Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Bertolone al IX convegno internazionale

 

LA CHIESA ASCOLTA ED ACCOMPAGNA I GIOVANI nel CAMBIAMENTO d’EPOCA. Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi.

1. Saluti. Eminenza, Eccellenze, Signor Procuratore Generale, Rev.do Assistente ecclesiastico diocesano, Signor Presidente del Movimento Apostolico, ragazze e ragazzi, carissimi amici, benvenuti. Ringrazio il Movimento apostolico l’ispiratrice e tutto il consiglio direttivo per avere organizzato questo convegno sui giovani. Come sapete, Papa Francesco ha messo al centro della prossima Assemblea del Sinodo (XV), “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”. Tale scelta non è sorprendente, perché egli aveva già richiamato il tema “giovani” in Evangelii gaudium (nn.70 e 105 ed in AL ai nn.172-173), oltre che in altri diversi interventi, e l’ha fatto perché voi giovani possiate interrogarci con i vostri dubbi, con i vostri ideali, con i vostri desideri e mettere la Chiesa in ascolto delle domande di senso e di religiosità al fine della vostra giusta collocazione nella vita, nella chiesa[1] e nell’opera di costruzione, da protagonisti, di un mondo migliore. Già, che cos’è un mondo migliore, quali ne sono i contorni, le dinamiche, i modi di essere e di fare? Il mondo migliore è fuori del tempo, fuori la nostra portata, è un mondo che verrà chissà quando, o è un mondo che sta per venire? Esiste il bene? Sì. Occorre solo dargli spazio, respiro ascolto. Ed allora, è lecito chiedersi dove sta il bene, appartiene al fluttuante gioco del destino? O va costruito passo dopo passo, giorno dopo giorno, coltivandolo e costruendolo dentro di noi ?

2. Cambiamento d’epoca. Viviamo in un’epoca che segue un secolo tragico, delle idee assassine, nella quale molti punti saldi sembrano sgretolarsi, in prospettiva di un futuro dai toni incerti, in una società complessa, iperconnessa, che ammannisce post-verità, offrendo notizie scelte ad hoc per far leva non sulla razionalità, ma sulle emozioni (parlano alla pancia); che presenta un politeismo di valori virtuali e non valori reali sperimentati e condivisi da secoli. La velocità è un’altra cifra del nostro vivere oggi. Tutto deve essere veloce. Velocità che ha eliminato la pazienza, l’approfondimento, la riflessione e favorito la superficialità. Stando a numerose rilevazioni statistiche, le giovani generazioni hanno due modelli maschili, del cantante e del calciatore, e due femminili, delle veline e delle modelle, perché si tratta di lavori di breve durata, ben pagati, poco faticosi, con molti giorni di ferie, tranquilli, distensivi. Oltre un secolo addietro, Charles Péguy (già allora!) lamentava la crisi del «lavoro ben fatto», dell’attaccamento all’opera delle mani della madre, umile impagliatrice di sedie, che usciva da molte ore di pesante lavoro, soddisfatta per avere creato un pur umile e semplice oggetto che, tuttavia, avrebbe allietato, con la sua nuda bellezza, la vita delle persone.

