustizia ed esercitasse il giudizio con animo retto, dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono, e non mi escludere dal numero dei tuoi figli, perché io sono tuo schiavo e figlio della tua schiava, uomo debole e dalla vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Se qualcuno fra gli uomini fosse perfetto, privo della sapienza che viene da te, sarebbe stimato un nulla. Tu mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie; mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte, un altare nella città della tua dimora, immagine della tenda santa che ti eri preparata fin da principio. Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; lei sa quel che piace ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti.
Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Ella infatti tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria. Così le mie opere ti saranno gradite; io giudicherò con giustizia il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre. Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza» (Sap 10,1-18).
Dopo una preghiera così alta, perché Salomone cadde nel peccato di idolatria? Perché si lasciò governare dalla stoltezza? Perché l’insipienza entrò nel suo cuore? La risposta è una sola: perché la sapienza non si chiede una sola volta in vita. Si chiede ogni giorno. Ogni giorno ci si prostra dinanzi al Signore e con grande umiltà gli si chiede che ci liberi dai nostri pensieri per camminare nei suoi, secondo la sua divina volontà. È questa la preghiera del giusto: “Signore, dacci oggi la sapienza quotidiana”.
A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te.
Come ogni giorno è tentato perché esca dalla sapienza, così ogni giorno deve mettersi umilmente in preghiera perché il Signore lo ricolmi della sua saggezza e intelligenza. Momento per momento, attimo per attimo: è questa la costanza dell’uomo. Sempre in preghiera per chiedere a Dio la sapienza per vivere bene questo giorno. Salomone chiese una volta. Non chiese più. Si perdette. La sapienza iniziale non lo salvò.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci colmi di ogni Sapienza.
31 LUGLIO
Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!
Es 32,15-24.30-34; Sal 105,19-23; Mt 13,31-35.
Mosè ha lasciato nelle mani del fratello Aronne il popolo di Dio per soli quaranta giorni e appena ridiscende dal monte, dopo aver parlato con il Signore, lo trova impigliato nell’idolatria. Si era fabbricato un vitello d’oro, un dio visibile, dinanzi al quale potersi prostituire senza più alcun freno morale. Sempre l’idolatria è fonte di ogni immoralità. Quando si esce dalla verità di Dio, sempre si esce dalla verità dell’uomo. La falsità su Dio genera ogni falsità sull’uomo. Un uomo senza il vero Dio è anche un uomo senza il vero uomo. Israele si è fatto popolo senza vero Dio ed è anche popolo senza la verità di se stesso. È un vero disastro spirituale che si trasforma in disastro morale.
È in questo frangente che si rivela tutta la grandezza del cuore di Mosè. Dio vuole distruggere il suo popolo. Mosè dice a Dio con fermezza che lui è parte del popolo. Lui è guida del popolo, ma come figlio del popolo, non fuori di esso. Essendo parte del popolo, anche lui va cancellato. Se però il Signore pensa o ritiene che Mosè debba vivere, con lui deve vivere tutto il popolo e per questo deve perdonare il suo peccato. Non può il Signore distruggere il popolo e lasciare lui in vita. Per lui, Mosè, sarebbe questo un fatto inconcepibile, privo di una qualsiasi razionalità. Se Dio non perdona il suo popolo, è tutto il suo popolo che deve essere cancellato, Mosè incluso.
Mosè dona al mondo intero la più pura lezione di amore. Lui ci insegna che l’amore è assunzione di tutto, di ogni cosa, anche del peccato. Tutto il popolo ha peccato, Lui si mette con il popolo. Con il popolo anche lui ha peccato. La punizione del popolo è anche sua punizione e la cancellazione dei figli d’Israele è sua cancellazione. Questa verità in Ezechiele diviene espiazione vicaria. Il profeta espia i peccati del suo popolo. Con Cristo si fa assunzione dei peccati del mondo per essere espiati nel suo corpo sulla Croce. Mosè chiede a Dio di essere partecipe della pena del popolo. Con questa sua decisione e scelta inizia il cammino della rivelazione del vero amore che trova il suo compimento perfetto nella Croce di Gesù Signore. Cristo Gesù si fa solidale dell’uomo, assumendo l’uomo, il suo peccato, la sua colpa, la sua pena per dare loro piena e perfetta soddisfazione, piena e perfetta espiazione. È il sublime dell’amore.
5Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due cori io sento». Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti.
Mosè disse ad Aronne: «Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accenda l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. Mi dissero: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. Allora io dissi: “Chi ha dell’oro? Toglietevelo!”. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello». Il giorno dopo Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa». Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!». Il Signore disse a Mosè: «Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco, il mio angelo ti precederà; nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato».
Il Signore ora sa che nel suo popolo c’è una persona che ha veramente compreso cosa vuol dire essere parte di qualcosa o di qualcuno. Significa assunzione piena del peccato dell’altro, facendolo suo proprio peccato per poter chiedere il perdono.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci tutti una cosa sola.