Relazione di S.E. Mons. Filippo Santoro al VII Convegno
Grazie. Innanzitutto sono molto grato e contento per l’invito a partecipare e a dare il mio contributo a questo VII Convegno Nazionale del Movimento Apostolico. Saluto Sua Eccellenza Monsignore Bertolone, Monsignore Ciliberti, il nostro confratello proveniente dall’Africa, i sacerdoti presenti, saluto Don Gesualdo, tutti voi qui presenti, la fondatrice. Voglio comunicare semplicemente che, vorrei trasmettere, eh… una esperienza insieme con un po’ di teologia come se dialogassimo, chiacchierassimo, conversassimo di ciò che riempie il cuore, di ciò che ci fa essere felici, di ciò che ci ha permesso di vivere diversamente con una gioia tanto da comunicarla anche agli altri. Come avete sentito dal curriculum, ad un certo punto della mia vita dopo dodici anni di sacerdozio ho ricevuto l’improvviso l’invito di andare in missione in Brasile, e eh…. non ci avevo mai pensato, il mio vescovo ha sentito una proposta da Don Giussani che ci era bisogno in Brasile del eh.. di un sacerdote che insegnasse teologia in una università cattolica di Rio de Janeiro e poi anche che lavorasse con in giovani, nelle favelas, nelle situazioni più complesse. A me è stata fatta la proposta in questi termini “Andresti volentieri in Brasile?”, per cui ho detto “Se devi andare pesante, io vado per obbedienza, ma una croce Gesù me la dà” , No! Andresti… “perché se non vai volentieri stattene a casa e buonanotte”. Allora ho detto “Beh, se me lo chiede la Chiesa significa che è Gesù che me lo chiede e quando mi ha chiesto qualcosa mi è andata sempre bene, nel senso che è come aver, aver avuto la proposta di fare un cammino più grande, obbedendo alle circostanze, obbedendo agli inviti che il Signore mi fa. Allora sono partito, sono partito in missione eh ed è stata una esperienza straordinaria. Solo per dirvi, quando sono partito, sono partito, sono originario dell’Arcidiocesi di Bari. Quando sono partito dall’aeroporto di Bari, 84, all’aeroporto sono venuti a salutarmi i miei alunni, i miei amici, c’era un sacco di gente, soprattutto giovani. Li hanno fatti mettere sulla pista, perché erano tanti e mi salutavano. Allora io sono andato nell’aereo, mi sono seduto e il comandante mi ha detto “Lei è Don Filippo?”, “Si”. “Vado un pò sulla scaletta”, allora c’era la scaletta, “e saluti la gente”, salutati. Siccome era sera, tutti quanti, a quell’epoca, si usava, era un po’ hippie la cosa, con gli accendi accesi, ciao, grandi saluti e pianti eccetera eccetera. Vado a sedere. Parte, parte l’aereo e dopo che parte l’aero, il comandante fa guidare il secondo pilota e viene a sedersi vicino a me e mi fa “Ma Lei è un sacerdote?”, “Si sono un sacerdote”, “E tutti quei giovani che cosa ci facevano, tutti quei giovani? Io sono padre di famiglia, so come è difficile che i giovani vadano alle cose delle Chiesa, eccetera…”, “No, sono tutti miei amici”, “No perché a me era sembrato, che essendoci tutti tutti i quei giovani lei fosse un cantante pop-rock”. [Risate e applausi].
Ho detto “No, no, sono proprio un sacerdote, ho insegnato nei licei ho avuto anche degli insegnamenti nell’università, ero responsabile dell’istituto di teologia per laici e quindi sono andato”. Allora dopo che mi saluta, va a guidare, comincia la discesa, prima di cominciare la discesa, si viene a sedere di nuovo vicino a me. “Ma lei è proprio sacerdote?” “Si sono proprio sacerdote”. Non era convinto. “Sono proprio sacerdote”. “Ma guardi, io mi devo proprio ricredere, perchè, perchè se tanti ragazzi vengono qui, all’aeroporto, una sera, che potrebbe starsene a spasso, per salutare un sacerdote, ci deve essere sotto qualcosa di più grande, io sono di Bologna, avevo abbondato la Chiesa vent’anni fa, avevo avuto alcuni problemi in parrocchia”, succede noi sacerdoti sappiamo com’è che funziona ste co.., “e mi sono allontanato, ma adesso vedendo che tanti ragazzi e giovani vengono qui in Chiesa mi devo ricredere, tornerò alla mia parrocchia”, io ho detto “Guarda senza nemmeno aver detto una parola ho cominciato la mia missione”. Questo è dono di Dio. [Applausi]. Cioè per dire che, a volte nemmeno dobbiamo dire niente, sono i fatti che il Signore costruisce per aver detto di si a Lui. Allora quello è stato l’inizio. Poi dopo, vabbè, ora se mi metto a raccontare tutta la storia, però sono importanti i fatti perché poi, perché poi, arrivati a Rio de Janeiro, eravamo negli anni in Brasile della dittatura militare, e facevano difficoltà ai sacerdoti che venivano e che andavano in Brasile, perché pensavano che fossero tutti infiltrati comunisti, terroristi, cose del genere.. aho pure a me sacerdote cattolico, quello non ci credeva il primo, ma nemmeno quegl’altri ci credevano. Allora mi fermano e dicono “Io porto tutto in ordine, il mio visto” e dice “No, guardi io porto i raggi X per avere il visto, no le radiografie” e allora e porto quella piccolina con il risultato sotto, “No”, per crearmi problemi, “ci vuole la radiografia grande, quella grossa”, “Scusi ma nello stesso c’è scritto…”, “No, no no no” , “Lei mi lasci il passaporto e tutto se no lei va in galera”, “Madonna in galera e come?”, “Perché ci voglio i documenti…”. Meno male che nel viaggio da Roma a Rio de Janeiro, c’era un vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, questo vescovo mi dice “Don Filippo lasci il passaporto, andiamo a Rio de Janeiro, domani mattina lei si fa il raggio X che vogliono loro, grande forse pure più