3. La giovinezza, in realtà, è il tempo in cui la vita si schiude (cf Qo 11,1-6.9-10) ed è connotata dalla gioia di vivere (Qo 11,10), ma è anche il tempo che prepara alla vita sull’incerto crinale del credere e del non credere. E di qui la necessità di qualcuno che prenda la vita tra le mani e, con attenzione e tenerezza, sussurri che possiamo farcela, che il cammino è lungo, faticoso, ma che si può fare. Tutti sentiamo il bisogno che ci venga ricordato che un mondo migliore è possibile non “per magia”, ma per amore, verso i tanti giovani che hanno voglia di mettersi in cammino, di spendere la loro vita per gli altri, di pensare e disegnare orizzonti di bellezza, come ci dice papa Francesco. Dovrebbe essere una staffetta tra adulti e giovani per rendere la vita piena di senso e di opportunità. I giovani avrebbero dovuto, debbono, raccogliere il fuoco della passione per la vita. Spesso, purtroppo, è successo che gli adulti invece di passare la fiaccola l’abbiano trattenuta, non solo credendosi sempre giovani, ma lamentandosi delle nuove generazioni. Infatti chi di noi non ha sentito o detto, o letto: “Ai miei tempi… ai miei tempi…” E giù lamentele: “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…” (SOCRATE 4° sec.a.C.). E ancora: “Non ho più speranza alcuna per l’avvenire del nostro Paese, se la gioventù d’oggi prenderà domani il comando, perché è una gioventù senza ritegno e pericolosa” (ESIODO, 720 a.C.). [2]. Di chi sono queste frasi? Di qualche scrittore contemporaneo? Di genitori o professori amareggiati d’oggi? No!! La prima citazione è di Socrate, la seconda del poeta greco Esiodo. Conclusione? Non c’è nulla di nuovo sotto il sole! Se avessimo un po’ più di senso storico, non vivremmo in retromarcia, non cadremmo nel “complesso del gambero”. Non saremmo “tarantolati” da inutili pensieri lagnosi. Saremmo più simpatici a tutti, a cominciare dai nostri ragazzi!

4. La Chiesa vuole farsi prossima a voi, ascoltarvi, accompagnarvi. Bisognerebbe preoccuparsi di meno ed occuparsi di più dei giovani. Come? Come generare la fede? “Generare” è un verbo che indica un atto di amore che dà consapevolmente vita (pro-creazione), che evoca un passaggio doloroso per la donna che partorisce il bambino che non a caso entra nella vita umana piangendo, ma si risolve poi in una grande gioia per tutti. Ma il generare riguarda non solo la carne, ma anche la mente e lo spirito. Chi genera conoscenza, attinge al tesoro culturale di un popolo. Così, chi genera “una vita di fede” lo fa trasmettendo un patrimonio che proviene dal Vangelo e dalla tradizione della Chiesa e lo fa per amore verso il Signore. Famosissima l’espressione di San Giovanni Bosco, in una lettera del 29 gennaio 1883, l’educazione è “cosa di cuore” e svela il segreto fondamentale del rapporto educativo. L’educatore è colui che accompagna il cammino, ne fa apprezzare la bellezza, attira lo sguardo anche sulle piccole cose della strada. Sa qual è la meta, aiuta il giovane a guadagnarla poco alla volta. A riguardo mi piace ricordare una gita in montagna di tanti anni fa con un gruppo di miei studenti che avevano deciso di portarsi pasta, sugo e fornelletto per cucinare. Tutti avevano accettato di fare l’ultimo tratto di strada a piedi. Lo ammetto: avevo vergognosamente barato. Li avevo convinti che, da dove ci avrebbe lasciato il pullman, sarebbero rimasti solo un paio di chilometri: invece erano cinque e tutti in salita. Era inverno, faceva freddo e lungo la strada si sentiva l’eco delle loro proteste! Erano più di duecentocinquanta ed io ridevo nel sentir risuonare dal fondo valle: “Padre Bertolone!!! Faccia testamento oggi, che tanto prima di stasera l’uccidiamo!” Io, divertito, rispondevo:“Siete i miei eroiiii!!!” Fu una giornata bellissima e, a distanza di anni, i ragazzi ancora la rievocano con entusiasmo. Oggi osservo una di quelle foto e penso a all’istante ritratto. Chissà cosa mi stava dicendo quel ragazzo, per farmi ridere così? Nostalgia, incanto, affetto, meraviglia… quel giorno, quel momento, stavo vivendo un attimo magico, bello, unico. Unico! perché la bellezza della vita è negli istanti e non negli anni. Istanti straordinariamente irripetibili. Pezzi unici da prendere al volo. Tutto è un regalo della vita. Semplicemente ci siamo svegliati, ritrovandoci immersi in una marea di opportunità, chiamata “vita”. Come nel parto, così nella crescita il travaglio del cammino e la gioia della meta sono sempre mescolati: non c’è l’uno senza l’altra. L’educatore non fa l’errore di sedersi alla meta, indicando dall’alto al giovane quali passi compiere, come evitare di finire fuori strada, come rialzarsi. No: l’educatore cammina a fianco dei giovani e dei ragazzi, tiene il loro passo, li incoraggia e li aiuta a leggere il senso del cammino, valorizzandone la fatica, anche quella di credere al Vangelo di Gesù, che, pur faticando, cercano di raggiungere. L’educatore non è un fotografo, ma un regista. Il fotografo mira all’istantanea, blocca la situazione di un momento e la immortala. Il mistero della persona è molto più grande di ogni sua singola manifestazione. L’educatore accompagna la crescita dei giovani, ne favorisce lo sviluppo. La vita non è una foto, ma un film. L’educatore non è un giudice, ma un medico. Il giudice indaga, percorre le piste dei sospetti, emette sentenze. Gesù non emette mai sentenze definitive: nel suo vocabolario non esiste la parola “spacciato”. Gesù, è medico che ascolta – lo dice lui stesso – di essere venuto per i malati, non per i sani (cf. Mt 9,12) e sul suo esempio l’educatore si interessa, si appassiona, ama.