grande, glielo restituiamo e poi dopo le daranno indietro il passaporto”. Ho detto “Va beh, eccellenza, mi fido di lei”. Gli diamo il passaporto. Torno e arriviamo nel centro e i miei amici che mi aspettavano là fuori, sono andati tutti da Rio a San Paolo. Quindi degli amici che conoscevo non c’era nessuno, allora questo vescovo, meno male che c’era, la Provvidenza, mi porta alla casa del clero, dove c’erano sette sacerdoti anziani. Arrivo alle sei, sei e mezza, c’era la cena, la cenetta, lì si cena presto. Cenetta, sei sacerdoti anziani, chiaramente si cena presta, minestrina, eccetera eccetera. Alle 7 tutto è finito, ognuno se ne va, non c’è nessuno. Dico “Gesù, ma insomma, mi ha detto che mi devi dare il centuplo, ieri sera tanti ragazzi, stasera nessuno, com’è che funziona questa tua promessa, che oggi si realizza, domani…”. E allora, e allora, vedo i biglietti che mi avevano dati gli amici, grazie per ciò che hai fatto per me, eccetera. Mi commuove. Dico “Gesù, ti offro questo sacrificio, però gli amici che ci avevo in Italia, me li devi far trovare pure in Brasile, perché se tu vieni nella vita crei qualcosa di nuovo, crei” come lo vivete voi, un movimento, “quindi ti offro questo sacrificio. Fai tu quello che devi fare”. Allora che cosa è successo, mi sono messo, anche nel sacrificio, consegnato al Signore, dai settecento che c’erano lì, quella sera nessuno. Poi dopo, ora, sono tornato, l’altro anno, per la giornata mondiale della gioventù in Brasile e non erano seicento/settecento, ma erano quarantamila. Quindi una cosa grandissima. Il Signore mantiene [Applausi] mantiene perché era la Diocesi di Metropoli, s’incontro proprio… Per dire nel sacrificio, uno si fida, si fida dell’esperienza. Bene, ho detto questo per indicare di che gioia si parla, ci parla Papa Francesco quando parla della gioia. Non è una gioia superficiale. Una gioia profonda. Evangelii Gaudium. Il Vangelo della gioia. È stato già detto da Sua Eccellenza Mons. Bertolone, l’importanza della, nella rivelazione del tema della gioia. Sin dall’Annuncio dell’Angelo ai pastori. “Vi annuncio una grande gioia”. Nella città di …. e poi tutto il resto e poi l’esperienza dell’incontro degli Apostoli con il Signore. Ma il tema della gioia , Papa Francesco dice “Desidero indirizzarmi a tutti, in una nuova tappa evangelizzatrice, marcata da questa gioia, indicare il cammino della Chiesa nei prossimi anni”. Questa esortazione indica il cammino della Chiesa nei prossimi anni. Infatti il grande rischio del mondo attuale e di cadere in una tristezza individualista. Stiamo da soli pensiamo ai fatti nostri. Questo produce una tristezza individualista. Anche credenti corrono questi rischio perchè cito al numero 6 ” Ci sono cristiani che sembrano avere un stile di Quaresima, senza Pasqua” ecco lo dice lui e poi “un evangelizzatore non dovrebbe avere una faccia da funerale”. Come possiamo evangelizzare. È meglio essere chiamato prete cantante pop-rock che non una faccia da funerale insomma, stiamo a questo lì [Applausi]. Allora io vorrei toccare alcuni punti di questa esortazione apostolica e declinare con i verbi che al conferenza episcopale italiana ci da in vista del convegno di Firenze. Innanzitutto il tema della gioia. Tema della gioia torna nella vita della Chiesa. Chiaro non è cominciato con Evangelii Gaudium. Sin dal primo annuncio ai pastori il tema della gioia è forte. Papa Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II comincia in latino “Gaudet Mater Ecclesia”, si rallegra la Madre Chiesa, è piena di gioia la Madre Chiesa. E poi dopo Paolo VI scrive un’esortazione “Gaudete In Domino”, rallegratevi nel Signore. La gioia come la caratteristica della vita cristiana. Giovanni Paolo I che nel suo modo di parlare è ricordato dal quotidiano francese “Le Monde” come il Papa che ha vissuto il tempo di un sorriso, la gioia che troviamo in Papa Wojtyla in Benedetto XVI e in Papa Francesco. Papa Francesco nella “Domenica Gaudete” rallegratevi dell’Avvento del 2013 approfondisce ancora prima di questa esortazione il tema. Se un cristiano diventa triste vuol dire che si è allontanato da Gesù. È una spia. Possiamo avere i problemi, ma allora non bisogna lasciarlo da solo. Dobbiamo pregare per lui. Fargli sentire il calore della comunità. Il Vangelo, si chiama Buona Notizia, un annuncio di gioia per tutto il popolo. Il Vangelo, dice Papa Francesco, ci offre una gioia, ma non una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione d’essere, questa gioia, nel sapersi accolti e amati da Dio. Tu sei accolto e amato da Dio. Accolta e amata da Dio. E Colui che viene a salvarci presta soccorso, specialmente agli smarriti di cuore. La gioia cristiana ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, Lui è fedele, non ti abbandona, non ti lascia. Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino della vita sperimentano, dice Papa Francesco, nel cuore una serenità e una gioia, di cui niente e nessuno potrà privarli. Questo è il verbo chiave, sperimenta, fanno esperienza di, fanno esperienza di una gioia molta grande. Lo sappiamo nella vita di ciascuno di noi, particolarmente dopo l’incontro col Signore, l’incontro col Signore attraverso il Movimento. L’incontro con il Signore nella nostra vita apostolica. E tanti fatti anche nella difficoltà, si esperimenta una gioia grande. Qual è l’origine di questa esperienza che dura anche oggi. Qual è l’origine di questa gioia. E qui Papa Francesco dice l’origine di questa gioia è l’incontro, l’incontro, l’incontro con il Signore. Lo diceva già Sua Eccellenza prima e Papa Francesca al numero 7. Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo, all’inizio dell’essere cristiano, non c’è una decisione etica o una grande idea. Bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte cioè e con ciò la direzione decisiva. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché se qualcuno ha colto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri. Senza far nulla, come è accaduto nell’aereo lì, eh lo comunichi, lo porti, lo offri agli altri e l’inizio di questa gioa è proprio l’incontro e questo incontro ci pone in una posizione di annuncio, di uscita. Come dice il Papa nel numero venti della della “Evangelii Gaudium” quando parla della Chiesa in uscita. In qualunque forma, in ogni evangelizzazione, il primato è sempre di Dio. Egli ha voluto chiamarci a collaborare con lui, e stimolarci con la forza del suo spirito. La vera novità è quella che il Signore misteriosamente vuole produrre. E qui Papa Francesco usa un verbo, un verbo in spagnolo, il verbo primerear” Viene prima. Viene prima. Cioè Colui che ci sorprende viene. Nemmeno si usa in Spagna questo verbo, lo si usa in Argentina e nemmeno in situazioni nobili. Anche in situaz… per esempio quando uno gioca alla carte e chi c’è alla mano e chi si…chi può vincere, certe volte pure chi cerca di imbrogliare, insomma non è….primerear significa qualcuno che viene prima, che ti precede, che vi è avanti, che trova la via per incontrarti e quindi quest’esperienza dell’iniziativa di Dio che ci sorprende che ci previene. All’inizio c’è una grazia che noi non avevamo nemmeno immaginato, io non avevo nemmeno immaginato di andare in Brasile e l’ho fatto per fare il prete diocesano e invece mi sono trovato dall’altra parte del mondo e quindi Lui ci precede, ma sempre nella nostra vita. Solo vedere che cosa è successo nella Chiesa negli ultimi tre anni abbiamo assistito a quel fatto straordinario delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, sorpresa totale, e dove stava scritto, da nessuna parte, una cosa del genere. E poi le lezioni di Papa Francesco, una sorpresa dopo l’altra, fino all’incontro che abbiamo avuto la settimana scorsa noi vescovi con Papa Francesco, in cui c’è stato il discorso ufficiale, molto bello, e l’assemblea, con lui, a porte chiuse, senza giornalisti, ancora più bella, nel senso che abbiamo potuto parlare, dialogare, liberamente con il Santo Padre. Sorpresa, ci viene, ci previene, viene prima, l’esperienza del Dono di Dio. Il Signore rompe le nostre previsioni. Rompe i nostri schemi. Questo al numero ventidue, dice il Papa. E quindi l’iniziativa del Signore ci previene sempre. E da questa iniziativa nasce proprio l’annuncio, la testimonianza, la missione. La missione che è un fatto che viene dal di dentro. È naturale. Ti è successo qualcosa e lo comunichi. Il Papa al numero diciotto dice “I vescovi” diciassette-diciotto “i vescovi latini-americani hanno affermato che non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva dentro le nostre Chiese”. Non possiamo rimanere dentro le nostre chiese. “È necessario passare da un pastorale di semplice conservazione”, conserviamo quello che c’è, “ad una pastorale decisamente missionaria”. Il grande tema legato alla gioia è il tema della missione. Questo contenuto lo troviamo uguale uguale, il Papa lo riprende dalla conferenza di Aperecida, Aperecida, dico due parole su Aparecida che cos’è. Aparecida è il santuario nazionale del Brasile. Come se fosse da noi Loreto o Pompei. E lì ad Aparecida, 1717 dei poveri pescatori in un fiume, nel Rio Paraiba stavano pescando. E non pescavano niente. Ad un certo punto hanno pescato e nella rete è venuta un’immagine, una statua piccolina. La testa da un lato e il corpo dall’altro. L’hanno pulita e hanno visto che era un’immagine della Madonna. Aparecida significa apparsa nelle acque. Apparse nelle acque. Hanno preso l’immagine e hanno fatto una preghiera. Buttano di nuovo la rete, una pesca straordinaria. E dice “Allora questo è un segno che la madre di Dio ci protegge attraverso l’immagine”. Fanno un piccolo oratorio e quell’oratorio diventa punto d’incontro per la devozione della gente. È una città di lì nasce una città che si trova tra la città di Rio de Janeiro e la città di San Paolo du Brasile. San Paolo, nello stato di San Paolo. La Madonna Aparecida, apparsa, piccolina protettrice del Brasile. E allora nella Chiesa dell’America Latina ci sono state varie assemblee generali di tutti i vescovi. Come se tutti i vescovi dell’Europa facessero il loro incontro. In America Latina c’è una tradizione. Già prima del Concilio c’è stato un incontro a Rio de Janeiro, poi dopo c’è stato uno importantissimo a Medellin in Colombia, poi dopo ce n’è stato uno a Puebla nel Messico, poi dopo ce n’è stato un altro a cui ho partecipato, a Santo Domingo nel centenario della scoperta dell’America Latina, 1992. E poi il quinto incontro dei vescovi latini-americani è stato in Brasile ad Aparecida. Adesso è un Arcidiocesi. Un santuario grandissimo, come fanno i brasiliani e dicono i brasiliani, il nostro deve essere il santuario più grande del mondo. Siccome c’hanno lo stadio di calcio, del fùtbol, del calcio, del pallone più grande del mondo, il Maracanà a cui sono stato, modestamente, a vedere le partite… Allora anche il Santo… però non lo potevano fare più grande di San Pietro, quindi hanno