5. E siccome vi voglio bene, voglio starvi accanto, vi consegno tre parole – AUTENTICITA’. STUPORE, PASSIONE – che spero possiate custodire nel vostro cuore e poter dire: la vita è bella. “Voglio trovare un senso a questa vita”, cantava nel 2004 Vasco Rossi, aggiungendo: “Anche se questa vita un senso non ce l’ha”. Ma è proprio così? Vorrei dirvi, senza troppi giri di parole, che anche io sono un “cercatore di senso”. Non sono un arrivato, non sono uno che ha le risposte a tutto. Sono in cammino come voi. E anche io mi porto dentro una “domanda di senso” a cui ogni giorno provo a dare risposta, in un cammino senza fine, mai definitivo. Forse molte volte ci vedete (vescovo, preti, adulti, magistrati insegnanti), come persone tutte d’un pezzo, che hanno “Dio in tasca” e non danno segni di cedimento, né sono attraversati da dubbi. Posso assicurarvi che non è così. Abbiamo le vostre stesse povertà, le stesse fragilità, gli stessi limiti. Ma anche, direi soprattutto, le stesse risorse, gli stessi sogni, le stesse “bellezze”. Si. Nonostante tutto siamo “belli”. Tutti. Non perché rispondiamo ai canoni imposti dai mass media per “bucare lo schermo”. Non perché mostriamo il mito dell’uomo “perfetto” fisicamente, della donna dal look mozzafiato, da prima pagina perché tutti possano ammirare e, magari, imitare. Siamo belli perché siamo unici. E questo contraddice il “dogma” commerciale, secondo cui “la bellezza è conformismo” a una regola imposta dal mercato. E così diveniamo comparse, non protagonisti; interpreti di un copione scritto dalle mode, dal costume, dal “così’ fan tutti”. E anche il modo di pensare diventa “unico”…, anche i sogni ed i progetti diventano “di plastica” perché non puntano a realizzarci come uomini e donne, ma a renderci uguali ai nostri “modelli di riferimento”. Questi atteggiamenti rendono la nostra vita un’operazione di marketing, coprono la bellezza vera, perché unica. Come quando si copre un quadro di inestimabile valore con una crosta. Cari giovani troviamo il senso della vita in questa bellezza interiore che va coltivata con pazienza, cura ed amore.