dovuto mantenerlo un pochino più piccolino di quello che volevano per entrare nei limiti di San Pietro. In questa sede Papa Benedetto ha detto “il quinto incontro dei rappresentanti latini-americani lo dobbiamo fare in Aparecida, perché un luogo di fede”. È un luogo di devozione. È un luogo in cui le persone vanno come pellegrini quindi è stato scelto questo posto. Che c’ha la Madonna Aparecida, quella raccolta nelle acque del fiume e poi una devozione grandissima. Nel 2007 c’è stata questa conferenza di Aparecida, un mese intero, il mese di maggio del 2007 rappresentanti dei vescovi di tutte le conferenze episcopali eravamo in totale 200-250 più i periti, gli esperti. E qual è stata la novità di questo momento? Qualcosa come il Concilio Vaticano II per l’America Latina. Cominciava con una bella celebrazione liturgica, in portoghese, in spagnolo, anche per le Antille in francese e in inglese, poi dopo, alla presenza della Madre di Dio e noi uscivamo dalla chiesa e il popolo era presente, particolarmente venerdì, sabato e domenica. Erano ventimila, trentamila, cinquantamila. Questi numeri così grandi e la gente vedeva i vescovi ed era felice. Per un certo tempo in America Latina si era detto che esiste una chiesa Popolare e una chiesa Gerarchica come se fosse un’opposizione, invece in Aperecida era un’unità tra la chiesa che nasceva dalla vita del popolo e i vescovi. Allora dopo questi incontro con la gente, quando noi andavamo a scrivere il testo a riflettere per un mese, non potevamo fare un documento come si fanno quelli scritti nel chiuso delle università o nel chiuso degli uffici diocesani. Avevamo davanti agli occhi le facce dei pellegrini poveri, ma pieni di fede, pieni di vita. Per questo l’esperienza è stata un’esperienza molto forte caratterizzata proprio con l’incontro con la fede del popolo. Perciò l’esperienza di Aparecida ritorna puntualmente dove abbiamo fatto un documento interessante un dono dello spirito perché lì c’erano tutti i fermenti, c’erano ancora le varie forme legate alla teologia della liberazioni cioè un cambiamento della situazione sociale, alcune volte secondo le ideologie marxiste, altre volte no, tutta una cosa complessa. Poi c’era la sfida delle sette neopentecostali che in Brasile sono dei protestanti di vario tipo che sono molto aggressive, poi c’era la sfida del secolarismo. Tanti di questi problemi; è venuto fuori un documento ricchissimo che ha il suo accento sulla esperienza dell’incontro del Signore e della Missione. Nel documento di Evangelii Gaudium di Papa Francesco ci sono 164 citazioni del documento di Aparecida e l’invito che il Papa fa, è proprio l’invito ad una Chiesa Missionaria. Che la nostra pastorale normale non sia di conservazione, ma sia di missione, di annuncio, di testimonianza a tutti quanti. Allora dopo aver fatto questa esperienza, anch’io sono stato chiamato nel 2012 dal Brasile in Italia. Sono stato riportato in Puglia, a Taranto. Appena arrivato in questa città nostra, mi sono trovato con i grandi problemi del posto. Pensavo che solo i problemi ci fossero in America Latina. E invece in Italia ce ne sono anche più grandi e più complicati. Allora arrivo lì, dopo 6 mesi scoppia la questione dell’ILVA, della magistratura che interviene perché inquinava l’ambiente e contaminava il territorio. Subito c’è un grossa rivolta popolare e, allora, noi facciamo una fiaccolata come chiesa cercando appunto di difendere i due grandi valori: il valore del lavoro e il valore dell’ambiente. E quindi dopo un pò, degli operai, che vendono a rischio il loro posto di lavoro, fanno uno sciopero e si mettono su un altoforno cinque che ha 60 m di altezza lassù. Allora io sto vedendo la televisione, il telegiornale e c’era con me il segretario e dico: “Ma guarda questi qui stanno in sciopero, andiamoli a trovare”. Il mio segretario che è già calvo, gli cadono quegli altri capelli “Come, Eccellenza, sta sotto sequestro!”. “Ma no, cosa fate”. “Chiediamo il permesso al prefetto, al questore, al giudice, noi dobbiamo essere lì”. Allora arrivo sotto l’altoforno e volevo salire a trovarli. Allora il capo della Digos: “No, Eccellenza, non si può andare, è pericoloso, è meglio così”. E loro hanno visto che io ero arrivato e sono scesi loro. Sono scesi in cinque: “Grazie, sin’ora nessuno ci è venuto a visitare, meno male che la chiesa è vicino a noi”. Allora li ho salutati: “Guardate sono venuto proprio per portarvi la vicinanza della Chiesa e la vicinanza di Gesù, a voi e alla vostre famiglie, però non fate lo sciopero mettendo a rischio la vostra vita, che per salvare una cosa, ne compromettete un’altra”. E loro dicono: “Grazie Eccellenza, noi lo facciamo per le nostre famiglie, ascolteremo quello che ci ha detto”. Il giorno dopo hanno smesso lo sciopero e sono stati attenti all’indicazione. Allora per dire, la missione è naturale, cioè non puoi vedere un difficoltà, un problema e dire “non mi tocca, non mi riguarda”. Lo senti, come anche sono stato all’ospedale nostro, all’ospedale nord di Taranto, dove ci sono i bambini ammalati di cancro, per causa dell’inquinamento. E anche lì, è tutta un’attenzione, le varie associazioni contro le leucemia, il cancro eccetera eccetera che mi hanno chiesto di essere…. La missione è condividere il dramma che le persone hanno. Noi e gli altri. Portare questa esperienza nella realtà, nell’ambiente in cui noi viviamo. E questo subito indica una profonda coincidenza con i verbi che la Conferenza Episcopale Italiana ci ha proposta in occasione del Convegno di Firenze. Il primo uscire è più uscire che andare all’altoforno cinque, oppure nelle scuole, oppure nelle altre fabbriche, nella questione del porto. Dove noi ci troviamo. Annunciare, annunciare quello che ci è accaduto, che il Signore è vicino a noi, che il Signore non ci abbandona, che il Signore non ci lascia soli e portarlo a tutti. E poi ancora, abitare il valore del Creato perché la gioia del Signore ha anche un riflesso nel rispetto della Natura, la custodia della Creazione, la custodia del Creato. Non si può sperperare la Natura, non la si può violentare, non si può pensare ad un progresso economico come è stato pensato da noi a Taranto, ma anche in altre posti, nella Calabria, nel Sud in particolare, ignorando le norme più elementari di rispetto della natura. La difesa dell’uomo, l’umanesimo, comporta anche la difesa dell’ambiente. Era un terra piena di ulivi, viti, di mandorle come sono le nostre terre e lì hanno fatto piazza pulita. Adesso è chiaro che tutti quanti, da fare i contadini, moltissimi si sono trovati lo stipendio fisso in casa, allora sembrava che fosse la soluzione di tutti i problemi. Però si è creato l’altro problema, il problema dell’inquinamento. Adesso è necessario proprio al fattore lavoro, e al fattore difesa della vita, difesa dell’ambiente che è proprio il diritto primario. E poi dice ancora l’altro tema, gli altri due temi proposti per il Convegno di Firenze: educare, è necessaria un’educazione. Noi siamo chiamati ad educare; anche la difesa dell’ambiente, parte da come noi, per esempio, cosa semplicissima, rispettiamo la raccolta differenziata. Non facciamo di ogni cosa. Se uno butta la carta in terra, educhiamo il ragazzino, il bambino, il giovane anche a mantenere pulito. Ma non solo per un ordine, ma per un amore alla bellezza, un amore all’ordine, come succedeva nelle nostre case. Ognuno nella strada puliva davanti casa sua. Quindi è necessario questo educare le nuove generazioni in particolare a questo rispetto della dignità, della persona e della natura. E quindi trasfigurare, trasformare proprio la realtà alla luce dell’annuncio del vangelo. Queste domande si inseriscono pienamente nello sviluppo fatto dal documento dell’Evagelii Gaudium poi questa prospettiva missionario comporta, dice il Papa, una riforma profonda della Chiesa. La riforma profonda della Chiesa non può essere fatta, ci dice il Santo Padre, a tavolino. Nel senso di una cosa programmata, di una cosa fatta negli uffici. Deve essere fatta a contatto con la vita. La riforma della Chiesa nasce dall’irruzione dello Spirito nella nostra vita, dare spazio allo Spirito di Dio nella nostra persona, nella nostra vita. Abbiamo celebrato la festa di Pentecoste, farsi guidare dalla potenza dello Spirito. Lo Spirito trasfigura la faccia della terra. E lo Spirito per cambiare la faccia della terra, si serve dei carismi che il Signore suscita. Stando in mezzo a voi, è evidente che lo Spirito si è manifestato chiaramente anche nella forza del Movimento Apostolico. La riforma della Chiesa è lo Spirito del Signore che la realizza. E noi che ci lasciamo condurre, ci lasciamo condurre, popolo di Dio, sacerdoti, religiosi, religiose, gerarchia, lo Spirito che conduce, lo Spirito che pervade la terra e la trasforma. L’ultima parte, io tornerò sull’ultima parte, e si dilunga, ma io tornerò su questa evangelizzatore con spirito, è straordinario. Ma prima dell’ultima parte voglio toccare un altro tema che Papa Francesco sempre sottolinea, nel tema della missione. Partire dal cuore del vangelo e concentrarsi nell’essenziale, cioè prendere il nucleo centrale del vangelo. Qual è il nucleo centrale? lo dice al numero 38: “Il nucleo fondamentale che rispende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio che si è manifestato in Cristo Gesù”, la bellezza dell’amore salvifico, la bellezza di un Dio che ci cerca che ci vuole bene. Che attraverso le circostanze ci viene incontro. Si piega su di noi. Questo invito ha una forza attrattiva potente e straordinaria che si manifesta nella vita della Chiesa, nei carismi in particolare e poi questo invito permette a noi di avere la freschezza e il profumo del Vangelo, la freschezza e il profumo del Vangelo. Questo è l’invito fondamentale. E dice Papa Francesco una cosa molto importante che riprende molto una esperienza latino-americana. Al numero 49 dice: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio essere una Chiesa preoccupata di essere il centro che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni. Più che della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione”. Quindi un invito a rischiare, ad uscire, a vivere nell’impatto con la realtà la nostra esperienza. Prima di passare al punto della spiritualità evangelizzatore in Spirito c’è un nodo dell’annuncio e nel magistero di Papa Francesco che è l’opzione per i poveri, l’opzione per i poveri. È un altro grande capitolo della chiesa latino-americana sviluppata in tutto il magistero, ma sviluppata specificatamente a partire dell’esperienza di situazioni più difficili. Dice al numero 53 Papa Francesco: “questa economia uccide, non è possibile che non faccia notizia il fatto che muore assiderato ” l’avrete sentita questa “un anziano ridotto a vivere per strada, mentre fa notizia il ripasso di due punti in borsa. Questo è esclusione, questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il debole. Come conseguenza di