Molte volte ci troviamo ad inseguire persone, sogni, desideri, modelli…che sono altro da noi, e magari non potremo mai raggiungere. Ci rimane soltanto l’amaro in bocca e un forte senso di frustrazione e di sconfitta. Ma la felicità non si insegue…si costruisce…si coltiva! Bisogna impegnarsi, progettare, lavorare sodo, sudare, studiare, ritornare sui fatti con domande, perché ciò che saremo domani, possiamo costruirlo solo oggi. E adesso le tre parole.

6. Solo 3. Mi sembrano quelle più importanti per imparare a “diventare” belli dentro…belli perché realizzati…belli perché veri!

a) La prima parola che vi consegno è AUTENTICITA’.

Quando una cosa è autentica? Quando c’è il certificato di garanzia, potremmo rispondere. Ma se la domanda si facesse più mirata per sapere quando una persona è autentica? La risposta sarebbe più complessa. La persona autentica non è semplicemente quella che dice sempre la verità. Per quanto questo sia fondamentale. Etimologicamente l’aggettivo “autentico” vuol dire “essere sé stesso dentro”. Il contrario della persona autentica non è la persona falsa…ma la persona conformista, che “si lascia vivere” da tutto e da tutti…ma non vive, non arde semmai sopravvive! Quanto è bello incontrare persone autentiche, che con impegno portano avanti i loro progetti, non cercano strade alternative apparentemente più facili, non scavalcano gli altri, non sono arriviste e, soprattutto, hanno in mano la responsabilità delle proprie scelte. In una canzone che immagino tutti conoscerete, diventata una delle hit della scorsa estate, “Vorrei ma non POSSO” di Fèdez e jAx (si pronuncia Gei ax), ad un certo punto ci sono queste parole: E come faranno i figli a prenderci sul serio/ Con le prove che negli anni abbiamo lasciato su Facebook/Papà che ogni weekend era ubriaco perso /E mamma che lanciava il reggiseno ad ogni concerto/Che abbiamo speso un patrimonio/impazziti per la moda, armani-comio. Nonostante possa sembrare una canzonetta dell’estate, ha un testo tutt’altro che banale; in questo passaggio “sdogana” che cosa sia l’inautenticità: l’irresponsabilità davanti a se stessi, agli altri, al proprio presente e al proprio futuro. Vivere alla giornata…nel senso peggiore del termine. Cadere vittime sotto i colpi di frasi del tipo “sono giovane…se non lo faccio adesso…quando?”, “che male c’è?”, “mi voglio solo divertire!”. Spero non leggiate del moralismo in queste parole: sto parlando di come coltivare la bellezza. E certe cose, diciamocelo chiaramente, rischiano di diventare l’anti-bellezza. In una società che vi vuole dinamici, intraprendenti, protesi ad ottenere risultati ad ogni costo non si chiede autenticità, ed allora si creano maschere di giovani insicuri, conformisti, pieni di angosce e non volti di giovani autentici che lavorano ogni giorno su se stessi e si preparano alla vita con coraggio e perseveranza.

b) La seconda parola che vi consegno è STUPORE.

So che potrebbe sembrare romantica, forse addirittura melliflua, stucchevole, ma credo sia una delle parole più belle della nostra lingua. Indica la capacità di lasciarsi sorprendere da qualcosa. Una sensazione a quale, forse, non siamo più abituati. La conoscono bene i bambini, che si stupiscono anche delle cose più banali. Stupirsi vuol dire capire che c’è ancora qualcosa a cui non potrò abituarmi. Che c’è un “mistero” nel mio cuore e nella mia vita, a cui non so dare un nome (tantomeno un volto). È quello che noi cristiani semplicemente chiamiamo Dio. Ce ne ha parlato in modo unico un giovane vissuto a Nazareth in Palestina, circa duemila anni fa. Un giovane che ci ha insegnato lo stupore… con quello che ha detto e, soprattutto, con quello che ha fatto. Perché non si è tirato indietro neppure davanti alla morte. E non semplicemente per un ideale, ma perché è arrivato fino in fondo. E anche nel momento estremo della morte la sua ultima parola è stata “Padre…”. Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34): dolcezza, amore dignità regale, che suscitano stupore e meraviglia. Non guardate a Dio come certi innamorati, che guardano all’amore come il sole e diventano ciechi, ma guardate a Dio con stupore e sarete illuminati: la fede è stupore di un incontro! Dinanzi alla fede del centurione, Gesù rimane ammirato, stupito! Siamo figli della speranza: lo stupore di Dio.