questa situazione grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate, senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello scarto. Non si tratta del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma qualcosa di nuovo, l’esclusione. Con l’esclusione resta colpita l’appartenenza alla società. Gli esclusi non sono sfruttati, ma rifiuti, avanzi”. Allora di fronte a questo linguaggio così forte, qualcuno ha fatto la domanda: “Ma questa qui non è la teologia della liberazione?” Questa è la domanda. E nella conferenza di Aparecida, all’inizio io avevo avuto un’impressione più o meno simile, solo che sono andato, allora era il cardinale Jorge Mario Bergoglio, era il presidente della commissione di redazione del documento finale. Lui era il capo della commissione che ha fatto il documento finale di Aparecida. Allora Papa Bergoglio di fronte alla mia, dice “Filippo, non avere problemi, scrivi la parte” ero in un gruppo che doveva preparare una parte “scrivi la parte, poi alla fine noi daremo un insieme”. Per dire Papa Francesco è stato capace di accogliere i vari fermenti che c’erano, ma che ci sono ancora nella chiesa e metterli in una sintesi unitaria, l’importate qual è? È che il punto di partenza è il Vangelo, è il Vangelo, non è un’ideologia, non è una analisi sociale, non è la sociologia il punto di partenza, il punto di partenza è il cuore di Cristo che si piega sulla fragilità e abbraccia il povero, il malato, chi soffre, il peccatore. Quindi c’è un numero dell’ Evagelii Gaudium che cita la conferenza di Aparecida e dice, il numero 199, citando Papa Benetto XVI che ad Aparecida ha detto: “questa opzione, l’opzione per i poveri, è implicita nella fede cristologica, in quel Dio che si è fatto povero per noi, ci è venuto vicino, per arricchirci mediate la sua povertà, il significato centrale di questa opzione sta nello svuotarsi di Dio per farsi vicino a noi, e perciò è legato al tema di fondo che è l’annuncio della gioia che nasce dalla misericordia, senza” dice Papa Francesco 199″ senza l’opzione preferenziale per i poveri l’annuncio per il Vangelo che è pure la prima Carità, l’annuncio del Vangelo è la prima Carità rischia di essere incompreso, di affogare in un mare di parole, a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone”. Quindi l’opzione per i poveri nasce proprio dal cuore del Vangelo e su questo vi faccio un esempio della mia esperienza missionaria. Quando ero a Petropolis, come vescovo diocesano, nell’altra diocesi, viene a trovarmi la direttrice di un asilo, che ci aveva un asilo di una favela, questi luoghi poveri in periferia, su un colle, su una montagna, già Petropolis è a 800 metri, questo era uno dei punti più alti, freddi, in Brasile freddo anche lì, poverissimi e mi dice: “Eccellenza, Don Filippo, io c’ho questo asilo, non ho bisogno, innanzitutto, di soldi e di sostegno, questi li troviamo, ho bisogno che lei voglia bene a quest’opera, se ne faccia carico personale. Ci venga a trovare e prenda cuore quest’opera di bambini, di famiglie poverissimi”. Vado a visitare questo asilo, in un posto che si chiama Mor dus Angius, collina degli angeli, le favelas hanno tutti nomi bellissimi: Campi Elisei, Campi così, Giardino della Speranza, Giardino dei Fiori, ecc.. tristissimo. Questo si chiamava collina degli angeli. Vado, trovo i bambini, fanno una festa bellissima, i bambini a due anni già sanno ballare la samba. Hanno fatto uno show, sai i brasiliani fanno show bellissimi..grande festa e poi dico: “Ma io vorrei incontrare anche le vostre mamme, fate venire la settimana prossima le vostre mamme”. Vengono le mamme e le mamme, l’altro giovedì, signore dal volto scavato, sofferto, poverissime e cominciano a raccontare le loro sofferenze. Ma dico: “Ma perché non vi unite insieme, abbiamo dei telai, perché non fate delle magliette, delle camiciette, delle borsette e le vendete giù in città. Poi dopo l’incontro, chi vuole, c’è un momento di evangelizzazione, di catechesi”. Allora la direttrice con le signore si è messa insieme e hanno fatto una piccola cooperativa e vendevano i prodotti nel centro della città. Dopo sei mesi sono andato di nuovo a trovarle, queste mamme, hanno fatto il club delle mamme […] poverissime… vado lì e dicono: “Eccellenza, beh, noi prendiamo, per capirci, un salario mensile di 40 euro”. 40 euro al mese, facendo i servizi, pulizie “dopo questo il nostro salario, il nostro stipendio è diventato di 50 euro, 10 in più che per noi sono importanti, vendendo queste cose, quindi qualcosa abbiamo cominciato a guadagnare, in più, … è quasi il 20%, allora già questa è una cosa buona, dopo lì, però Eccellenza la cosa più bella è che abbiamo scoperto che possiamo cambiare, abbiamo cominciato ad avere fiducia in noi stesse, mentre prima era un abbandono totale. Abbiamo cominciato ad avere fiducia in noi stesse, nel senso che possiamo”, perché i mariti normalmente quando ci sono, se ne vanno, spariscono, cioè cose difficilissime e allora “che noi valiamo poi dopo, ancora, la cosa più bella Eccellenza è che quando noi siamo venuti qui abbiamo fatto oltre questi lavori, l’incontro con il Signore, con la Parola di Dio, la catechesi, ma insieme a questo quando lei ci ha chiamato non ci ha chiesto se eravamo sposate, ben sposate, se eravamo…” la maggioranza erano ragazze madri eh, quindi ” non ci ha chiesto se eravamo ben sposate, se eravamo cattoliche, se eravamo fedeli, semplicemente ci ha accolte. Eccellenza, di questo noi le siamo grate”. Questa è l’opzione dei poveri nel nome di Gesù, l’accoglienza pura e semplice del dolore, della sofferenza (applausi). Allora, dice il Papa, per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri che loro ci insegnano, questo è solo un esempio. Ma per terminare, mi avvio alla conclusione, qualche passaggio dell’ultima parte “evangelizzatore con spirito”, il capitolo quinto, che è di una bellezza straordinaria. Il numero 262 dice “evangelizzatore con spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano”. La preghiera e il lavoro. Questa è la fonte della nuova evangelizzazione. Poi dice “senza momenti prolungati di adorazione, senza l’incontro orante con la parola di Dio, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato”, senza l’incontra orante con la parola di Dio. Quindi evangelizzatori che pregano, evangelizzatori che lavorano. 264, “la prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto l’esperienza di essere salvati da Lui, che ci spinge ad amarlo sempre di Dio”. E poi una cosa bellissima, “che dolce è stare davanti ad un crocifisso o in ginocchio davanti ai suoi occhi, quanto bene ci fa lasciare che Egli tocca a toccare la nostra esistenza e ci lancia a comunicare la nuova vita. Questo stare dinanzi a Gesù, io me ne sono accorto una volta che eravamo a Santa Marta e la sera finiti gli incontri, alle 7 sono andato nella cappella e nella cappella c’era il Santo Padre che era lì che pregava dinanzi al Santissimo. E lui diceva chiaramente, poi l’ha detto pure in pubblico: quando siamo davanti al Santissimo guardiamo, ma è soprattutto Lui che ci guarda. Possiamo pure addormentarci perché siamo stanchi, ma è Lui che ci guardo, è Lui che ci vuole bene. Quindi questo tempo ci aiuta, non dobbiamo far niente, solamente farci guardare e offrirgli la nostra vita, magari la stanchezza. Questo è evangelizzatori, essere evangelizzato dallo Spirito di Dio. La semplicità, preghiera orante piena di disponibilità ed è stato per me molto importante, contemplarlo con amore. La sua bellezza ci stupisce, torna ad affascinarci. È necessario per un vero umanesimo recuperare uno spirito contemplativo, farsi guardare dal Signore, farsi toccare da Lui, nell’eucarestia, nella vita di comunità, nel rapporto quotidiano. E poi questa esperienza ci fa perseverare. Il numero 267 dice un’altra cosa importantissima: “Uniti a Gesù cerchiamo quello che Lui cerca” cerchiamo quello che Lui cerca “amiamo quello che Lui ama, in definitiva quello che cerchiamo è la gloria del Padre”. Altra cosa straordinaria, non cerchiamo la nostra gloria, cerchiamo la gloria del Padre. Quel punto originario che ci ha affascinati è quello che noi vogliamo portare avanti, vogliamo sviluppare. È stato detto, presentando il mio curriculum, che mi hanno fatto i colleghi vescovi, presidente della commissione per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia. Quando ero in ballottaggio, dicevo, può uscire o può non uscire, non è questo quello che cambierà la mia vita. Qual è che cambia la mia vita? È l’affidarmi al piano del Signore. Allora uno è sereno e in pace e va avanti tranquillo. Poi è uscito, significa che bisogna fare un servizio in più, per cui, anche quel servizio si fa, ma non attaccati al potere, pensate poi anche dove lavoriamo, nei posti di lavoro, o anche nelle famiglie. È la serenità di dire si al Signore, che Lui provvederà a noi, alla nostra casa, alla nostra famiglia, alla nostra vita, non ci lascerà da soli, ci porterà davanti, ci farà andare avanti. E succede così. E il Signore ci sostiene e ci benedice. Numero 270, sono tante cose bellissime, uno vorrebbe commentarle.. “poi Gesù vuole che tocchiamo la carne sofferente degli altri”. Il rapporto con le persone. È vero, a noi vescovi, sacerdoti, ogni giorno succede questo incontro, ma noi lì tocchiamo Gesù. Quando per la prima volta sono arrivati a Taranto, ma voi in Calabria, in Sicilia, in altre parti i profughi era, mi ricordo, il giovedì Santo dell’anno scorso. Mi telefona, era la vigilia del Corpus Domini a Taranto, mi telefona il prefetto: “Don Filippo, nella nave San Giorgio, arrivano 1300 profughi che vengono rifugiati, mettiamo insieme le strutture dello stato e quelle della chiesa per accogliere i profughi”. Allora il giorno dopo c’avevo la processione del Corpus Domini e ho detto: “allora cari fedeli, Corpo di Cristo è l’Eucarestia, Corpo di Cristo sono i profughi che vengono, quindi apriamo il cuore ad accoglierli con gioia, con disponibilità e con amore e la stessissima cosa il corpo di Cristo che ci raggiunge (applausi). Sul tema ancora sul tema della missione e della spiritualità 273: “la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice o un momento tra i tanti dell’esistenza, la missione al cuore, la missione è qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi, io sono una missione, io sono..” quest’incontro che ho fatto in cui il Signore mi ha raggiunto attraverso un amico del Movimento, un’amica un’esperienza, mi ha toccato, il Signore mi ha toccato con mano, ha toccato l’intelligenza, ha toccato il cuore, allora io divento missione, divento annunzio, non è un’appendice. Io sono missione, per questo mi trovo nel mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marchiati a fuoco da tale missione e di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. È la missione che noi abbiamo. E mi è successo prima di Pentecoste, una visita ad un’ammalata, allora scrivono al vescovo, sapete noi vescovi ci scrivono tutti: “Eccellenza mi venga a visitare, sono un’ammalata di SLA e sono diventate cieca, le mie amiche mi aiutano” e questa parlava con il computer, con la SLA. Vado a visitarla, tra una messa e l’altra una domenica e questa felicissima, in una situazione in cui aveva tutto per imprecare, felicissima, ma che gioia, lei mi sta, io la saluto, cerco di dire qualche bella parola e lei mi dice: “Eccellenza, prima di tutto voglio baciare il suo anello”. E dico: “Certo!”