c) La terza parola che vi consegno è PASSIONE

Essa è molto inflazionata,,“consumata” dalla speculazione che ne viene fatta in termini sempre e comunque sessuali. Voglio prenderla nel suo antico significato di “capacità di soffrire”, nel senso più bello del termine. La passione è ciò che ci rende vivi. Che ci spinge a non mollare. Che non ci fa essere “ominicchi” (per dirla con Leonardo Sciascia nel “Il giorno della civetta”). Dobbiamo imparare a “patire”, non a subire o a cercare il dolore, ma a scendere fino in fondo. E la passione mi dice che non debbo essere introverso…non devo ripiegarmi su me stesso se voglio essere felice…devo essere, invece, proiettarmi verso gli altri. Anche là dove mi viene richiesto uno sforzo; anche quando non basta la buona volontà, devo essere pronto a mettermi in gioco, proprio perché c’è una passione interiore al bene che mi motiva, mi spinge. Non ingoiarti i tuoi sogni solo perché richiedono impegno. Fai vedere chi sei, impegnandoti, studiando, lavorando. Pretendi il massimo da te stesso. Un giovane come voi, Piergiorgio Frassati, che speriamo venga presto proclamato santo, diceva: “Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare!”.

Cari amici, in quest’epoca postmoderna scriveva Romano Guardini, si vive «una crisi di disincantamento»[3], prospettava di coltivare tre virtù che riteneva essenziali per il futuro:

la serietà, cioè il rendersi conto della reale posta in gioco in mezzo a tutte le chiacchiere sul progresso;

il coraggio, il saper prendere posizione di fronte alla possibile distruzione del pianeta; la libertà interiore(una vera spiritualità), capace di resistere al potere suggestionante dei media e della tecnologia. «L’uomo deve imparare a divenire signore di sé superandosi e rinunciando a se stesso, e diverrà così anche signore del suo futuro e della sua potenza». Se saremo questo, ne sono convinto, anche noi contribuiremo a creare per noi stessi, ed ancor più per chi verrà, il desiderio di infinito ed un mondo migliore.

[1] I vostri volti sono come un prisma che riflette i colori dei sentimenti più diversi e contraddittori: scanzonati, allegri, inquieti, appassionati, delusi.«i giovani, scrive Papa Francesco, non sono tanto “oggetto” dell’attenzione del mondo degli adulti, quanto “soggetti” nella costruzione della loro vita, di un mondo migliore e di una Chiesa che sia sempre più capace di creare ponti nella relazione tra Dio e ciascuna persona per favorirne l’incontro».

[2] “Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana” (Sacerdote egiziano, 2 mila anni prima di Cristo). “Questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore. Non sarà mai come quella di una volta. Quella di oggi non sarà capace di conservare la nostra cultura…”( frase trovata in una cava di argilla tra le rovine di Babilonia ed avrebbe 3000 mila anni). “Oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi, gli allievi insultano i professori; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani; gli anziani, per non apparire retrogradi o dispotici, acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell’uguaglianza, si reclama la libertà dei sessi” (Platone nell’VIII libro de “La Repubblica, 4° sec. a.C.).

[3] R.GUARDINI, La fine dell’ epoca moderna, uscito nel 1950 e pubblicato in Italia da Morcelliana nel 1954.