. E poi dice: “Perché lei non è Don Filippo, appena, lei è il successore degli apostoli, di quelli che erano gli amici prossimi di Gesù, di quelli che lo hanno visto risorto, perciò le voglio baciare l’anello.” E dico, ma guarda questa signora così ci ha una coscienza della mia missione apostolica, della successione apostolica più grande e più bella di quella che ho io, cioè me la risveglia, allora ho baciato l’anello e poi, lei ha baciato il mio anello e io gli ho dato un bel bacio di gratitudine (applausi). Mi avvio proprio all’ultima cosa, quando Papa Francesco parla dello Spirito e della Madonna. Allora 280: “per mantenere vivo l’ardore dello Spirito occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché egli viene in aiuto alla nostra debolezza. Non c’è maggiore libertà quella di lasciarsi portare dallo Spirito.” E lo Spirito ci viene incontro attraverso questi fatti, sono i fatti, la realtà porta lo Spirito, la realtà ci provoca, anche le cose complicate, anche le cose difficili. Lo vedo nella mia vita, quando la situazione è difficile non è per deprimersi o per abbattersi, ma è per domandare, per chiedere, quando c’è un problema quando c’è una difficoltà, allora non è per dire ma tutte a me succedono, ma Gesù me le fai tutte di qua e di là, ma è una occasione per chiedere. Tira fuori il popolo dalla schiavitù, va nel deserto e tutti si rivoltano contro Mosè. Allora Mosè, non impreca pure lui, ma batte alla roccia e chiede “Signore, aiutali”. Quindi la difficoltà non è per disperarsi, ma è per chiedere per domandare alla potenza dello Spirito che si manifesti, e che venga e che accada nella nostra vita. Questa è la circostanza… anche questa confusione che c’è nelle elezioni prossime, nelle elezioni che faremo domenica fanno parte pure della nostra vita. Non è che noi siamo cristiani, ci abbiamo altre cose per la testa, ma no è importa farlo bene il nostro lavoro, il nostro voto, con coscienza, secondo coscienza e per il bene comune. E allora che fate, consultatevi con gli amici, con i responsabili, con i sacerdoti, perché poi non ci possiamo lamentare dopo. Dobbiamo fare seriamente anche questo. La realtà ci provoca, la realtà ci parla del Signore. Dio parla attraverso l’Eucarestia, la Parola, la comunità, ma anche questi non li possiamo far passare e quindi bisogna…lo Spirito ci parla, ci provoca, allora insieme cerchiamo il giudizio positivo, come viverlo bene questo momento. Poi ancora insieme con la forza dello Spirito c’è un dono speciale che è la Madre di Dio. Gesù disse a Maria: “Donna ecco tuo figlio”. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che tutto era compiuto. Tutto è compiuto quando lui ci dona la sua madre. Dona la protezione della madre a ciascuno di noi. E nei momenti più difficili ci è proprio come la mamma nostra, patrona, nostra guida del cammino. E numero 287 dice: “alla madre del Vangelo chiediamo che interceda in questa tappa dell’evangelizzazione. Ella è donna di fede che cammina nella fede”. E poi 286: “Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali”, dove è nato Gesù, una grotta per animali “nella casa di Gesù con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza”. Ti trasforma quella che era una grotta di animali in una montagna di tenerezza, trasforma la situazione più difficile in un luogo della tenerezza e ora 288: “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa, perché ogni volta che guardiamo a Maria, torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”. Lo stile mariano della Chiesa. Papa Francesco insiste, insisteva tanto Papa Benedetto, soprattutto San Giovani Paolo II, il genio femminile, la forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. Non ci potrà essere un nuovo umanesimo senza la valorizzazione di questo genio femminile della tenerezza e dell’affetto”(applausi). È la donna orante, la lavoratrice di Nazaret… è anche un’altra cosa bellissima nostra Signora della Premura. Nostra Signora della Premura. Colei che parte dal suo villaggio per aiutare senza indugio, non è che devi aspettare, quand’è che uno chiede alla mamma si prontifica Nostra Signora della Premura. Questa dinamica di giustizia, di tenerezza, di contemplazione, di cammino verso gli altri è ciò che fa di Lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione, la premura, l’annuncio, prendere la circostanza, non farla passare davanti, perché potevo stare tranquillo di fronte la situazione dell’ILVA, ma non è così, uno si fa provocare. La premura ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, di un’umanità nuova. Il Risorto che ci dice con una potenza che ci riempi di immensa fiducia e di fermissima speranza: io faccio nuove tutte le cose. E quindi con Maria, noi possiamo camminare fiduciosi verso questa promessa. Maria è la promessa anche per ciascuno di noi, di un nuovo umanesimo che comprende le persona, la natura, il cielo, la terra, il presente e la vita piena. Grazie a tutti per l’attenzione. (Applausi)